La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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martedì 13 maggio 2014

Dimmi quel che leggi e ti dirò chi sei...

"Dimmi quel che leggi e ti dirò chi sei..."

Ely ValsecchiaNella cucina di Ely 


Sarà vero? Se penso a come sono io direi di si! Io leggo quasi tutto, l'unico genere che non mi ha mai appassionato è il fantasy, i libri come lo Hobbit o il Signore degli Anelli non fanno per me, ma nel corso del mio cammino di lettura ho imparato ad apprezzare le biografie, i romanzi d'amore, i gialli, i romanzi storici insomma non ho un unico genere saltello da un libro all'altro e scelgo di solito dalla copertina, se è attraente allora leggo la storia altrimenti lascio perdere. Letture varie e così sono io, con molte cose in testa, con la voglia di provare a fare tutto, saltello da un hobby all'altro come faccio con i libri. Riesco a leggere anche 3 - 4  libri contemporaneamente, ultimamente mi sono avvicinata alla lettura digitale perché alcuni volumi li trovo solo in formato digitale ma la carta, il suo profumo, lo spessore non hanno rivali, se devo scegliere scelgo il buon vecchio e classico libro.  E voi? Che genere di lettori siete? Cosa vi piace? Vi lascio allora 8 titoli che ho già letto, tanti generi, tante storie che mi hanno fatto sognare, riflettere, ridere e piangere, tutto questo seduta comoda sulla mia poltrona ma vi dico un mio piccolo segreto, se posso leggo sempre a letto alla sera o alla mattina presto prima di alzarmi,  è la magia della lettura, entrare in un altra dimensione, viaggiare e sognare stando comodamente a casa...
 Cominciamo con una serie, per chi ama i gialli leggeri, divertenti e ambientati in Inghilterra, nei meravigliosi  Cotswolds, generalmente non amo le serie, dopo i primi due volumi perdono di fascino e diventano monotoni, questi no, ho letto tutti i volumi tradotti e pubblicati da Astoria e mi sono piaciuti moltissimo, c'è anche un pizzico d'amore che non guasta mai - Agatha Raisin e la quiche letale - M.C. Beaton - Qui trovate la trama e qui tutta la serie pubblicata.
  Continuiamo con un libro autobiografico che ho appena terminato, bello, intenso e doloroso. Quando leggo di donne che non hanno la libertà di scegliere, di pensare e di vivere, mi rendo conto di quante cose diamo per scontato e di quanto poco ringraziamo il nostro credo, la nostra cultura e la nostra società per quello che abbiamo.  Il sentiero dei sogni luminosi - Jasvinder Sanghera - qui trovate la trama , consiglio questo libro anche alle ragazze in età adolescenziale, penso possa aiutarle a riflettere su come nel loro piccolo mondo possano ritenersi fortunate e grate per quello che hanno.

Il terzo volume è un libro che ho letto tempo fa ma che mi ha colpito, mi ha fatto riflettere sul come succedono le cose, la morte arriva inaspettata e ci devasta ma anche l'amicizia arriva inaspettata e ci aiuta a tornare a galla, a remare nonostante la tempesta sia fortissima e pian piano, lontano, all'orizzonte si scorge il sereno, un libro davvero commuovente. Un attimo, un mattino - Sarah Rayner. Qui trovate la trama.

Un romanzo intenso, denso, duro e meraviglioso. Racconta la deportazione lituana narrata da una ragazzina di 15 anni che in una notte perde tutto, ma non perde, per tutto il periodo della deportazione, il coraggio, la speranza, la voglia di far conoscere al mondo quello che succede... Un libro che mi ha permesso di conoscere una realtà a me sconosciuta e che dovremmo conoscere tutti. Meraviglioso nonostante sia molto doloroso. Avevano spento anche la luna - Ruta Sepetys - Qui trovate la trama.

Qui invece troviamo un romanzo divertente, sedetevi in poltrona con una buona tazza di tè e cominciate a leggere, vi troverete in un mondo fantastico e avrete un'indagine da svolgere, chi ha ucciso il generale Bagshot? Il mistero dei giardini di Hampton Court - Julia Stuart -Qui trovate la trama.


Ed ora un giallo, un thriller che non vi lascerà respirare, pensate che questo libro mi è stato recapitato per sbaglio dalla biblioteca e io prima di restituirlo ho pensato che potevo dargli un'occhiata. Letto davvero in pochissimo tempo, in tensione, mentre correvo insieme a Elina Wiik, della squadra omicidi di Västerås per cercare di arrivare in tempo.... Devo dire che l'autore mi ha conquistato e nonostante il genere non sia uno dei miei preferiti mi è piaciuto tantissimo! Consigliato se volete che l'adrenalina vi scorra nelle vene! L'uomo della domenica - Thomas Kanger - Qui trovate la trama.


E come settimo libro una scrittrice che amo molto, l'ho scoperta recentemente e ho lettotutti i suoi romanzi, mi sono piaciuti tutti dal primo all'ultimo. Questo è uno dei miei preferiti, Tom un dolce ragazzino che vive in povertà con una mamma bambina e che cerca di aiutarla a crescere. Un romanzo che tocca davvero le corde del cuore, divertente, tenero, ma anche amaro se pensiamo che questa è una condizione che molti ragazzini ancora oggi vivono. Davvero una bella scoperta. Tom piccolo Tom - Barbara Constantine - Qui trovate la trama.

