La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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lunedì 30 novembre 2015

…e il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire.



Originally posted on ANOTHERSEA:

…e il mio maestro
mi insegnò com’è difficile
 trovare l’alba dentro l’imbrunire.

 by montgiusi


Franco Battiato - Prospettiva Nevski (Battiato-Pio) - 1980 (1986)


Un vento a trenta gradi sotto zero
incontrastato sulle piazze vuote e contro i campanili
a tratti come raffiche di mitra disintegrava i cumuli di neve.
E intorno i fuochi delle guardie rosse accesi per scacciare i lupi
e vecchie coi rosari.
Seduti sui gradini di una chiesa
aspettavamo che finisse messa e uscissero le donne
poi guardavamo con le facce assenti la grazia innaturale di Nijinsky.
E poi di lui si innamorò perdutamente il suo impresario
e dei balletti russi.
L'inverno con la mia generazione
le donne curve sui telai vicine alle finestre
un giorno sulla prospettiva Nevski per caso vi incontrai Igor Stravinsky
e gli orinali messi sotto i letti per la notte
e un film di Ejzenstejn sulla rivoluzione.
E studiavamo chiusi in una stanza
la luce fioca di candele e lampade a petrolio
e quando si trattava di parlare aspettavamo sempre con piacere
e il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare
l'alba dentro l'imbrunire.







La fantasia dei popoli che è giunta fino a noi non viene dalle stelle... alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena potete stare a galla. E non è colpa mia se esistono carnefici se esiste l'imbecillità se le panchine sono piene di gente che sta male. Up patriots to arms, Engagez-Vous la musica contemporanea, mi butta giù. L'ayatollah Khomeini per molti è santità abbocchi sempre all'amo le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso Chi vi credete che noi siam, per i capelli che portiam, noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre. Up patriots to arms, Engagez-Vous la musica contemporanea, mi butta giù. L'Impero della musica è giunto fino a noi carico di menzogne mandiamoli in pensione i direttori artistici gli addetti alla cultura... e non è colpa mia se esistono spettacoli eon fumi e raggi laser se le pedane sono piene di scemi che si muovono. Up patriots to arms, Engagez-Vous la musica contemporanea, mi butta giù.

Uno, nessuno, centomila... CONOSCENZA.



la Vera Conoscenza

Una delle “doti” necessarie, e perciò da sviluppare,
per comprendere la “vita” così come ci viene proposta,
 è la CONOSCENZA.
claudiochiaramonte.wordpress.com
                                                     
                                                                 ###############

DA   LiberLiber 

 MILLEPAGINE

Uno, nessuno, centomila

Titolo: Uno, nessuno, centomila
Autore: Luigi Pirandello
Editore: LiberLiber (1144 download)
Formato: PDF, ePub
Pagine: 204




Download PDF (3725 download)
Download ePUB (3318 download)

Iniziato già nel 1909, uscì solo nel 1926, prima sotto forma di romanzo a puntate edito in una rivista, la Fiera letteraria, e poi di volume. Questo romanzo, l’ultimo di Pirandello, riesce a sintetizzare il pensiero dell’autore nel modo più completo. L’autore stesso, in una lettera autobiografica, lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista Vitangelo Moscarda, infatti, può essere considerato come uno dei personaggi più complessi del mondo pirandelliano, e sicuramente quello con maggior autoconsapevolezza. Dal punto di vista formale, stilistico, si può notare la forte inclinazione al monologo del soggetto, che molto spesso si rivolge al lettore ponendogli interrogativi e problemi in modo da coinvolgerlo direttamente nella vicenda, il cui significato è senza dubbio di portata universale. A dispetto della sua lunga gestazione, l’opera non è né frammentaria né disorganizzata; al contrario, può essere considerata come l’apice della carriera dell’autore e della sua tensione narrativa (da Wikipedia).

Altri libri CLASSICI
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venerdì 27 novembre 2015

"La morte dissimula la vita, breve illusione di un attimo creduto eternamente vero, perché io sia oggi quel che sono, disincantato groviglio di memorie abbandonato nelle mani del tempo."

