giovedì 21 novembre 2013

L'AQUILONE... aquiloni Polo Poli rilegge la poesia di Pascoli.

Vittorio Gassman recita Giovanni Pascoli: 'L'aquilone'


L'AQUILONE


C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole.


Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento.


Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie:


un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese...


sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina.


Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera


bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso.


Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino.


Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.


S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano.


S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.




Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?


Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata...


A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso.


Sì: dissi sopra te l'orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni!


Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento.


Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi!


Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore


ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto...


Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle!


Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda


tua madre... adagio, per non farti male.

di Giovanni Pascoli




L’aquilone di Giovanni Pascoli racconta un episodio controverso dell’infanzia del poeta, in cui la gioia e la felicità di un ricordo del passato si uniscono all’amarezza per la morte di un compagno del collegio.
In ventuno terzine in versi endecasillabi, Pascoli ribadisce un concetto che è diventato il cardine degli studi sulla memoria: il ricordo è un elemento bifronte, che può riaccendere sentimenti di pura e incontaminata nostalgia, ma anche intensi momenti di dolore. Come il X Agosto, in cui Pascoli rievoca la morte del padre da cui era rimasto profondamente scosso, anche L’aquilone è una “poesia della memoria”, in cui si parla di una morte prematura, tanto violenta quanto inaspettata.
La giornata particolare ha ricordato al poeta il suo passato. Con la mente è andato altrove e intorno gli sembra che siano nate le viole nel bosco del convento dei cappuccini tra le foglie morte cadute dalle querce.
L'aria mite ha sciolto la terra ghiacciata e ha lambito anche le chiese di campagna; è l'aria, per il poeta, di un luogo lontano e di un tempo diverso - l'aria che usava per far volare gli aquiloni.
Pascoli rievoca una mattina senza scuola. Con i compagni esce nel cortile, tra le siepi irte, con qualche bacca rossa autunnale e qualche fiore primaverile bianco. Sugli alberi zampettava un pettirosso e da un fossato si vedeva uscire una lucertola.
Davanti al poeta e ai suoi amici, era Urbino: nel vento tutti facevano volare nel cielo azzurro il loro aquilone. Gli aquiloni volavano nel vento, mentre i ragazzi gridavano, prendendo il filo dalla mano di chi li faceva volare. Con l'aquilone anche i ragazzi si sentivano come volare. Ma ogni tanto il vento faceva andare di sbieco l'aquilone: ciò faceva gridare i ragazzi.
Quelle voci ricordate fanno rimembrare al poeta i suoi compagni, soprattutto quello morente per cui ha pianto e pregato. Quel compagno è stato più fortunato perché il suo più grande dolore è stato vedere cadere gli aquiloni. 
Pascoli, infatti, crede che morire giovani è più dolce che da adulti, perché almeno vicino alla madre.







SPIEGAZIONE
C'è qualcosa di diverso oggi nel cielo, anzi, qualcosa di già visto: io vivo in un altro luogo, ma capisco che qui vicino sono fiorite le viole. Sono fiorite nel bosco del convento dei cappuccini, tra le foglie morte ai piedi delle querce agitate dal vento. Si respira un'aria dolce che ammorbidisce il terreno duro, e si diffonde per le chiese di campagna dalle porte d'erba: un'aria di un altro luogo, di un'altra stagione, di un altra vita: un'aria frizzante che fa volare molte ali bianche sospese: gli aquiloni! E'questo un giorno di festa. Siamo usciti in gruppo tra le siepi di rovo e biancospino. Le siepi erano brutte, secche: ma in autunno c'era ancora qualche bacca rossa e qualche bianco fiore di primavera; e sui rami spogli il pettirosso saltellava, e la lucertola mostrava la testolina tra le foglie arse dei fossi. Ora siamo fermi: vediamo di fronte la ventosa Urbino: ognuno da una collinetta manda in cielo il suo aquilone. Ed eccolo che ondeggia, penzola, urta, sbanda, risale, segue il vento; eccolo che piano piano si innalza tra un lungo grido di bambini. Si innalza; ed il filo sfugge dalle mani, come un fiore strappato dal sottile stelo che ricresce altrove. Si innalza; e porta in cielo i piedi impazienti, il respiro ansimante d'emozione, l'occhio desideroso di felicità e il viso e il cuore del bambino. Sale più su, più su: ora brilla come un puntino luminoso, lassù, lassù...Ma ecco una folata improvvisa, ecco un fortissimo grido...Chi urla? Sono le voci della mia camera: all'improvviso le riconosco tutte: una è dolce, una acuta, una velata...A uno a uno vi riconosco tutti o miei compagni. E tu, sì, tu che abbandoni sulla spalla il pallore silenzioso del viso. Sì...appoggiato sopra di te recitai le preghiere e piansi: tuttavia, felice te che non vedesti cadere gli aquiloni abbattutti dal vento! Tu eri tutto pallido, ricordo. Avevi solo le ginocchia rosse, per aver pregato sul pavimento. Oh! Tu che felice chiudesti gli occhi soddisfatto, stringendoti in petto il più caro dei tuoi giocattoli! Oh, lo so bene, lentamente muore la propria fanciullezza stringendola al petto come i bianchi petali del suo fiore non ancora sbocciato! O morto bambinetto, anch'io presto domani verrò sotto terra, là dove dormi calmo e solitario...Meglio arrivarci ansimante, arrossato, madido di sudore, come dopo una divertente gara di corsa per salire su un colle. Meglio venirci con i capelli biondi di bambino, poichè quando la poggiasti fredda sul cuscino, tua madre ti pettinò facendoti i capelli ondulati...piano piano, per non farti male.


