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lunedì 24 dicembre 2012

AUGURI <> in Bianco e Nero & A Colori <>



Giuliano






Epcot’s Christmas Tree by Tom.Bricker, on Flickr
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BUON NATALE






(15) Tumblr

DA http://erinkayyy.tumblr.com/



Ritrovare la tenerezza




Riporto da "Il sole 24 Ore” - domenicale – del 23 dicembre 2012
a firma di Gianfranco Ravasi.
È il Natale del 1940 e nello Stalag nazista XII D di Treviri i detenuti decidono di allestire una sorta
di dramma sacro. A stenderne il testo incaricano uno di loro, il francese Jean-Paul Sartre, e colui che
diverrà poi uno dei filosofi più acclamati del Novecento compone Bariona o il figlio del tuono. In
quella sceneggiatura a un certo punto entra in scena anche Maria che ha appena dato alla luce Gesù.
«Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi
e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio… Ella sente insieme che il Cristo è suo
figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa
carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la
forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!". Nessuna donna ha avuto in questo
modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di
baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che può toccare e vive».
Abbiamo voluto evocare questo passo suggestivo per proporre ai nostri lettori una riflessione
natalizia un po' scontata, eppure anche un po' inusuale. Vorremmo, infatti, parlare di una virtù in
declino nei nostri giorni così sguaiati, la tenerezza, che ha un suo corteo di «ancelle» come la
dolcezza, la delicatezza, l'affettuosità, la mitezza e che si colloca all'ombra dell'amore. Dicevamo
che è un tema un po' scontato perché di solito il Natale è incentrato sul Bambino e, quindi,
presuppone una certa finezza di sentimenti, purtroppo subito avvolti nella carta patinata e nei
lustrini dei regali. Ma è anche un soggetto inusuale perché la sessualità sbrigativa e consumistica
delle attuali relazioni spegne la raffinatezza dei legami personali, l'ammiccamento è cancellato
dall'esplicito, l'eros precipita subito nel porno. Anche nei rapporti sociali più generali è la
grossolanità a dominare, alla gentilezza si sostituisce la rozzezza e persino nella religiosità si è
inclini a guardare con sospetto la devozione semplice e spontanea.
Heinrich Böll – in quel tempo ancora cattolico praticante – in un volumetto del 1961 intitolato
Lettera a un giovane cattolico (in Italia lo tradusse la Locusta di Vicenza nel 1968) registrava questa
obiezione di un giovane: «Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni
provenienza è la tenerezza: tenerezza verbale, erotica, sì, persino teologica». Böll replicava: «Non è
vero che i messaggeri del cristianesimo non abbiano avuto tenerezza: il Cantico dei cantici è stato
letto nella Chiesa e, accanto a Benedetto, a Francesco, a Giovanni della Croce, ci sono state
Scolastica, Chiara e Teresa d'Avila». E potremmo continuare l'elenco aggiungendo l'amicizia tenera
tra san Girolamo e la nobildonna romana Eustochio e sua figlia Paola, tra san Bernardo ed
Ermengarda di Bretagna, tra santa Teresa d'Avila e Girolamo Gracián o san Giovanni della Croce,
tra san Francesco di Sales e santa Giovanna Frémiot de Chantal, tra il grande teologo Hans Urs von
Balthasar e Adrienne von Speyr e così via.
Anzi, nel 2000 un teologo ha elaborato una sorta di trattato generale sulla Teologia della tenerezza
(edizioni Dehoniane), considerandola come un corollario del Vangelo dell'amore, e allargandola
dalle pagine bibliche alla riflessione spirituale e alla stessa società che ha nell'incontro d'amore tra il
maschile e il femminile la sua cellula germinale. Certo, il grande archetipo non solo religioso, ma
anche culturale – come ricordava Böll – è il biblico Cantico dei cantici, ove si ha tutto l'arcobaleno
dei sentimenti e delle iridescenze che noi rubrichiamo sotto il termine di «tenerezza», un vocabolo
che filologicamente oscilla forse tra il «tenue» (la dolcezza ama il tono minore e non l'urlato) e il
«tendere», perché la delicatezza della passione genera anche tensione talora spasmodica (in greco
tétanos!). C'è, però, nella Bibbia da segnalare anche la vasta applicazione a Dio della simbologia
nuziale e genitoriale.
In questa luce è curiosa (e poco nota, a tal punto da aver creato sconcerto uno dei pronunciamenti
del brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I sulla «maternità» di Dio) la solida fisionomia
materna del Dio biblico, soprattutto all'interno dello scritto di quel profeta anonimo la cui opera è entrata nei cc. 40-55 di Isaia e per questo è denominato «Secondo Isaia». Basti solo citare un paio di
esempi. In Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo lattante, di amare teneramente il figlio
del suo ventre? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!».
Oppure il sorprendente contrasto presente in Isaia 42, 12-15 ove a un Dio che avanza come
guerriero possente e urlante (la trascendenza divina) si oppone un Dio che «grida come una
partoriente, respirando e aspirando insieme», cioè ansimando affannosamente come fa la madre nel
momento del parto (l'immanenza e la prossimità divina).
Il fedele stesso rappresenta la sua fiducia in Dio comparandosi a un bimbo dolcemente abbandonato
a sua madre: «Sono tranquillo e disteso come un bambino svezzato in braccio a sua madre, come un
bimbo svezzato è l'anima mia», si canta nel Salmo 131,2. Un rigoroso teologo come Clemente
Alessandrino (II-III sec.), nella sua opera Quis dives salvetur, cercava persino di fondere le due
metafore della paternità e maternità divina proprio attraverso il denominatore comune della
tenerezza: «Per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza (sympathés) che prova per
noi lo fa diventare madre. Amando, il Padre diventa femminile» (37,2). Nel Nuovo Testamento è,
comunque, la figura di Cristo ad assumere in sé tutta la gamma della tenerezza con la delicatezza, la
benevolenza, la benignità, la compassione, la mitezza. Egli, infatti, si definisce come «mite e umile
di cuore» e attrae a sé tutti coloro che sono «affaticati e oppressi» per un abbraccio di amore e di
solidarietà (Matteo 11,28-29).  Certo, in agguato c'è sempre la degenerazione della tenerezza in
tenerume che si nutre di sdolcinature, moine, bamboleggiamenti, leziosaggini e smancerie, come
ironizzava Majakovskij nella sua Nuvola in calzoni: «Se vuoi, / sarò irreprensibilmente tenero: /
non un uomo ma una nuvola in calzoni». Eppure, anche nella Chiesa, secondo il suggerimento che
faceva allora Böll, come antidoto o contrappeso a un eccessivo legalismo o a un'esclusiva severità
morale (realtà, per altro, più che necessaria in questo tempo di indifferenza etica e di amoralità) si
deve ritornare all'educazione dei sentimenti e alla pratica della mitezza tenera e delicata. È una via
feconda per la spiritualità e per la stessa esistenza: non per nulla in francese «germoglio» si dice
tendron...

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