La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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venerdì 29 aprile 2016

“Merende di Lettura Femminili”

il blog di Costanza Miriano

Merende di Lettura Femminili

DI ADMIN @COSTANZAMBLOG
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di Francesca Nardini
Quello di cui vi parliamo oggi è un’esperienza nata da poco nella provincia di Latina. L’iniziativa si chiama “Merende di Lettura Femminili” ed è un modo per stare insieme tra donne leggendo libri e scambiando le proprie opinioni. L’idea è nata soprattutto per sopperire ad una grossa lacuna nella nostra città: la mancanza di occasioni per stare insieme tra noi, ragazze, donne adulte, madri, e parlare della propria vita in relazione ad un testo scelto di volta in volta. Definirlo “circolo” lettura sarebbe riduttivo: il proposito è quello di condividere invece la propria vita oltre ai gusti e alle opinioni. La variabilità delle tematiche che abbiamo in mente di proporre è molto ampia, anche se siamo ancora al primo incontro.
Lo scorso 15 aprile, per iniziare l’avventura, abbiamo affrontato come tema quello che secondo noi risulta di maggiore interesse tra il pubblico femminile : la relazione di coppia tra l’uomo e la donna, le loro differenze e tutte le dinamiche specialmente comunicative che ne derivano. Caratteristica di questi incontri è la presenza di una persona che funge da relatore, scelta in quanto particolarmente esperta in materia. Stavolta è stato il turno di una psicologa di Latina molto in gamba la quale che ci ha aiutato non soltanto ad analizzare il libro (trattasi di “Gli Uomini vengono da Marte, le Donne da Venere” di  J. Gray) ma a focalizzarci sul senso profondo dell’argomento trattato.
Anzi forse in questo caso il libro è risultato molto marginale rispetto alla tematica.
È stata una prima esperienza  talmente significativa che abbiamo sentito l’esigenza di condividerla con voi del blog di Costanza Miriano.
  1. Innamoramento e amore
È opinione molto diffusa quella secondo la quale l’amore è l’innamoramento siano la stessa cosa. È amore vero “se ti batte forte il cuore”, “ se senti le campane suonare”,  “se hai le farfalle nello stomaco” e, via via, tutta una sintomatologia molto precisa. Riflettendo meglio, questo stato definibile di ebbrezza della persona è uno stato non normale, uno stato distaccato dalla realtà, alterato in qualche modo. Il termine tecnico di questa condizione dell’essere umano molto frequente nella vita è proprio innamoramento e coinvolge il soggetto verso qualcuno o qualcosa. Proprio così, qualcuno o qualcosa. Innamorarsi non implica necessariamente incontrare qualcuno: ci si innamora anche di oggetti, come un bel vestito, o anche di un bel film. Il paragone più efficace forse è proprio quello dello shopping: l’innamoramento può essere vissuto persino quando restiamo fulminate da quel paio di scarpe bellissime in vetrina! Emerge quindi un dato di fatto importantissimo per capire la differenza tra innamoramento e amore : noi non decidiamo di innamorarci, ci accade e basta. È qualcosa che sfugge alla nostra volontà, e per di più è un’esperienza che può capitare tantissime volte nella vita, in barba al preconcetto per cui ci si innamora una volta sola e per sempre. Anzi!
Cos’è invece l’amore?
Facciamo un passo indietro.
Ripensiamo, per chi è accompagnato, al momento in cui ci siamo innamorati del partner. Probabilmente in quel momento (che è durato giorni, mesi, forse anche un anno) tutto vedevamo del partner fuorché i suoi difetti. Qualunque dettaglio, qualunque particolare riconduceva alla tesi per cui lui/lei era una persona perfetta. E sicuramente perfetta per noi. Che cosa stavamo davvero contemplando in quel momento speciale? Di certo non stavamo vedendo la persona nella sua realtà ma stavamo ammirando in totale estasi le sensazioni che lui/lei scatenava in noi. Questo non è sbagliato, anzi è una fase utilissima nel rapporto, contrariamente a quanto pensano alcuni. L’innamoramento non delude, poiché in me e nella persona che ho di fronte c’è sicuramente un bello da contemplare: il punto è che tale bellezza è molto più nascosta di quella che percepiamo nel momento in cui ci innamoriamo.
Di che bellezza stiamo parlando?
La bellezza di scegliersi consapevolmente.
Abbiamo detto che l’innamoramento non accade per volontà… l’amore invece sì. L’innamoramento è una condizione, l’amore è una azione. L’innamoramento è per così dire passivo, l’amore è attivo e coinvolge la volontà. L’innamoramento è dire: “Ti amo perché mi dai questo…”; l’amore è dire “Ti amo indipendentemente da ciò che mi dai”.
Spesso si sente parlare di amore con un’accezione leggermente triste: associare l’amore a qualcosa di “ragionato”, voluto, non fatale, potrebbe inizialmente avere un suono sgradevole, deludente, questo perché probabilmente associamo il concetto di volontà a quello di sforzo. In un certo senso, è come se ciò che non viene spontaneo fare è  immediatamente classificato come brutto. Dai, in fondo a nessuno piace andare in palestra, nemmeno ai veri cultori! In realtà non c’è niente di più bello che essere padroni dei propri sentimenti, stare al timone della propria nave e non vivere di sensazioni esclusivamente suscitate da fuori. L’amore consente esattamente un’esperienza di coinvolgimento lucido.
L’amore nasce con l’innamoramento ma vive nella ragione e dura per la volontà. E potrai innamorarti tante volte di tante persone e di tante cose, ma in definitiva amare soltanto quel partner.