Originally posted on Marisa Cossu:
Alfons Mucha, Autunno, 1896
Alfons Mucha, Autunno, 1896

Su colorate foglie d’autunno
ci sono i passi  della bambina
che in me cantava voci di bosco,
il vago suono del vento, la trama
dei rami pendenti da un cielo
trapassato da una lama di sole.
Indaghiamo il  limitato universo,
ci appropriamo delle cose che mai
sentiremo allo stesso modo ,
che sedimentano scorie di magia
nella semplice visione interiore
prima che il tempo trasformi
il possibile nucleo del divenire
in quelle che saremo per sempre;
ma altrove ti trascina il tempo
dove il mondo ti mostrerà  volti
di pietra induriti dal male,
una conca d’acqua evaporata,
montagne di sale, dolore vivo,
il ventre vuoto di madri, guerra.
La morte dissimula la vita,
breve illusione di un attimo
creduto eternamente vero,
perché io sia oggi quel che sono,
disincantato groviglio di memorie
abbandonato nelle mani del tempo.
©Marisa Cossu

"Non è un caso che i giovani amino Tolkien e Lewis, come un tempo i giovani greci amavano l’Iliade e l’Odissea: perché i giovani amano gli eroi"

Originally posted on il blog di Costanza Miriano:

Una diversa “radicalità” di vita per sconfiggere Daesh

DI AUTORI VARI


Mettiamo a disposizione sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.Il Centro culturale Gli scritti (26/11/2015)
di don Andrea Lonardo
Per definizione ciò che è “moderato” non è appassionante.
Per definizione ciò che è “moderato” non è appassionante.
Noi stiamo dimenticando che i giovani non chiedono semplicemente di essere “moderati” – sia nel senso di avere un controllo che li moderi, sia nel senso dell’essere tali -,ma chiedono piuttosto un motivo valido per dare la vita. Per offrirla per un ideale, così come per donarla ad una nuova creatura, ad un figlio. Meglio ancora a tanti figli. La denatalità è il sintomo evidente di una "moderazione" mortifera. I giovani chiedono di essere “radicali”.
Per questo un Islam “moderato” non potrà molto. Non potrà fare molto un Islam che si limiti a dire “not in my name” e non si getti animo e corpo a rimuovere le profonde ingiustizie di tanti paesi musulmani, a partire dall’Arabia Saudita che mortifica le più elementari prospettive di una vita libera. Non andrà molto lontano un Islam moderato che non si impegni con tutto se stesso per la maturazione di una spiritualità che annunci la libertà e l’amore per Dio. Non otterrà frutti duraturi un Islam che non chieda una vera e propria “rivoluzione culturale” educativa, ammettendo le violenze compiute nel passato contro tanti popoli ed invocando una svolta di bene rispetto al passato.
Ma non serviranno a niente, allo stesso modo, una laicità ed un cristianesimo europei che non ritrovino la radicalità e la passione che li hanno contraddistinti. Se tutto ciò che noi proporremo ai figli di seconda, terza e quarta generazione di immigrati sarà un nuovo modello di IPhone, una confortevole vacanzetta e le distrazioni del sabato sera l’Europa non riuscirà mai e poi mai a sconfiggere la radicalità del terrorismo.
Se vogliamo comprendere una religione dobbiamo vedere come essa viene vissuta da persone che la vivono radicalmente. Dobbiamo vedere le scelte di una persona radicalmente cristiana come di una persona radicalmente musulmana per capire cosa è il cristianesimo e cosa è l’Islam.
Di mezze figure non sappiamo cosa fare.
La questione della radicalità incalza anche chi dichiara di essere “laico”. Chi sa bene cosa sia l’ideale di un mondo dove non si viva per il consumo, cosa sia la passione per la giustizia e per la lotta contro la povertà, cosa sia l’impegno per chi è nel bisogno, cosa sia lo slancio che permette a te e ai tuoi amici di ritrovarsi padri e madri di figli, per donare loro la vita come hanno fatto tutte le generazioni prima di noi. Chi sa cosa sia una rivoluzione interiore. Chi sa cosa voglia dire non vivere per se stessi, ma vivere per un altro più importante di te.
Di radicalità ha bisogno il mondo. Il cuore degli islamisti potrà esser conquistato da santi e da profeti che scelgono di offrire se stessi in nome della vita e di Dio, ma non da un’offerta di playstation, passatempi e cacabandole varie.
Una nuova alleanza fra cristiani e laici, un’alleanza non solo di “moderati”, bensì di “radicali” che esaltino il bisogno dell’uomo di sconfiggere il materialismo, che diano spazio al desiderio di offrire le proprie vite per i figli che nasceranno, che vivano la passione per tutta la bellezza prodotta nei secoli perché sia non solo conservata e trasmessa, ma vivificata, che offrano – in senso sacrificale - ciò che sono è e ciò che hanno per vivere nella carità e nella misericordiache amino la propria tradizione generata da un miscuglio di fede e di libertà a volte conflittuali ma sempre vicine come 2 facce di una stessa medaglia, di tutto questo ha bisogno l’Europa.
Questa rinnovata alleanza di sapienza (logos) radicale e di una carità (agape) radicale può interessare le giovani generazioni di musulmani. Questa rinnovata alleanza si può stringere anche con loro.
Non è un caso che i giovani amino Tolkien e Lewis, come un tempo i giovani greci amavano l’Iliade e l’Odissea: perché i giovani amano gli eroi.
Ebbene deve emergere una terza figura. Non deve esistere solo lo pseudo-eroe islamista che uccide impassibilmente, impasticcato di anfetamine, immolandosi per un dio della morte e del suicidio.
Ma non basta nemmeno il viveur, donnaiolo e consumatore, navigatore in solitaria di Internet e afferratore di ogni possibile piacere.
Il nostro tempo invoca la testimonianza di persone radicali, che mostrino che l’uomo non è fatto per gustare effimeri e transitori piaceri, bensì è nato per qualcosa di grande, per una vocazione, come già i suoi genitori ed i padri dei padri, capaci di dare la vita e di dare un significato alla vita, capaci di mostrare alle nuove generazioni perché la vita sia grande e con un destino eterno.
N.B. La moderazione verrà poi, perché anche di essa c'è bisogno. Ma si modera una passione, non il nulla.
Non posso tacere il debito del discepolo per il maestro per F. Hadjadj che ha ispirato queste considerazioni e le cui parole sono state in questi giorni un pungolo ed un’illuminazione. Così ha detto in un dialogo con Abdennour Bidar, su Le Figaro del 5/6/2015 (la traduzione è nostra):
«Il pericolo non è nell'immigrazione in quanto tale, ma in ciò che offriamo ai nuovi arrivati per integrarsi. Il supermercato tecno-liberale non è sufficiente per infondere lo slancio per una passione storica. Ma è proprio questo che i giovani si aspettano. Non desiderano diventare "moderati", ma di entrare in una vera e propria radicalità(questa parola si riferisce alle radici, che non esistono per se stesse, ma per i fiori, i frutti e gli uccelli). I giovani hanno desiderio di eroismo. Ma i “valori commerciali” correnti nella République non propongono nulla di tutto questo, e questo vuoto nutre il terrorismo, così come nutre la xenofobia. Oggi dobbiamo ripensare alla Francia e all'essenza della République, mettendoli nell’ottica di una storia e di un’eredità che riconducano alla radicalità ebraico-cristiana».
E così ha scritto in un’editoriale di Famille chrétienne del 17/11/2015 (a breve integralmente on-line su Gli scritti):
«Molti giovani si rivolgono all'Islam perché il cristianesimo che offriamo non contiene più nulla di eroico né di cavalleresco (mentre Tolkien è con noi), ma si riduce a delle garbate considerazioni di civismo e di comunicazione non-violenta.
Qual è il vero terreno di questa guerra? Alcuni vorrebbero farci credere che la forza dei terroristi dello scorso venerdì 13 consista nel fatto di essere stati addestrati, formati nei campi di Daesh, di modo che la battaglia sarebbe ancora quella della potenza tecnocapitalista per fabbricare un armamento più pesante. Ma in che modo un ragazzo bloccato alle uscite di sicurezza, e che si fa saltare in aria con degli esplosivi rudimentali, può essere un soldato navigato? Noi sappiamo – e lo ha provato l’esperienza recente di Israele – che chiunque può improvvisarsi assassino nel momento in cui è posseduto da un’intenzione suicidaria. Ciò che costituisce la sua forza di distruzione, pronta a esplodere in qualunque momento e luogo, non è la sua abilità militare, ma la sua sicurezza morale».

