La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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mercoledì 26 giugno 2013

scrittrici in rosa ...


L’inquisitore di Lagoscuro, di Laura Caterina Benedetti

Buongiorno care lettrici e lettori!   Elisabetta Modena
Oggi sono qui per parlarvi di una autrice di Amazon, brava oltreché amica:
 Laura Caterina Benedetti.
Intanto ecco i suoi tre ebook principali (e ne sta per uscire uno nuovo! Preparatevi!):
Un romanzo in costume ambientato in un Medioevo cupo e oscuro, popolato da cavalieri malvagi e giovani intriganti, streghe, mercenari e frati inquisitori, in una storia serrata di amore, di odio, di vendetta.XIV secolo, città di Monferrante.

Teodoro Corsignani, figlio di un notabile del governatore, viene condannato a morte dall’Inquisizione; questo doloroso evento macchia il buon nome della famiglia e, con esso, la reputazione di Erminia, sorella minore di Teodoro. Suo padre Landolfo, temendo che ormai nessuno vorrà più prendere la figlia in sposa dopo l’impiccagione del primogenito, si vede costretto ad accettare la proposta di Tancredi Malatesta: questi, zio materno della ragazza, è un uomo brutale e vizioso, ma il matrimonio è l’unica via affinché lei non sia costretta ad entrare in convento.
Erminia, terrorizzata dalla prospettiva di simili nozze, sembra non avere scampo fino al giorno in cui si profila sulla sua strada l’ombra di Fiordinando di Lagoscuro: egli, freddo e potente inquisitore, offre alla giovane donna ciò che pare essere una vita peccaminosa al suo fianco, ma in apparenza l’unico modo per evitarle di divenire schiava del violento Malatesta. >>>> 




Un estratto dal primo racconto ("La leggenda di Winter Manor"): da  Facebook


«La nebbia era comparsa e si era stesa in fretta sulla vallata, coprendo ogni cosa.
L'aria stessa era pregna di umidità, ad ogni passo pareva che nulla potesse esistere oltre quella barriera fredda e densa eppure così sfuggevole.
Regnava una grande quiete e nulla disturbava il silenzio che si era creato, come se ogni cosa fosse stata soffocata da una coltre di gelo.
Gli alberi spogli della Foresta del Ghiaccio Eterno sembravano piegarsi già sotto il peso di una nevicata che pareva prossima, e la luna, che quella notte si mostrava completamente agli occhi dei mortali, si affacciava ogni tanto tra brandelli di nuvole scure.
L'imponente ombra di Winter Manor s'intravedeva appena nella fitta foschia: le sue quattro torri sugli angoli erano come sentinelle immobili nel buio.
La dimora apparteneva da tempo immemorabile ai signori della Valle del Tempo Smarrito, com'era chiamato quel luogo quasi ai confini del mondo, e dominava il paesaggio da un'altura vicino al fiume.
L'ultimo discendente dei Tynemouth sedeva nel vano della finestra di una sontuosa camera da letto del primo piano e lasciava che i suoi sensi affogassero lentamente nell'oscurità di fuori: il gentiluomo fumava un sigaro che riempiva l'aria di un piacevole aroma speziato e non si curava del passare del tempo.
Egli immaginava, senza vederla, la brughiera che si stendeva oltre la Foresta, fin dove l'occhio poteva arrivare, e l'immensa distesa brulla si confondeva nei suoi pensieri confusi con la visione del mare, infinito e inafferrabile luogo di eterno movimento»


Katriona, di Laura Caterina Benedetti


Katriona – lucciola e ballerina di pole-dance in un night: presa in una vita che forse non vuole veramente, va avanti lasciando che ogni giorno trascorra uguale a quello prima. Betty – lucciola e spogliarellista nello stesso night: fulva adolescente già donna, disposta a sacrificare qualunque cosa sull’altare delle proprie ambizioni. Leòn – l’uomo (quasi) perfetto: affascinante, ricco, sensuale… ma anche usuraio, spacciatore e giocatore d’azzardo – il malavitoso che controlla l’intero quartiere. Leòn sta con Katriona – Betty vuole Leòn – Leòn rifiuta Betty.
Squallido triangolo amoroso che non sarebbe neppure degno di nota… ma quando Leòn viene accusato di omicidio e Katriona è il suo alibi, un rancore personale e un cuore avvelenato dalla gelosia faranno precipitare gli eventi, creando una spirale di sangue e violenza da cui non sembrano esservi né scampo né ritorno.
Katriona è una storia semplice e spietata, un racconto lungo con pochi personaggi che sono “tipi”, forse stereotipi, una vicenda in cui la terza e la prima persona si mescolano in un groviglio di pensieri, e dove le passioni umane rese all’estremo governano il flusso degli eventi.
Laura Caterina Benedetti
Katriona

martedì 25 giugno 2013

Il testo integrarle della Sacra Bibbia, realizzato in versione ebook PDF da LiberLiber & "Lo Spirito santo nella bibbia e nella vita cristiana"

La Sacra Bibbia da millepagine

Titolo: La Sacra Bibbia
Autore: AAVV
Editore: LiberLiber
Formato: PDF
Pagine: 1226
Download PDF (1934 download)
Il testo integrarle della Sacra Bibbia, realizzato in versione ebook PDF da  LiberLiber secondo la “editio princeps” del 1971.
TRATTO DA: “La Bibbia di Gerusalemme”
Centro Editoriale Devoniano (via Nosadella, 6 – Bologna – IT)
Bologna, giugno 1991 (decima edizione)
CODICE ISBN: 88-10-80526-7
In copertina: miniatura tratta da La Bibbia di Gutemberg, 1452-1456.

