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martedì 27 marzo 2018

I GIORNI DELLA TENEREZZA "La cena del profumo"

La settimana santa di don Angelo

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C'è un modo speciale di scandire i giorni della settimana santa, di entrare nel grande mistero della cristianità, di assaporarne in maniera aperta e poetica tutti i momenti: è farsi accompagnare da donAngelo Casati e dal libro che ha pensato per noi
"I giorni della tenerezza". Don Angelo ci conduce con il suo stile poetico e profondo nei giorni cruciali della vicenda di Gesù, nel luogo decisivo di ogni incontro con Lui. Le sue meditazioni accendono una luce delicata e poetica sui giorni della settimana santa. La sua Via Crucis scandisce i principali momenti della Passione di Gesù per trasformarli in orizzonti di libertà. "Don Angelo - ha scritto di lui Erri de Luca - rianima la parola antica, ci soffia sopra e quella torna a sprigionare fiamma". E' un dono speciale avere questo prete speciale come amico. Leggere le sue pagine è sentirsi un compagno di viaggio accanto che non conduce, che non accentra su di sè l'attenzione, ma che ci aiuta a tenere aperte porte di amore, di fiducia e di libertà.

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I GIORNI DELLA TENEREZZA
Angelo Casati

Capitolo
"La cena del profumo"

all'aprirsi della Settimana Santa
vai alla scheda del libro
 «E tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3) 
A introdurci in una meditazione, lungo i giorni della Settimana detta santa, il racconto di una cena, la cena di Betania. Introduzione dovuta, si potrebbe pensare, se si vuole accompagnare il Signore Gesù, in questo suo estremo passaggio, secondo la cadenza dei giorni: “sei giorni prima della pasqua” scrive l’evangelista Giovanni.

Introduzione affascinante se si pensa come questa cena sveli i pensieri del cuore, sveli la qualità delle relazioni. La cena di Betania sembra dirci una cosa importante: che una Pasqua avvenga o al contrario faccia naufragio, al di là della cadenza cronologica, dipende dalla relazione, dalla fede, dalla qualità della relazione che ci lega a Gesù.

L’episodio di Betania vede un incrociarsi di relazioni, le più diverse, in quella sala del banchetto. La curiosità dei molti, poco fuori la sala, vogliosi di vedere il Rabbì che ha chiamato l’amico dalla tomba, la pervicacia spietata dei capi religiosi che lo stanno braccando, il silenzio sorprendente di Lazzaro, l’attivismo frenetico di Marta, la mentalità mercantile dei discepoli e il gesto tenero di Maria, che unge i piedi di Gesù con un olio costosissimo, da capogiro, e li asciuga con i suoi capelli. Enorme distanza, siderale distanza, da un lato i personaggi dentro e fuori la sala, dall’altro la donna del profumo. Una cosa accomuna, pur con gradazioni diversissime, tutte le relazioni, all’infuori di quella di Maria: non vanno al cuore, non vanno al cuore del mistero, del mistero di Gesù.

E ci verrebbe da dire: passi, lo potremmo anche capire, che al cuore di Gesù non arrivino i suoi nemici, esautorati da quel Rabbì sovversivo, potremmo anche capire che estranei rimangano i curiosi della folla in ricerca pruriginosa di segni eccezionali. Ma il problema si fa più angosciante, più triste, quando lontani dal cuore del mistero di Gesù, alla periferia, appaiono i suoi amici. Perché quella di Betania era una casa di amici, e lui andrà, quasi ogni sera, in quella casa. Andrà a prendere un po’ di fiato, un briciolo di vicinanza, un sorso di coraggio nei giorni precedenti la Passione. E che bello che Gesù sia così, come uno di noi in cerca di amici!

Casa di amici e a far contrasto il silenzio di Lazzaro, e le mille cose di Marta, come assenti là dove è in questione il cuore. Ecco perché questa cena alla soglia della Settimana santa insegna. Ci interpella su come noi ci introduciamo in questa settimana che chiamiamo santa. Noi vi entriamo, come nella sala del banchetto di Betania, ma potremmo esserci rimanendo alla periferia, senza entrare in una relazione, muti come Lazzaro o lontani nelle mille cose come Marta.

Fa problema l’atteggiamento di Lazzaro e di Marta, ma fa problema, è inquietante, è alla periferia del mistero anche l’atteggiamento dei discepoli. Parlo al plurale, perché a qualcuno viene spontaneo pensare che l’evangelista Giovanni un poco ce l’abbia con Giuda, attribuendo solo a lui quella critica sul costo dell’unguento profumato, che altri evangelisti registrano al plurale, come critica di tutti. Ne fanno una questione di soldi e di poveri: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Ma dov’è il loro cuore? Ma lo vedono il dramma che segna il volto di quel loro Maestro? Ma dove sono? Usano belle parole, che sembrano eticamente generose, ma desiderano soltanto dare spettacolo di sé.

«Anche oggi» scrive un commentatore attento «assistiamo allo spettacolo di parole cristiane in libertà. Perdono, amore del prossimo, rispetto della religione. Vengono adoperate da persone a cui non interessa niente né del prossimo, né della religione, né dei poveri, né di niente. Rito perfettamente omogeneo alla volgarità dello spettacolo che va in scena ogni giorno. Funziona sempre e tutti abboccano» (Pierangelo Sequeri, L’ombra di Pietro, pp. 38-39). Con questi atteggiamenti rimaniamo alla periferia, anche se siamo, anche se saremo tra pochi giorni nella sala del banchetto.