  1. Il vero scopo dell’amore
Visto che è un atto di volontà, per poterlo esprimere dobbiamo sapere a cosa serve, l’amore. Ossia, possono esistere tante ragioni per amare ma c’è una motivazione di fondo irrinunciabile. Qual è?
Azzardandoci un attimo sul terreno della tradizione biblica, facciamo memoria delle parole pronunciate di Dio quando crea la donna: lo scopo è dare all’uomo un aiuto, simile per alcune traduzioni, opposto secondo altri studi linguistici. Ma perché l’uomo va aiutato? Forse l’uomo non basta a se stesso? E perché un aiuto opposto? Prendiamo questo spunto per comprendere meglio le motivazioni profonde dell’amore. C’è un’incompletezza dell’uomo che va colmata, stesso discorso vale ovviamente per la donna: nella nostra personalità non c’è tutto, non siamo equipaggiati per ogni circostanza della vita, non abbiamo nel nostro zaino tutte le qualità necessarie che la vita richiede. E qui viene il bello: ciò che non ho immediatamente a disposizione, ci pensa l’altro a tirarlo fuori da me. Quell’opposto è ciò che di me non conosco. Volendo banalizzare, ma con l’intenzione di comprendere meglio questo punto, l’uomo pragmatico aiuterà la moglie fantasiosa a stare con i piedi per terra così come la donna dolce aiuterà il marito a non essere troppo duro con i figli. Non è un gioco ad incastro, non è un processo automatico e soprattutto è un processo inizialmente doloroso. Ma è un’esperienza che mi conviene fare, per regalare a me stesso un me stesso che non conoscevo. In questo senso l’amore è liberazione, ovvero ci libera dai lacci del “io non posso fare questo”, o anche “io non riuscirò mai a”. L’amore, nato dall’attrazione superficiale , è alimentato da un’attrazione più profonda verso tutto ciò che posso fare e credevo di non saper fare.
In quest’ottica la coppia genera il singolo.
Da persone credenti aggiungiamo anche che tutto ciò è una Grazia. L’amore di Dio è sicuramente la sorgente di ogni amore. Qualunque motivazione ha il suo nascere nella misericordia di Dio per noi.
John Gray questo non lo dice, ma non fa niente… lo aggiungiamo noi!
Twitter: @MerendeFem
Facebook: MerendeFemminili

giovedì 28 aprile 2016

Cerco parole buone su vita, amore e morte

Oggi, a scuola, lezione su Etty Hillesum accompagnata da questo video.

 "tutto può andar perso,

 ma mai l’amore per la vita"


Etty Hillesum: la "normalità" della mistica

Oggi, a scuola, lezione su Etty Hillesum accompagnata da questo video.