Enzo Bianchi "Lo Spirito santo nella bibbia e nella vita cristiana" Edizioni Qiqajon



Acquista il cd completo su monasterodibose
In questo doppio CD è inciso il ritiro di Pentecoste predicato da fr. Enzo Bianchi a Bose il 19 maggio 2013.

lunedì 24 giugno 2013

Avvenire >>>Cultura >>> Dialoghi

«Scopriamo con Dante il vero viaggio di Ulisse»

di Luca Doninelli

Doninelli: «L’Ulisse dantesco, riletto nei secoli successivi, ha significato l’homo faber, tant’è che forse minor comprensione ha avuto la conclusione di tutta la vicenda. Mentre preparavamo l’incontro, mi hai detto ad un certo punto di esserti stancato di questo modo di leggere questo testo...

Pontiggia: «Dopo avere accumulato per tutta la vita libri in una misura visionaria, dopo aver amato la cultura nel modo più intenso e anche più articolato (chi ha una biblioteca come la mia, più di 40mila volumi, ha problemi di statica: la casa che crolla, costruzione di una vita, distruzione di un reddito) evidentemente vedo nella cultura una ricchezza, una felicità, un piacere, una dilatazione dell’orizzonte, e così l’ho sempre vissuta. Non so se è un processo legato al passare dell’età o, come penso, a una maggiore lucidità.
Quello che ho scoperto negli ultimi anni è una forma di insofferenza e di impazienza anche nei confronti della cultura. Con questo non voglio assolutamente insegnare a qualcuno a limitare la propria fame e voracità di cultura, ma semplicemente mettere in luce un aspetto importante: una cosa è la cultura come patrimonio di percorsi, di viaggio, di esperienze, di piacere, però ad un certo punto, se devo riflettere sulla vita e la morte, sul tempo che mi rimane, su quello che è veramente importante, questi piaceri perdono di importanza.
Mi ha molto colpito per esempio leggere dei libri di Taubes, un rabbino molto attratto dal cattolicesimo e dalla teologia protestante, che ha tenuto un corso alla radio a Berlino poco prima di morire, (era malato terminale di cancro, e non sapevano se avrebbe terminato il suo ciclo di lezioni) e a un certo punto dice: “Ma lasciamo perdere Hegel, cosa mi interessa…: è importante san Paolo, è importante la Lettera ai Romani”. Su Hegel era uno degli studiosi più preparati, ma questo atteggiamento nei confronti di una cultura che in condizioni di normalità, di curiosità, di acquisizione pacata, è importante, se noi invece lo misuriamo con le questioni più ultime che ci riguardano, diventa improvvisamente sfocato.
Personalmente, e lo dico non per narcisismo e neanche per fare confessione, ma semplicemente come messa a fuoco di un punto importante, credo che la cultura non è il sapere che ci riguarda nel modo più stretto. Il sapere appartiene anche alla cultura, ma la cultura nel suo insieme è un patrimonio da cui noi possiamo attingere in condizioni particolari; è il sapere che ci riguarda e che è veramente importante ed essenziale per noi. Allora, quando Luca mi ha proposto di parlare di Ulisse mi è venuto in mente tutto il cumulo di studi che avevo fatto all’università e poi dopo l’università sulla figura di Ulisse e i suoi significati. In questo momento la figura di Ulisse non mi interessa, soprattutto quella costruzione secolare che è stata fatta su di lui. Allora voi dite: “Perché ha accettato di parlare?”, beh, perché penso che se ne può parlare nel modo che mi interessa.È sconcertante che Dante ponga nell’Inferno Ulisse e nello stesso tempo dia questo ritratto magnanimo, generoso, grandioso del suo coraggio. L’ambiguità.
Dante fa di Ulisse un personaggio ambiguo, un personaggio colpevole da un lato di frode, però anche capace di questi slanci; questo non è una sorpresa, in fondo uno dei procedimenti che adotta Dante è proprio quello dell’ambiguità. Secondo me è importante leggere Dante sottraendosi al ricatto, al peso, all’invadenza di tutte le interpretazioni che sono state date (uno per cultura può anche approfondirle, trarne giovamento, arricchimento); mi sembra importante leggere Dante nella semplicità della sua costruzione, nell’impiego e nella scelta delle parole, perché allora scopriamo non solo il substrato sapienziale in senso religioso e speculativo di Dante, ma anche la sua capacità di far fruttificare la parola in significati sorprendenti e sconcertanti».

Doninelli: «Una cosa che mi sono sempre chiesto (forse perché io mi sono sposato e ho avuto figli, quindi il mio destino è stato, dopo un po’ di avventure giovanili, quello del padre di famiglia) era come faceva Ulisse a sapere che non sarebbe diventato “del mondo esperto” restando a Itaca. Questo è interessante, perché lui vuol dire che essere padre, essere marito, essere figlio, non è un’esperienza».

