La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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lunedì 30 giugno 2014

La trasmissione della fede / √ Tomas merton

Come ai tempi di Elia



Per trasmettere la fede nell’età dell’effimero. 
(Walter Kasper) La trasmissione della fede, specialmente alle nuove generazioni, appare oggi una sfida tutt’altro che facile, così inizia il nuovo libro di Bruno Forte La trasmissione della fede (Brescia, Queriniana, 2014, pagine 256, euro 18). Ci sono già tantissime pubblicazioni su questo tema, fondamentale per Chiesa e divenuto particolarmente urgente nel contesto della nuova evangelizzazione, a cui anche il prossimo Sinodo sulla famiglia è dedicato. Però il libro di Bruno Forte offre un contributo particolare. Da teologo egli va alle radici del problema e presenta un approfondimento teologico e filosofico arricchito da bellissimi testi letterari molto stimolanti. Perché per lui c’è anche la via della bellezza per la trasmissione della fede. Già nell’introduzione l’arcivescovo spiega la situazione attuale, dove nel contesto culturale il fruibile e l’immediato appaiono importanti e l’indifferenza alle grandi domande è diffusa. L’effimero sembra prevalere sull’intero orizzonte e l’eterno impallidire davanti all’attimo che fugge. Come ai tempi del profeta Elia la vera tentazione dell’uomo non è l’ateismo ma l’idolatria. Così l’esperienza di questo profeta di stampo arcaico e il suo cammino di fede diventano per così dire il filo conduttore di tutto il libro.
All’inizio Forte spiega la fede come l’esperienza di un incontro, la cui trasmissione è inseparabile dalla kènosi e dallo splendore dello Spirito. Poi il libro parla dell’educazione alla fede, la professione, la celebrazione e la vita della fede, dove parla inoltre delle donne come protagoniste della fede e dei giovani come testimoni della speranza, della famiglia come ambito vitale della trasmissione della fede. Particolarmente interessanti sono i capitoli sulla fede in dialogo, sulla fede in cammino e il sorprendente capitolo conclusivo sul sorriso di Dio. Segue ancora un’appendice su fede e annuncio, dall’enciclica Lumen fidei all’esortazione apostolica Evangelii gaudium.
La ricchezza di questi capitoli è difficile da riassumere. Pertanto riferiamo solo alcuni aspetti particolarmente interessanti dal capitolo dedicato al dialogo con chi non crede, un titolo che ricorda immediatamente il famoso titolo di un libro del compianto cardinale Carlo Maria Martini, a cui Bruno Forte si è sempre sentito molto vicino.
Secondo Forte la fede non è mai scontata; il credente non ha una comprensione totalizzante, luminosa su tutto, ma vive in una sorta di pensiero aurorale, carico di attesa. Però alla creatura, che nel più profondo del suo essere è desiderio d’infinito, Dio viene incontro come Dio che ha tempo per l’uomo. L’incontro dell’umano andare e del divino venire, l’alleanza dell’esodo e dell’avvento, è la fede. E la fede è lotta, agonia, non il riposo tranquillo di una certezza posseduta. Chi pensa di aver fede senza lottare, non crede più in nulla.
Diversamente da ogni posizione ideologica, la fede è un continuo convertirsi a Dio, un continuo consegnargli il cuore, cominciando ogni giorno, in modo nuovo, la lotta per credere, sperare e amare. Se però il credente è un ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, non sarà forse l’ateo — certo non l’ateo volgare stolto o indifferente — il non credente pensoso, un credente che ogni giorno vive la lotta inversa, la lotta di cominciare a non credere? Il credente responsabile si sentirà stimolato dal non credente, purché non sia chi a buon mercato voglia vivere etsi Deus non daretur, ma chi sia pronto a rischiare veluti Deus daretur. «Su questi presupposti — così finisce il capitolo — il dialogo fra i due sarà un comune servizio alla Verità, che entrambi chiama, e proprio per questo una testimonianza condivisa della salutare Trascendenza da cui tutto è illuminato, agli occhi di chi vuole cercare con umile amore, pur nella notte del mondo».
In questo contesto Forte cita san Bernardo di Chiaravalle: «L’amarezza della Chiesa è amara quando la Chiesa è perseguitata, è più amara quando la Chiesa è divisa, ma è amarissima quando la Chiesa se ne sta tranquilla e in pace». Forse quest’affermazione sarà un conforto per chi cammina tribolato e inquinato da una situazione poco pacifica, dove la trasmissione della fede specialmente alle nuove generazioni attraversa difficoltà. Forse proprio questa situazione è un kairòs, cioè un’ora di grazia in cui Dio ci viene incontro per purificare e approfondire la nostra fede spesso troppo paurosa perché paradossalmente spesso troppo sicura di se stessa.
L'Osservatore Romano