 Concludiamo con una splendida e intensa storia d'amore. Le storie d'amore sono le mie preferite ma devono avere anche una storia interessante e qui si parla di una vecchia lettera d'amore scovata durante il trasloco dell'archivio di un giornale. A chi sarà stata spedita? Chi l'avrà scritta? Si saranno ritrovati? Elli vuole scoprirlo... Adoro questa scrittrice e sto leggendo tutti i suoi libri, non saprei dire quale sia il più bello! L'ultima lettera d'amore - Jojo Moyes - Qui trovate la trama.


Eccoci arrivati alla fine di questo lungo post, tanti consigli e tanti libri, mi piacerebbe conoscere da voi cosa ne pensate, cosa vi piace e magari qualche consiglio che regalerete a me! Leggo così tanti libri che magari li ho già recensiti (ho controllato, spero proprio di no), su fb alcuni li ho messi mi piace quando finisco un libro lasciare una traccia veloce, ma mi piace anche postarlo qui, scambiare con calma qualche idea e perché no qualche titolo nuovo da leggere! Buon pomeriggio a tutti voi lettori golosi come me!

Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’Agnello.

Obbedire per essere felici



Ci sono libri di cui si fa fatica a vedere la fine e che, dopo qualche piccolo sforzo di volontà, accantoniamo definitivamente, in un certo senso rincuorati dal fatto che il terzo tra “I diritti imprescrittibili del lettore” elaborati da Daniel Pennac cita: “Il diritto di non finire un libro”. E se l’ha detto lui, che in fatto di scrittura non è proprio l’ultimo arrivato, possiamo stare tranquilli.
Di contro, ci sono libri che divoreremmo tutti d’un fiato. Libri che si leggono intanto che si beve il primo caffè della giornata, quando normalmente si è ancora arrabbiati con la sveglia, che sembra suonare sempre prima; libri che fanno fare ‘le ore piccole’ nonostante la mattina stessa, guardandosi allo specchio e avendo riconosciuto una preoccupante somiglianza tra i propri occhi e quelli contornati di nero di un panda, si fosse promesso a se stessi: “Questa sera vado a letto presto”; libri che fanno desiderare ardentemente un tragitto in autobus pur di avere il tempo di leggerne un’altra pagina, eccetera…
Ebbene Obbedire è meglio – Le regole della Compagnia dell’agnello (Sonzogno, 2014), l’ultima fatica della giornalista Costanza Miriano, rientra tra questa seconda categoria. Un libro che di conformista non ha nulla, come i precedenti Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei. E forse proprio per questo un libro che parla al cuore, che tocca l’intimità profonda delle persone, oggi troppo spesso censurata e negata.
In dieci agili capitoli, conditi con una scrittura frizzante e con buffissimi episodi tratti dalla quotidianità, Costanza Miriano tocca i nuclei centrali della vita di ogni persona, rispondendo alle domande ultime dell’umanità, quelle che siamo tutti bravissimi ad accantonare, con scuse all’apparenza anche piuttosto ragionevoli: “Ci penserò dopo l’esame…”; “Ci penserò dopo aver trovato lavoro…”; “Ci penserò quando i miei figli saranno grandi e avrò del tempo per me…”, e via discorrendo.
Perché viviamo? Qual è lo scopo della nostra vita? Come possiamo essere felici? Perché amare?
Noi siamo qui. È davvero un’informazione utilissima. Noi siamo proprio qui, con questa moglie e non con un’altra, proprio con questo marito, e con questi figli, esattamente loro, fatti in quel modo unico, ma privi di telecomando per la programmazione. Noi siamo qui, e non dove saremmo se. Quanto si diverte il nemico a farci rimuginare sul passato, su quanto sarebbe meglio se avessimo fatto le cose diversamente. Ma noi siamo qui ora, e non dove saremo fra dieci anni. Dio è il Dio del presente, mentre del passato e del futuro (io sono la madre di tutte le ansie materne) si occupa molto alacremente il nostro inconscio”. Il nocciolo della questione, prosegue la Miriano, è quello di “[...] passare dalla nostra volontà alla gioia di sapere di essere nella volontà di Uno più grande. L’obbedienza non è passività, al contrario, è il massimo della forza; è conformazione a qualcosa di più grande. [...] È una relazione con una Persona ciò che ci definisce”. Perché solo questa consapevolezza può portarci ad affermare con convinzione “Fa’ che non prevalga in noi il nostro sentimento ma la potenza del tuo sacramento”, frase che altro non è che la ricetta per la felicità: svincolarsi dai propri schemi, uscire dai ‘programmini’ su come dovrebbe essere la nostra vita e su come dovrebbero comportarsi gli altri con noi, abbandonare ogni giudizio e ogni pretesa e convincersi una volta per tutti che c’è Qualcuno che si prende cura di noi, che ci sta costruendo – con una fantasia infinitamente superiore alla nostra – una strada nel mondo, seppur con tempi e modi che spesso facciamo fatica a comprendere e ai quali ci opponiamo in maniera testarda, cadendo nella tristezza.
“Affidarsi a Dio e rinunciare a sé è la meta”, afferma giustamente Costanza Miriano. Solo questa è l’obbedienza che ha senso perseguire. Non l’obbedienza al mondo, con tutte le sue idee politically correct e le sue mode passeggere, ma l’obbedienza alla propria vocazione perché “noi diventiamo nevrotici quando, per non deludere le attese di nessuno, dimentichiamo Dio”.
La vita non è facile, tutti siamo chiamati a portare una croce, piccola o grande che sia. Croce che però si può anche portare “con allegrezza”, se si sceglie di abbandonarsi veramente. “[...] la spiritualità che piace a Dio è stare nel conflitto, stare in mezzo alle fiamme, al traffico, ai figli, al lavoro senza arrabbiarci. Non è facilissimo, non è esattamente quello che chiediamo di solito nelle nostra preghiere, perché non vorremmo tanto, se possibile, perdere noi stessi, e allora preghiamo: ‘Signore, cambiami, ma in comode rate mensili’. Questa nostra vita con le bollette, il caldo, le zanzare, non è sbagliata, è il luogo in cui Dio ci trasforma a sua immagine e somiglianza. Siamo adulti quando capiamo che dobbiamo avere a che fare con la realtà che non è mai levigata ma sempre scabra. [...] La sostanza della santità è la docilità, vivere secondo la carne è voler controllare tutto. Farsi tritare, svuotarsi, questo è il cristianesimo, ed è per tutti”.
Il segreto della vita, la ricetta della felicità, è racchiuso nel “Fiat” con il quale è cominciato tutto, in quell’abbandono totale e colmo di fiducia. E questo con tutti gli alti e i bassi del caso, con le persone che ci vogliono bene a tirarci per i capelli per risollevarci quando cadiamo, con la nostra reticenza a perdere il controllo, con la Messa e i sacramenti ad aiutarci… tutto per convertici e vivere in pienezza!


Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’Agnello.

DI COSTANZA MIRIANO
copertina agnello ridotta
di Costanza Miriano
Ore 19 e 02. Calcolando che la strada è rallentata dai lavori, basta uno in doppia fila che faccia scendere la nonna finta invalida e posso contare ancora in un’ora e diciotto minuti prima che gli ospiti arrivino. Devo solo: preparare la cena, tutta tranne la carne – quella l’ho già bruciata (ho dovuto mettere la muta alla Barbie surfista nel momento decisivo, e secondo me lei era un po’ ingrassata) – apparecchiare (ho solo sei forchette uguali, ma pare che la tavola spaiata faccia molto degagee), correggere due dettati e riascoltare storia, fornire a quattro figli quattro travestimenti da ragazzi a modo, possibilmente della taglia giusta o con una ragionevole approssimazione, più alcune rapide formalità tipo demolire il fortino costruito sul divano con le insegne delle femmine (“io mi lamento per principio” e “vietato ai maschi”), nascondere con poche abili mosse orsi dentro a ripostigli e furetti sotto i letti.
Poi dovrei anche truccarmi e cambiarmi, metterò la vestaglietta nera effetto snellente, si sa che tutti i “ma come cucini bene” del mondo non varranno mai un “ti trovo dimagrita”. Intanto la crisi isterica di un figlio per il compito in classe di domani è in pieno svolgimento, quindi anche lì siamo avanti col ruolino di marcia, non ci dovrebbe volere ancora molto. Le due femmine discutono se sia la signora Nesbitt a dover preparare il tè o no. Non so chi sia la signora Nesbitt, ma fino a che la rissa non sfocia nel sangue la cosa non mi riguarda (e anche in quel caso mi riguarda solo se è molto, il sangue). Un altro figlio è a tennis, ma può tornare da solo, se chiudiamo un occhio sul fatto che diluvia, e che la Madre Diligente che incarna i miei sensi di colpa mi sta intimando di andarlo a prendere in macchina, o almeno con un ombrello. Do un pugno alla Madre Diligente, indosso il mio pratico sandalo da pioggia (sostengo da sempre che se piove o nevica è meglio essere più nudi possibile, la pelle umana si asciuga prima della lana) e vado a messa, ché stamattina l’ho persa. Raggiungo la chiesa in trentacinque secondi netti, e scopro che oggi c’è il sacerdote coreano, quello a cui hanno asportato il sistema nervoso. Potrebbe volerci più del previsto e in più non capirò una parola. Prego Nostra Signora dell’Accelerazione. Per la prima volta nella giornata Pollyanna, il mio alter ego, incaricata di trovare un lato positivo in tutto quello che succede al mondo, vacilla. Sembra anche lei dubitare che io possa farcela stavolta, ma le do una gomitata, e le indico il nostro Principale, quello che sta lì sulla croce. Anche per lui a un certo punto sembrava che le cose avessero preso una brutta piega, ma meglio di così, poi, non sarebbe potuta finire. Quindi le ricordo una delle regole base della vita: quando tutto si sta complicando, quando sei in ritardo clamoroso o in difficoltà anche molto seria, e non sai da che parte cominciare, lascia stare tutto e vai alla messa.