E c’è Maria, l’unica che si avvicina al mistero di quel suo amico, va al cuore delle cose, al cuore della fede, che è relazione vera. Relazione che è fatta di cuore. Per questo qualcuno distingue tra religione e fede, e dice che le religioni non salveranno l’umanità, perché le religioni si possono svuotare di cuore, di cuore e di fede. La fede non è fede senza che dentro vibri il cuore, senza che dentro vibri almeno una briciola della tenerezza di Maria. Una religione, appiattita sui calcoli umani, sta nella sala e non capisce, non è sfiorata dal mistero.

Voi mi capite, c’è qualcosa da rompere. C’è da rompere il vaso che trattiene il profumo. C’è da rompere qualcosa anche nella nostra vita, se vogliamo fare pasqua, se vogliamo che nella sala, nella sala della chiesa e nella sala dell’umanità, ci sia profumo: «e la casa» è scritto «si riempì di profumo». C’è da rompere questa mentalità mercantile che ci sta inquinando. Se non la rompiamo, udremo parole religiose, ma sarà solo spettacolo, volgare spettacolo.

Solo chi ha la tenerezza che va al cuore, al problema dell’altro, solo chi ha il coraggio di rompere il vaso che trattiene il profumo potrà sostare questa settimana sotto una croce. A contemplare il Signore della croce. A odorare il profumo, profumo di vita, che viene dal vaso squarciato di quel cuore, il profumo che viene da quell’amore incondizionato. Profumo per noi e profumo per tutta la terra.

«Tenete fisso lo sguardo su Gesù»: invita la lettera agli Ebrei e sembra di cogliere un appello per i giorni che ci attendono. Lo faremo, io ne sono certo! Ci ritaglieremo in questi giorni un tempo per tenere fisso lo sguardo. E gli occhi, lasciatemelo dire, siano gli occhi di Maria di Betania, il suo sguardo per l’amico. Ci sia dato, ce lo auguriamo, di avere occhi capaci, dopo anni, di stupirci e di sostare, ancora una volta, al mistero, il mistero dell’eccedenza. Qui qualcosa eccede. Chiamati dunque anche noi ad assistere a un eccesso, l’eccesso evocato dal profumo costosissimo di Maria.

È come se la donna avesse inventato con quel suo profumo una parabola, quasi volesse raccontare con quel profumo, che le era costato un patrimonio, a quelli che erano nella casa e oggi a tutti noi, il mistero della dismisura, dell’eccedenza. Fuori dai canoni e da ogni misura, l’amore del suo amico e maestro! Come fuori dai canoni e da ogni misura era quel profumo con cui gli cospargeva i piedi, fuori dai canoni e da ogni misura i suoi capelli con cui glieli asciugava teneramente.

Anche noi sosteremo alla dismisura della donazione di Gesù. E chi di noi avrà capito non potrà nella vita non avere gesti che raccontano l’eccedenza, lo spreco dell’amore, la dismisura.

E dove succede questo e quando succede questo, dove si esce e quando si esce dalla mentalità del calcolo, allora c’è profumo: «e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo». C’è profumo dentro di te, c’è profumo nella casa, c’è profumo nella società, c’è profumo nella chiesa, c’è profumo nella vita. In gesti, vorrei aggiungere, silenziosi. Non c’è nel racconto una parola che è una di Maria. Ma c’è profumo. Forse anche per questo oggi c’è così poco profumo, siamo invasi da parole e spesso parole che sbandierano il bene comune mentre sottendono nascosti interessi. E dove c’è calcolo, dove il calcolo viene ammantato di bene comune, come succede a Giuda, c’è odore di morte, di morte di noi stessi, della società, della chiesa. Non è forse scritto nella prima lettera di Giovanni: «Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14)? Porta nella vita un’aria di morte, anche se cerca di incantare.

Sono due mondi e noi possiamo, quasi senza avvedercene, passare dall’uno all’altro. Sono due mondi che intersecano la storia. All’inizio del racconto e alla fine del racconto il cattivo odore della morte: Giovanni annota che lo vogliono togliere di mezzo. Volti spenti, immobili nei loro riti interessati, senza eccessi e senz’anima. Non è lì il profumo di una umanità autentica.

A fugare questa coreografia buia, ci rimanga quasi miracolo il ricordo di Gesù e della sua amica. Lì c’è profumo. C’è la sapienza del vivere, la sapienza di un unguento, che profuma proprio nell’atto di schiudersi e di darsi e non nell’atto di chiudersi e di tenersi. È la sapienza su cui fissare lo sguardo, contro le predicazioni del calcolo, dell’interesse, della chiusura. Fuori è la stoltezza da cui ci mette in guardia il Cantico dei Cantici, quando ci ricorda che vendere l’amore per quattro soldi o per un barlume della propria immagine, vendere l’amore per qualcos’altro è operazione di inimmaginabile insipienza: «Se uno» scrive il Cantico «desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore non ne avrebbe che disprezzo» (Ct 8,7).

I passi ci conducano alla Pasqua. Là troveremo scritta, a caratteri di sangue e di fuoco, la sapienza nuova. Che profuma la casa e la terra.
Da : www.romena.it/15-news/news-da-romena/1269-la-settimana-santa-di-don-angelo

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