Thomas Merton

Nacque nel 1915 in Francia dal neozelandese Owen e dalla statunitense Ruth Jenkins, entrambi pittori; a causa dello scoppio della prima guerra mondiale, nel 1916 si trasferì con la famiglia nella casa dei nonni materni a Douglaston, vicino a New York: dopo la perdita della madre, morta di cancro nel 1921, si trasferisce con il padre prima alle isole Bermuda, e nel 1925 di nuovo in Francia, a Saint-Antonin. Nel 1926 inizia a Montauban gli studi liceali, che completa nel 1932 ad Oakham, in Inghilterra: nel frattempo perde anche il padre, morto di tumore al cervello nel 1931, ma grazie ad una borsa di studio riesce comunque ad iscriversi al Clare College di Cambridge, dove studia lingue e letterature straniere. Nel 1933 intraprende un viaggio a Roma, dove viene colpito particolarmente dalle basiliche paleocristiane, e, nel Santuario delle Tre Fontane, inizia a maturare l'idea di convertirsi al cattolicesimo. Nel 1934 abbandona Cambridge, dove la sua condotta disordinata e dissoluta gli aveva irrimediabilmente compromesso la prosecuzione degli studi: completa la sua carriera universitaria alla Columbia University di New York, dove consegue il titolo di Bachelor of Arts nel 1938 e, nel 1939, il Master of Arts discutendo una tesi sulla poesia di William Blake. Intanto, grazie soprattutto a docenti come il cattolico Dan Walsh, che gli fa scoprire l'aspetto sociale del Vangelo, completa il suo percorso di conversione e, il 16 novembre 1938, viene accolto nella Chiesa Cattolica nella parrocchia newyorchese del Corpus Christi.Dopo la laurea, per qualche anno si dedica all'insegnamento della letteratura inglese presso la Columbia University e poi presso la St. Bonaventure University di Allegany, gestita dai frati francescani. In seguito a un ritiro sprituale presso l'Abbazia Trappista di Nostra Signora di Gethsemani, nei pressi di Bardstown, nel Kentucky, rimane profondamente colpito dalla vita di solitudine e preghiera dei monaci e matura la decisione di entrarvi: il 10 dicembre del 1941 vi viene ammesso come postulante e il 19 marzo 1944 emise la sua prima professione religiosa, assumendo il nome di Louis; il 19 marzo 1947 pronunciò i voti solenni, diventando monaco; nel frattempo si dedicò agli studi teologici e il 26 maggio 1949 venne ordinato sacerdote.
In quegli anni perde anche suo fratello John Paul, caduto in combattimento e disperso nel Mare del Nord durante la II Guerra Mondiale: un evento che contribuì molto a far maturare in lui una profonda avversione nei confronti delle guerre che lo porterà a diventare uno dei principali punti di riferimento del movimento pacifista degli anni '60. Si schierò apertamente anche a sostegno del movimento non-violento per i diritti civili, che egli definì come “il più grande esempio di fede cristiana attiva nella storia sociale degli Stati Uniti”.Durante la guerra del Vietnam, Merton maturò un profondo interesse per il monachesimo buddista e intraprese numerosi viaggi in oriente, incontrando anche il Dalai Lama che per lui ebbe modo di manifestare profonda stima: durante uno di questi viaggi trovò la morte, folgorato a causa di un ventilatore difettoso.

Thomas Merton - La saggezza del deserto




La saggezza del deserto. Detti dei primi eremiti cristiani

Gratis scarica ] La saggezza



Fra i libri che scrisse, La saggezza del deserto è uno di quelli che Thomas Merton amò di più, probabilmente perché sperava di passare gli ultimi anni della sua vita da eremita (morì invece improvvisamente nel corso di un incontro tra monaci cristiani e orientali a Bangkok, nel 1968). Il tono personale della scrittura, così come la sua tipica combinazione di devozione e ironia, rivelano quanto profondamente si identificasse con i leggendari autori di questi detti e parabole, quei Padri cristiani del IV secolo che vissero in solitudine e contemplazione nei deserti dell’Egitto, della Palestina, della Persia e dell’Arabia.

Quei monaci abbandonarono le città perché erano convinti del carattere strettamente individuale della salvezza, in un mondo che ai loro occhi era come una nave sul punto di affondare. Andarono nel deserto per essere sé stessi e per dimenticare le seduzioni e gli inganni che li allontanavano da questo obiettivo. Condussero una vita di fatiche e di digiuno, di carità e di preghiera. Non cercavano il consenso dei loro contemporanei e neppure volevano sfidarne il dissenso, perché le opinioni degli altri avevano smesso di avere importanza per loro. Distillavano per sé una saggezza pratica e senza pretese, al tempo stesso primitiva e senza età, una saggezza di cui la nostra epoca ha un disperato bisogno. 