giovedì 26 novembre 2015

«Quando la fede si fa social»

SPERARE PER TUTTI

Chi è il mio prossimo social?

"Avvenire" pubblica un'anticipazione del libro «Quando la fede si fa social», il nuovo saggio di padre Antonio Spadaro che la casa editrice Emi pubblica nella collana “Segni dei tempi” (pagine 64, euro 5). Una riflessione su opportunità e limiti dei media digitali come occasioni di relazione. 
L’esistenza “virtuale” appare configurarsi con uno statuto ontologico incerto: prescinde dalla presenza fisica, ma offre una forma, a volte anche vivida, di presenza sociale.

Essa, certo, non è un semplice prodotto della coscienza, un’immagine della mente, ma non è neanche una res extensa, una realtà oggettiva ordinaria, anche perché esiste solo nell’accadere dell’interazione. Le sfere esistenziali coinvolte nella presenza in Rete sono infatti da indagare meglio nel loro intreccio. Si apre davanti a noi un mondo “intermediario”, ibrido, la cui ontologia andrebbe indagata meglio in ordine alla comprensione teologica.

Certamente una parte della nostra capacità di vedere e ascoltare è ormai palesemente “dentro” la Rete, per cui la connettività è ormai in fase di definizione come un diritto la cui violazione incide profondamente sulle capacità relazionali e sociali delle persone. La nostra stessa identità viene sempre di più vista come un valore da pensare come disseminato in vari spazi e non semplicemente legato alla nostra presenza fisica, alla nostra realtà biologica. [...]