Etty è una delle voci a cui faccio riferimento nel mio libro "Cerco parole buone. Su vita, amore e morte" (Paoline). Di lei parla anche Daniele Rocchetti sul suo blog "Diario di un laico" (qui riportato).
Sono reduce da un viaggio con alcuni amici in terra polacca e, come sempre capita, un giorno intero l’abbiamo passato ad Auschwitz-Birkenau. Ci sono state tante altre volte, molte in compagnia di persone, poi diventate amiche, che hanno vissuto il dramma della deportazione: Nedo Fiano, Hanna Weiss, Shlomo Venezia, Sami Modiano, Andra e Tatiana Bucci. Stavolta invece a farmi compagnia è stato il diario di una giovane donna, morta nel campo, il 30 novembre 194: Etty Hillesum.
NON SMARRIRSI NEL DOLORE DEL MONDO
Di lei si sa ben poco. Alcuni cenni biografici, il diario e le lettere da lei scritte negli ultimi anni della sua breve vita (in tutto, i suoi scritti coprono un arco di tempo brevissimo: 9 marzo 1941 – 7 settembre 1943) e che offrono la straordinaria possibilità di riflettere sul rapporto tra estremo e quotidiano. Etty è una giovane donna la cui esistenza si è smisuratamente estesa dalla piccola scrivania accanto alla finestra della sua stanza, che dava sulla piazza del Rijksmuseum, ad Amsterdam, dove ogni giorno cercava per sé “almeno un paio di parole“, come altri cercano una casa, un rifugio, fin dentro le pieghe della più grande tragedia storica del Novecento: “Se dico che stanotte sono stata all’inferno, che cosa potete capirne voi?” scrive da dentro il campo di transito di Westerbork, dove ogni lunedì arrivava un treno vuoto che ripartiva il mattino seguente carico di donne, uomini, vecchi, bambini, destinati allo sterminio. E tuttavia, in quel lungo tragitto dalla sua scrivania (“il più bel posto di questa terra“) alla storia, Etty non solo non smarrisce se stessa, ma non smarrisce la libertà di continuare ad amare gli esseri umani e di continuare ad assaporare la bellezza del mondo. Dentro le pieghe della vita quotidiana e con l’acuta consapevolezza dell’inevitabile destino a cui lei e il suo popolo sono destinati, mantiene intatta “la coscienza che, in ultima istanza, non ci possono togliere nulla. Che esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro ciascuno di noi per poter congiungere le mani in una preghiera“.
UN BARLUME DI ETERNITÀ DENTRO LE AZIONI QUOTIDIANE 
Etty rende continuamente evidente la ricchezza delle potenzialità di una vita umana. Anche nelle situazioni più terribili, e di maggiore costrizione, si può trovare la forze se non di capovolgere il dato, almeno però di rovesciarne il senso: “Ho il dovere di vivere nel modo migliore, e con la massima convinzione, sino all’ultimo respiro. Allora chi verrà dopo di me non dovrà più cominciare tutto da capo e con fatica“. È questo il nucleo semplice e radicale che definisce l’esperienza di resistenza di Etty. La trasformazione di sé come momento indispensabile e fondamentale della trasformazione del mondo. Etty sa amare la vita, e trovarvi bellezza, anche nelle situazioni più intollerabili non perché sia un’anima bella, che non sa vedere l’orrore del mondo, ma perché sa che “tutto fa parte di questo mondo: una poesia di Rilke come un ragazzo che cade dall’aeroplano“. Non a caso, molti l’hanno associata a Dietrich Bonhoeffer, che nel carcere di Tegel, a Berlino, poco tempo prima di venire giustiziato scrive: “Meravigliosamente custoditi, da forze che vegliano per il nostro bene, attendiamo senza timore l’avvenire. Dio è con noi sera e mattina, e lo sarà fino all’ultimo giorno”. Tutto questo comporta farsi carico del presente, radicarsi nel presente, senza immaginare vie di fuga impossibili. Significa non fuggire la realtà e non ritagliarsi un mondo a propria misura. Perché Etty è convinta che ciò che è umano, profondamente umano, non può essere soffocato dal male. “Se sapessimo capire il tempo presente, lo impareremmo da lui a vivere come un giglio del campo“. Ridotti all’essenziale. Ma non privati della speranza. “Un barlume di eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza, malattia, tristezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un’unità indivisibile. Così, in un modo o nell’altro, la vita diventa un insieme compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perchè essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbitraria.” Me lo dicevo mentre attraverso la grande fabbrica dello sterminio che è Birkenau: questa è la grande lezione di Etty, restituirci tutta la responsabilità del nostro “esserci”.
UN DIO DA SALVARE
Non solo. La giovane ebrea Etty scopre a poco a poco che la fede può essere anche qualcosa in cui libertà e sottomissione diventano la stessa cosa. Bisogna “sopportare i misteri di Dio“, e solo sopportandoli, senza presumere di possederne le chiavi, si può anche sperare di “aiutare Dio”, quando Dio non sembra più in grado di far fronte alla malvagità degli esseri umani.” (Caramore) Non a caso J.G.Gaarlandt, l’editore olandese che nel 1983 decise la pubblicazione del diario, ha scritto: “Certe volte Etty è così assorta nelle sue conversazioni con Dio che il suo sembra puro misticismo. Era una mistica Etty? Forse sì, ma scriveva: “il misticismo deve fondarsi su un’onesta cristallina: quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà”. Il suo misticismo non la condusse alla contemplazione solitaria, ma dritto nel mondo dell’azione. Era una visione del mondo che non aveva nulla a che fare con la fuga o l’illusione; si fondava anzi su una solida percezione della realtà, faticosamente conquistata. Il suo Dio può apparirci in piena consonanza con la sua capacità di vedere la realtà, di sopportarla e di trovarvi consolazione. Un Dio faticosamente trovato ma che scopre essere alla radice di ciò che è: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.” È l’inizio di un’intensa attività interiore, di un rapporto dialettico tra due che sono già uno, lei e Dio, in cui ciascuno ha bisogno che l’altro ci sia, vivo e attivo, che le farà dire più tardi: “E se Dio non mi aiuterà allora sarò io ad aiutare Dio”, sempre più certa che tutto può andar perso, ma mai l’amore per la vita: “E questo probabilmente esprime il mio amore per la vita: io riposo in me stessa. E quella parte di me, la parte più profonda e la più ricca in cui riposo è ciò che io chiamo Dio.” Quel Dio che sente sempre più come abbraccio avvolgente e rassicurante: “E’ così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stressi fra le tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d’eternità“. Come un appello imprescindibile. “L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio“. Un Dio da salvare. Un Dio fragile che rischiava di essere annientato. Era necessario che qualcuno, anche solo uno, lo sapesse custodire nel proprio cuore e lo salvasse così dalla distruzione e dalla morte.