 
Comincia così il mio Obbedire è meglio, Le regole della Compagnia dell’agnello (Sonzogno). La giornalista di Grazia che mi ha intervistata mi ha detto che sembra la versione cattolica di “Ma come fa a far tutto”, il libro da cui hanno tratto il film con Sarah Jessica Parker, in cui la supermanager mamma alle due di notte prende a martellate i dolcetti comprati per la festa scolastica dei figli, per farli sembrare fatti in casa. “Tu – mi ha fatto notare la collega – in una analoga situazione di panico che ti metti a fare? Vai alla messa?”
Non so se volesse essere un complimento, ma io l’ho preso così. Il mio obiettivo era scrivere una specie di diario che raccontasse l’epica dell’ordinario, l’eroismo di entrare nel vagone della metro stracolmo, di continuare a sorridere alla collega logorroica, la grandezza di correggere i compiti con la testa che ciondola dal sonno e la forza di stare – questo è il verbo chiave, stare, consistere – al proprio posto di combattimento, senza cedere di un centimetro (a dire la verità io a volte cedo rovinosamente, e di qualche metro, ma l’importante poi è rimettersi in piedi).
Obbedire è meglio del sacrificio, dice il libro di Samuele (grazie a Roberto Dal Bosco che me lo ha suggerito, il titolo). Noi a volte cerchiamo grandi cose, grandi imprese da compiere, e magari ci piacerebbe essere capaci di offrire grandi sacrifici, ma tutto quello che ci viene chiesto, invece, è stare al nostro posto, sfuggire alla tentazione, che è quella principale per l’uomo contemporaneo, di immaginare sempre un’altra vita altrove, un’altra vita in cui abbiamo un’altra moglie (o marito), un altro lavoro, altro tutto. A volte è un eroismo piccolo e semplice, questa fedeltà alla nostra chiamata. A volte è un eroismo vero e proprio, ed è quello che mi hanno insegnato i tanti amici che io considero la mia Compagnia dell’agnello, che esistono davvero, e sono amici nella comunione dei santi, amici che avevo da prima e altri che mi ha regalato questa avventura dello scrivere. C’è quella con il figlio malato, c’è quella col marito depresso, chi ha problemi economici, chi è malato, chi è solo e continua lo stesso a tirare fuori qualcosa di buono da dare a tutti. Sono amici che incontro ogni volta che posso o che riesco a volte a vedere poco, pochissimo, amici con cui ci si incrocia in stazioni e aeroporti, oppure con cui si sta al telefono nel cuore della notte, perché avere qualcuno che ti faccia compagnia è fondamentale per resistere, non per niente Gesù ha fondato la Chiesa.
Al Salone del Libro di Torino 10.5.2014
Al Salone del Libro di Torino 10.5.2014
L’obiettivo è essere agnelli, cioè assomigliare all’Agnello, anche perché, parliamoci chiaro, se non ci fosse Lui, l’Agnello, che ci ama pazzamente, obbedire non avrebbe nessun senso. Noi non siamo masochisti, ma obbediamo perché ci fidiamo di qualcuno più che di noi stessi.
A differenza dell’uomo contemporaneo, che si sente totalmente autodeterminable, e che quindi ritiene parole come obbedienza e sottomissione turpiloquio, il cristiano sa che da solo non è capace di far nulla, e che non fidarsi di sé è qualcosa che salva, che ti fa essere più felice, che alla fine è quella l’unica cosa che ci interessa.
Non fi
darsi di sé significa che a volte è necessario chiudere le proprie emozioni in cantina, o meglio, in acquario ben sigillato, col silicone, e andare avanti, con un fedele ostinato lavoro minuto per minuto. Non fidarsi di sé significa ascoltare un’altra voce che non sia la nostra. Certo, questa voce va scelta bene. E se uno deve scegliere, è bene puntare alto, no?
***

 leggi anche Come agnelli di Daniela Bovolenta

venerdì 9 maggio 2014

La Mia Istanbul & La convergenza tra arte e spiritualità Riflettere sulla bellezza cristica


Chi, come Rumi, ha compreso lo spirito e trasceso la lettera, trova un linguaggio universale capace di parlare al cuore di tutti. Quel linguaggio che le religioni spesso faticano a trovare, impegnate a creare confini invece di abbatterli, ritenendo che ognuna sia la migliore, ognuna sia quella che detiene la verità assoluta.Il misticismo, da sempre, rappresenta invece il veicolo sublime che ha unito l’Ovest e l’Est, l’Oriente e l’Occidente, facendolo sconfinarenell’Uni-versoUn solo verso.
Ecco perché il linguaggio di tutti i mistici è così simile, ovunque, e così vicino. Abbatte le distanze che le religioni hanno costruito fra loro, le scavalca, diventa un ponte.
Dalla “notte buia dell’anima” di Giovanni della Croce alla povertà di Francesco d’Assisi fino ai versi di Rumi, che nelle sue poesie mistiche focalizza nel cuore l’unica, vera, religione possibile.
Vieni, chiunque tu sia. Vieni. Sei un miscredente, un idolatra, un ateo? Vieni. Il nostro non è un luogo di disperazione, e anche se ha violato cento volte una promessa… vieni”.
Nel medioevo, un uomo persiano, vissuto e morto in Turchia, a Konya, anticipava così di secoli i movimenti spirituali che avrebbero rivendicato l’unità e l’uguaglianza dei vari messaggi racchiusi in tutte le religioni.
Ecco perché, all’interno di una moschea oppure smarriti nelle meraviglie del gotico, o, semplicemente, in un deserto, è possibile captare qualche segreto di quel “linguaggio alato”  finalmente senza confini, etichette, attestazioni di verità.
Non è un caso che, mentre la Bibbia e il Corano possono indurre a  temere un Dio che può essere anche vendicativo,  che punisce chi si allontana dal giusto cammino tracciato per lui dalle Sacre Scritture, i mistici descrivono un Dio pieno d’amore verso il quale si percepisce il trasporto di un coinvolgimento incondizionato, reso libero da ogni tipo di provenienza, di dogma e di credo.
Ecco perché i sufi, ieri come allora, continuano ad affascinare tutti i cercatori sinceri. E quei curiosi che, nel loro viaggio di ricerca, vanno a caccia di analogie privilegiandole alle differenze.
Francesco D’Assisi e Rumi sono due fra gli uomini che forse ci hanno regalato di più, in questa direzione.
“Inchinati, lui è un derviscio”, disse la madre , una donna sufi appartenente a un ordine persiano, a un amico del quale, per rispetto e protezione, taccio  il nome.
Lui era ragazzino ed era andato, con la mamma, ad Assisi. Si è inchinato, ha pregato davanti a quel derviscio d’Occidente con cui la donna avvertiva tutta la forza di una fratellanza universale.
Non ci pare strano dunque il fatto  che, così come Rumi è amatissimo ovunque, richiamando ogni anno migliaia di persone in Turchia, sulle sue tracce, papa Francesco, che ha volutamente preso quel nome per testimoniare un messaggio preciso, sia così apprezzato a ogni latitudine e longitudine.
Abbiamo tutti bisogno di ponti, e non di barriere.