Associazione Thomas Merton Italia



chi è T. Merton ((1915-1968): una biografia)



In Onore di Thomas Merton 
(Padre Maria Louis)

"..I dialoghi teologici intrapresi da molte Comunioni Cristiane Mondiali sono caratterizzati dall'impegno ad andare oltre le cose che dividono, verso l'unità in Cristo che noi cerchiamo. Per quanto il cammino possa apparire scoraggiante, non dobbiamo perdere di vista l'obiettivo finale: la piena e visibile comunione in Cristo e nella Chiesa.." 


Thomas Merton

NOTA DELL’AUTORE
Coloro che sono stati abbastanza indulgenti da trovare in Semi di contemplazione e 
in Nessun uomo é un’isola qualche cosa che li abbia interessati, riusciranno forse a 
trarre un po’ di gioia da queste riflessioni, il merito delle quali, se si può parlare di 
qualche valore, sta nell’enunciare qua e là alcune delle cose che l’autore 
desiderava dire a se stesso e a coloro che si sentissero inclini a condividere le sue 
idee. Ciò vale specialmente per la seconda parte, quella sull’»Amore della 
solitudine». Chi conosce le pagine entusiasmanti di Max Picard nel Mondo del 
silenzio riconoscerà in parecchie di queste meditazioni l’ispirazione del filosofo 
svizzero
             ***
Thomas Merton 


venerdì 27 giugno 2014

Lazzaro Spallanzani , Gregor Mendel e Benedetto Castelli & l' Aria sulla Quarta Corda di Bac


                                   Sigla SuperQuark

La sigla del popolare programma di Piero Angela, SuperQuark. La musica originale è l'Aria sulla Quarta Corda di Bach, reinterpretata però dagli Swingle Singers.

aria sulla quarta corda - 

Bach The_Swingle_Singers

Mendel e le origini della meteorologia



Lazzaro-Spallanzani
…Quale dunque, questo legame tra gli interessi meteorologici di Mendel e la storia della Chiesa? Li mette in luce, tra gli altri, lo storico della meteorologia Luigi Iafrate, allorché ricorda da una parte l’interesse di tanti padri della Chiesa per questa materia (compresa la bella intuizione di sant’Agostino secondo cui la densità dell’aria diminuisce all’aumentare della quota), e dall’altra che però la meteorologia fu per secoli fondata, in Occidente, sui Meteorologica di Aristotele, finché l’ipse dixit del grande filosofo greco non fu contraddetto, nel XIII, da personalità
di ecclesiastici come Sant’Alberto Magno, San Tommaso, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone, Raimondo Lullo e Ristoro d’Arezzo (tutti impegnati nel liberare la meteorologia dagli antichi miti della personalizzazione dei fenomeni atmosferici). Sant’Alberto, per citarne solo uno, contraddicendo lo Stagirita, dimostrò che l’aria ha un peso e che ha “la capacità di sollevarsi” in funzione della temperatura. Inoltre si cimentò in esperimenti sul peso e sul sollevamento dell’aria e cercò di “stabilire, nientemeno, che una scala di correlazione tra il calore posseduto dall’aria (‘leggerezza’) e la ‘capacità’ della stessa di sollevarsi. Va da sé, dunque, che non è affatto azzardato riconoscere in Alberto Magno anche il precursore dell’aerostatica” (la scienza che studia l’equilibrio dei velivoli più leggerei dell’aria), insieme a Ruggero Bacone, e, molto più avanti, al sacerdote gesuita Francesco Lana de Terzi .
Parimenti opera di un religioso -continua Iafrate-, il reverendo inglese William Merle (XIV secolo), per la precisione, sono anche, a quanto ci risulta, le prime registrazioni meteorologiche giornaliere che la storia ricordi. Dal gennaio 1337 al gennaio 1344, infatti, padre Merle, ogni giorno, dal villaggio inglese di Driby (Lincolnshire), osservava e annotava in un apposito registro il tempo che faceva”.

La storia continua: la paternità del primo strumento per misurare l’umidità dell’aria, cioè l’igroscopio, è contesa tra il cardinale Niccolò Cusano ed il noto ecclesiastico, e grande artista, Leon Battista Alberti, cui è attribuito anche il primo strumento per misurare la velocità del vento: l’anemometro (1450). Quanto al primo anemoscopio moderno, per indicare la direzione di provenienza del vento, il primo a proporlo fu ancora una volta un italiano ed un ecclesiastico, il domenicano Egnazio Danti (1536-1586).
Benedetto_Castelli

Ideatore del primo pluviometro (utilizzato poi anche come evaporimetro), fu il  monaco benedettino padre Benedetto Castelli, che lo descrisse in una lettera del 1639 all’amico Galilei del 18 giugno 1639: “Preso un vaso di vetro, di forma cilindrica, alto un palmo in circa e largo mezzo palmo, notai diligentemente il segno dell’altezza dell’acqua del vaso, e poi l’esposi all’aria aperta a ricevere l’acqua della pioggia, che ci cascava dentro…”.

