La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/
Avvertenza Alcuni testi o immagini inserite in questo blog potrebbero essere tratte da internet e, pertanto, considerate di pubblico dominio. Qualora, però, la loro pubblicazione violasse eventuali diritti d'Autore, vogliate comunicarlo via email. Saranno immediatamente rimossi. L'Autore del blog non è responsabile dei siti collegati tramite link, né del loro contenuto che può essere soggetto a variazioni nel tempo.

martedì 13 maggio 2014

Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’Agnello.

Obbedire per essere felici



Ci sono libri di cui si fa fatica a vedere la fine e che, dopo qualche piccolo sforzo di volontà, accantoniamo definitivamente, in un certo senso rincuorati dal fatto che il terzo tra “I diritti imprescrittibili del lettore” elaborati da Daniel Pennac cita: “Il diritto di non finire un libro”. E se l’ha detto lui, che in fatto di scrittura non è proprio l’ultimo arrivato, possiamo stare tranquilli.
Di contro, ci sono libri che divoreremmo tutti d’un fiato. Libri che si leggono intanto che si beve il primo caffè della giornata, quando normalmente si è ancora arrabbiati con la sveglia, che sembra suonare sempre prima; libri che fanno fare ‘le ore piccole’ nonostante la mattina stessa, guardandosi allo specchio e avendo riconosciuto una preoccupante somiglianza tra i propri occhi e quelli contornati di nero di un panda, si fosse promesso a se stessi: “Questa sera vado a letto presto”; libri che fanno desiderare ardentemente un tragitto in autobus pur di avere il tempo di leggerne un’altra pagina, eccetera…
Ebbene Obbedire è meglio – Le regole della Compagnia dell’agnello (Sonzogno, 2014), l’ultima fatica della giornalista Costanza Miriano, rientra tra questa seconda categoria. Un libro che di conformista non ha nulla, come i precedenti Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei. E forse proprio per questo un libro che parla al cuore, che tocca l’intimità profonda delle persone, oggi troppo spesso censurata e negata.
In dieci agili capitoli, conditi con una scrittura frizzante e con buffissimi episodi tratti dalla quotidianità, Costanza Miriano tocca i nuclei centrali della vita di ogni persona, rispondendo alle domande ultime dell’umanità, quelle che siamo tutti bravissimi ad accantonare, con scuse all’apparenza anche piuttosto ragionevoli: “Ci penserò dopo l’esame…”; “Ci penserò dopo aver trovato lavoro…”; “Ci penserò quando i miei figli saranno grandi e avrò del tempo per me…”, e via discorrendo.
Perché viviamo? Qual è lo scopo della nostra vita? Come possiamo essere felici? Perché amare?
Noi siamo qui. È davvero un’informazione utilissima. Noi siamo proprio qui, con questa moglie e non con un’altra, proprio con questo marito, e con questi figli, esattamente loro, fatti in quel modo unico, ma privi di telecomando per la programmazione. Noi siamo qui, e non dove saremmo se. Quanto si diverte il nemico a farci rimuginare sul passato, su quanto sarebbe meglio se avessimo fatto le cose diversamente. Ma noi siamo qui ora, e non dove saremo fra dieci anni. Dio è il Dio del presente, mentre del passato e del futuro (io sono la madre di tutte le ansie materne) si occupa molto alacremente il nostro inconscio”. Il nocciolo della questione, prosegue la Miriano, è quello di “[...] passare dalla nostra volontà alla gioia di sapere di essere nella volontà di Uno più grande. L’obbedienza non è passività, al contrario, è il massimo della forza; è conformazione a qualcosa di più grande. [...] È una relazione con una Persona ciò che ci definisce”. Perché solo questa consapevolezza può portarci ad affermare con convinzione “Fa’ che non prevalga in noi il nostro sentimento ma la potenza del tuo sacramento”, frase che altro non è che la ricetta per la felicità: svincolarsi dai propri schemi, uscire dai ‘programmini’ su come dovrebbe essere la nostra vita e su come dovrebbero comportarsi gli altri con noi, abbandonare ogni giudizio e ogni pretesa e convincersi una volta per tutti che c’è Qualcuno che si prende cura di noi, che ci sta costruendo – con una fantasia infinitamente superiore alla nostra – una strada nel mondo, seppur con tempi e modi che spesso facciamo fatica a comprendere e ai quali ci opponiamo in maniera testarda, cadendo nella tristezza.
“Affidarsi a Dio e rinunciare a sé è la meta”, afferma giustamente Costanza Miriano. Solo questa è l’obbedienza che ha senso perseguire. Non l’obbedienza al mondo, con tutte le sue idee politically correct e le sue mode passeggere, ma l’obbedienza alla propria vocazione perché “noi diventiamo nevrotici quando, per non deludere le attese di nessuno, dimentichiamo Dio”.
La vita non è facile, tutti siamo chiamati a portare una croce, piccola o grande che sia. Croce che però si può anche portare “con allegrezza”, se si sceglie di abbandonarsi veramente. “[...] la spiritualità che piace a Dio è stare nel conflitto, stare in mezzo alle fiamme, al traffico, ai figli, al lavoro senza arrabbiarci. Non è facilissimo, non è esattamente quello che chiediamo di solito nelle nostra preghiere, perché non vorremmo tanto, se possibile, perdere noi stessi, e allora preghiamo: ‘Signore, cambiami, ma in comode rate mensili’. Questa nostra vita con le bollette, il caldo, le zanzare, non è sbagliata, è il luogo in cui Dio ci trasforma a sua immagine e somiglianza. Siamo adulti quando capiamo che dobbiamo avere a che fare con la realtà che non è mai levigata ma sempre scabra. [...] La sostanza della santità è la docilità, vivere secondo la carne è voler controllare tutto. Farsi tritare, svuotarsi, questo è il cristianesimo, ed è per tutti”.
Il segreto della vita, la ricetta della felicità, è racchiuso nel “Fiat” con il quale è cominciato tutto, in quell’abbandono totale e colmo di fiducia. E questo con tutti gli alti e i bassi del caso, con le persone che ci vogliono bene a tirarci per i capelli per risollevarci quando cadiamo, con la nostra reticenza a perdere il controllo, con la Messa e i sacramenti ad aiutarci… tutto per convertici e vivere in pienezza!


Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’Agnello.

DI COSTANZA MIRIANO
copertina agnello ridotta
di Costanza Miriano
Ore 19 e 02. Calcolando che la strada è rallentata dai lavori, basta uno in doppia fila che faccia scendere la nonna finta invalida e posso contare ancora in un’ora e diciotto minuti prima che gli ospiti arrivino. Devo solo: preparare la cena, tutta tranne la carne – quella l’ho già bruciata (ho dovuto mettere la muta alla Barbie surfista nel momento decisivo, e secondo me lei era un po’ ingrassata) – apparecchiare (ho solo sei forchette uguali, ma pare che la tavola spaiata faccia molto degagee), correggere due dettati e riascoltare storia, fornire a quattro figli quattro travestimenti da ragazzi a modo, possibilmente della taglia giusta o con una ragionevole approssimazione, più alcune rapide formalità tipo demolire il fortino costruito sul divano con le insegne delle femmine (“io mi lamento per principio” e “vietato ai maschi”), nascondere con poche abili mosse orsi dentro a ripostigli e furetti sotto i letti.
Poi dovrei anche truccarmi e cambiarmi, metterò la vestaglietta nera effetto snellente, si sa che tutti i “ma come cucini bene” del mondo non varranno mai un “ti trovo dimagrita”. Intanto la crisi isterica di un figlio per il compito in classe di domani è in pieno svolgimento, quindi anche lì siamo avanti col ruolino di marcia, non ci dovrebbe volere ancora molto. Le due femmine discutono se sia la signora Nesbitt a dover preparare il tè o no. Non so chi sia la signora Nesbitt, ma fino a che la rissa non sfocia nel sangue la cosa non mi riguarda (e anche in quel caso mi riguarda solo se è molto, il sangue). Un altro figlio è a tennis, ma può tornare da solo, se chiudiamo un occhio sul fatto che diluvia, e che la Madre Diligente che incarna i miei sensi di colpa mi sta intimando di andarlo a prendere in macchina, o almeno con un ombrello. Do un pugno alla Madre Diligente, indosso il mio pratico sandalo da pioggia (sostengo da sempre che se piove o nevica è meglio essere più nudi possibile, la pelle umana si asciuga prima della lana) e vado a messa, ché stamattina l’ho persa. Raggiungo la chiesa in trentacinque secondi netti, e scopro che oggi c’è il sacerdote coreano, quello a cui hanno asportato il sistema nervoso. Potrebbe volerci più del previsto e in più non capirò una parola. Prego Nostra Signora dell’Accelerazione. Per la prima volta nella giornata Pollyanna, il mio alter ego, incaricata di trovare un lato positivo in tutto quello che succede al mondo, vacilla. Sembra anche lei dubitare che io possa farcela stavolta, ma le do una gomitata, e le indico il nostro Principale, quello che sta lì sulla croce. Anche per lui a un certo punto sembrava che le cose avessero preso una brutta piega, ma meglio di così, poi, non sarebbe potuta finire. Quindi le ricordo una delle regole base della vita: quando tutto si sta complicando, quando sei in ritardo clamoroso o in difficoltà anche molto seria, e non sai da che parte cominciare, lascia stare tutto e vai alla messa.

