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lunedì 9 dicembre 2013

La sorpresa di Papa Francesco


La sorpresa di papa Francesco
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Lo storico: «Attenzione all'opposizione pigra di chi davanti alla sua proposta dice: noi questo lo facciamo già»

ANDREA TORNIELLI

«Di fronte alla novità di Papa Francesco dobbiamo metterci tutti in discussione, senza minimizzarne la portata. C'è una grande attenzione, una grande attesa nel popolo cattolico e anche in chi non crede. Ma c'è anche l'opposizione pigra di chi davanti alla sua proposta dice: noi questo lo facciamo già». Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, sta girando in lungo in largo l'Italia per presentare il suo nuovo libro, «La sorpresa di Papa Francesco» (Mondadori).


Che cosa ha riscontrato nel contatto con tante realtà locali?
«C'è un grande entusiasmo e c'è un clima da nuovo inizio, l'inizio di un cammino di fede a livello personale e a livello comunitario. In risposta a questo entusiasmo è arrivata l'esortazione "Evangelii Gaudium", che indica una strada. Non è un progetto, ma un grande orientamento spirituale ed esistenziale».


Qual è la risposta? Vede all'orizzonte anche dei rischi?
«Sì. Non c'è soltanto l'opposizione aperta di qualche settore cosiddetto tradizionalista. C'è anche l'opposizione silenziosa di chi sta a vedere, di chi dice: tanto questo entusiasmo non dura mica. È l'opposizione pigra di strutture e di uomini, che di fronte alla chiamata, alla provocazione, all'invito contenuto nel magistero e nell'esempio di Francesco, reagisce dicendo: noi questo lo facciamo già, noi da decenni parliamo di evangelizzazione, noi è da tanto che andiamo fuori dalle chiese. Anche riguardo a "Evangelii Gaudium" si sottolinea che non è un'enciclica, che non è un testo così impegnativo, che le nostre Chiese già si muovono in quella direzione. Questa opposizione ingloba il Papa nei propri schemi, non si lascia mettere in discussione, non capisce che Francesco vuole cominciare una nuova storia insieme. Bergoglio non sta facendo una raccomandazione su alcuni valori, intende riscrivere una storia. E c'è il rischio di non accorgersi di un dato iniziale: la Chiesa non è poi così in buona salute, specie qui da noi, in Europa, è un po' "anziana" , non ha voglia di rimettersi sulla strada e così si ricorre a questo escamotage : bellissimo, parole sante, io son già sulla strada giusta, va bene, è una conferma al mio cammino».


Che cosa pensa a proposito della Chiesa italiana?
«Guardando alla Chiesa italiana, non bisogna dimenticare che tra quelle europee è una Chiesa folta e attiva. Però è chiamata a una conversione pastorale e forse non ne ha del tutto voglia. Io credo che in ogni uomo e in ogni comunità si nasconde un po' l'atteggiamento del fratello maggiore della parabola del Figliol Prodigo: perché rivolgersi così tanto a quello che sta lontano, a chi è fuori, quando io sono in casa da sempre? Qui noi non ci troviamo davanti al rischio non di una resistenza teologica, ma di una resistenza istituzionale, perché alla fine la domanda che un testo come "Evangelii Gaudium" pone è: in che cosa io devo cambiare? Questa è la risposta: molto! Però cambiare richiede fatica. Ma c'è un fatto consolante: il Papa con la sua predicazione apre la strada, c'è davvero una maggiore attesa verso la Chiesa, l'ho potuto constatare in Italia come in America. Il Papa lavora per noi».


Chi deve cambiare?
«Tutti, nessuno escluso. Bisogna lasciarsi colpire, lasciarsi mettere in discussione. Sarebbe un gioco troppo facile dire che a cambiare devono essere solo i pastori. Non è un problema solo di vertici, anche perché il Papa insiste molto sull'importanza del popolo di Dio, e il popolo, fino all'ultimo battezzato, deve testimoniare il Vangelo».


L'ha sorpresa l'accusa di marxismo rivolta al Papa da ambienti conservatori americani?
«Non più di tanto, devo dire che me le aspettavo. La sua lettura sul capitalismo globalizzato è chiara e radicale e anche nell'esortazione "Evangelii Gaudium" rimette in discussione il fatto che crescita economica significhi immediatamente elevazione delle classi più povere. C'è un grosso scontro con l'ideologia della globalizzazione».


Crede che ci sia stato troppo «collateralismo» tra Chiesa e ideologia del mercato?
«Credo piuttosto che la Chiesa sia entrata nella globalizzazione forse senza la consapevolezza di essere di fronte un grande problema. Ha ancora continuato a vivere come se il vero grande problema fosse la secolarizzazione. Ma la globalizzazione ha effetti importanti: il primo è la sovranità assoluta del mercato; il secondo è il fenomeno di individualizzazione, cioè l'esaltazione dell'individualismo, la morte del prossimo. Un cambiamento antropologico enorme. Non ci siamo accorti fino in fondo che stavamo entrando tutti in America... Non abbiamo oggi un progetto sulla globalizzazione, ma ci è chiesto di essere estroversi e comunicativi, il Papa vuole creare un popolo testimone della Parola di Dio e vuole cambiare il mondo con il Vangelo. Penso che la radice dei problemi, dell'opposizione di cui parlavamo all'inizio, vi sia una radice da europei stanchi quali siamo: non vogliamo cambiare il mondo, il nostro vero problema è se ci diminuiscono la pensione. Mentre questo Papa anziano prova a cambiare il mondo con il Vangelo».

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