Fu invece un discepolo dello stesso Castelli, Evangelista Torricelli, ad inventare il “tubo di Torricelli”, definito poi “barometro” dal Mariotte, e a descrivere lo strumento al sacerdote e matematico Michelangelo Ricci, anch’egli allievo del Castelli e collaboratore del Torricelli, in una celeberrima lettera dell’ 11 giugno 1644. Sarebbero stati il religioso appartenente all’ordine dei minimi, Martin Mersenne, corrispondente del Torricelli, a far conoscere la sua scoperta fuori d’Italia, mentre sia pluviometro che barometro ebbero tra i primi estimatori il già citato monaco francese, fisico e botanico, Edmè Mariotte, uno dei fondatori della fisica sperimentale in Francia (autore del celebre Sur la nature de l’air, 1676).
Mariotte, abate e priore di Saint-Martin-sous-Beaune, presso Digione, molto attivo nel campo della meteorologia e nell’indagare la relazione tra pressione barometrica e piovosità, ripeté, introducendovi nuove osservazioni, gli esperimenti di idrostatica e di idraulica di E. Torricelli (Traité du mouvement des eaux, postumo, 1686), ed è noto soprattutto per aver dato il nome alla legge sui gas detta di Boyle-Mariotte (che gli permise di utilizzare il barometro per calcolare l’altitudine).
Fu invece nel 1654 che il Granduca di Toscana Ferdinando II istituì la prima rete meteorologica al mondo. Nel periodo compreso fra il 1654 e il 1667 il monaco Vallombrosano Luigi Antinori coordinò infatti una rete meteorologica comprendente stazioni di rilevamento italiane e straniere. Si tratta del primo tentativo di raccolta sistematica di dati osservativi descrittivi e strumentali provenienti da luoghi geografici diversi – come Vallombrosa, presso Firenze, Varsavia, Innsbruck – tramite l’utilizzazione di strumenti omogenei e l’adozione di procedure di rilevamento uniformi.

Anche dopo quest’epoca pionieristica, il mondo ecclesiastico continuò a dare contributi essenziali al campo della meteorologia. Ricordiamo almeno, per l’Italia, il padre Giuseppe Toaldo (1719-1797) e il padre Giuseppe Piazzi (1746-1826), importanti astronomi del Settecento, cui dobbiamo la nascita degli osservatori astronomici di Padova, Capodimonte e Palermo. Il Toaldo, autore de La meteorologia applicata all’agricoltura, “riuscì a creare in Italia una vera e propria rete meteorologica estesa dalle Alpi ai paesi più meridionali della penisola” con ben sessanta osservatori . Ricordiamo poi l’abate Felice Fontana (1729-1805), inventore di un barometrografo, e, soprattutto il padre gesuita Angelo Secchi e il suo allievo, il padre barnabita Francesco Denza, veri e propri maestri della meteorologia italiana, ed inventori di pluviometri di successo.
PietroASecchi

Al primo, padre Angelo Secchi, dobbiamo “il primo nucleo di servizi meteorologici di Stato” al mondo e il “primo servizio moderno per le previsioni del tempo”. Scrive Iafrate che il Secchi, che è considerato anche il padre della spettroscopia e uno dei fondatori dell’astrofisica, “in qualità di direttore dell’Osservatorio astronomico e meteorologico del Collegio Romano, riuscì a farsi approvare dall’allora Governo Pontificio, un progetto che prevedeva l’istituzione di un Servizio di previsioni esteso all’intero territorio della Chiesa. Assai sensibile alla questione, Sua Santità Pio IX decise di finanziare personalmente l’impresa, e così già nel 1855, padre Secchi organizzò una corrispondenza telegrafica giornaliera di osservazioni meteorologiche tra le stazioni di Roma, Ancona, Bologna e Ferrara, ponendo di fatto le basi del primo servizio meteorologico moderno. Essendo lo Stato pontificio bagnato da due mari, una rapida comunicazione delle condizioni atmosferiche dall’una all’altra costa appariva della massima importanza per la prevenzione, nella costa opposta, degli eventuali danni connessi con l’arrivo di taluni sistemi perturbati…Dunque le quattro stazioni menzionate si scambiavano reciprocamente i dati. Lo facevano ogni giorno e si trattava di osservazioni sincrone. Preavvisi di tempesta erano frattanto formulati dall’Osservatorio del Collegio Romano a cura dello stesso Secchi, per essere tempestivamente diramate alle stazioni di Bologna, Ancona e Ferrara, dove venivano poi rielaborati per esigenze prognostiche locali”.