Pontiggia: «Questo è un punto importante ma purtroppo molta critica non si pone il problema. È interessante quello che tu dici, non è un problema estraneo al testo, perché anche in Omero (che Dante non conosceva direttamente) c’è Ulisse che riparte la mattina e affronta il viaggio e poi pone il remo nella sabbia dell’approdo: ci sono immagini stupende che Dante non conosceva ma che sono significative; voglio dire, già l’Ulisse omerico era un uomo che ripartiva. Penso che effettivamente si possa acquisire una coscienza, una conoscenza dei vizi umani e del valore anche stando a casa, altrimenti cadiamo nell’assurdità di Lawrence, che accusava Cristo di non avere una sufficiente conoscenza dell’umanità perché non era passato attraverso il matrimonio; ma figuriamoci se la conoscenza, dal punto di vista umano, passa attraverso l’esperienza diretta. Una esperienza messa a frutto e portata avanti poi con grande lucidità nella propria vita privata può essere l’orizzonte del mondo.
Condivido l’idea che Ulisse poteva diventare esperto degli uomini e del valore anche vivendo con Penelope, col vecchio padre, col figlio; del resto Kierkegaard faceva dell’uomo sposato che viveva con totale adesione la vita coniugale l’emblema della vita etica realizzata; lui non si è mai sposato, nonostante fosse stato tentato più volte da questa piena realizzazione, però ci dà un’immagine straordinariamente forte. Qui Dante probabilmente propone un ideale eroico di continuo superamento che si manifesta anche nell’abbandono della patria: lasciare Itaca vuol dire avventurarsi, e infatti lui parla di “aspro mare aperto”, probabilmente è un senso epico dell’avventura. Hanno anche detto che il viaggio di Ulisse nella Commedia è una microepopea all’interno dell’epopea della Commedia, con questo bisogno di diventare esule, che era forse la strada per Ulisse. Ma non penso che Dante ne voglia fare un ideale etico da seguire necessariamente, anche perché poi si conclude con un fallimento: la nave viene affondata. Ecco, da un punto di vista narrativo mi colpisce come lavora Dante: comincia il racconto di Ulisse con una subordinata. “Quando”. Non dice “Io ero...”, dice “Quando”, e allora subito c’è un interesse, entriamo subito in medias res con una subordinata: “Quando mi dipartii da Circe”.
Da notare che questo viaggio non verrà mai descritto in termini visivi, se non nell’ultima parte: prima è un viaggio quasi geografico, geografico-storico, topografico. Questo è uno dei segni del genio di Dante, soprattutto perché lavora sulle parole in modo strepitoso, cioè tutti i nomi propri in Dante acquistano un risalto: “ma riconoscerai che io son Piccarda”. Piccarda è un nome fantastico. Ricordo quando ai corsi di scrittura mi dicevano: “Ma se si chiama Teresa”, è un bel nome, ma voglio dire, Piccarda è un nome potente. “Ricordati di me che son la Pia”, sono tutti nomi straordinari quelli usati da Dante, tutti nomi che hanno una forza evocativa, carichi, e anche Morrocco, l’isola dei Sardi, la Spagna, Seuta… tutte parole cariche di ricchezza evocativa, e in questo è erede dei Greci, che avevano un senso musicale del nome proprio che ci incanta ancora oggi: Alcinoo, Euridice, Orfeo, Filottete, sono nomi stupefacenti. E anche quelli dei luoghi: Naupatto, Eubea, Fteotide, se pensiamo ai nomi lombardi Carate, Albiate, Carugate…
Il mondo celtico va bene però questo suffisso in ate non è che apra degli orizzonti. Se leggiamo la topografia di Omero è stupefacente, ma basta prendere una carta topografica della Grecia antica: Acaia, Laconia, Argolide, non c’è un nome sbagliato, sono nomi strepitosamente belli; quindi Dante è grande maestro in questo e lo è anche perché, se avete notato, quando un reduce racconta un percorso in territori, magari reduce dalla Russia, comincia con un repertorio di nomi russi che nessuno sa dove collocare; i reduci ricordano soprattutto i nomi, perché la memoria è fissata su nomi che hanno avuto potere di incatenare l’attenzione e l’emozione, e Dante in questo modo non solo ci dà un’immagine geografica molto più suggestiva e più efficace che se avesse descritto i luoghi, ma ci dà anche l’autenticità del racconto di chi ha vissuto questo viaggio, di chi ha vissuto l’avventura: un racconto molto credibile, molto piano, molto convincente».
«Avvenire» del 23 giugno 2013

mercoledì 12 giugno 2013

How the West Really Lost God

Cercasi Dio disperatamente!