 (articolo creato l'11 gennaio 2014)

La convergenza tra arte e spiritualità

 Riflettere sulla bellezza cristica



«Tu sei Bellezza»
 Il volume Arte e spiritualità. Studi, riflessioni, testimonianze, raccoglie gli interventi della giornata di studio promossa dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma, svoltosi il 24 aprile 2013. Il libro, edito dalla EDB, ci invita a interrogarci sull’arte, sul suo senso e orientamento e sulla portata sua valenza religiosa (la prima parte, specie con Paolo Martinelli e Marko Ivan Rupnik). Ci invita a guardare l’arte con gli occhi dell’artista (gli interventi della tavola rotonda), e a vedere la sapienza e la “parola” dell’arte francescana, soprattutto dei crocifissi francescani (Gli interventi di Giuseppe Buffon e di Lorenzo Cappelletti).
La riflessione sul bello ci mostra subito che esso abbia un potere evocativo e invocativo: dal bello vero, o meglio dalla sua forza “fascinosa” nasce l’affezione e l’affidamento e quindi la supplica. Agostino osserva che «non è possibile amare ciò che non è bello» (Confessioni, IV,13.20). Prendere coscienza di questa forza e potenza del bello ci fa capire che esso dovrebbe costituire «una dimensione fondamentale della nuova evangelizzazione» (Paolo Martinelli).

Salone del Libro di Torino.

Papa Francesco, un "caso" anche editoriale

http://www.salonelibro.it/it/

Al Salone del Libro di Torino inaugurato lo stand della Libreria Editrice Vaticana



Salone del Libro di Torino.