Come osserva papa Francesco, nella parabola evangelica del “prossimo”, cioè del “comunicatore”, il levita e il sacerdote «non videro la realtà di un loro prossimo, ma la “pseudo-realtà” di un “estraneo” da cui era meglio tenersi a distanza». E oggi questo è il rischio: «che alcuni media stabiliscano una “legge” e una “liturgia” capaci di indurci a ignorare il nostro prossimo reale per cercare e servire altri interessi».
Ciò vale anche per le “leggi” e le “liturgie” cristiane: evangelizzare non significa affatto fare “propaganda” del Vangelo. Non significa «trasmettere» messaggi di fede. Il Vangelo non è un messaggio tra i tanti altri. Dunque evangelizzare non significa «inserire contenuti dichiaratamente religiosi» su Facebook e Twitter. E inoltre la verità del Vangelo non trae il suo valore dalla sua popolarità o dalla quantità di attenzione (dei “mi piace”) che riceve. Al contrario il Papa ribadisce la necessità a essere disponibili verso gli altri uomini e donne che ci stanno attorno, a «coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana».

Testimoniare dunque significa innanzitutto vivere una vita ordinaria alimentata dalla fede in tutto: visione del mondo, scelte, orientamenti, gusti, e quindi anche modo di comunicare, di costruire amicizie e di relazionarsi fuori e dentro la Rete. E di conseguenza anche, come ha scritto il Papa, «testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non si parla in forma esplicita».

La Chiesa in Rete è chiamata dunque non a essere una «emittenza» di contenuti religiosi, ma una «condivisione» del Vangelo in una società complessa. Il Vangelo non è merce da vendere in un “mercato” saturo di informazioni. Spesso risulta molto efficace un messaggio discreto capace di suscitare interesse, desiderio della verità e muovere la coscienza. Questo permette di evitare la trappola dell’assuefazione a un annuncio che viene ritenuto già noto, già visto, già ascoltato. Nella testimonianza occorre apprendere dall’episodio dell’incontro del Cristo risorto con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), dove il Signore si accosta ai due uomini «col volto triste», aprendo con delicatezza il loro cuore al riconoscimento del mistero.

La possibile separazione tra connessione e incontro, tra condivisione e relazione implica il fatto che oggi le relazioni, paradossalmente, possono essere mantenute senza rinunciare alla propria condizione di egoistico isolamento. Sherry Turkle ha riassunto questa condizione nel titolo di un suo libro: Insieme ma soli. La frattura nella prossimità è data dal fatto che la vicinanza è stabilita dalla mediazione tecnologica per cui mi è “vicino”, cioè prossimo, chi è “connesso” con me.

Qual è il rischio, dunque? Quello di essere “lontano” da un mio amico che abita vicino ma che non è su Facebook e usa poco l’email, e invece di sentire “vicino” una persona che non ho mai incontrato, che è diventata mio “amico” perché è l’amico di un mio amico, e con la quale ho uno scambio frequente in Rete.

Questa stranezza ha radici profonde nell’anonimato della società di massa. Fino all’inizio del XX secolo la maggior parte della popolazione viveva in ambito agricolo, e le persone conoscevano certo non più di pochissime centinaia di volti nella loro vita. Oggi è normale il contrario, cioè il non riconoscere i visi incontrati per strada, ed è ovvio che il prossimo è sostanzialmente uno sconosciuto. Il passaggio problematico è che si comincia a valutare la prossimità con criteri troppo elementari, privi della complessità propria di una relazione vera, profonda.

La tecnologia abitua sempre più il cervello ad applicare l’esperienza del videogame, che si basa sulla logica “risposta giusta/risposta sbagliata” agli stimoli che inviamo al nostro interlocutore. Cristianamente il “prossimo”, però, non è certamente colui che offre “risposte giuste” ai nostri stimoli nei suoi confronti. La logica evangelica è molto chiara al riguardo: «Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo (Lc 6,32-35).

Quando poi l’evangelista Luca parla di “fare del bene” oggi dovremmo intenderlo nel senso più letterale possibile. Il contatto da videogame in Rete si sviluppa sostanzialmente grazie a “parole”, cioè racconti, messaggi scritti. Una volta, ad esempio, essere amici per i giovani era possibile solamente se si faceva qualcosa insieme, se c’era un’attività condivisa, dall’andare a mangiare una pizza al suonare insieme o partecipare a un gruppo. Oggi invece è possibile essere “amici” anche semplicemente scrivendo la propria vita su una bacheca elettronica.

