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lunedì 22 dicembre 2014

DA cartesensibili.wordpress.com...Il presepe di Gaspare.

‘NA/TALE… 
ma chi é, da dove viene e cosa vuole?
martin palottinimartin palottini n.
Il presepe di Gaspare

Incastonato nella quotidianità fitta di rumori e di voci della zona industriale, il silenzio della cascina dei Macì è un’oasi seminata nel terreno sassoso e spinoso delle fatiche, degli odi e delle bestemmie.
I tralci secchi di vite scoppiettano nel camino spandendo luce e calore nella grande cucina.
I due fratelli ottantenni sono soli. La prima domenica di aprile, dopo aver servito loro il pranzo, la sorella Lauri ha esalato l’ultimo respiro accasciata sul piatto di polenta e coniglio arrosto.
Lo sguardo di Innocente è fisso sul duello delle lame incandescenti nel fuoco; i suoi pensieri si attrocigliano come edera intorno a braccia e gambe e affondano le radici nella mente e nel cuore.
–Gli anni portano con sé la debolezza generale dell’organismo e l’appannamento mentale. La nostra vita è un fuoco spento, c’è ancora qualche brace sotto il velo della cenere, ma non c’è più la voglia o la forza di soffiare, siamo ombre che passeggiano senza la voglia di ricominciare–.
Gaspare è alla finestra. Fuori è ancora buio.In lontananza luccicano le lampadine degli alberi di Natale, stelline intermittenti come i suoi pensieri: assenti sul presente e presenti sul passato; lui ha un’altra vita, colma di fantasticherie, chimere e miraggi, dall’alba al tramonto veleggia sulla superficie degli eventi e si astrae nel sogno.
L’uomo-vecchio prepara la colazione mentre l’uomo-bambino disegna sui vetri; con le dita collega le goccioline di vapore condensato che lentamente scorrono verso il basso in linee verticali parallele.
Il fratello minore chiede:
«Perchè ci sono tutte quelle lucine colorate là in fondo?».
Il fratello maggiore scrolla il capo al pensiero che non ricordi più nulla, gli si avvicina lo prende per mano e lo fa sedere al tavolo, batte un pugno sul pane raffermo e tostato e lo frantuma in piccoli bocconi da inzuppare nelle tazze di latte bollente e gli risponde:
«Tra una settimana nasce il Bambino Gesù, quelle sono le luci degli alberi di Natale».
«Ma allora perchè Lauri non ha ancora allestito il presepe?».
Il bolo di pane e latte diventa un groppo in gola. Dalla morte prematura dei genitori, la sorella aveva dedicato tutta la propria vita ai fratelli scapoli e ora li aveva abbandonati al loro destino di vecchi.
«Lauri non c’è, ma prima di andare via mi ha raccomandato di farlo allestire a te il presepe. Dai impegnati, sono mesi che stai lì sulla sedia senza fare niente».
La proposta entusiasma Gaspare; la sorella decideva tutto da sola, lui poteva solo aiutarla, privato dal potere di aggiungere, togliere o modificare.
«Si dai, però mi aiuti e lasci fare a me».
«Ma certo sarò il tuo piccolo servitore».
Dopo la colazione, i due indossano giacconi pesanti, cuffie e scarponi. Innocente mette alla prova la memoria del fratello:
«Per prima cosa andiamo a prendere il muschio, ti ricordi dove?».
«Certo, dietro la casa, dove c’è sempre ombra e il muschio è soffice, la terra non è ancora gelata. Strapperemo con facilità le grosse toppe verdi».
I due partono con i canestri al braccio: uno per il muschio e l’altro per radici e pezzi di corteccia.
Prima di rientare passano nel ripostiglio, recuperano un’asse e un paio di cavalletti, li portano in casa collocandoli nel vano della finestra.
Gaspare bisbiglia soddisfatto:
«Questo è il posto giusto, nessuna carta blu, il cielo d’inverno fornirà luce diretta per il giorno e buio per la notte».
Con un pezzo di tela riveste le gambe in vista del tavolo occasionale, ricopre il piano con carta di sacco, forma montagne e grotte alternando cortecce e radici, sistema con cura il muschio, traccia una strada con la farina e colloca uno specchio per il laghetto.
Innocente controlla incuriosito il lavoro metodico del fratello e nello stesso tempo con cura esegue il compito che gli è stato affidato: scartare le statuine conservate nella scatola di latta. Lauri le riponeva ogni anno con cura, non se n’è mai rotta una.
Il posizionamento dei personaggi è il momento che Gaspare attendeva da tutta la vita; meticolosamente colloca uno dopo l’altro il bue, l’asino, San Giuseppe, la Madonna, l’angelo, i pastori e le pecore, il fornaio, la contadinella con la brocca dell’acqua. I cammelli e i Re Magi li apposta in fila sulla credenza, orientati verso la grotta –Tanto arriveranno solo all’Epifania, devono fare ancora tanta strada–.
Innocente sorride nell’attesa curiosa di vedere se il fratello ricorda che manca ancora l’Incantato: il pastorello che a differenza delle altre statuine non porta doni, ma se ne sta lì, davanti alla grotta con le mani vuote, totalmente assorto nel guardare il Bambino, sospeso in una bolla d’intimità porta la sua meraviglia, lo stupore di un cuore aperto per ricevere e contenere una gioia inesprimibile.
L’amore di Dio fatto bambino piccolissimo incanta e ammutolisce chi ha l’animo puro e semplice.
L’Incantato è l’unico personaggio che Gaspare aveva il permesso di posizionare, l’unica mossa che la sorella gli concedeva; era tale il suo attaccamento a questa statuina che non permetteva a nessuno di toccarla.
«L’Incantato non lo metti?».
«Oh certo, passamelo».
«Qui non c’è, dove l’hai messo?.Solo tu puoi saperlo».
Gaspare rimane lì a bocca aperta, ricorda Incantato ma non riesce a ricordare il nascondiglio.
Fin dall’infanzia, ogni anno dopo aver smontato il presepe lo afferrava e senza farsi vedere da nessuno andava a riporlo in un posto che nessuno dei familiari riusciva a scoprire.
«Pensaci e vedrai che lo trovi».
La mattina del 25 dicembre Nocente si sveglia alla solita ora anche se il gallo non canta più. Dopo il furto delle galline Lauri aveva regalato il re del pollaio ad una cugina proprio per non averlo davanti agli occhi e ricordare l’orrore delle quindici teste mozzate.
Il letto accanto è vuoto. Il vecchio infila le ciabatte e passa in cucina. Il fratello minore è lì, davanti al presepe, incantato come la statuina stretta tra le sue mani, contempla il Bambino nella culla.
Il vecchio-bambino centellina parole tra i lunghi spazi bianchi di un silenzio ovattato per formare frasi ispirate che ammettono approfondimenti e un’ulteriore vita in chi le ascolta:
«Ciao Bambino, nella mia testa non hai ancora camminato. Le tue prime parole devono ancora essere dette. Non conosco il colore dei tuoi occhi, potrebbero essere verdi o blu come il mare profondo che non ho mai visto. Avrai il meglio, te lo prometto. Una stella nel cielo mi indicherà sempre la strada per trovarti, io la seguirò, te lo prometto. Ho bisogno di te, per averti e stringerti, per camminare con te e continuare la mia strada con te e sapere che sei benedetto. Perchè giuro che sarai benedetto».
Fausto  Falconiere  Dal Bosco
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