Cerco parole buone [Albini]

Sono cosi' felice. La storia di una ragazza verso gli altari - UNA CHICA COMO LAS DEMÁS...



Flavio Capucci


Sono così felice
Montserrat Grases
una ragaza verso gli altari
Un esempio per adolescenti
che non si accontentano






IL LIBRO



Montserrat Grases (1941-1959), una ragazza catalana che a sedici anni si innamora di Gesù e decide di dargli tutta sé stessa. Lo farà in modo rapido e imprevedibile, accogliendo con esemplare adesione la dolorosa malattia che nel giro di un anno porrà fine alla sua giovane vita. La sua storia è ricostruita in questo libro dalla testimonianza delle persone che la conobbero e l’amarono, e da documenti del processo di beatificazione in corso.Il 26 marzo 1959 moriva a Barcellona Montserrat Grases. In luglio avrebbe compiuto diciott’anni. Presto si cominciò a diffondere la sua fama di santità, tanto che l’Arcivescovo di Barcellona, mons. Gregorio Modrego, nel 1962 ne aprì l’allora chiamato Processo informativo, che si chiuse nel 1968. Oggi si può dire conclusa l’esposizione sistematica delle sue virtù eroiche, secondo le nuove norme canoniche. Il postulatore della Causa, mons. Flavio Capucci, offre qui un profilo di Montse tratto dalle deposizioni dei testi e dagli appunti di coscienza della ragazza.Ma che cosa aveva la giovanissima Montse perché la si possa innalzare alla gloria degli altari? Esteriormente si direbbe una ragazza normalissima. Ma la vocazione all’Opus Dei e una fulminea e dolorosa malattia la portarono a una maturità umana e spirituale straordinaria. Il suo impegno verso una stretta unione con Gesù e la sua lotta concreta per migliorare nelle virtù cristiane sono un esempio imitabile e incoraggiante

Montserrat Grases (1941-1959). Una vida senzilla

UNA CHICA COMO LAS DEMÁS...