Tranquillo prof, la chiamo io

La poesia e lo spirito

Tranquillo prof, la chiamo io. La scuola e il nuovo romanzo di Christian Raimo


Raimo Christian
di Guido Michelone
Da quando con Cuore di Edmondo De Amicis comincia in Italia una narrativa che parla di scuola, ponendosi quasi a livello di autentico genere popolare (come dimostrano anche i casi precedenti di Domenico Starnone, Marcello D’Orta, Paola Mastrocola), il rapporto docente/allievi viene sempre visto a senso unico, in una monodirezione che porta a privilegiare i maestri o professori a scapito dei giovani e degli studenti. In altre parole, in quasi tutti romanzi in cui si affronta la storia e la vita di un anno scolastico da settembre a luglio, da una parte ci sono i detentori della cultura, della conoscenza, della pedagogia, talvolta persino del potere, dall’altro una massa di lavativi, ignoranti, svogliati, fannulloni. Oggi però, con il nuovo libro di Raimo, la situazione viene completamente ribaltata: a voler apprendere, studiare, approfondire le materie classiche in un’ottica tradizionale e moderna al tempo stesso, sono i ragazzi, presentati come attivi, puntuali, diligenti, serissimi. A voler o tentare di praticare, invece, una forma di socializzazione che non porta a nulla, se non al diniego degli stessi liceali, è un prof di storia della filosofia di un istituto romano che assume su di sé, ironicamente, il peggio del peggio di un insegnamento che vuole essere à la page con le tecnologie, ma che risulta fin da subito impreciso, lacunoso, superficiale nello specifico delle proprie discipline. Ovviamente in questo romanzo tutto è esagerato, fino a conseguenze parossistiche, con effetti di humour intelligente davvero notevoli e originali. Ma un fondo di verità esiste, in questa storia, anche se la questione viene totalmente ribaltata, sia rispetto ai canoni della letteratura sia nei confronti della realtà quotidiana. Forse giocando come in un paese di cuccagna, dove il mondo è alla rovescia, Raimo vuole mettere un po’ di ordine nelle vicende scolastiche, lasciando intravedere la schizofrenia delle relazioni odierne, dove pare non esista più alcuna possibilità di dialogo fra la ‘cultura’ dei telefonini e dei messaggini e quella dei libri, delle ricerche, delle fonti esatte, delle corrette citazioni. Alla fine del libro si resta con l’amaro in bocca, perché emerge l’infelicità, la frustrazione, la solitudine del protagonista, che in fondo è e sarà sempre una persona sola, in conflitto o in competizione con la classe.
Raimo Christian, Tranquillo prof, la chiamo io, Einaudi, Torino 2015, pagine 275, € 16,00.
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martedì 24 novembre 2015

Siamo ciò che mangiamo. E come lo mangiamo...

AlzogliOcchiversoilCielo

Enzo Bianchi Siamo ciò che mangiamo. E come
lo mangiamo















Anteprima dal
nuovo libro di Enzo Bianchi. Il cibo è cultura, consumarlo insieme è
un’occasione di piacere che significa anche stipulare un’alleanza, delineare un
abbozzo di communitas.




Il cibo è costituito da un insieme di alimenti
e di creature volute e donateci da Dio ma, come abbiamo detto, il cibo è frutto
non solo della terra, ma anche del lavoro dell’uomo. Per noi umani non c’è
natura senza cultura: siamo consapevoli che dal III millennio a.C., prima ancora
dell’invenzione della scrittura, gli umani hanno iniziato a praticare l’arte
della cucina, cioè del preparare, del trasformare gli alimenti in cibo per la
tavola.



Attorno al fuoco, in una grotta, sotto un
albero, su una pietra si è cominciato a mangiare insieme, a consumare cibo
preparato da qualcuno: a poco a poco nasceva la cucina, l’arte del cucinare e,
contemporaneamente, la festa, il banchetto, il simposio... Consumare lo stesso
cibo e la stessa bevanda significa diventare insieme uno, stipulare un
contratto, un’alleanza, riconoscere una prossimità, un’accoglienza reciproca,
dare origine a una relazione o approfondirla, delineare un abbozzo di
communitas.



Cucinare è azione umana, solo umana, non
conosciuta dagli altri viventi sulla terra. È, di fatto, umanesimo, perché
chiama e richiama uomini e donne, convoca piante, animali e anche minerali (il
sale) e canta il sapore del mondo. E tutto questo in un ritmo umano: non sempre
si cucina allo stesso modo! C’è la cucina feriale, in cui ci si nutre con gioia
ma nella sobrietà e nella frugalità; c’è il pasto, il banchetto che interrompe
la ferialità dei giorni per dire l’insperabile, per celebrare ciò che accade
poche volte e per grazia; c’è il pasto del bambino che abbisogna di cibi a lui
adeguati; c’è il pasto per l’anziano, che richiede una misura e una leggerezza…
Chi cucina ha anche l’arte di differenziare i pasti, perché c’è un pasto per
ogni momento sotto il sole.



