martedì 22 marzo 2016

Forme di Cristianesimo: presenza, mediazione, paradosso...

PERSONA E COMUNITA'



Benozzo Gozzoli,

Lorenzo il Magnifico, bambino

(Palazzo Medici Riccardi, Firenze)
C'è una dolcezza nella luce/E gli occhi vedono/Felici il sole
L’uomo di lunga vita/Tra i piaceri di tutti i suoi anni/Tanto più penserà/Ai giorni della Tenebra infiniti

Tutto passa in un soffio/Ragazzo goditi la giovinezza/Va’! dove va il tuo cuore/E dove va lo sguardo dei tuoi occhi

Ma sappi che per tutto/ Dio ti giudicherà

E getta via il tormento/Strappati dalla carne il dolore/Perché un soffio è la giovinezza/Nerezza di capelli/Un soffio”

(Qohelet, 11, 7-10, trad. di G. Ceronetti,

cit. in Italo Mancini, Tornino i volti, Marietti, 1989, pp. 30-31).




Sul finire del 900 Italo Mancini si chiedeva: con quale cristianesimo nel terzo millennio si può procedere, testimoniare, fare comunità?
In un saggio che a suo tempo fece scalpore, e che ha poi raccolto in “Tornino i volti” (pp. 3-31, e sinteticamente in “Tre follie”, ed. Camunia, Mi, 1986 pp. 71-82), esaminava tre modalità di vivere il Cristianesimo: come cultura della presenza, della mediazione, del paradosso.

Benozzo Gozzoli,

Il viaggio dei Magi:

il corteo di Gasparre

(Palazzo Medici Riccardi,

Firenze)
1. Cultura della presenza. Per cattolicesimo della presenza Mancini intende il modo di vivere la fede cristiana che fa leva sull’essere immediatamente riconosciuti perché visibili: “presenza” integralista ed inadeguata, intesa a creare nel mondo un altro mondo connotato come cristiano; presenza che non è testimonianza gratuita e disinteressata, perché ha “bisogno del nemico e dell’avversario invece di considerare tutti gli uomini fratelli e bisognosi d’amore”, perché considera la fede “un bastone per rompere il capo degli altri, invece di tremare per l’infedeltà che può coprire il loro cuore e per il dubbio se la parola di Dio parla veramente dove si parla di lei”. Specie i giovani ne sono sedotti, per la “cementazione psichica” e sicurezza anche psicologica che offre loro. Ciò che le manca è la comunione con gli altri, in particolare con gli altri credenti ritenuti di serie inferiore. La sua proiezione culturale è la filosofia-teologia dell’immediatezza dogmatica, senza il travaglio ermeneutico, senza la “fatica del concetto”.


Benozzo Gozzoli,

Agostino apre una scuola di retorica a Roma

(Chiesa di Sant'Agostino,

San Gimignano)
2. Cultura della mediazione. Visione aperta e solidale, rispetta la dignità delle culture e delle ideologie, difende il principio democratico, “rende carnale la libertà cristiana” vivendo l’Incarnazione, abbraccia tutta la società umana nel valore fondamentale della fratellanza, “attraverso il lavoro comune con gli altri, mano nella mano, con reciproca fiducia e presunzione di buona fede”.Contiene però anche seri rischi: una morale accomodante che piega l’evangelo alla conciliazione ad ogni costo. Filosofia sottesa è la dialettica, impraticabile in questo mondo dominato dalla logica della disgregazione di ogni significato. Non è infatti possibile alcuna mediazione se non c’è“primalità” dei significati e se il loro senso è perduto.
Benozzo Gozzoli,

San Francesco predica agli uccelli

e benedice la città di Montefalco

(Chiesa di San Francesco,

Montefalco)
3. Cultura del paradosso. Cristianesimo tragico, paradossale, libertario e rigorista, che crede nell’impossibilità di fronte alle normali possibilità dell’uomo: la sua essenza è l’amore di Dio e del prossimo, l’abnegazione, la misericordia, il perdono. “A me pare che solo con un senso fortissimo del Cristianesimo, radicale e non coordinabile con le normali possibilità, Dio può ritrovare cittadinanza soprattutto tra i giovani, così sommersi dalla pletora delle informazioni”. L’aspetto paradossale è nella rivendicazione della doppia fedeltà a Dio ed alla terra, che non solo non viola ma esalta la libera profanità del mondano e rifugge con orrore la protezione del potere.