In che modo e perché è il cristianesimo è in declino in molti Paesi in Occidente? È questa la domanda centrale dell'ultimo libro di Mary Eberstadt, How the West Really Lost God, edito dalla Templeton Press.
Numerosi studi hanno dimostrato che la fede e la pratica della fede cristiana sono diminuite in quasi ogni Paese europeo e che la percentuale di coloro che non credono è aumentata anche negli Stati Uniti.
Per quanto riguardo la causa di questo declino della religiosità ci sono varie teorie, come l'urbanizzazione, l'industrializzazione, la tecnologia, eccetera. Mentre la Eberstadt vede un legame tra questi cambiamenti e la secolarizzazione, c'è un fattore invece di vitale importanza che di norma non viene preso in considerazione: la famiglia.
È stato spesso ipotizzato che il declino della famiglia sia una conseguenza dell’indebolimento della religione, ma la tesi che viene proposta in questo libro è che l’indebolimento della vita familiare contribuisce al declino religioso.
Come osserva la Eberstadt, siamo forse le persone più libere della storia dell'umanità, ma ci troviamo più poveri di legami familiari e difede, ben radicati, invece, nelle generazioni precedenti.
Dopo alcuni capitoli iniziali che esaminano il processo di secolarizzazione ed alcune delle argomentazioni più comuni, che cercano di offrirne una spiegazione, i capitoli successivi forniscono le prove per la teoria della studiosa americana sull'interazione tra famiglia e religione.
La Eberstadt inizia analizzando la prova empirica di un legame tra fede e famiglia. Citando varie ricerche, ha osservato che meno sono i figli in una famiglia, meno questa è propensa a frequentare la chiesa. Ad esempio, un uomo sposato con figli è più di due volte più inclino ad andare in chiesa di un uomo non sposato e senza figli. Anche la convivenza ha un forte impatto negativo sulla pratica religiosa.
"In altre parole, ciò che tu decidi di fare riguardo alla tua famiglia - se averne una, se sposarti, quanti bambini avrai – è un forte indicatore di quanto tempo trascorrerai (o no) in chiesa", ha sottolineato.
Ma perché esiste questa interdipendenza? La Eberstadt insiste a porsi questa domanda. La studiosa riconosce che la religiosità è associata a matrimoni più frequenti e ad una maggiore prolificità. Invece di supporre, tuttavia, che prima venga la fede e poi la famiglia, la Eberstadt sostiene che a rendere le persone più religiose siano le famiglie più numerose e solide.
L'argomento secondo cui le persone mettano su famiglia solo perché sono religiose non spiega perché molti cristiani le cui chiese consentono la contraccezione e l'aborto hanno comunque famiglie più numerose rispetto ai non credenti.
La Eberstadt ammette che la correlazione non significa necessariamente causalità, ma l’opinione comune che la secolarizzazione abbia portato dei cambiamenti nella vita familiare si basa anche su una implicita relazione di causa-effetto.
Nel corso del tempo, in molti Paesi occidentali i tassi di fertilità sono calati, sempre più persone hanno cominciato a convivere invece di sposarsi, e molte altre hanno smesso di andare in chiesa. Queste tendenze si rafforzano a vicenda, sostiene la Eberstadt.
L'urbanizzazione e l'industrializzazione vengono spesso citate come fattori di indebolimento della religione, ma la studiosa fa notare che essi sono anche associati ad un indebolimento della vita familiare e al calo della natalità. Questo cambiamento nella famiglia può essere stato un passaggio intermedio nella perdita di religione, ha affermato la studiosa.
Più bambini e più matrimonio significa più Dio, è conclude la Eberstadt, dopo aver descritto una serie di cambiamenti demografici nella storia recente.
Rispetto alle altre teorie, ammettere un ruolo della famiglia nel determinare la religiosità spiega meglio alcuni cambiamenti, sostiene la Eberstadt in uno dei capitoli del libro. Ad esempio, il fatto che le donne sono religiosamente più praticanti degli uomini.
Spiegare questa differenza sulla base dell’inferiorità femminile non funziona, sostiene la Eberstadt. Forse ciò che spiega la differenza è che l'esperienza di famiglia e figli nella donna è più immediata che nell’uomo.
Ma quali sono i fattori che legano famiglia e religione? La Eberstadt ne cita diversi. Un fattore è che avere dei figli spinge i genitori a frequentare la chiesa per il bisogno di trovare un posto per l'educazione e la comunità. L’amore familiare – sostiene l’autrice - dà alle persone un ulteriore incentivo per contemplare l'eternità.
Inoltre, il cristianesimo è una storia raccontata attraverso la lente di una famiglia di 2000 anni fa. In una società individualizzata con molte famiglie divise diventa più difficile dare un senso ad una tradizione religiosa basata su dinamiche familiari.
Secondo la Eberstadt, alla gente neppure piace sentirsi dire che hanno sbagliato o che i loro cari hanno commesso errori. Il cristianesimo non può fare a meno di trasmettere tale messaggio, senza abbandonare alcuni precetti fondamentali in un'epoca di famiglie ‘non tradizionali’.
Tra le note negative, la Eberstadt osserva che le tendenze familiari che sono sovversive del cristianesimo non mostrano alcun segno di cedimento in Occidente. Ciononostante lascia anche spazio ad una visione ottimistica, sostenendo che potrebbe verificarsi una svolta nella vita familiare. Il cristianesimo ha anche una storia di rinascite da situazioni difficili e sa adattarsi a nuove circostanze.
In conclusione, la Eberstadt afferma che il cristianesimo e le famiglie in salute sono un forte vantaggio per la società. Rimane il dilemma di come e quando le tendenze negative degli ultimi decenni possano essere ribaltate.
(J. Flynn)

martedì 11 giugno 2013

Alcune considerazioni su Chiesa e schiavitù & La vita quotidiana nell'Africa di sant'Agostino




Da Libertà e Persona
Alcune considerazioni su Chiesa e schiavitù.
Autore: Francesco Agnoli



Chiesa e schiavitù  &

La vita quotidiana nell'Africa di sant'Agostino






Per tanto tempo la storiografia sulla schiavitù è stata, per lo più, parziale e incompleta. Per due motivi. Da una parte perché si è privilegiato lo studio dello schiavitù praticata dagli europei e dai coloni americani in età moderna, ingenerando così in molti la convinzione che lo schiavismo sia stato un vizio tipicamente nostrano, una colpa limitata ad una sola epoca e ad alcuni singoli popoli.


Dall’altra perché gli stessi storici che, per motivi ideologici, hanno puntato i riflettori solamente sullo schiavismo europeo, nell’ambito della stessa forma mentis hanno privilegiato, rispetto ad una visione d’insieme, la ricerca di eventuali omissioni della Chiesa cattolica, sovente accusata di non essere stata “sufficientemente” contraria allo schiavismo stesso.


