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venerdì 9 maggio 2014

La Mia Istanbul & La convergenza tra arte e spiritualità Riflettere sulla bellezza cristica


Chi, come Rumi, ha compreso lo spirito e trasceso la lettera, trova un linguaggio universale capace di parlare al cuore di tutti. Quel linguaggio che le religioni spesso faticano a trovare, impegnate a creare confini invece di abbatterli, ritenendo che ognuna sia la migliore, ognuna sia quella che detiene la verità assoluta.Il misticismo, da sempre, rappresenta invece il veicolo sublime che ha unito l’Ovest e l’Est, l’Oriente e l’Occidente, facendolo sconfinarenell’Uni-versoUn solo verso.
Ecco perché il linguaggio di tutti i mistici è così simile, ovunque, e così vicino. Abbatte le distanze che le religioni hanno costruito fra loro, le scavalca, diventa un ponte.
Dalla “notte buia dell’anima” di Giovanni della Croce alla povertà di Francesco d’Assisi fino ai versi di Rumi, che nelle sue poesie mistiche focalizza nel cuore l’unica, vera, religione possibile.
Vieni, chiunque tu sia. Vieni. Sei un miscredente, un idolatra, un ateo? Vieni. Il nostro non è un luogo di disperazione, e anche se ha violato cento volte una promessa… vieni”.
Nel medioevo, un uomo persiano, vissuto e morto in Turchia, a Konya, anticipava così di secoli i movimenti spirituali che avrebbero rivendicato l’unità e l’uguaglianza dei vari messaggi racchiusi in tutte le religioni.
Ecco perché, all’interno di una moschea oppure smarriti nelle meraviglie del gotico, o, semplicemente, in un deserto, è possibile captare qualche segreto di quel “linguaggio alato”  finalmente senza confini, etichette, attestazioni di verità.
Non è un caso che, mentre la Bibbia e il Corano possono indurre a  temere un Dio che può essere anche vendicativo,  che punisce chi si allontana dal giusto cammino tracciato per lui dalle Sacre Scritture, i mistici descrivono un Dio pieno d’amore verso il quale si percepisce il trasporto di un coinvolgimento incondizionato, reso libero da ogni tipo di provenienza, di dogma e di credo.
Ecco perché i sufi, ieri come allora, continuano ad affascinare tutti i cercatori sinceri. E quei curiosi che, nel loro viaggio di ricerca, vanno a caccia di analogie privilegiandole alle differenze.
Francesco D’Assisi e Rumi sono due fra gli uomini che forse ci hanno regalato di più, in questa direzione.
“Inchinati, lui è un derviscio”, disse la madre , una donna sufi appartenente a un ordine persiano, a un amico del quale, per rispetto e protezione, taccio  il nome.
Lui era ragazzino ed era andato, con la mamma, ad Assisi. Si è inchinato, ha pregato davanti a quel derviscio d’Occidente con cui la donna avvertiva tutta la forza di una fratellanza universale.
Non ci pare strano dunque il fatto  che, così come Rumi è amatissimo ovunque, richiamando ogni anno migliaia di persone in Turchia, sulle sue tracce, papa Francesco, che ha volutamente preso quel nome per testimoniare un messaggio preciso, sia così apprezzato a ogni latitudine e longitudine.
Abbiamo tutti bisogno di ponti, e non di barriere.

 (articolo creato l'11 gennaio 2014)

La convergenza tra arte e spiritualità

 Riflettere sulla bellezza cristica



«Tu sei Bellezza»
 Il volume Arte e spiritualità. Studi, riflessioni, testimonianze, raccoglie gli interventi della giornata di studio promossa dall’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma, svoltosi il 24 aprile 2013. Il libro, edito dalla EDB, ci invita a interrogarci sull’arte, sul suo senso e orientamento e sulla portata sua valenza religiosa (la prima parte, specie con Paolo Martinelli e Marko Ivan Rupnik). Ci invita a guardare l’arte con gli occhi dell’artista (gli interventi della tavola rotonda), e a vedere la sapienza e la “parola” dell’arte francescana, soprattutto dei crocifissi francescani (Gli interventi di Giuseppe Buffon e di Lorenzo Cappelletti).
La riflessione sul bello ci mostra subito che esso abbia un potere evocativo e invocativo: dal bello vero, o meglio dalla sua forza “fascinosa” nasce l’affezione e l’affidamento e quindi la supplica. Agostino osserva che «non è possibile amare ciò che non è bello» (Confessioni, IV,13.20). Prendere coscienza di questa forza e potenza del bello ci fa capire che esso dovrebbe costituire «una dimensione fondamentale della nuova evangelizzazione» (Paolo Martinelli).

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