Benozzo Gozzoli,

La cacciata dei diavoli da Arezzo

(Chiesa di San Francesco,

Montefalco)
L’unica forza che conosce è Dio, che è sempre ma non appare mai: Dio vicino e lontano, benigno ed intransigente, fascinosum e tremendum. La terra è nulla, la terra è tutto. Nulla, perché - spiega Mancini, citando Goldmann - l’uomo vive permanentemente sotto lo sguardo di Dio, perché nell’ottica di valori assoluti il mondo è ambiguo, confuso, inesistente. Tutto, perché il mondo è ormai adulto, è la sola realtà in cui l’uomo si trova e non ha bisogno del Dio tappabuchi. Emblematico è il testo centrale del cap. V della Lettera a Diogneto: “Abitando nelle città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, [i cristiani] mostrano il carattere mirabile e paradossale del loro modo di vivere. “Il difficile, cari amici – prosegue Mancini –sta nell’individuare questa paradossalità e testimoniarla”. Ne sono stati testimoni, nelle azioni e negli scritti, ad es. Francesco d’Assisi, Pascal, Kierkegaard, Bonhoeffer, Papa Giovanni, La Pira, madre Teresa di Calcutta….
Benozzo Gozzoli,

La conversione del sultano Melek-el-Kamel

(Chiesa di San Francesco,

Montefalco)
Cristianesimo della rottura, dell’abbandono, della conversione come metanoia. Cristianesimo che fa sua la logica di Dio: stare accanto all’uomo per partecipare al suo dolore, alle sue sofferenze, regnando dal legno della croce, Dio che ha scelto per sé l’annichilimento e l’impotenza. Cristianesimo che prende sul serio “il discorso della montagna, l’amore dei nemici, l’identificazione con gli oppressi”. Cristianesimo che non toglie la gioia per le opere e per i giorni dell’uomo, che conosce le feste degli uomini e insieme sa riconoscere il timor di Dio. Non a caso Mancini conclude con la citazione del passo del Qohelet riportato in epigrafe.
Per Mancini la sfida del terzo millennio non può essere raccolta né dal cristianesimo della presenza né da quello della mediazione, ma solo dal cristianesimo paradossale.
Ho l’impressione che anche papa Francesco sarebbe d’accordo.




Benozzo Gozzoli.

Benozzo Gozzoli, Autoritratto,

Cappella dei Magi,

Palazzo Medici Riccardi, Firenze
Benozzo Gozzoli (1420-1497) trasferisce la bellezza sublime, contemplata nei cieli del Beato Angelico, nelle sue rappresentazioni della terra, popolate di volti e paesaggi. Dall'Angelico - presso il quale si è formato - ha ereditato la stupefacente maestria nell'uso delle linee, dei colori, della luce.

Le immagini riportate in questo post possono essere assunte come simboli delle diverse forme di Cristianesimo enunciate.

In particolare:

Il viaggio dei Magi - in Palazzo Medici Riccardi a Firenze - rievoca, dietro il soggetto religioso dei Magi, il preciso momento storico-politico in cui papa Pio II rivolge un appello alla cristianità occidentale perché intraprenda una crociata contro l'impero turco che, dopo la caduta di Costantinopoli del 1453, minaccia il cuore dell'Europa.

Le opere tratte dal ciclo rappresentativo di Sant'Agostino, nella Chiesa omonima di San Gimignano, ricostruiscono la vita del Santo di Tagaste il quale è simbolo - secondo la stessa elaborazione di Italo Mancini - del cristianesimo della mediazione.

Infine, la figura di San Francesco, pazzerello di Dio - le cui vicende sono rappresentate nella Chiesa di Montefalco -, ben richiama la terza concezione di cristianesimo, quella del paradosso e della inconciliabilità tra logica evangelica e logica mondana.


Post di Gian Maria Zavattaro
Iconografia di Rossana Rolando.

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