Per questo mi sembra necessario salutare con riconoscenza l’ennesima fatica di Rodney Stark, “A Gloria di Dio” (Lindau), che tra le altre cose tenta di proporre una visione globale dello schiavismo nella storia. Stark, sviscerando e comparando una sterminata quantità di studi famosi, con una lucidità e una capacità di sintesi straordinarie, riassume dunque alcuni fatti fondamentali. La constatazione basilare di Stark è che lo schiavismo “è stata una caratteristica quasi universale della ‘civiltà’, ma era anche comune in un certo numero di società aborigene sufficientemente ricche da potersela permettere”.


Anche Roma e la Grecia antiche prevedevano “un uso estensivo del lavoro degli schiavi”, considerati oggetti, beni di proprietà, e come tali privi di qualsiasi diritto e sottoposti all’arbitrio più totale da parte dei padroni. Si può aggiungere, come ampiamente dimostrato da Aldo Schiavone in “Spartaco. Le armi e l’uomo”, che in epoca pagana non esisteva neppure il sospetto che la schiavitù in quanto tale fosse iniqua: i ribelli come Spartaco miravano alla propria liberazione, non certo alla condanna della schiavitù medesima, che anzi praticarono in prima persona nel breve periodo della loro libertà.


Se dalla Roma e dalla Grecia pagane ci spostiamo nell’Islam, scopriamo che i “musulmani raccoglievano un gran numero di schiavi nelle regioni slave dell’Europa, come pure europei presi prigionieri in battaglia o catturati dai pirati”; inoltre catturarono sempre grandi quantità di schiavi africani, prediligendo la cattura di donne, per gli harem e la servitù domestica, di bambini e di adulti maschi che però spesso venivano “evirati al momento della cattura o dell’acquisto”.


Anche l’Islam, come pure i popoli politeisti, non ha mai conosciuto alcun movimento abolizionista, ma ha subito, al contrario, l’abolizionismo europeo dell’Ottocento, ad opera di schiere di missionari e della marina britannica. Se ci spostiamo poi nell’ Africa animista, i fatti sono ben conosciuti dagli esperti, ma piuttosto ignoti al grande pubblico: “molte delle società africane precoloniali, se non tutte, si reggevano su sistemi schiavistici”, ed anzi, lo schiavismo europeo si innestò sempre su quello islamico ed interafricano.


Solo dopo questo sguardo d’insieme, sostiene Stark, possiamo contestualizzare e comprendere le specificità dello schiavismo europeo moderno.


Riguardo al quale si può sostenere, in sintesi, che le condizioni peggiori furono vissute dagli schiavi dei britannici “anglicani”, dal momento che gli inglesi non solo erano ferocemente sfruttatori, ma non battezzavano neppure i loro schiavi, né cercavano di convertirli, perché, in fondo, così facendo, impedivano che fossero in qualche modo accomunabili, almeno di fronte a Dio, a loro stessi.


Al contrario, ad “avere la legge schiavista più umana” era la Spagna, “seguita dalla Francia”: questo a causa della influenza esercitata dalla Chiesa cattolica, in prima linea, in generale se non sempre in particolare, nella difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi.


Stark si sofferma su alcune bolle papali spesso trascurate, dalla Sicut Dudum di Eugenio IV (1431-1447), a quelle di Pio II, Sisto IV e Paolo III (1534-1549), in cui lo schiavismo appare una colpa suggerita agli uomini da Satana stesso, il “nemico del genere umano”. “Il problema non era che la Chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla”, e che questa condanna, assente nel resto del mondo, anche dall’Inghilterra anglicana o dalla Danimarca protestante, scatenò spesso le ire e le persecuzioni nei confronti dei cattolici più coraggiosi nel difendere il diritto alla libertà.




Stark conclude analizzando con cura il movimento abolizionista ottocentesco: mette in luce la sua unicità (non è nato mai nulla di simile in nessun’altra cultura), la sua carica di idealismo e la sua origine prettamente religiosa (si pensi solo al Wilberforce- http://it.wikipedia.org/wiki/William_Wilberforce, padre di quel vescovo Samuel Wilberforce, che si oppose al mastino di Darwin, T. Huxley). Tutto i leader abolizionisti ottocenteschi, americani ed inglesi in particolare, erano credenti e fondarono le loro argomentazioni su categorie evangeliche (Dio, Creazione, peccato…), e non su motivazioni filosofiche di altro tipo (si veda al riguardo Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo). Un’unica lacuna, nel preziosissimo testo di Stark: manca un’ analisi dell’ “abolizionismo” cristiano di età alto medievale, che, pur diverso da quello ottocentesco, fu però fenomeno di portata storica ben più rilevante Ne parleremo la volta prossima. continua (da Il Foglio, 7 luglio, 2011)


Commentavo, la volta scorsa, un capolavoro di Rodney Stark, “A Gloria di Dio”, e in particolare il capitolo sullo schiavismo. Notavo però la mancanza di una parte dedicata all’ “abolizionismo” dei primi secoli del cristianesimo. Stark non ha forse affrontato l’argomento per un motivo: è la storiografia contemporanea che, faticando a comprendere le categorie religiose, trascura da anni questo tema.


L’abolizionismo ottocentesco, infatti, procedette per petizioni pubbliche, pressioni politiche, leggi, addirittura guerre (la guerra civile americana e le guerra della marina britannica e francese contro schiavismo islamico): fu dunque un fenomeno ben comprensibile alla mentalità occidentale di oggi.


Al contrario, l’ “abolizionismo” dei primi secoli si concretizzò nel cambiamento, graduale, di concezione teologica ed antropologica, senza guerre, né petizioni, né coinvolgimento, se non secondario, di governi. Per questo diversi storici contemporanei mettono tutti in luce la novità portata dal cristianesimo riguardo alla schiavitù, sottolineano la grandezza del messaggio paolino (“Non c’è più né giudeo né greco, né maschio né femmina, né schiavo né libero”), talora elencano anche i singoli aspetti benefici che derivarono agli schiavi dall’azione della Chiesa, ma concludono, erroneamente, che la Chiesa accettò in qualche modo la schiavitù, benché moderata, mutata, corretta.


