giovedì 31 marzo 2016

"Don Casmurro" di Joaquim Maria Machado de Assis

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Libro: "Don Casmurro" di Joaquim Maria Machado de Assis






Titolo: Don Casmurro
Autore: Joaquim Maria Machado de Assis
Traduttori: Gianluca Manzi e Léa Nachbin
Edizione letta: Fazi Editore collana Le strade, 2014 pagine 288

Non sono una grande esperta di letteratura sudamericana, finora ho amato moltissimo alcuni scrittori e libri, con altri (uno su tutti García Márquez) non riesco a trovare una chiave di volta. Ma persevero, ché è diabolico, dunque assai più interessante che abbandonare la partita :D
In questo caso la scelta del libro in questione è stata supportata dall'ottima opinione che ho da sempre della casa editrice, Fazi, uno dei fari luminosi nelle tenebre dell'editoria nostrana. Non sono mancate indagini preliminari per cercare di capire se fosse il caso di imbattermi in un autore del quale non sapevo nulla. Ad ora, non solo sono rimasta folgorata da Machado de Assis, ma credo sia uno scrittore da conoscere assolutamente. Tenendo presente che le opere tradotte in italiano sono vergognosamente poche.

Machado de Assis ritratto da Henrique Bernardelli, c. 1905



La sua
biografia ci permette di comprendere più a fondo la sua scrittura:

Nonostante sia poco apprezzato come poeta, è considerato uno dei maggiori scrittori in prosa della letteratura brasiliana e uno dei maggiori della letteratura universale di tutti i tempi.
Nacque a Rio de Janeiro, in un famiglia di meticci di umili origini. Sia le sue precarie condizioni di salute, causate da una tormentosa epilessia, sia i drammi familiari, come la morte precoce della madre e della sorella lo indussero verso un morboso pessimismo, a mala pena mitigato dal successo dei suoi lavori letterari e da una felice vita coniugale.
Fin da adolescente fu obbligato a praticare umili mestieri, che non gli impedirono di proseguire i suoi studi e le sue letture.
Svolse, tra le altre, l'attività di tipografo, correttore di bozze, redattore, e infine critico letterario del giornale Diario do Rio de Janeiro. Si rinchiuse in sé stesso sin da ragazzo, a causa della timidezza e delle seconde nozze del padre e indirizzò le prime angosce e il suo temperamento sentimentale nei versi e nelle commedie.

Don Casmurro è un uomo maturo che ripercorre la sua vita, quella felice, prima di diventare appunto casmurro:

Incipit:
Una sera, tornando dal centro verso Engenho Novo, incontrai sul treno della Central un giovane del quartiere che conoscevo appena di vista e, come dire, di cappello. Mi salutò, si sedette vicino a me, parlò della luna e dei politici, e finì col recitarmi poesie. Il tragitto era breve, e forse i versi non erano del tutto cattivi. Accadde, però, che, essendo stanco, chiusi gli occhi tre o quattro volte; questo bastò perché egli interrompesse la lettura e si rimettesse i versi in tasca.
«Continui», gli dissi svegliandomi.
«Ho già finito», mormorò.
«Sono molto belli».
Vidi che stava per tirarli di nuovo fuori dalla tasca, ma si limitò a fare il gesto; era seccato. Il giorno seguente cominciò a ingiuriarmi, e finì con l’affibbiarmi il nomignolo di “Don Casmurro”. I vicini, ai quali non piace il mio fare riservato e taciturno, misero in giro questo soprannome che alla fine mi rimase appiccicato. Neppure per questo mi offesi. Raccontai l’aneddoto agli amici che ho in centro, e anche loro, per scherzo, ora mi chiamano così, alcuni persino per iscritto: «Don Casmurro, domenica vengo a pranzo da te»; «Vado a Petrópolis, Don Casmurro; la casa è come quella che avevo in Renania; deciditi a lasciare una buona volta quella caverna di Engenho Novo e vieni a passare una quindicina di giorni da me»; «Mio caro Don Casmurro, non credere che io ti permetta di rinunciare allo spettacolo di domani; vieni pure, dormirai qui in centro; ti offro il palco, ti offro il tè, ti offro il letto; l’unica cosa che non ti offro è una donna». Non consultate i dizionari. “Casmurro” non va qui preso nel senso che vi è riportato, bensì in quello, datogli dal volgo, di uomo taciturno e chiuso in se stesso. “Don” è stato aggiunto ironicamente, per darmi un’aria da aristocratico. E tutto questo perché sonnecchiavo! Anch’io non ho trovato un titolo migliore per il mio racconto; se non ne troverò un altro prima della fine del libro, vada per questo. Il mio poeta del treno saprà che non gli serbo rancore. E con un piccolo sforzo, poiché il titolo è suo, potrà ritenere che anche l’opera è sua. Ci sono libri che conservano del loro autore soltanto questo, alcuni nemmeno questo.

Il protagonista ci racconta, in un lungo monologo in prima persona e mediante l'utilizzo dell'espediente del flashback, appellandosi talvolta a "una lettrice" ideale (o magari funzionale all'umorismo di Machado?), gli anni dell'infanzia e quelli dell'adolescenza, concentrandosi sulla preparazione, fin dalla più tenera età, all'obbligata entrata in seminario in seguito a un voto della madre, la bellissima (e vedova) Dona Glória.