Ieri, il Santo Padre Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti riguardanti dodici cause di beatificazione. Tra questi si trova il decreto sull’eroicità delle virtù di Montse Grases (1941-1959), ragazza dell’Opus Dei.
Nell’apprendere la notizia diffusa dalla Santa Sede, il prelato dell’Opus Dei mons. Javier Echevarría, ha dichiarato: “Ringrazio di cuore il Signore per questo passo della causa di beatificazione di Montse, una ragazza dalla vita breve, che è però stata un autentico dono di Dio per coloro che la frequentarono e anche per quelli che l’hanno conosciuta dopo il suo dies natalis, il suo transito al cielo”.
Montse Grases – ha aggiunto il prelato – “ha corrisposto sin dalla giovane età all’amore di Dio in mezzo al mondo e ha cercato di avere una vita di pietà, di lavorare bene – mettendo a frutto le sue doti – con spirito di servizio, nel desiderio costante di occuparsi generosamente degli altri, dimenticandosi di sé stessa”.
Ella “ha seguito fedelmente il Signore quando la chiamò a far parte dell’Opus Dei e ha cercato di camminare – lungo un’esistenza ordinaria come quella di tante donne – molto unita a Dio, anche quando si ammalò del cancro che la condusse alla morte e che le causò dolori molto forti. Cercò di portare a termine con delicatezza soprannaturale le sue occupazioni quotidiane, per amore di Dio e degli altri, e si propose di attrarre a Gesù le sue numerose amicizie”.
La speranza di mons. Echevarría è dunque “che l’esempio di Montse continui a spronare molte ragazze e ragazzi verso una vita di generosa donazione al Signore nel matrimonio, nel celibato apostolico, nella vita religiosa e nel sacerdozio”.
María Montserrat – Montse – Grases García nacque a Barcellona, il 10 luglio 1941. Era la seconda di nove figli. Aveva un temperamento vivace e spontaneo. In famiglia assimilò alcuni lineamenti caratteristici della sua personalità: la gioia, la semplicità, la generosità e la preoccupazione verso gli altri. Le piacevano lo sport, la musica, le danze popolari della sua terra e partecipare ad opere teatrali. Aveva molti amici.
I suoi genitori le insegnarono a rivolgersi a Dio con fiducia e, man mano che cresceva, la aiutarono a lottare per vivere le virtù cristiane e a consolidare la sua vita spirituale. Nel 1954 cominciò a frequentare un centro dell’Opus Dei. Le attività di formazione cristiana contribuirono alla sua maturazione umana e spirituale.
Quando aveva 16 anni si rese conto che il Signore la chiamava a percorrere questo cammino nella Chiesa: dopo aver meditato, pregato e chiesto consiglio, chiese di essere ammessa nell’Opus Dei. Da quel momento si impegnò con maggior decisione e costanza a cercare la santità nella vita quotidiana. Cercò di avere un rapporto costante con Dio, di scoprire la volontà divina nel compimento dei suoi doveri, di curare, per amore, i piccoli particolari e di rallegrare coloro che le stavano accanto. Riusciva a trasmettere a molti dei suoi parenti e amici la pace che proviene dal vivere al cospetto di Dio.
Poco prima di compiere 17 anni, le diagnosticarono un cancro (sarcoma di Ewing) al femore della gamba sinistra. La malattia durò nove mesi e fu causa di dolori molto forti, che lei accettò con serenità e con forza. Anche se gravemente malata, continuò a manifestare un’allegria contagiosa. Riuscì ad attrarre a Dio molte amiche e compagne di classe che andavano a trovarla. Il dolore divenne un luogo di incontro con Gesù e con la Madonna. Quanti la frequentavano furono testimoni della sua progressiva unione con il Signore. Una delle sue amiche afferma che, quando la vedeva pregare, palpava la sua intimità con Cristo.
Morì il 26 marzo 1959, Giovedì Santo. Molti affermarono che la sua vita era stata eroica ed esemplare. Da allora, tale fama di santità si è diffusa sempre più. Il processo informativo su Montse Grases si è svolto a Barcellona, aperto dall’arcivescovo Gregorio Modrego Casaus il 19 dicembre 1962 e concluso il 26 marzo 1968, su mandato del nuovo arcivescovo, mons. Marcelo González Martín.
Negli anni successivi, l’itinerario della causa procedette più lentamente, a motivo dei cambiamenti della normativa delle cause di canonizzazione decisi dal beato Paolo VI e da san Giovanni Paolo II. La fama di santità di Montse continuò tuttavia ad aumentare.
Il 15 maggio 1992 la Congregazione delle Cause dei Santi dichiarò la validità del processo diocesano di Montse Grases. Nello stesso anno, comunque, si decise di svolgere un’inchiesta supplementare, tra l’altro per arricchire le prove processuali raccolte negli anni ’60. Questo processo aggiuntivo si svolse a Barcellona, dal 10 giugno al 28 ottobre 1993. Il 21 gennaio 1994 la Congregazione delle Cause dei Santi decretò la validità di questo secondo processo.
Il 21 novembre 1999 fu presentata la Positio sulla vita e sulle virtù della Serva di Dio. Il 10 giugno 2015 il congresso peculiare dei consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi diede una risposta positiva alla domanda sull’esercizio eroico delle virtù di Montse Grases e il 19 aprile 2016 la congregazione ordinaria dei cardinali e dei vescovi si pronunciò nello stesso senso.
Martedì 26 aprile 2016 Papa Francesco ha ricevuto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, una relazione dettagliata sulle fasi della causa, e ha quindi ratificato il voto della Congregazione e autorizzato la promulgazione del decreto con il quale si dichiara venerabile la Serva di Dio Montse Grases.


Kairos

Thomas Merton

” Tu qui sedes in tenebris spe tua gaude:orta stella matutina sol non tardabit “

T. Merton  immagine da Avvenire
monasterovirtuale.it

By leggoerifletto:

La contemplazione – padre Thomas Merton

La contemplazione non deve essere confusa con l’astrazione.
Una vita contemplativa non va vissuta con un ritiro permanente dentro la propria mente.
L’esistenza ridotta e limitata di un piccolo gruppo isolato e specializzato non basta per la «contemplazione».
Il vero contemplativo non è meno interessato degli altri alla vita normale, non è meno preoccupato per quello che capita nel mondo, ma più interessato, più preoccupato.
Il fatto di essere un contemplativo lo rende capace di un interesse maggiore e di una preoccupazione più profonda. Essendo distaccato, e avendo ricevuto il dono di un cuore puro, egli non si limita a prospettive ristrette e provinciali. Non è coinvolto facilmente nella confusione superficiale che la maggior parte degli uomini prende per realtà. E per questa ragione può vedere più chiaramente ed entrare più direttamente nella pura attualità della vita umana. La cosa che lo distingue dagli altri uomini, e che gli dà il chiaro vantaggio su di essi, è il fatto di possedere una comprensione molto più spirituale di ciò che è «reale» e di ciò che è «effettivo».
– Padre Merton Thomas –
da: “L’esperienza interiore. Note sulla contemplazione” Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 212



L’uomo si serve della sua intelligenza nella maniera più completa e totale solo quando tutte le sue capacità conoscitive convergono in un intelletto illuminato, aperto e guidato dallo Spirito Santo.
L’uomo contemplativo è colui che guarda attraverso la sua intelligenza con l’occhio luminoso dello Spirito Santo.