Una simile lettura storica nasce della incapacità del pensiero moderno, abituato alle rivoluzioni politiche, di intendere una “rivoluzione” religiosa. Quando san Paolo o alcuni uomini di Chiesa invitavano i padroni a rispettare i loro schiavi, e gli schiavi ad obbedire ai loro padroni, questo non significa che riconoscessero, in qualche modo, la schiavitù, ma che perseguirono uno svuotamento dall’interno di questa istituzione, attraverso la trasformazione del cuore e della mente dei loro contemporanei. Il primo atto di “abolizionismo” cristiano non fu la “lotta di classe” (da cui sono sorti solo gulag e schiavismo di Stato), bensì la proclamazione di una verità di fede, contenuta nella preghiera stessa di Cristo: il Padre Nostro.


Se infatti siamo tutti figli dello stesso Padre, è giocoforza riconoscere la nostra uguaglianza dinnanzi a Lui. Per questo Marc Bloch nota giustamente che il solo sedere accanto, durante la liturgia divina, di padrone e schiavo cristiani, fu una rivoluzione culturale immensa. Lo schiavo, figlio anche lui del “Padre Nostro”, non era più da meno di una porta (Plutarco), neppure un mero instrumentum vocale (Catone), ma era, appunto nientemeno che figlio di Dio.


Così nella Lettera di Barnaba si poteva leggere: “Non comandare amaramente alla schiava o allo schiavo tuo che sperano nello stesso Dio, onde non ti avvenga di non temere Dio che è sopra te e sopra loro”; analogamente Lattanzio affermava che padroni e servi “sono pari” perché “fratelli”, mentre Clemente Alessandrino insegnava: “Gli schiavi debbonsi adoperare come noi adoperiamo noi stessi, giacché sono uomini come noi, e Dio è eguale per tutti, liberi e schiavi”.


Dal canto suo Cirillo Alessandrino ricordava che “in Cristo Gesù non c’è né servo né libero”, mentre sulle iscrizioni funerarie cristiane se è raro il caso che venga espressa la condizione di liberto, non si è mai trovata quella di schiavo. Come dimenticare, poi, che Cristo stesso morì sulla croce, cioè con la terribile pena destinata, allora, solamente agli schiavi?


Fu dalla visione teologica cristiana, dunque, che derivò il progressivo sgretolarsi dello schiavismo romano, che era sì già in crisi, ma non certo defunto; fu per questa stessa fede che Costantino vietò la crocifissione, i giochi gladiatorii negli stadi, dove gli schiavi venivano divorati dalle belve, il marchio a fuoco sugli schiavi stessi e la vendita dei bambini esposti.


Mentre l’imperatore legiferava, e i sinodi riconoscevano agli schiavi sempre più diritti -al matrimonio, all’asilo ecclesiastico, alla domenica libera, ecc.- Agostino, Ambrogio e tanti altri invitavano i cristiani ad affrancare i loro servi; ne riscattavo loro stessi, vendendo beni ecclesiastici; ammonivano a non utilizzare le serve, come avveniva nei tempi del paganesimo, come puri strumenti di piacere, a non arricchirsi a danno degli altri, a non disprezzare il lavoro manuale (sino ad allora prerogativa, appunto, degli schiavi); ricordavano i detti evangelici, così poco conformi alla mentalità schiavista pagana: “Guai a voi ricchi”; “Beati voi poveri, perché vostro è il regno dei cieli”…


Fu così che si sgretolò il sistema schiavistico antico, e che non solo si liberarono migliaia di schiavi, ma si introdusse l’idea stessa, del tutto nuova, secondo cui la schiavitù è una istituzione ingiusta, perché negatrice di una verità ontologica. Il cristianesimo non fu dunque un messaggio sociale, e solo poi religioso; non fu neppure la promessa di liberazione solo nell’aldilà, come scrisse Engels.


Fu la proposta di una teologia che portò, con sé, inevitabilmente, un effetto sociale: la liberazione di molti dalla schiavitù del peccato fu anche, per molti altri, la liberazione dalla schiavitù fisica, perché è la prima che causa la seconda, e non viceversa. Il Foglio, 14 luglio 2011






Documenti:


Per il ruolo, evidente, della Chiesa nella sconfitta della schiavitù e nella diffusione dell’idea di uguaglianza in età imperiale e medievale: Guido Clemente, Guida alla storia romana; J.Andreau e R. Descat, Gli schiavi nel mondo greco e romano, 2006; U. Paoli, Vita romana,1982; March Bloch, La servitù nella società medievale, 1993;H.J. Barman,Diritto e rivoluzione, 2006; Marta Sordi, Paolo a Fimenone…).






Su sant’Agostino e la schiavitù:
















Documenti papali:




2) La Sublimis Deus






Testo latino






Indos in servitutem redigere prohibetur






Christus missionarios suos ad omnes gentes mittit. Omnes dixit, absque omni delectu, cum omnes fidei disciplinae capaces existant. Diabolus modum excogitavit hactenus inauditum, quo impediret ne verbum Dei Indis praedicaretur, commovens quosdam suos satellites ut eos in servitutem redigant quia homines non sint sed bruta animalia. Summus Pontifex declarat Indos veros homines et fidei christianae capaces esse, immo ad fidem ipsam promptissime currere et prohibet eos libertate ac rerum suarum dominio privare et in servitutem redigere, etiamsi extra fidem existant. Infine Summus Pontifex decernit Indos et alias gentes ad fidem convertere.