Picchioni: 
Santa Sede, presenza imponente che resterà nella storia


Oltre 1000 titoli, disposti su scaffali tutt’intorno a una grande cupola di San Pietro “fatta” di libri. Si presenta così lo stand della Santa Sede al Salone internazionale del Libro di Torino, che quest’anno la vede come Paese ospite d’onore. Il Salone – come pure lo stand – è stato inaugurato ufficialmente questa mattina alla presenza del ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini, che prima di visitare lo stand vaticano ha detto: “Grazie alla Santa Sede per aver dato prestigio a questa edizione del Salone”.
Nell’ampio stand della Santa Sede, oltre ai libri della Biblioteca Apostolica Vaticana, dei Musei Vaticani, del Pontificio Consiglio della Cultura, delle Accademie Pontificie e della Lev, ci sono in mostra alcuni pezzi rari, provenienti proprio dal Vaticano: reperti archeologici, come marmi romani del III e IV secolo; quindi un’Iliade del 1477, un libro d’ore del XV secolo, un’illustrazione della voragine infernale della Commedia dantesca realizzata da Sandro Botticelli e anche quattro lettere autografe: una di Cavour, le altre tre indirizzate a Pio IX da don Giovanni Bosco, da Carlo Alberto re di Sardegna e dal re d’Italia Vittorio Emanuele. Tra le altre istituzioni vaticane presenti allo stand di Torino, ci sono anche l’Archivio Segreto Vaticano, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, l’Ufficio Filatelico e Numismatico e la Radio Vaticana.
“Una presenza fisica imponente che rappresenta un segno che resterà nella storia del Salone”: ha detto Rolando Picchioni, presidente del Salone, che ha dato il via ieri sera al primo incontro di questo appuntamento. Del tema di quest'anno ("Bene in vista") suggerito dalla presenza della Santa Sede come ospite d'onore al Salone, il presidente Picchioni:
R. - Il libro è un dono che si riceve ma si deve anche fare: pertanto, proprio in questo melting pot del Salone si hanno occasioni di scambio per un “meticciato” culturale ed editoriale perché moltissime sono le vie, le occasioni e gli incontri fra le diverse anime del Salone. Quest’anno, noi abbiamo voluto che - al di là del tema generale del “bene” - il Vaticano fosse un punto di riferimento non solo per le ragioni di ognuno, ma proprio perché potesse costituire nell’ambito del Salone e del suo percorso ultradecennale - sono ormai 27 anni - un punto non proprio di ancoraggio ma un punto ineludibile di confronto. Prima, Torino era un’area tra l’agnosticismo ed il laicismo dove non c’era nulla, solamente l’associazione Sant’Anselmo di Milano che aveva portato una testimonianza per noi molto sorprendente perché di Torino avevamo poche cose. Poi, con il tempo, questa testimonianza è diventata sempre più robusta, sempre più attraente ed accattivante. Volevo ricordare - proprio perché parliamo alla Radio Vaticana - che abbiamo avuto nell’ambito di questi anni una straordinaria “lectio magistralis” del cardinale Etchegaray con il suo interlocutore, ovvero, Gorbaciov. È stata quindi una cosa quasi futurista: Gorbaciov voleva capire cos’era il Vaticano II ed il cardinale Etchegaray l’ha spiegato con tutta la sua straordinaria capacità descrittiva ed evocativa. Questo per dire che abbiamo iniziato con poco ed oggi siamo ancora qui.
D. - E’ un’occasione ed una sfida al confronto, al dialogo in questo modo…
R. - Costituire il confronto che prima non c’era. Non voglio dire che si tratta di un libro che non c’è, l’isola che non c’è, lo Stato che non c’è… Oggi, si costituisce un confronto che credo sia poi stato rappresentato da questo straordinario plastico.
D. - Siamo all’ombra del ricostruito “Cupolone” di legno…
R. - “Cupolone” che credo abbia già avuto un’infinità di richieste da parte, non solo di Torino, ma anche da parte di città straniere per poterlo avere ed utilizzare con i significati che ognuno vuol dare al “Cupolone”.
Radio Vaticana
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Papa Francesco: un "caso" anche editoriale
Pubblicati in Italia, in un anno, 111 titoli scritti dal Pontefice e 139 volumi a lui dedicati. I dati presentati oggi durante il Confronto internazionale sull'Editoria religiosa al Salone del Libro di Torino
Il mercato del libro religioso in Italia conta 13,5 milioni di copie vendute e un fatturato attorno a 96 milioni di euro. Nei primi dodici mesi di pontificato di Papa Francesco sono stati pubblicati nel nostro Paese 111 titoli da lui scritti e 139 a lui dedicati, per un totale di 250 volumi in un anno, che fanno parlare di un vero “caso-Francesco”. Lo scorso anno 954 editori, dei quali 650 laici, hanno pubblicato almeno un titolo di argomento religioso, per un totale di 5mila titoli, pari a quasi il 10 per cento della produzione globale di libri in Italia.