Ogni giorno le stazioni, tutte dotate di telegrafo, si scambiavano dunque “le osservazioni della pressione, della temperatura, dell’umidità, del vento e dello stato generale dell’atmosfera, allo scopo di trarne indizi utili per la previsione delle tempeste”. Per il Secchi, infatti, “la scienza è vana se non è utile, e la meteorologia è fortunatamente di quelle scienze da cui l’umanità può ricevere grandi ed utili servigi”; e aggiungeva: “i nostri avvisi delle lontane burrasche hanno più volte impedito de’ disastri a Civitavecchia e al litorale nostro”…

Lazzaro Spallanzani

aria sulla quarta corda - organo


aria sulla quarta corda -

 flauto e arpa

Benedetto Castelli

aria sulla quarta corda - Bach 

dalla Suite n° 3 in re maggiore BWV 1068

Il secondo movimento è impropriamente conosciuto con il nome di Aria sulla quarta corda e si differenzia dal resto della suite in quanto è l'unico movimento nel quale l'organico comprende esclusivamente strumenti ad arco. Il nome Aria sulla quarta corda non è di Bach, ma deriva da una trasposizione del violinista tedescoAugust Wilhelmj, il quale portò la composizione da re maggiore a do maggiore e la abbassò di un'ottava, in modo da poterla suonare tutta sulla quarta corda del violino.

giovedì 26 giugno 2014

Il libro delle rivelazioni - mistica Giuliana di Norwich

>>>  S. Giuliana di Norwich (1342-1416)
Nasce a Norwich nella contea del Norfolk in Inghilterra.Il Libro delle Rivelazioni è scritto nel 1413 e riferisce la visione del venerdì 13 maggio 1373 (anno della morte di S. Brigida). Vive da romita, da reclusa.Si nota in lei l'influsso benedettino della Lectio Divina e quello francescano della pietà affettiva nella meditazione della Passione, inoltre influssi domenicani, carmelitani, agostiniani.Presenta la visione del sangue che scorre abbondante come durante la flagellazione e la coronazione di spine....www.culturacattolica.it/
Da :
Il timore di Dio è il suo tesoro

di BENOIT STANDAERT
Giuliana di Norwich: l'amore è fratello del timore  
  >>>   www.atma-o-jibon.org
                     Il timore di Dio è il suo tesoro
Titolo originale: Le trésor de Dieu -  Traduzione di Elena Di PedeVita e Pensiero 2006

                     Giuliana di Norwich - Libro delle Rivelazioni

Giuliana-di-Norwich-Libro-delle-Rivelazioni
www.scribd.com/


E alla fine tutto sarà bene

06-07-2012  di Oreste Paliotti
fonte: Città Nuova

Nell’East Anglia, per “incontrare” Giuliana di Norwich, mistica inglese del XIV secolo. Il primato dell’amore nelle sue consolanti e sempre attuali “Rivelazioni”


Norwich
Ci troviamo nell’East Anglia, la parte più orientale dell’Inghilterra orientale, costituita dalle contee del Norfolk e del Suffolk. Antica capitale della prima contea è Norwich, città di 127.600 abitanti fondata nella seconda metà del VI sec. d. C. dagli angli. Notevole il castello eretto su una collina in pieno centro cittadino: costruito nell’XI secolo per volere di Guglielmo il Conquistatore, fu quasi totalmente rifatto nell’Ottocento. Ma non è sulle bellezze storico-artistiche di Norwich che intendo diffondermi. M’interessa stavolta un personaggio, una donna, per il quale è famosa.



Esiste un libro che, in un'epoca oscura in cui si temeva Dio come un giudice severo e ogni calamità, dalla peste alla guerra, veniva considerata una sua punizione per i peccati degli uomini, parla audacemente di Gesù come Madre. Scritto da una che si definiva “illetterata”, quando la donna era esclusa dall'istruzione e ritenuta un essere inferiore (qualcuno dubitava persino che avesse un'anima), questo libro occupa un posto di rilievo nella letteratura anglosassone. Ma soprattutto conforta, stimola ad amare, induce alla speranza e alla gioia: perché – vi è detto e ripetuto – alla fine tutto sarà bene.

È il Libro delle rivelazioni di Giuliana di Norwich (1342-1416), una mistica inglese che visse per circa quarant'anni da reclusa in quella cittadina, allora seconda per importanza solo a Londra.


Se del personaggio conosciamo a fondo l'esperienza spirituale grazie a un testo che ha nutrito generazioni di lettori (fra gli altri Thomas Merton, che ha scritto: «Ho pregato molto per avere un cuore saggio: credo che la riscoperta di Giuliana di Norwich mi aiuterà»), scarne invece sono le notizie riguardanti la vita esteriore, al punto che ne ignoriamo perfino il luogo di nascita.