Paulus III






Universis christifidelibus praesentes litteras inspecturis salutem et apostolicam benedictionem. Veritas ipsa [Cfr. BM XXIV 9: haec bulla ab aliis citatur verbis Sublims Deus vel Excelsus Deus, cum diversis quoque diebus. - Exemplum huius bullae exstat: Sevilla, Archivo General de Indias, Patronato, legajo 1, ramo 38.], quae nec falli, nec fallare potest, cum Praedicatores fidei ad officium praedicationis destinaret, dixisse dignoscitur: euntes, docete omnes gentes, omnes dixit absque omni delectu, cum omnes fidei disciplinae capaces existant quod videns et invidens ipsius generis humani aemulus, qui bonis operibus, ut pereant semper adversatur, modum excogitavit hactenus inauditum, quo impediret, ne verbum Dei gentibus ut salvae fierent, praedicaretur; ac quosdam suos satellites commovit, qui suam cupiditatem adimplere cupientes occidentales et meridionales Indos et alias gentes quae temporibus istis ad notitiam nostram pervenerunt, sub praetextu, quod fidei catholicae expertes existant, uti bruta animalia ad nostra obsequia dirigendos esse, passim asserere praesumant et eos in servitutem redigunt tantis afflictionibus illos urgentes quantis vix bruta animalia illis servientia urgeant. Nos igitur, qui eiusdem Domini nostri vices, licet indigni gerimus in terris et oves gregis sui nobis commissas, quae extra eius ovile sunt, ad ipsum ovile toto nixu exquirimus, attendentes Indos ipsos, ut pote veros homines, non solum christianae fidei capaces existere, sed ut nobis innotuit ad fidem ipsam promptissime currere, ac volentes super his congruis remediis providere, predictos Indos et omnes alias gentes ad notitiam christianorum in posterum deventuras, licet extra fidem christianam existant, sua libertate ac rerum suarum dominio huiusmodi uti et potiri et gaudere libere et licite posse, nec in servitutem redigi debere, ac quidquid secus fieri contigerit irritum et inane, ipsosque Indos et alias gentes verbi Dei praedicatione et exemplo bonae vitae ad dictam fidem Christi invitandos fore, auctoritate Apostolica per praesentes litteras decernimus et declaramus, non obstantibus praemissis caeterisque contrariis quibuscumque.


datum Romae anno 1537, quarto nonas iunii, pontificatus nostri anno 3°.






Testo italiano






A tutti i fedeli cristiani che leggeranno questa lettera salute e benedizione apostolica. Il Dio sublime tanto amò la razza umana che creò l’uomo in maniera tale che non solamente potesse partecipare del bene di cui godono le altre creature, ma fosse anche dotato della capacità di arrivare a raggiungere il bene supremo invisibile ed inaccessibile e di contemplarlo faccia a faccia; e per quanto l’uomo, in accordo con la testimonianza delle Sacre Scritture, sia stato creato per godere della felicità della vita eterna che nessuno può conseguire se non attraverso la fede in Nostro Signore Gesù Cristo, è necessario che possieda le doti naturali e la capacità per ricevere questa fede; e chiunque di tali doti sia provvisto deve essere capace di ricevere la stessa fede. Né è credibile che esista alcuno con così poco intendimento da desiderare la fede e tuttavia essere privo delle facoltà necessarie per ottenerla. Dunque Gesù Cristo, che è la verità stessa che non ha mai errato né può errare, disse ai predicatori della fede da lui prescelti per quel compito :”Andate ed insegnate a tutte le genti”. A tutti, disse, senza eccezione, posto che tutti sono capaci di essere istruiti nella fede; la qual cosa vedendo il nemico del genere umano, che si oppone sempre alle buone opere per portare gli uomini alla distruzione, provando invidia verso il genere umano, inventò un metodo fino ad allora inaudito per impedire che la parola divina di salvezza fosse predicata alle genti per la loro salvezza e incitò alcuni dei suoi accoliti, che per compiacerlo si trovarono ad affermare che gli indiosoccidentali e meridionali ed altre genti di cui abbiamo recente conoscenza, con il pretesto che ignorano la fede cattolica, debbono essere sottoposti alla nostra obbedienza come se fossero animali e li ridussero in servitù, obbligandoli con tante sofferenze come quelle che si usano con le bestie.


Noi che, sebbene indegni, esercitiamo sulla terra le veci di Nostro Signore e che con tutte le forse cerchiamo di portare all’ovile del suo gregge quanti ci sono stati affidati e che sono fuori dal riparo affidato alla nostra cura, consideriamo tuttavia che gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa; e, desiderando di rimediare a questi mali con metodi opportuni, facendo ricorso all’autorità apostolica determiniamo e dichiariamo con la presente lettera che detti indios e tutte le genti che in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivono al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore; [allo stesso modo dichiariamo] che i detti indios ed altre genti debbono essere invitati ad abbracciare la fede in Cristo a mezzo della predicazione della parola di Dio e con l’esempio di una vita edificante, senza che alcunché possa essere di ostacolo.