Sono alcuni dei dati presentati nel corso del Confronto internazionale sull’Editoria religiosa, che si è svolto questa mattina presso il Salone del Libro di Torino, su iniziativa della Libreria Editrice Vaticana e dell’Unione Editori e Librai Cattolici Italiani (UELCI), in una sala limitrofa allo stand della Santa Sede.
I lavori sono stati moderati da Giuliano Vigini, saggista e studioso di letteratura religiosa, docente di Sociologia dell’editoria contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano, il quale ha subito evidenziato che “l’editoria d’ispirazione religiosa rappresenta una parte cospicua dell’editoria mondiale, sia in termini di produzione che di fatturato” e come negli ultimi anni sia “andato crescendo in tutto il mondo l’interesse per l’opera di Benedetto XVI e oggi quello per Papa Francesco, con fenomeni di produzione e vendita paragonabili a un vero e propriotsunami editoriale, che ha molto contribuito a risollevare le sorti di non poche case editrici”. Tuttavia, ha osservato Vigini, “l’editoria religiosa non è un’isola felice per il fatto di occupare un suo specifico e consistente spazio all’interno del mercato generale del libro, ma deve anch’essa fare sempre più frequentemente i conti con la complessità di un mestiere che esige un cambiamento nel modo di produrre, diffondere e comunicare il libro”.
Quattro diverse relazioni hanno quindi illustrato la situazione dell’editoria religiosa in diversi Paesi: Italia, Stati Uniti, Germania e Portogallo.
La condizione del nostro Paese è stata illustrata da Giovanni Cappelletto, presidente del Centro Ambrosiano e dell’UELCI, secondo il quale “il libro religioso si scrolla di dosso quella definizione ‘di nicchia’ che lo ha sempre accompagnato nel corso del tempo, ricavandosi uno spazio grazie al diffondersi dell’interesse sulle tematiche trattate all’interno di una società sempre più secolarizzata”. Cappelletto – oltre a fornire i dati riportati a inizio comunicato – ha evidenziato come “l’editoria religiosa operi con attenzione al proprio catalogo, impostando il proprio piano editoriale su titoli che abbiano persistenza sul mercato. Meno instant book, quindi, e più long sellerrispetto agli editori laici che vedono nel religioso un’opportunità per ampliare il proprio catalogo intercettando lettori altrimenti distanti”. “La presenza degli editori laici – ha aggiunto – si è ormai diffusa in tutti i settori religiosi”, e l’incremento di titoli religiosi nella produzione degli editori di varia “è passato dall’1,5% della produzione del mercato nel 2009 al 4,5% nel 2012, con previsioni di crescita che potrebbero raggiungere il 7/8% nel giro di qualche anno”.
Negli Stati Uniti, ha sostenuto Gregory Erlandson, presidente ed editore di Our Sunday Visitor, quello cattolico “è un mercato difficile, perché è frammentato a causa di divisioni demografiche, politiche e culturali, e l’impatto di queste divisioni mostra come l’editoria cattolica debba rivolgersi a un pubblico estremamente ampio e indifferenziato”. Si mantiene vivo l’interesse per la tradizione cattolica (devozioni, vite dei santi, Catechismo, ecc.), ma al contempo l’“effetto Francesco” determina un ritorno di attenzione per i temi della giustizia sociale. “Se questo si tradurrà in una vendita stabile di libri è ancora presto per dirlo” osserva Erlandson. Rimane però una “forte spinta per la vitalità del mondo cattolico, soprattutto per come si esprime nelle parrocchie, unita a un grande desiderio di cambiamento, avvertito sia dal clero, che dai laici”.
In Germania, informa Albrecht Weiland, presidente e direttore della casa editrice “Verlag Schnell und Steiner GmbH” di Regensburg, “il 5,9 per cento della produzione totale, equivalente a circa 5mila titoli, riguarda ilsettore della religione”, in quanto “i lettori (credenti e non) mostrano uno spiccato interesse nei confronti di testi sulle religioni. La secolarizzazione della società, anche delle cosiddette fasce più colte, è invece in continuoaumento. Nonostante questo, le chiese sono profondamente radicate nella società tedesca e hanno stretti contatti anche con la politica”. Da Weiland un suggerimento: “I temi di storia e arte europea non devono essere affrontati soltanto nell’ambito di scritti devoti o edificanti, ma devono piuttosto essere trattati in maniera obiettiva e scientifica, senza tuttavia negare le radici cristiane”.
Henrique Mota, presidente dell’Editrice Principia, si è soffermato infine sullo stato dell’editoria religiosa in Portogallo, dove quelli religiosi “costituiscono il 2,6 per cento del totale dei libri pubblicati nel Paese”. “Le grandi sfide che abbiamo davanti a noi – ritiene Mota – sono due: la cooperazione tra gli editori e i librai cattolici in primis e il riconoscimento, da parte delle autorità religiose e degli autori, dell’importanza dell’editoria cattolica, che non è di serie B, ma può svolgere un ruolo rilevante per mantenere vivo un discorso alternativo nella società contemporanea, dove la voce cattolica diventa minoranza”.
Luca Caruso