– Marko Ivan Rupnik –

da: “Il discernimento, Lipa 2007,p. 25



Il contemplativo non è semplicemente un uomo a cui piace starsene seduto a pensare, o tanto meno uno che se ne sta seduto con lo sguardo assente.
La contemplazione è qualcosa di più della pensosità o della tendenza alla riflessione. Indubbiamente un’indole pensosa e riflessiva non è certo da disprezzarsi in questa nostra era di vacuità e di automatismo, e può effettivamente condurre l’uomo alla contemplazione. […].
Il contemplativo non è isolato in se stesso, ma è liberato dal suo io esteriore ed egotistico attraverso l’umiltà e la purità di cuore – quindi non esiste più in lui un serio ostacolo all’amore semplice ed umile per gli altri uomini.
– Padre Merton Thomas –
da: “Semi di contemplazione”, B. Tasso – E. Lante Rospigliosi (Edd), Ed. Garzanti, 1991, pp. 17; 57




Ti ringrazio per il tuo amore incondizionato, perché non mi hai dimenticato e abbandonato.

Ti ringrazio perché vegli su ogni attimo della mia vita; i momenti di gioia e di difficoltà, attraverso i quali mi conduci alla maturità e alla fede profonda.

Ti ringrazio per l’aiuto che mi dai, aiuto che conduce al bene, quando in te depongo la mia fiducia.

Ti ringrazio perché mi proteggi da ogni forza oscura e perché posso sentire la tua vicinanza e l’amore, l’aiuto e la salvezza.

Grazie per coloro che mi hai assegnato per sostenermi e assistermi attraverso le vie della vita.

Grazie per la tua bontà e la misericordia che mi accompagna ovunque mi trovi.

Grazie perché mi permetti di abbandonare i brutti pensieri e mi induci a pensare a quel che mi cura e incoraggia.

Grazie per tutti i tuoi doni, in particolare per il dono d’amore che allontana da me ogni paura.

Ti adoro, Gesù, ti onoro e ti rendo grazie, per la misericordia che hai di me in questo momento e perché io possa stare con te e rivolgerti questa preghiera. Amen.



Buona giornata a tutti.:-)
www.leggoerifletto.it



Pensieri nella solitudine


 




« Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.

Non vedo la strada che mi sta davanti.

Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.

Secondo verità, non conosco neppure me stesso

e il fatto che penso di seguire la tua volontà non significa che lo stia davvero facendo.

Ma sono sinceramente convinto che in realtà ti piaccia il mio desiderio di piacerti

e spero di averlo in tutte le cose, spero di non fare mai nulla senza tale desiderio.

So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via,

quantunque io possa non capirne nulla.

Avrò sempre fiducia in te,

anche quando potrà sembrarmi di essere perduto e avvolto nell’ombra della morte.

Non avrò paura,

perché tu sei con me e so che non mi lasci solo di fronte ai pericoli. »
 





















(Thomas Merton, Preghiere)



L'esperienza interiore. Note sulla contemplazione

Copertina anteriore
"Come mi sbagliavo nel considerare la contemplazione solo parte della vita!... Per un contemplativo tutta la sua vita è contemplazione" (Thomas Merton). L'esperienza interiore è la prima edizione completa e autorizzata dell'ultimo lavoro di Thomas Merton. Si tratta di un manoscritto che egli aveva sempre avuto l'intenzione di rivedere, ma che non riprese mai in mano fino al 1968 quando integrò nel testo brevi ma importanti correzioni e aggiunte. Attingendo alla sua esperienza cristiana,ma anche agli scritti e tradizioni orientali che influenzarono in modo così significativo i suoi scritti nell'ultimo decennio della sua vita, Merton presenta la contemplazione in tutta la sua ampiezza; e mette in luce come la contemplazione non sia semplicemente una parte della vita, ma la vita nella sua interezza. Questo, che è l'ultimo suo grande lavoro a essere pubblicato, ci presenta un Merton degno di essere annoverato fra i grandi maestri di spirito e carico di umanità. Curata con scrupolo dallo studioso di Merton, William H. Shannon, L'esperienza interiore collega i primi lavori di Merton sulla contemplazione, strettamente cattolici, con i suoi ultimi lavori di più ampio respiro. Questo libro testimonia il suo crescente interesse nei confronti delle tradizioni di meditazione e di spiritualità orientali, specialmente buddiste, che avrebbero influenzato in maniera significativa il suo pensiero e i suoi scritti nell'ultimo decennio della sua vita.


Nuovi semi di contemplazione


Copertina anteriore

"La contemplazione è l'espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell'uomo. E quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. E timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell'essere. E gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell'essere. E chiaro intendimento che la vita e l'essere, in noi, derivano da una fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa fonte. Essa conosce questa fonte in modo oscuro, inesplicabile, ma con una certezza che trascende sia la ragione sia la semplice fede. La contemplazione infatti è un genere di visione spirituale alla quale aspirano, per la loro stessa natura, la ragione e la fede, poiché senza di essa sono destinate a restare sempre incomplete." (T. Merton)

 

La montagna dalle sette balze

Copertina anteriore
In questo libro, che lo consacrò scrittore e lo rese famoso in tutto il mondo, Thomas Merton narra le molte esperienze che lo portarono prima ad abbracciare il credo comunista, poi a convertirsi al cattolicesimo e a farsi monaco trappista. Proprio come il viaggio dantesco cui si rifa il titolo, l'itinerario spirituale di Merton alla ricerca di Dio conosce soste, intoppi, cadute, momenti di disperazione, ma si conclude con la conquista di una nuova consapevolezza di vita e di pensiero.