FARE CUCINA



Cosa va messo in evidenza in quest’arte?
Innanzitutto l’acqua: non solo essenziale come bevanda, ma indispensabile per la
cucina, per lavare gli alimenti, per cuocerli. L’acqua ha assunto subito un
ruolo purificatore e quindi si è imposta come indispensabile. Accanto all’acqua,
il fuoco che fa passare l’alimento da crudo a cotto: tutti noi sappiamo come
questo processo sia assolutamente determinante. Quello dal crudo al cotto è un
passaggio che conferisce un nuovo assetto al cucinare: fare cucina cessa di
essere solo preparare e condire un alimento, ma implica il trasformarlo
profondamente, con esiti molto diversi a seconda della modalità di cottura e
degli ingredienti utilizzati.



Proprio la preparazione culinaria ha creato il
pasto come pratica sociale che media il rapporto con il nutrimento. Senza la
preparazione, ognuno potrebbe soddisfare da solo e a suo piacimento il bisogno
di cibo. La preparazione del pasto, invece, richiede un investimento di tempo,
di attenzione e di cura, che costituisce la misura empirica dell’amore di chi
prepara il cibo nei confronti di quanti devono mangiarlo abitualmente o sono
invitati per una circostanza particolare. Anche presentare un piatto richiede
tempo e arte, quindi attenzione verso gli altri e volontà di procurare piacere.
Presentare il cibo è la firma del cuoco o della cuoca, è un sorriso che esprime
la gioia di offrire ciò che si è preparato per qualcuno. [...]



Condivisione e scambio entrano dunque nella
cultura della cucina, del pasto, degli alimenti, e la condivisione del cibo
appare sempre segno della condivisione della vita, e così lo scambio. Per questo
nella cultura del cibo la relazione ha il suo primato e il cibo è a servizio di
questa relazione che può essere tra conoscenti, amici, coniugi, famiglia,
vicini, entità territoriali... «L’uomo è ciò che mangia», diceva Ludwig
Feuerbach, ma questa affermazione è riduttiva perché noi dipendiamo più dai
criteri orientativi della nostra alimentazione e della nostra capacità di
viverne lo spirito che non da quello che mangiamo: potremmo dire «siamo ciò che
mangiamo e come lo mangiamo». Occorre infatti fare del pasto un’occasione di
piacere, un rito creatore di senso e di esperienze, anche di esperienze
spirituali in cui mangiare in comunione e conoscere Dio diventano la stessa
cosa.



CONDIVIDERE PER CONVIVERE



Plutarco fa dire a un personaggio delle sue
Dispute conviviali (II,10): «Noi uomini non ci nutriamo l’un l’altro
semplicemente per mangiare e bere, ma per mangiare e bere insieme». Tale aspetto
è decisivo: per questo il cibo per noi umani è evento culturale che sa
soprattutto produrre convivio che, come dice la parola, è cum vivere, vivere
insieme e quindi com-munitas, cioè mettere insieme i doni, il munus che ciascuno
ha, oppure il debito (anch’esso munus) che ciascuno ha verso l’altro.
Condividere per convivere!



È proprio a causa di questa valenza del cibo
che nella Bibbia la pienezza di vita è stata espressa dall’immagine del
banchetto. Dal banchetto messianico promesso già dai profeti come banchetto del
regno di Dio: «Il Signore dell’universo preparerà per tutti i popoli un
banchetto di cibi abbondanti, un banchetto di vini raffinati, di cibi
succulenti, di vini eccellenti» [
Is
25,6
] al banchetto promesso da Gesù: «Molti verranno dall’Oriente e
dall’Occidente e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei
cieli» [
Mt
8,11
; cfr. Lc
13,29
], fino ai banchetti raccontati da Gesù nelle parabole come immagini,
profezie del regno dei cieli. Dove c’è banchetto, infatti, non c’è solo
nutrizione, ma c’è vita piena, condivisione, comunione fra tutti gli esseri
umani e fra Dio e l’umanità. La tavola del regno dei cieli ha proprio il Signore
Dio come ospite che invita, chiama, offre il banchetto a noi umani, ospiti,
invitati, accolti per fare comunione con lui.

(PASOLINI DAY) PASOLINI, DI ABEL FERRARA

S O L A R I S



(PASOLINI DAY) PASOLINI, DI ABEL FERRARA







Il 2 novembre 1975 Pier Paolo Pasolini veniva trovato assassinato sul Lungomare di Ostia. Se ne andava così uno dei più lucidi, discussi, affascinanti, controversi intellettuali del secolo scorso... Ho usato il termine "intellettuale" non a caso: Pasolini era un artista a 360°, scrittore, giornalista, drammaturgo e, ovviamente, cineasta. Il cinema era la sua grande passione, e nonostante il suo approccio alla regìa fosse per forza di cose un po' naif (quasi autodidatta) ciò non gli ha impedito di realizzare film che sono rimasti nella storia.