 Fonte  balbruno

Paolo Poli


Che tempo che fa Paolo Poli - 10/12/2012


Polo Poli

Aquiloni, Poli rilegge le poesie di Pascoli



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    Attraverso il suo stile assolutamente personale, l'attore fiorentino dimostra quanta forza scenica possano contenere le narrazioni di scolastica memoria, ripercorrendo le pagine più note di Pascoli – da poesie come L’aquilone, Novembre, Valentino e L’assiuolo a pezzi monumentali come La morte del papa e Le armi – sul filo conduttore dei floreali motivi della Bella Epoque che, complici le scene di Emanuele Luzzati, accompagnano il pubblico nel ricordo del volgere del secolo. Spogliando i contenuti di ogni retorica declamazione, Poli – con la sua pungente ironia mista a un garbo che conquista adulti e bambini – gioca con Pascoli e restituisce alle parole tutta la loro potenza espressiva. Al suo fianco sul palco, i giovani Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini e Giovanni Siniscalco.

    P. Poli - l'arte di far sorridere

    Poli, perché evocare “Aquiloni” nel titolo?
    «Aquiloni al plurale come cifra stilistica di un narrare poetico; aquilone perché quel giocattolo ricorda Giovanni Pascoli; ma aquilone anche perché è un giocattolo artigianale tipicamente pre-industriale che non veniva negato a nessuno: tutti i bambini ne avevano uno, anche i bambini poveri, perché uno zio, un nonno o un papà che ti fabbricava un aquilione lo trovavi sempre».
    Si era più poveri ma c'era più ricchezza d'immaginazione. Oggi invece?
    «I bambini hanno giochi meravigliosi, di quelli che se pigi un bottone fanno qualcosa di straordinario e di elettronico. Ma i bambini hanno bisogno di immaginare, di ascoltare storie e di stupirsi delle cose, e poi ricordarsi come si fa quando sono grandi».
    Pascoli restituiva alle cose questa magia?
    «Davanti alle cose si stupiva e riversava lo stupore per le cose quotidiane nella poesia. Io Pascoli l'ho frequentato tantissimo perché quando andavo a scuola si dicevano a memoria le sue poesie e si parlava spesso della tragedia familiare che l'aveva colpito, come se la sua poesia si spiegasse tutta lì. Ma Pascoli fu molto altro, e in “Aquiloni” ho messo anche parte di questo “altro”».
    Per esempio?
    «Ho scelto le poesie del plurlinguismo: lui, che era romagnolo, a un certo punto prese ad usare il dialetto della lucchesia, quel luogo in cui si era trovato a lavorare e dove si era ricostruito una sede. E poi molto prima dei futuristi (il bum bum della guerra di Marinetti e la fontana che fa cloppete cloppete di Palazzaschi) Pascoli usò l'onomatopea: fece parlare gli uccelli nelle sue poesie: la rondine, il passero, il fringuello e la capinera. Di ogni poesia ho fatto un quadretto e abbinato musiche varie: da Franz Lehar alle canzoni degli anarchici, per ricordare che Pascoli stette sei mesi in galera per aver partecipato a un raduno socialista.
    La musica è un viatico fondamentale per la narrazione». (m. piz.)

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