venerdì 15 gennaio 2016

Terra degli uomini, tradotto in italiano anche con il titolo - coraggiosamente infedele ma più suggestivo - di Vento, sabbia e stelle

"Noi ci siamo nutriti  della magia delle sabbie, altri forse vi scaveranno il loro pozzi di petrolio e con le loro merci si arricchiranno; ma saranno arrivati in ritardo. Perché i palmeti proibiti o la polvere di conchiglie ci hanno donato la parte più preziosa di se stessi: non avevano da offrire che un'ora di fervore, e siamo noi ad averla vissuta" (p. 98).
Moltissimi lettori - giovani e meno giovani - collegano il nome diAntoine de Saint-Exupéry soprattutto al suo libro fortunatissimo, pubblicato nel 1943, Il piccolo principe (riportato in questi giorni al centro dell'attenzione da una versione cinematografica): un libro ormai tradotto in 253 lingue e dialetti, e stampato in oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo.
L'autore, di nobile famiglia, ha una vita avventurosa come pilota d'aereo, interrotta tragicamente verso la fine della seconda guerra mondiale. Solo nel 2004 è stato localizzato il relitto del suo aereo, abbattutto da un caccia tedesco.
Nella sua scrittura, lieve e trasognata, si riflette il senso di un'esistenza vissuta e raccontata sempre sul filo di un'incontro quasi magico tra stupore, eroismo e fraternità.
Il testo citato in apertura è però tratto da un altro libro - piccolo e preziosissimo -, del 1939, intitolato (in modo forse un po' generico)Terra degli uomini, tradotto in italiano anche con il titolo - coraggiosamente infedele ma più suggestivo - di Vento, sabbia e stelle. Un libro capace di trasmettere un raro e rasserenante senso di pace, che merita di essere riproposto e riletto.
I racconti di avventure di cui si compone sono spesso attraversati da episodi tragici, ma sempre filtrati da uno sguardo di interiore che li purifica, restituendo dignità e bellezza anche ai particolari - e ai protagonisti - più umili e solo apparente insignificanti.
Sullo sfondo di scenari suggestivi,  sospesi tra terra e cielo, emergono episodi indimenticabili. Uno schiavo liberato si permette il lusso di un gesto di estrema generosità, in cui la povertà imminente è sopravanzata da una "gioia traboccante": "Egli possedeva, perché era libero, i beni essenziali, il diritto di farsi amare, di camminare verso il Nord o verso il Sud, e di guadagnarsi il pane col lavoro. A che serviva dunque quel denaro…" (p. 95). Perché si può soffrire "la fame, ch'è solo una vertigine, ma non l'ingiustizia, ch'è l'unica a costituire un tormento" (p. 88).
Un incidente drammatico nel deserto fa ritrovare interrogativi essenziali sul vivere e sul morire: "Si crede che l'uomo sia libero… Non si vede la corda che lo lega al pozzo, che lo lega come un cordone ombelicale al centre della terra" (p. 133). "Ciò ch'io amo, non è il pericolo. Io so che cosa amo. La vita" (p. 135).
Nell'atrocità della guerra si riscopre il senso di una fraternità originaria, non contaminata da alcun odio verso il nemico: "Se volete convincere dell'orrore della guerra colui che non ripudia la guerra, non trattatelo da barbaro: cercate di capirlo prima di giudicarlo" (p. 154).
Persino la morte diventa dolce, se incontrata nel cuore di una solidarietà incancellabile: "Dobbiamo lanciare passerelle sulla notte… Compagni, compagni miei, vi prendo a testimoni: quand'è che ci siamo sentiti felici?" (p. 161).
Per questo verità e vocazione non si possono separare:  "La verità non è affatto in ciò che si può dimostrare. Se in un certo terreno, e non in un altro, gli aranci mettono solide radici e si coprono di frutti, quel terreno è la verità degli aranci. Se una certa religione, o cultura, o scala di valori, o forma di attività, e non certe altre, favorisocno nell'uomo quella pienezza, fanno sì che in lui si sprigioni il gran signore che inconsapevolmente c'era, vuol dire che quella scala di valori, quella cultura, quella forma di attività, sono la verità dell'uomo" (p. 144). Insomma, "la verità, per l'uomo, sta in ciò che, di lui, fa un uomo" (p. 155). E solo "quando prenderemo coscienza del nostro compito, per quanto sia poco vistoso, solo allora saremo felici. Solo allora potremo vivere in pace e morire in pace, perché ciò che dà un senso alla vita dà un senso alla morte" (p. 159).
Nascono da qui grandi sogni e grandi domande: "E, a noi, che cosa manca?" (p. 152). Ecco la radice di ogni stupore: "Che ascesa misteriosa! Siamo nati da una lava in fusione, dalla pasta di una stella, da una cellula viva germinata per miracolo; e, a poco a poco, ci siamo innalzati fino a scrivere delle cantate e a calcolare il peso delle vie lattee" (p. 161).

Nessun irenismo, però: solo domande accorate ("Perché questa bella argilla umana è sciupata?", p. 163) e messaggi vibranti ("Troppi sono quelli che si lasciano dormire", p. 162).
Alla fine resta un tormento che non può essere sanato "dalle mense popolari", perché riguarda una miseria che si arrende dinanzi al mistero umano: "Mi tormenta che in ognuno di questi uomini c'è un po' Mozart, assassinato". 
Ed ecco il messaggio finale, che vale tutto il libro: "Solo lo Spirito, se soffia sull'argilla, può creare l'Uomo" (p. 164)

Saint-Exupéry, Terra degli uomini, tr. it., Mursia, Milano 2013.
luigialici.blogspot.com

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