Oggi, a quarant'anni dalla morte, la compagnia di blogger della quale mi onoro di far parte gli rende omaggio analizzando i suoi film. Il sottoscritto invece, non ritenendosi all'altezza del compito, preferisce recensire (come già fatto a suo tempo) il film con cui Abel Ferrara ricostruisce, a mio avviso molto bene, l'universo pasoliniano. In calce al post però potete trovare la lista di tutti i "colleghi" che partecipano all'iniziativa, con l'invito di andare a leggervi i loro post. Ne vale assolutamente la pena.

PASOLINI
(id.)
di Abel Ferrara (Italia, 2014)
con Willem Dafoe, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Adriana Asti, Maria de Medeiros
durata: 87 minuti

Avvertenza:
questo non è un film per tutti, ed è bene metterlo in chiaro fin da subito. Non lo è per chi si aspetta un film biografico puro e semplice, dal momento che è impossibile condensare in neppure un'ora e mezza di pellicola l'opera-omnia pasoliniana, ovvero l'uomo, lo scrittore, il regista, l'intellettuale, il poeta. E non lo è neppure per chi cerca un film d'inchiesta, dal momento che è evidente che ad Abel Ferrara importa molto poco di come sia morto Pasolini e di chi lo abbia ucciso: per quello guardatevi pure il bel film di Marco Tullio Giordana del 1995 (Pasolini, un delitto italiano), senz'altro molto più indicato. Se invece cercate qualcosa di coraggiosamente sperimentale, forse anche un po' incosciente, un ritratto neutrale e inaspettato (perchè girato da un americano) di uno dei personaggi ancora oggi più discussi e scomodi in assoluto a livello planetario, allora andate a vedere il film di Ferrara. Con le dovute precauzioni...


La trama è semplice: ci vengono raccontate (non in ordine cronologico) le ultime 36 ore di vita dello scrittore, di cui vediamo frammenti di vita privata e professionale. Solo che Ferrara li scompone e li rimonta a modo suo secondo il suo stile debordante e allucinato, che lo porta spesso ad 'esagerare' ma che è anche utilissimo per farsi un'idea della complessità del personaggio, che ci viene mostrato in tutte le forme: vediamo infatti il Pasolini al lavoro (mentre batte a macchina il suo ultimo romanzo, Petrolio, destinato a rimanere incompiuto), quello umano e intimo (tenero e affettuoso con la madre anziana e i familiari), quello che guarda al futuro e illustra i prossimi progetti cinematografici (il Porno-Teo-Kolossal, una specie di seguito di Salò) al giovane Ninetto Davoli, seduto al tavolo di una trattoria che si trasforma poi in luogo irreale dove prendono forma atmosfere (incubi?) oniriche e suggestive.
Ferrara costruisce un film dai toni surreali, evocativi, sotto certi aspetti disordinato e kitsch, eppure tremendamente affascinante nella sua babele di situazioni e di lingue (nella versione originale i personaggi, Pasolini compreso, passano con disinvoltura dall'italiano all'inglese - ma anche al francese e al romanesco - e curiosamente questo mix non disturba più di tanto, anzi: si può dire che l'alternanza di linguaggio permette di 'alleggerire' la visione e creare un certo stacco tra le sequenze 'reali' e quelle immaginifiche. Peccato che tutto questo viene irrimediabilmente perso nell'edizione doppiata...). Merito di un regista che, nel bene e nel male, ha sempre rifiutato di scendere a compromessi produttivi e che ha girato una pellicola personalissima e particolare, imperfetta ma genuinamente d'autore. E merito anche, soprattutto, dell'incredibile mimesi fisica e artistica di uno splendido Willem Dafoe, semplicemente perfetto nell'umanizzare e rendere credibile il suo personaggio: un uomo sofferente, tormentato, incompreso, diffidente verso una società ottusa e perbenista che lo accettava solo per necessità, non potendone ignorare la statura di intellettuale.
Il Pasolini di Ferrara, a mio modesto parere, è un film riuscito: perchè, pur con tutti i suoi difetti (evidenti) riesce comunque nell'intento di trasportare lo spettatore nell'universo pasoliniano, spingendolo verso il suo mondo, il suo stile, le atmosfere tipiche dell'epoca. L'uomo-Pasolini che esce da questo ritratto sembra davvero vicino al reale, e la sensazione è che anche un regista dissacrante e politicamente scorretto come Abel Ferrara abbia tentato un approccio allo stesso tempo irriverente e deferente, rispettoso e appassionato, certamente non banale come il personaggio che racconta. Un film che non sarà utile da far vedere a scuola, ma che sorprende per la sua modernità .