Data in Roma, l’anno 1537, anno III del nostro pontificato


3)La Commissum nobis di Urbano VIII




4) La Quoniam africanarum di Bendetto XV:




5) In supremo apostolatus di Gregorio XVI:




6) La In plurimis di Leone XII




7) La Mit Brennender sorge di Pio XI (contro il neopaganesimo nazista e la sua visione razzista):




(un passo: “…Questo Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così la sua legge non conosce privilegi né eccezioni. Governanti e governati, coronati e non coronati, grandi e piccoli, ricchi e poveri dipendono ugualmente dalla sua parola. Dalla totalità dei suoi diritti di Creatore promana essenzialmente la sua esigenza ad un’ubbidienza assoluta da parte degli individui e di qualsiasi società. E tale esigenza all’ubbidienza si estende a tutte le sfere della vita, nelle quali le questioni morali richiedono l’accordo con la legge divina e con ciò stesso l’armonizzazione dei mutevoli ordinamenti umani col complesso degli immutabili ordinamenti divini.


Solamente spiriti superficiali possono cadere nell’errore di parlare di un Dio nazionale, di una religione nazionale, e intraprendere il folle tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, re e legislatore dei popoli, davanti alla cui grandezza le nazioni sono piccole come gocce in un catino d’acqua…”)


Ce ne sono molte altre che testimoniano quello che gli storici del tema hanno ben chiaro: l’Europa cristiana vide una abrogazione quasi totale della schiavitù, propria di tutto il mondo antico, per alcuni secoli; poi conobbe un ritorno, ma mentre in tutte le altre società e civiltà (Islam, Africa, Cina…) la schiavitù era normale, e non si levavano voci contro di essa, in Europa il dibattito fu sempre vivo, tanto che sempre dall’Europa viene l’abolizionismo, quello di missionari e pontefici, ma anche quello dei movimenti evangelici di Wilberforce ecc…


lunedì 10 giugno 2013

FILM GARANTITI: tratti da grandi romanzi.

PAPA FRANCESCO E “IL SIGNORE DEGLI ANELLI”: LA VIA PER LA SALVEZZA


filmgarantiti.it
 FILMGARANTITI
Esempi


LO HOBBIT: UN VIAGGIO INASPETTATO (2012) ***
UN INCONTRO CHE TI CAMBIA LA VITA
''Bilbo, in te c'è più di quanto tu creda, figlio delle miti terre d'Occidente'' Thorin Scudodiquercia
GLI HOBBIT: TESTIMONI DI VIRTU' UMANE E CRISTIANE
''Sei una bravissima persona, signor Baggins, e io ti sono molto affezionato, ma in fondo sei solo una creatura in un mondo molto vasto!'' Gandalf
UN OTTIMO FILM DI UN OTTIMO LIBRO
I nani sono il resto di un popolo sconfitto e disperso, esiliato in terra straniera, simile al popolo della Bibbia le cui gesta e i cui dolori preludono a una Buona Novella che nessun calcolo umano può attendersi, ma che certamente verrà
MEZZO UOMO, GRANDI VIRTU' (ACQUISITE CON SFORZO E SACRIFICIO)
Lo Hobbit smonta l'indolenza di chi vuol rimanere nel quieto vivere e non vuol prendere iniziative accampando la scusa: ''sono fatto così per carattere''
BIOGRAFIA DI TOLKIEN (1892-1973)
Il più grande scrittore del Novecento, autore de ''Lo Hobbit'' e de ''Il Signore degli Anelli''
DOPPIO TRAILER DI ''LO HOBBIT: UN VIAGGIO INASPETTATO''
Regia: Peter Jackson
Durata film: 2 ore e 40 minuti
Genere: Fantasy







IL SIGNORE DEGLI ANELLI (2002-2004) ***

LA TERRA DI MEZZO E LE SACRE SCRITTURE
''Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un'opera religiosa e cattolica'' Tolkien
TOLKIEN: IL MITO E LA GRAZIA
Recensione del libro di Paolo Gulisano
LA PROFONDA RELIGIOSITA' DEL SIGNORE DEGLI ANELLI
Roberto Beretta intervista Paolo Gulisano
CHI SI AFFIDA ALLA PROVVIDENZA NON HA PAURA DEL FUTURO
Vediamo l'esempio di Frodo che dice ''Prenderò io l'anello, solo non conosco la strada''.
L'uomo senza Fede, invece, è spaventato ed ha paura di tutto: di sposarsi, delle difficoltà, della malattia, ecc.
IL MONDO INVENTATO DA TOLKIEN E' REALE, NON PERCHE' FATTUALE, MA PERCHE' VERO
Un ragazzo racconta come si è avvicinato alle 1300 pagine scritte da Tolkien
BIOGRAFIA DI TOLKIEN (1892-1973)
Il più grande scrittore del Novecento, autore de ''Lo Hobbit'' e de ''Il Signore degli Anelli''
DATE, FATTI E CURIOSITA'
''Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo'' Gandalf
PREGHIERE IN ELFICO
''Padre nostro'' e ''Ave Maria'' tradotte da Tolkien in elfico quenya (alto elfico)
LE MIGLIORI GUIDE ALLA TERRA DI MEZZO
I libri per conoscere tutto ciò che avreste voluto sapere sul Signore degli Anelli, ma nessuno vi ha detto
TRAILER DEI FILM
Regia: Peter Jackson
Genere: Fantasy
1) La compagnia dell'anello (durata: 3 ore e 30 minuti)
2) Le due torri (durata: 3 ore e 40 minuti)
3) Il ritorno del re (durata: 4 ore e 10 minuti)


1) La compagnia dell'anello




2) Le due torri




3) Il ritorno del re




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ALTRI FILM



Alcuni titoli




The Hobbit An Unexpected Journey - Soundtrack by Howard Shore


Misty Mountains- Howard Shore (The Hobbit an Unexpected Journey Soundtrack)