 >>>  Breve profilo biografico di Thomas Merton

mercoledì 27 aprile 2016

VORREI RISORGERE DALLE MIE FERITE



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La “Lunga Quaresima” dei sopravvissuti agli abusi sessuali e la via del recupero

JOHN BURGER/ALETEIA



 “Vorrei risorgere dalle mie ferite. Donne consacrate e abusi sessuali”      Anna Deodato                (edizioni Dehoniane).


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GELSOMINO DEL GUERCIO/ALETEIA

Voci di suore abusate. Testimonianze drammatiche di violenze subite, in tempi diversi della loro vita, da parte di preti e consorelle di comunità.
Li racconta con coraggio e tanta lucidità, Anna Deodato, consacrata all’Istituto delle Ausiliarie Diocesane di Milano, in “Vorrei risorgere dalle mie ferite. Donne consacrate e abusi sessuali” (edizioni Dehoniane).
DISTORSIONE DELL’IDENTITA’
Deodato, esperta in psicologia, ha ascoltato lo stato d’animo delle consorelle. Il trauma è molto pesante e distorce la propria identità. «Non so chi sono – dice una suora abusata – non so se è stata colpa mia, se me la sono cercata, non capisco più se ho fatto del male, se cercavo un affetto e non dovevo, non so perché mi è successo e cosa devo pagare per questo».
SENTIRSI RIDICOLA
Spesso si teme di essere minimizzate e sottovalutate. Ci si sente in colpa per ciò che è accaduto. Un’altra abusata rivela: «Mi sento ridicola. E anche ora, con te, non riesco a verbalizzare nulla. Mi scendono soltanto le lacrime e vorrei morire. Mi sento ridicola. Come qualcosa che sta per finire. O, forse, sono già morta. Lo so che sono io che creo problemi e che le cose che faccio io sono tutte complicate, sbagliate, assurde. Passerà, forse, riuscirò a parlare, non so. Non so più nulla, ho dentro un grande caos. Non riesco ad aggiungere altro, se non che sono un caos, come il mare in burrasca nella foto».
PERDITA DELLA DIGNITA’
Subire un abuso fa perdere definitivamente una parte essenziale della propria persona e della propria dignità. «Ti senti solo sporca. Dopo ti senti solo sporca e hai solo voglia di lavarti, ma dentro non hai più niente. La violenza la senti sempre dentro e dentro ti resta lo schifo. Uno straccio del pavimento sporco. Mi sento questo, mi sento così».
L’IMPORTANZA DI UN GESTO
Nei confronti di queste persone, bisogna comprendere però molto bene come e quando esprimere con il gesto la vicinanza e l’affetto per non suscitare eccessivamente emozioni e ricordi traumatici troppo violenti. Una suora, all’autrice del volume, dice: «Dammi la tua mano, sento caldo e sento che mi aiuta. Me la ricordo quando mi viene paura. La porto con me, no, dentro di me. Sento che non mi prendi per farmi del male. Grazie».
LA RISERVATEZZA
La riservatezza è essenziale. Una delle percezioni più sgradevoli e dolorose connesse all’abuso molte volte è quella di avvertire di essere guardata con disprezzo e di sentirsi. «Siamo sicuri che non entra nessuno? Che nessuno ci vede? Che nessuno sente?».
IL SENSO DI COLPA
Chi ha subito le molestie di un sacerdote, racconta ad Anna:
«Don X non mi aspettava, forse è una cosa che non ti ho mai detto».
Cosa?
«Che per molto tempo prima che mi facesse quello che ha fatto, mi rinfacciava tutte le volte che io arrivavo in ritardo, se ne andava scocciato e mi diceva che se non volevo andare da lui glielo avrei dovuto dire prima».
E tu?
«Io ci rimanevo molto male, mi faceva sentire molto in colpa, poi mi toglieva delle cose che mi aveva dato».
Che cose?
«A volte degli impegni con gli adolescenti o dei favori che mi chiedeva di fare». Ti ricattava.
«Non lo so, forse sì. Non ho voglia di dire tante cose».
PAURA DELLA FRETTA
La violenza condiziona anche i tempi di esecuzione di una qualunque azione. Una suora, abusata da una consorella, rammenta: «Lei arrivava sempre così, di fretta, non la si sentiva, ma era velocissima, faceva tutto in fretta, mi faceva male in fretta, forse è per questo che io ho paura quando vedo la fretta, mi fa confusione, mi agita».
«Mi sento agitata – osserva un’altra suora – ho paura di sporcare anche se poi non lo faccio, sto sempre in piedi e cammino più male come un soldatino. Oggi veramente sentivo che avevo bisogno di lasciar uscire la tensione accumulata, che il mio pianto non era di disperazione come altre volte. Poi sono venuta a scrivere e ora devo proprio finire perché si è fatto tardi. Per fortuna ho sonno, spero di addormentarmi subito, anche se la giornata era troppo piena di emozioni. Ho notato anche un’altra cosa: mangio velocemente, con grande fame, mi butto sul cibo e lo divoro masticando poco. Mi fa ricordare ciò che mi diceva la mia mamma, che cioè quando avevo fame ingoiavo il cibo senza masticare bene e perciò poi rimettevo».
AVVICINARSI A DIO
Il superamento del trauma passa per un progressivo itinerario di riconciliazione con la propria storia e la capacità di volgersi verso una bellezza interiore che riapre, in un certo senso, anche il dialogo con Dio: verso di lui una donna che è stata vittima di un abuso può sentire vergogna e colpa.
«Come una sposa – dice una suora – Vorrei parlare a Gesù di tutto questo mettendomi dinanzi a lui tutta, così come sono, con la confidenza di una sposa che ama infinitamente il suo sposo, senza paura, senza vergogna, senza colpa, nell’amore non c’è timore, ma a volte l’ho sentito e vissuto. Vorrei risorgere dalle mie ferite; portandole come segno che mi ricorda l’amore fedele di Gesù che mi ha salvato».