Tra i giochi d'infanzia, con l'amica e vicina di casa Capitu (Capitolina), dagli occhi sfuggenti, c'è la messa: insomma una sorta di morbido lavaggio del cervello o accettazione rassegnata del proprio destino, fate voi!


A casa giocavo a dire messa, un po’ furtivamente, poiché mia madre diceva che la messa non era cosa su cui scherzare. Preparavamo un altare, Capitu e io. Lei faceva da sacrestano e cambiavamo il rituale, nel senso che dividevamo l’ostia fra di noi; ostia che era sempre un dolce. Nei tempi in cui giocavamo in quel modo, era facile sentir dire dalla mia vicina: «Oggi c’è la messa?». Sapevo già cosa questo volesse dire, rispondevo affermativamente e andavo a chiedere l’ostia col suo vero nome. Tornavo con quella, preparavamo l’altare, biascicavamo qualche parola di latino e affrettavamo la cerimonia. Dominus, non sum dignus... Questa invocazione, che avrei dovuto ripetere tre volte, penso che la dicessi una sola, tale era la golosità del prete e del sacrestano. Non bevevamo né vino né acqua; il primo perché non lo avevamo, la seconda perché ci avrebbe tolto il gusto del sacrificio.

Ben presto, però, arriva l'età dell'adolescenza, con i suoi turbamenti e l'amore: Bentinho (il futuro casmurro) non ci sta più a giocare "alla messa". Bisogna fare qualcosa per cambiare la propria storia, fino ad allora segnata da certa carriera ecclesiastica.

Mi diressi verso di lei; evidentemente il mio modo di fare era diverso dal solito, giacché mi venne incontro, e mi domandò inquieta:
«Che cos’hai?».
«Io? Niente».
«No, no; hai qualche cosa».
Volli insistere che non avevo nulla, ma non trovai parole. Ero tutt’occhi e cuore, un cuore che davvero questa volta stava per scoppiare. Non riuscivo a staccar gli occhi da quella creatura di quattordici anni, alta, forte e in carne, stretta in un vestito di cotone, mezzo stinto. I capelli folti, divisi in due trecce, con le punte legate l’una all’altra, secondo la moda del tempo, le scendevano giù per le spalle. Bruna, occhi chiari e grandi, naso diritto e lungo, aveva la bocca sottile e il mento largo. Le mani, per quanto sottoposte a lavori umili, erano curate con amore; non odoravano di fini saponi né di profumi, ma con acqua di pozzo e sapone comune le rendeva immacolate. Portava scarpe di panno, vecchie e senza tacco, alle quali lei stessa aveva dato qualche punto.
«Ma che cos’hai?», ripeté. «Non è nulla», balbettai finalmente.

Ecco, al clou della vicenda taccio e, compostamente, mi metto a blaterale di altre questioni :D

Nonostante la storia della vita di Bentinho sia l'elemento portante, Machado è talmente sublime da inserire riflessioni filosofiche, religiose e sulla natura umana, giocando con un umorismo trascinante ed intelligente.
Al meraviglioso personaggio di Marcolini, vecchio tenore italiano, Machado affida un'incredibile storia della creazione (assai convincente pure oggi), cui dedica uno dei brevi capitoli in cui è suddiviso il romanzo e del quale segue qui la parte iniziale:

E, dopo aver bevuto un sorso di liquore, posò il bicchierino e mi espose la storia della creazione, con parole che riassumerò. Dio è il poeta. La musica è di Satana, giovane maestro di grande avvenire, che studiò nel conservatorio del cielo. Rivale di Michele, di Raffaele e di Gabriele, non tollerava che avessero la precedenza nella distribuzione dei premi. Può anche darsi che la musica troppo dolce e mistica degli altri condiscepoli fosse noiosa per il suo genio essenzialmente tragico. Tramò una ribellione che fu scoperta in tempo, ed egli fu espulso dal conservatorio. Tutto sarebbe finito così, se Dio non avesse scritto un libretto d’opera di cui non si interessò, ritenendo che quel genere di passatempo non fosse degno della sua eternità. Satana portò il manoscritto con sé all’inferno. Per dimostrare che valeva più degli altri – e forse per riconciliarsi con il cielo – compose la partitura e, appena l’ebbe finita, la portò al Padreterno.

Il romanzo, uscito nel 1900, è anche un ritratto dell'élite della Rio de Janeiro del Secondo Impero: progressista e liberale da un lato, patriarcale e autoritaria dall'altro (
Roberto Schwarz). E, per concludere, è anche un'analisi dell'incomunicabilità e della dissimulazione tra le persone, che conduce il protagonista Bento a una vecchiaia solitaria, se non, addirittura, alla follia.
Per finire, accenno al fatto che questo Don Casmurro viene paragonato, per citazione stessa fatta da Machado nel corso della narrazione, a un personaggio di una tragedia shakespeariana: non solo non dico quale sia, ma vi consiglio, se intenzionati a leggere il romanzo, di non fare alcuna ricerca a riguardo.
Questa informazione "condiziona" l'interpretazione stessa della vicenda raccontata, che si svela poco alla volta e che continua a sorprenderci anche dopo il nostro congedo da Bentinho!






Giudizio finale: il mio tesssoro
lanostralibreria.blogspot.com

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