mercoledì 7 maggio 2014

il libro-intervista «Il bambino che portava l'acqua» padre Raniero Cantalamessa dialoga con Aldo Maria Valli.

Il bambino che portava l'acqua



Arriva oggi in libreria per l'editrice Ancora «Il bambino che portava l'acqua» il libro-intervista in cui, in occasione dei suoi ottant'anni, padre Raniero Cantalamessa dialoga con Aldo Maria Valli. Nel libro padre Raniero ripercorre gli anni della sua vita, da quelli degli studi biblici e dell'insegnamento universitario fino al lungo servizio come predicatore della Casa pontificia, iniziato nel 1980 e che dura tuttora. Nel libro un capitolo è dedicato anche al ministero televisivo di padre Cantalamessa, che per anni ha curato il commento al Vangelo della domenica sulle frequenze di RaiUno. Ne riportiamo qui un brano inn cui affronta il tema del rapporto tra la Chiesa e la tv.-----------------------------
Come sei diventato commentatore televisivo? Quanto è durata la tua esperienza televisiva e come si è articolata?In fatto di rubriche religiose televisive, in Italia fu un pioniere il mio confratello cappuccino padre Mariano da Torino. Dal 1955 egli condusse per la televisione (esisteva allora, beato lui, un solo canale) la rubrica religiosaSguardi sul mondo, divenuta nel 1959 La posta di Padre Mariano. La sua popolarità raggiunse punte altissime. Ne faccio l'esperienza io stesso perché, a distanza di tanti anni, c'è gente che, forse ingannata dall'abito e dalla barba che ho in comune con lui, incontrandomi, mi chiama con tutta naturalezza padre Mariano.
Terminata l'esperienza di padre Mariano, da un accordo tra la Rai e la Conferenza episcopale italiana prese l'avvio su Rai Uno una rubrica religiosa di commento al Vangelo della domenica, in onda il sabato sera. Nel corso degli anni il titolo del programma è cambiato da Settimo giorno a Le ragioni della speranza e poi a Parola e vita. Nell'ottobre del 1997 il programma divenne una parte della rubrica di attualità religiosa tuttora in atto, intitolataA sua immagine. Anche l'orario della trasmissione, purtroppo, cambiò nel tempo, scivolando sempre più indietro (o in avanti, secondo il punto di vista). Quando iniziai il mio servizio, la trasmissione era alle 19.15, a ridosso quasi del telegiornale, mentre alla fine (per ragioni, mi si è detto, commerciali) era scivolata alle 17.30.
All'inizio si alternavano annualmente o anche mensilmente diversi conduttori. Io fui chiamato a condurre il programma per brevi periodi nell'autunno del 1982 e del 1983; poi dal novembre 1986 al febbraio 1987 e dal novembre 1987 al giugno 1988. Alla fine del 1995 l'incarico mi fu affidato in maniera continuativa e lo tenni fino al novembre del 2009, con due brevi periodi di intervallo in cui fu affidato a suor Elena Bosetti. Chiesi io stesso di essere sostituito per concedermi, scrivevo nella lettera, una pausa di riposo e concederla anche agli ascoltatori. Avendo però nel frattempo trovato un sostituto valido nella persona del padre Ermes Ronchi, la Conferenza episcopale italiana (dalla quale dipende principalmente la scelta del conduttore) decise che era ora per me di congedarmi definitivamente dal pubblico televisivo, cosa che ho accettato di buon grado, vedendo in ciò un'occasione per potere dedicare più tempo al servizio della predicazione in Italia e fuori.
Non ho tenuto il conto esatto, ma credo di avere animato in tutto circa settecento puntate. La novità maggiore da me introdotta nel programma è stata quella di uscire dagli studi televisivi ed effettuare le riprese all'esterno, in luoghi da me suggeriti, in modo da ambientare il Vangelo il più possibile nella vita. Il grande teorico della comunicazione Marshall McLuhan diceva che «il mezzo è il messaggio»; io ho constatato che spesso anche «il luogo è il messaggio». I luoghi, le realtà, le esperienze di vita che facevo conoscere al pubblico erano per se stesse, per affinità o per contrasto, un commento al Vangelo. La Rai mi ha concesso, e gliene sono grato, di realizzare cicli di trasmissioni anche dall'estero: da Israele due volte, dal Ruanda a dieci anni dal genocidio, dalla Tanzania (indimenticabile la puntata nel villaggio Masai e sulla rotta degli schiavi da Bagamoyo a Zanzibar), dal Benin e dal Burkina Faso, dall'India (nei luoghi di Madre Teresa e di Gandhi), dagli Stati Uniti (New Orleans, tre mesi dopo l'uragano Katrina, e New York, al Ground Zero), dai luoghi paolini in Turchia e in Grecia, dagli Emirati Arabi e, nell'ultimo anno, dal Cammino di Santiago di Compostella, in Spagna. In quest'ultima serie sono andato in onda con il tradizionale abito e il bastone del pellegrino, cosa che ha sorpreso e divertito per alcune settimane i miei ascoltatori.
Che cosa pensi del mezzo televisivo?Nei miei commenti al Vangelo domenicale mi sono sforzato di mettere a servizio della buona novella tutto quello che determina la straordinaria presa della comunicazione moderna e in particolare del linguaggio pubblicitario e televisivo: brevità, essenzialità, aderenza alla vita, parola e immagine fuse insieme, in modo da ascoltare e vedere allo stesso tempo. È uno sforzo che non tradisce il Vangelo, anzi non fa che imitarlo. Anche il linguaggio di Gesù infatti è concretissimo, accompagnato com'è da parabole, immagini, aforismi, brevi storie. Io dico che se fosse vissuto al giorno d'oggi, Gesù sarebbe stato il predicatore televisivo ideale. Lui sì che avrebbe «bucato» lo schermo, abituato com'è ad entrare «a porte chiuse»!
La gioia più grande che ho avuto in questo servizio è stato constatare la risposta della gente, manifestata dalle lettere e più ancora di persona, incontrandomi per strada. Questo mi ha fatto toccare con mano non solo la potenza del mezzo televisivo, ma anche la potenza della parola di Dio. Ho capito che gran parte del pubblico, la sera, accende il televisore per conoscere le notizie e, comprensibilmente, ancor più per distrarsi e rilassarsi dopo una giornata di lavoro e di stress. Questo spiega il successo dei programmi di varietà e dei quiz televisivi. Quando però la persona o la famiglia attraversano una situazione difficile, sono nella sofferenza e cercano qualcosa d'altro, allora scoprono che il Vangelo è l'unico che ha risposte a misura dei problemi veri dell'uomo. Un'ascoltatrice terminava la sua lettera con l'esclamazione: «Il Vangelo è sublime!». Faceva eco alla parola di san Paolo: «Il Vangelo è potenza di Dio!». (...)
Secondo te, la Chiesa sa usare la televisione?A questa domanda credo che, come vaticanista del Tg1, potresti rispondere meglio di me, conoscendo dal di dentro l'una e l'altra realtà: sia il mondo ecclesiastico sia quello televisivo. (...) Se posso dire una mia impressione, è questa: la televisione è un mezzo spietato e implacabile; non si può barare sullo schermo, bisogna essere veri. Durante l'omelia difficilmente, se uno è disgustato, lascerà la Chiesa; qui invece gli basta premere un dito su un tasto per mettere a tacere il predicatore. Noi uomini di Chiesa abbiamo paura di metterci - e più ancora di essere messi - in discussione, soprattutto quando si tratta di questioni scottanti del momento; tendiamo ad avere un'idea riduttiva del  pluralismo e del dialogo. Anche nel settore della comunicazione, credo che si debba dare più peso ai laici cattolici e, con il peso, dare loro anche una maggiore libertà. Il vantaggio unico che la televisione offre al Vangelo è che lo recapita, per così dire, a domicilio, lo porta in casa, così che può ascoltarlo anche chi non metterebbe mai piede in una Chiesa.
Io ho avuto per anni tra gli ascoltatori più assidui un ex preside di liceo che si definiva non credente, almeno non credente secondo la Chiesa. Quasi dopo ogni trasmissione mi scriveva per contestare qualcosa che avevo detto, ma intanto era lì ogni sabato ad ascoltare. Nel libro Caro Padre, che ho ricordato poco fa, c'è anche qualcuna delle sue lettere.
Bisognerebbe avere fiducia più nella forza intrinseca della verità che nelle prudenze umane e nella diplomazia. Se c'è una cosa che il pubblico televisivo non sopporta, è vedere uno che non dice quello che pensa, ma quello che in qualche modo si sente obbligato a dire, non, s'intende, dalla sua fede (che sarebbe sacrosanto), ma dalle convenienze, dal timore di dispiacere a qualche superiore, insomma da mancanza di libertà. Questa schiettezza e capacità di mettersi a nudo è, a mio parere, una delle ragioni che spiegano lo straordinario impatto che ha papa Francesco sulle persone.

martedì 6 maggio 2014

Il Dono dei doni.

Tomaso Beck - Il Dono dei doni 1

Promemoria
Pensieri del mattino della famiglia Castaldi (Saronno, Italia) riunita per pregare e crescere insieme. Riflessioni offerte a tutti per innescare la preghiera nelle famiglie cristiane del mondo.