Più documentato l'evento che segnò l'esistenza di Giuliana (o meglio Katherine, stando al suo vero nome): il 13 maggio 1373, quando aveva ormai superato i trent'anni, nel corso di una malattia che la portò in punto di morte, ebbe una serie di “visioni” centrate attorno alla passione di Cristo. In seguito avvertì la chiamata a chiudersi in un romitorio adiacente alla chiesa di San Giuliano a Norwich, dove, accudita da una donna, rimase fino alla morte, lasciando «fama di grandissima santità». Non senza però aver fissato per iscritto il ricordo delle sue esperienze mistiche in una prima stesura seguita, dopo anni di meditazione, da una seconda e forse da una terza. Oltre all'aggiunta più sostanziosa (la lunga parabola del padrone e del servo in cui sono adombrati Dio Padre e Adamo/ Cristo), le modifiche da una redazione all'altra denotano un progredire in serenità e sicurezza e sottolineano l'universalità delle Rivelazioni, rivolte non solo a lei, ma a vantaggio di tutti i «fratelli cristiani».



Va detto che la vocazione alla vita solitaria ha origini antiche nella storia della Chiesa. Nel Medioevo, questo fenomeno fu largamente diffuso nelle isole britanniche, dove è documentata la straordinaria irradiazione spirituale dei cosiddetti “reclusi” o “romiti”. Reclusione non significa tuttavia esclusione dalla vita sociale: lo dimostra appunto il caso di Giuliana di Norwich, la cui cella inserita nella città aveva una finestra che permetteva di assistere alle celebrazioni liturgiche all'interno della chiesa di San Giuliano, e un'altra aperta sull'esterno per ascoltare quanti a lei si rivolgevano. La presenza frequente, inoltre, di un piccolo orto accanto al romitorio e di una domestica, che si occupava dei bisogni materiali della persona reclusa, temperava ulteriormente questa solitudine, fatta essenzialmente di preghiera e di lavoro.



A chi avrebbe voglia di saperne di più, di Giuliana, consiglio La cella di Juliana (Ed. San Paolo), eccellente biografia romanzata in cui la figura della reclusa di Norwich prende vita su uno sfondo storico ricostruito senza appesantimenti eruditi. L'autore, il canadese Ralph Milton, si è calato nella vicenda e nella psicologia del personaggio al punto che chi legge ha proprio l'impressione di essere suo contemporaneo. Siamo in un'epoca tormentata come poche: guerra dei Cent'anni, pestilenze, scisma di Avignone, persecuzione dei Lollardi… I servi della gleba cominciano ad insorgere con furia distruttrice contro i potenti, anche ecclesiastici, e la voce genuina della chiesa si esprime soprattutto nei mistici, nei reclusi, nelle anime semplici del popolo.



Epoca di terrore, di eccidi, di soprusi, da cui per poco non esce sovvertita la struttura sociale dell'Inghilterra. Anche Norwich ne è travolta. Ma non Giuliana, la cui autorità spirituale la pone al riparo dalle rappresaglie. L'autore ci fa penetrare nella sua cella, partecipare ai suoi momenti di dubbio, di sofferenza e di abbandono confidente in Dio, alle sue conversazioni con quanti, in momenti così tragici, sono in cerca di conforto o di consiglio: anime semplici, reietti della società, sacerdoti innovatori braccati dalla chiesa istituzionale come John Ball e mistiche come Margery Kemp. Sullo sfondo delle lotte fratricide e delle turpitudini dei potenti, emerge un'altra storia, l'unica che veramente conta: quella di cui Dio va reggendo le fila nella sua misericordia per la quale «alla fine tutto sarà bene».



Sì, alla fine: perché non è quaggiù la meta definitiva. Non prigione o tomba, dunque, appare la cella di Giuliana, ricercata ormai dalle folle come maestra spirituale malgrado lei non si consideri una guida («Sono, dopotutto, una donna, fragile, umana e semplice»), ma grembo materno in cui rinascere a nuova vita e da cui poter influire sulle sorti dell'umanità. Il Libro delle rivelazioni è stato definito «una pacata meditazione che raccoglie attorno alla verità fondamentale – l'amore di Dio – tutti i punti più importanti e vitali della teologia cristiana. Ne deriva una spiritualità del quotidiano fatta di serenità e di equilibrio, radicata sul costante ricordo dell'amore di Dio»(1). È quanto si può desumere dai seguenti passi: Dio mi mostrò una piccola cosa, grande quanto una nocciola nel palmo della mia mano, rotonda come una palla. Io la osservai e mi chiesi: “Cosa mai può essere?”. E questa è la risposta che mi fu data: “È tutto quanto il Creato!”. Io ero sorpresa che una cosa simile potesse durare, del perché non svanisse nel nulla: “Dura e sempre durerà, perché Dio la ama”. E così tutte le cose ricevono la loro vita dall'amore di Dio». «E io conobbi la tristezza e poi la gioia, l'una e l'altra in successione, molte volte. (…) Entrambe le cose fanno parte di un'unica forma di amore». «E allora io vidi che Dio è lieto di essere nostro Padre, e Dio è lieto di essere nostra Madre, e anche di essere il nostro vero Sposo. E Cristo è felice di essere nostro Fratello, e il nostro unico Salvatore».