 
Comincia così il mio Obbedire è meglio, Le regole della Compagnia dell’agnello (Sonzogno). La giornalista di Grazia che mi ha intervistata mi ha detto che sembra la versione cattolica di “Ma come fa a far tutto”, il libro da cui hanno tratto il film con Sarah Jessica Parker, in cui la supermanager mamma alle due di notte prende a martellate i dolcetti comprati per la festa scolastica dei figli, per farli sembrare fatti in casa. “Tu – mi ha fatto notare la collega – in una analoga situazione di panico che ti metti a fare? Vai alla messa?”
Non so se volesse essere un complimento, ma io l’ho preso così. Il mio obiettivo era scrivere una specie di diario che raccontasse l’epica dell’ordinario, l’eroismo di entrare nel vagone della metro stracolmo, di continuare a sorridere alla collega logorroica, la grandezza di correggere i compiti con la testa che ciondola dal sonno e la forza di stare – questo è il verbo chiave, stare, consistere – al proprio posto di combattimento, senza cedere di un centimetro (a dire la verità io a volte cedo rovinosamente, e di qualche metro, ma l’importante poi è rimettersi in piedi).
Obbedire è meglio del sacrificio, dice il libro di Samuele (grazie a Roberto Dal Bosco che me lo ha suggerito, il titolo). Noi a volte cerchiamo grandi cose, grandi imprese da compiere, e magari ci piacerebbe essere capaci di offrire grandi sacrifici, ma tutto quello che ci viene chiesto, invece, è stare al nostro posto, sfuggire alla tentazione, che è quella principale per l’uomo contemporaneo, di immaginare sempre un’altra vita altrove, un’altra vita in cui abbiamo un’altra moglie (o marito), un altro lavoro, altro tutto. A volte è un eroismo piccolo e semplice, questa fedeltà alla nostra chiamata. A volte è un eroismo vero e proprio, ed è quello che mi hanno insegnato i tanti amici che io considero la mia Compagnia dell’agnello, che esistono davvero, e sono amici nella comunione dei santi, amici che avevo da prima e altri che mi ha regalato questa avventura dello scrivere. C’è quella con il figlio malato, c’è quella col marito depresso, chi ha problemi economici, chi è malato, chi è solo e continua lo stesso a tirare fuori qualcosa di buono da dare a tutti. Sono amici che incontro ogni volta che posso o che riesco a volte a vedere poco, pochissimo, amici con cui ci si incrocia in stazioni e aeroporti, oppure con cui si sta al telefono nel cuore della notte, perché avere qualcuno che ti faccia compagnia è fondamentale per resistere, non per niente Gesù ha fondato la Chiesa.
Al Salone del Libro di Torino 10.5.2014
Al Salone del Libro di Torino 10.5.2014
L’obiettivo è essere agnelli, cioè assomigliare all’Agnello, anche perché, parliamoci chiaro, se non ci fosse Lui, l’Agnello, che ci ama pazzamente, obbedire non avrebbe nessun senso. Noi non siamo masochisti, ma obbediamo perché ci fidiamo di qualcuno più che di noi stessi.
A differenza dell’uomo contemporaneo, che si sente totalmente autodeterminable, e che quindi ritiene parole come obbedienza e sottomissione turpiloquio, il cristiano sa che da solo non è capace di far nulla, e che non fidarsi di sé è qualcosa che salva, che ti fa essere più felice, che alla fine è quella l’unica cosa che ci interessa.
Non fi
darsi di sé significa che a volte è necessario chiudere le proprie emozioni in cantina, o meglio, in acquario ben sigillato, col silicone, e andare avanti, con un fedele ostinato lavoro minuto per minuto. Non fidarsi di sé significa ascoltare un’altra voce che non sia la nostra. Certo, questa voce va scelta bene. E se uno deve scegliere, è bene puntare alto, no?
***

 leggi anche Come agnelli di Daniela Bovolenta

Nessun commento:

Posta un commento