HANNO COLLABORATO ANCHE:
DIRECTOR'S CULT (Mamma Roma)
NON C'E' PARAGONE (Medea)
WHITE RUSSIAN (Accattone)
COMBINAZIONE CASUALE (Teorema)
MARI'S RED ROOM (Salò, o le 120 giornate di Sodoma)

                          By S O L A R I S

FELICITA'...

PERSONA E COMUNITA'

SULLA FELICITA'. CON E. CORTI E DUY HUYNH.


Duy Huynh, Prova di fiducia.
La felicità è elemento determinante decisivo per il cristiano. La speranza nella lieta novella è dono di allegrezza di cuore: “Io vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà, e nessuno vi strapperà la vostra gioia” (Gv, 16, 22)”. Speranza nel paradosso del discorso della Montagna: è felice, “beato” (in greco “makarios”) chi secondo i canoni consueti sarebbe invece l’infelice, il povero, l’afflitto, il perseguitato, l’affamato.
Duy Huynh,
Prova di fiducia,
particolare
“Makarios” non è colui che è carico di virtù etiche o vive un benessere soggettivo. E’ colui che spera non in una salvezza intesa come consolazione o ricompensa rinviata, ma nella promessa di cieli e terre radicalmente nuove, da vivere anticipatamente nel presente rispecchiandosi nelle Beatitudini. S. Agostino indicava la strada in uti non frui”: formula oggi non a torto desueta, che tuttavia, se riportata in chiave odierna, può mantenere il suo sapore nell’opzione per la“caritas” e nel rifiuto della “cupiditas”.
Duy Hyynh,
Prova di fiducia.
Su questo dipinto di Duy Huynh, che gentilmente ci ha autorizzato a pubblicare l'immagine...Quest'opera di sapore surrealistico rappresenta in modo efficace l'atto della fiducia. Se noi fossimo totalmente sicuri (di noi stessi, degli altri, delle circostanze) non dovremmo avere fiducia perché sapremmo con certezza. Il gesto confidente si colloca quindi nell'orizzonte del dubbio. Nel dipinto l'incertezza è propria di tutta la scena: la scala è già segno di una condizione precaria, ma è soprattutto la posizione del protagonista a rivelare una situazione di squilibrio. La luce è fioca, appena una lampadina e quel che più conta il soggetto non vede dietro le proprie spalle. Il simbolo della fiducia è tutto racchiuso in quel "cadere" senza cadere che allude al rischio di chi si abbandona. La prova della fiducia (titolo dell'opera) consiste nel credere che, nonostante tutto, ci siano quelle mani che dietro di noi accolgono e proteggono.
 

Senso di qualità

Dietrich Bonhoeffer : Senso di qualità

by sgolisch
Dietrich Bonhoeffer
Dietrich Bonhoeffer
Se non troviamo il coraggio di ritrovare un autentico senso per le distanze umane e quindi la forza di lottare personalmente per esse, ci perdiamo nell’anarchia dei valori umani. La sfacciataggine la cui origine è la mancanza di rispetto delle distanze umane, è la caratteristica della gente volgare. L’insicurezza interiore, il mercanteggiare e il mendicare per la benevolenza degli sfacciati, cioè l’adeguarsi alle persone volgari può portare soltanto alla propria ‘volgarizzazione’. Quando si dimentica ciò che si deve a se stessi e ciò che si deve agli altri, quando la sensibilità per le qualità umane e la capacità di tenere le distanze si spegne, il caos è vicino. Laddove nel nome della comodità materiale si accetta di farsi sfiorare dalla sfacciataggine, permettendo al caos di rompere l’argine, si è ormai rinunciato a se stessi e quindi si è diventati colpevoli nei confronti di tutta la comunità. In altre epoche è stato il compito del cristianesimo testimoniare l’uguaglianza degli uomini; il compito del cristianesimo oggi è quello di difendere appassionatamente il rispetto per le distanze umane e lottare per le qualità umane. E’ necessario mettere in conto il fraintendimento dell’egoismo e il sospetto che questo atteggiamento sia dovuto a uno spirito asociale. Questi sono sempre gli stessi rimproveri delle persone volgari contro l’ordine. Chi cede su questo punto, non comprende di che cosa si tratta e, probabilmente, i rimproveri sono giustificati. Tutte le classi sociali sono entrate in un processo di volgarizzazione, al contempo però assistiamo alla nascita di una nuova nobiltà dello spirito che unisce un cerchia di uomini provenienti da tutte le classi sociali.   
 LA POESIA E LO SPIRITO