Sembra incredibile che un testo così positivo sia potuto scaturire da un mondo grondante paura, sangue e sofferenza, che per certi versi ricorda il nostro di oggi, in profonda crisi: un contrasto che dà modo di cogliere ancor meglio la novità e la preziosità delle Rivelazioni. Ecco perché quest'opera, forse più di altri testi spirituali medioevali, tocca in profondità anche il lettore contemporaneo, risultando ristoratrice come una brezza nel nostro travagliato presente. Per tornare al romanzo, di grande efficacia risulta la scelta dell'autore di far impersonare la serva che accudisce Giuliana da un'ex prostituta analfabeta, che si riscatta divenendo amica, sorella e confidente della reclusa, a riprova di ciò che le Rivelazioni propongono: l'immagine vera di un Dio Padre di tutti e per il quale il peccato, anche se inevitabile, non è, è l'Amore.

 (1) Cfr. la bella Introduzione di Domenico Pezzini al Libro delle rivelazioni, Ed. Ancora.





The church of SS Andrew and Mary - St Julian of Norwich - geograph.org.uk - 1547398.jpg
13 Maggio: S. Giuliana di Norwich 

Wikipedia >>> Giuliana-di-Norwich 
(8 novembre 1342 – 1416)
Considerata una delle più grandi mistiche della storia, è commemorata come santa dalla Chiesa Anglicana (l'8 maggio) e come beata dalla Chiesa cattolica (13 maggio).
"le Rivelazioni dell’Amore divino. E fu proprio il Signore che, quindici anni dopo questi avvenimenti straordinari, le svelò il senso di quelle visioni. “Vorresti sapere cosa ha inteso il tuo Signore e conoscere il senso di questa rivelazione? Sappilo bene: amore è ciò che Lui ha inteso. Chi te lo rivela? L’amore. Perché te lo rivela? Per amore ... Così imparai che nostro Signore significa amore” (Giuliana di Norwich, Il libro delle rivelazioni, cap. 86, Milano 1997, p. 320)."
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 1° dicembre 2010
 

"Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore, uniche coloro che usano entrambe"

fermalibri 
fermalibri dal web

clicca immagine  e vai alla fonte 
Libreriamo-io leggo e tu?

Frase di Rita Levi Montalcini

"Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore, uniche coloro che usano entrambe"
                                                             Rita Levi Montalcini

Fonte: 
 *Supermercato della poesia,racconti .....* 
*la lettura concilia il sonno* apre la mente*fa sognare*

martedì 24 giugno 2014

LIBRI >>>Vangelo secondo Giovanni. Amore fino all'estremo & Apocalisse di Giovanni ...

Da KAITO'S "kairosterzomillennio"

"Amore fino all'estremo"


Questo il titolo del secondo volume della "lectio divina" sul Vangelo di Giovanni, scritto da suor Elena Bosetti con un linguaggio appassionato