ALETEIA


Emily Elizabeth Dickinson


Grande-Onda-di-Hokusai-450x310
La grande onda di Kanagawa del pittore giapponese Hokusai (1760-1849),

♡♡♡♡♡
Emily Dickinson
“Come se mare
a mare fosse riva
Questo è eternità”
* (Emily Dickinson)

Fiori di Poems

By leggoerifletto

Il Passato - Emily Dickinson

E' una curiosa creatura il passato
Ed a guardarlo in viso
Si può approdare all'estasi
O alla disperazione.

Se qualcuno l'incontra disarmato,
Presto, gli grido, fuggi!

Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!

- Emily Dickinson - 





Dipinto: Elihu Vedder (1836-1923), The Hearth of the Rose



Mi son nascosta nel mio fiore,
così che, quando appassirà dentro il tuo vaso,
per me tu senta, senza sospettarlo,
quasi una solitudine.

 - Emily Dickinson -




Ophelia - Jules Joseph Lefebvre



Amarti anno dopo anno - 
può sembrare meno 
di sacrificio, e conclusione - 
eppure, caro, 
il sempre potrebbe essere breve, vorrei mostrarti - 
perciò l'ho congiunto, ora, con un fiore. 

- Emily Dickinson -  







Emily Elizabeth Dickinson nasce 10 dicembre 1830 ad Amherst (Massachusetts), in una stimata famiglia, frequenta la scuola sino alle scuole superiori, cosa anomala per l’epoca. 
A soli 23anni decide di ritirarsi in una vita solitaria ed appartata non giustificata da problemi fisici. 
Rimane quindi irrisolto il mistero Emily Dickinson, affidato all'insondabilità della sua coscienza più profonda. Manifesta un carattere contraddittorio e complesso, venato da una fierezza irriducibile. 
Studia in casa come autodidatta, scrive lettere alle quali spesso allega le sue poesie. Compie brevi viaggi, incontra ed entra in amicizia con scrittori, filosofi. 
La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all'intelligenza della poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i propri versi in fascicoletti. 
In pochi anni viene colpita da una serie di disgrazie familiari, muore il padre, l’anno dopo la madre, alcuni amici con i quali era in contatto epistolare. 
I suoi scritti non sono mai stati pubblicati. 
Solo dopo la sua morte avvenuta il 15 maggio 1886 la sorella Vinnie scopre i versi nascosti e fa pubblicare 1775 poesie. 
Una rivelazione editoriale che, grazie all'enorme potenza sensitiva, mentale e metafisica della poesia di Emily Dickinson, ha dato il via ad un vero e proprio fenomeno di culto.
per saperne di più: http://it.wikipedia.org/wiki/Emily_Dickinson







Buona giornata a tutti. :-)

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martedì 26 aprile 2016

I NOMI CHE DIAMO ALLE COSE

by massimomaugeri























Beatrice Masini è un’artista poliedrica della parola scritta: svolge il ruolo di editor, fa la traduttrice (ha tradotto, tra gli altri, i romanzi della saga di Harry Potter), è scrittrice per bambini, ragazzi e adulti (tradotta, a sua volta, in una ventina di Paesi). Nell’ambito della narrativa per adulti da qualche settimana è giunto in libreria “I nomi che diamo alle cose” (Bompiani, € 17, p. 224): romanzo coinvolgente e caratterizzato da una scrittura raffinata e mai banale. Sono tanti i temi affrontati nel libro: la ricerca del proprio posto nel mondo, la possibilità di dare spazio alle aspirazioni personali facendole confluire in ambito lavorativo, la difficoltà a instaurare rapporti sentimentali equilibrati, il rapporto tra adulti e bambini. Leggi il resto dell'articolo