*

Amore fino all’estremo (Gv 12–21) di Elena Bosetti, suora di Gesù Buon Pastore ed esperta biblista, segue al volume I segni dell’amore (Gv 1–11). Si tratta di una lectio divinain due volumi sul Vangelo di Giovanni (collana Dabar-Logos-Parola delle Edizioni Messaggero Padova) che prevede tre tappe: lettura, interpretazione e attualizzazione.
Con stile fresco e scorrevole, l’Autrice ci permette di gettare lo sguardo nel cuore della Pasqua di Gesù (Gv 12–21) per scoprire che, anche quando nel cuore degli uomini scende la notte, «l’Amore irradia la sua calda luce» (9). Cogliendo puntualmente il duplice livello – materiale e simbolico – del procedere narrativo del IV Vangelo, la lettura sincronica tiene conto sia dello sguardo d’insieme sia dei dettagli, mai ritenuti casuali ma sempre significativi.
Bosetti si destreggia nel ricco simbolismo giovanneo senza mai perdersi e individuando il fil rouge nella dinamica agapica che attraversa l’intero Vangelo. Padri della Chiesa, santi, pontefici, uomini e donne che edificano l’attuale tessuto ecclesiale come testimoni della fede, intervengono, invitati dall’Autrice, a offrire ulteriori luci per la comprensione del testo biblico.
L’indulgere alla poesia inoltre è un tratto originale dell’Opera che non interrompe l’ermeneutica dei testi, ma la arricchisce intercettando meglio il microcosmo del sentire del lettore e invitando all’interiorizzazione della Parola.
Particolare attenzione nel commento viene data all’episodio dell’unzione di Betania dove l’eccesso del profumo richiama l’abbondanza del vino che il Messia è venuto a dare all’umanità e dove il dono “esagerato” di Maria appare in antitesi al calcolo di Giuda, espressione dell’attaccamento spasmodico al denaro. Maria è l’amica grata che si abbandona all’effusione dell’amore, presentandosi al suo Signore non con delle cose, ma con tutta se stessa, mettendosi in gioco e rompendo con gli stereotipi femminili del tempo.
Nell’ultima cena la lavanda dei piedi viene presentata come il lavacro dell’amore e come la parabola dell’esistenza di Gesù che si fa «servo dell’umanità che vuole innalzare a livello divino» (63). Egli non compie un semplice gesto, ma in modo mistagogico offre un esempio della spiritualità divina che ha il suo nucleo nell’abbassamento fino all’esproprio di sé.
Nel Discorso di Addio appare il testamento spirituale di Gesù che invita: a una fede capace di resistere al sisma che sta per verificarsi e di cogliere nella sua umanità «la viabilità tra il cielo e la terra» (79); e all’amicizia presentata come la “forma” della relazione tra Cristo e i discepoli, paradigma di ogni relazione interpersonale. Queste virtù anti-sismiche permettono ai credenti di restare in Gesù come i tralci alla vite. Bellissimo il mosaico che l’Autrice realizza a proposito del motivo della vite e i tralci, impiegando numerose tessere provenienti dai testi profetici e sapienziali del Primo Testamento: emerge così il significato di un verbo tanto caro al IV vangelo, rimanere, che è affettivo perché «dice affetti e relazioni: si dimora dove il cuore ha casa» e generativo perché indica «il segreto della fecondità spirituale e apostolica della Chiesa, di ogni battezzato» (95).
Speciale attenzione è offerta all’azione dello Spirito descritto come «l’immenso movimento d’amore che porta il Figlio verso il Padre nell’abbraccio della croce» (104) e presentato nei discorsi dell’ultima cena come Paraclito, “chiamato accanto” per fare scudo, a motivo delle prove e delle persecuzioni che Gesù preannuncia ai suoi, e come guida «nel cammino della piena umanizzazione e cristificazione» (107) che porta all’unità di se stessi.
Un pathos speciale si avverte nel commento della preghiera sacerdotale di Gesù assimilata dall’Autrice a «un cuore a cuore col Padre» (114), una provocazione a superare lo scandalo della divisione, dove le richieste che il Figlio rivolge al Padre lasciano intravedere la sua passione per i fratelli, la sua vigilanza e custodia verso di loro e il suo sogno più intimo: l’unità e la comunione tra gli uomini, dono che solo il Padre può concedere.
Emerge dal commento l’originalità della regalità di Gesù, che è un tema portante del IV Vangelo. Tradito dai suoi e avvolto dalle fitte tenebre della menzogna, della calunnia e della tortura, Gesù sembrerebbe un perdente, invece è re, come dichiara il titulus crucis. La sua regalità però non è ostentazione di potere e sfoggio di retorica, ma manifestazione dell’umile amore e di un silenzio orante che è abbandono al disegno del Padre e consegna della propria vita per la salvezza del genere umano. Questa regalità agapica così diversa da quella umana Gesù la partecipa a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio»! Come la donna agli inizi, la madre è presentata come l’alterità sinergica che condivide la vita di Gesù e la vocazione a partorire un’umanità nuova mediante la sua «maternità ecclesiale» (160).
La consegna della vita da parte di Gesù raggiunge il suo apice nella sua morte di croce che il IV vangelo presenta come esperienza di innalzamento, di attrazione, ma soprattutto dirigenerazione. La ferita da cui esce sangue ed acqua è la sorgente della vita nuova del credente da cui sgorga l’effusione dello Spirito.
L’Autrice conclude il suo lavoro commentando gli ultimi due capitoli dedicati alle apparizioni post-pasquali dove emerge: la figura di Maria di Magdala, il suo legame con Gesù, il suo lutto, l’incontro e l’abbraccio con il Risorto che le affida la missione di essere apostola degli apostoli; quella di Tommaso, discepolo dubbioso che sperimenta una sorta di «seconda Pasqua» (183) per riconnettersi all’amore di Gesù nelle cui ferite egli scorge il balsamo per le sue personali ferite; e infine quella di Pietro, che è invitato a fare l’ermeneutica del suo primato non a partire da logiche arrivistiche, ma a partire dall’eccedenza dell’amore che rende liberi da sé per poter custodire gli altri.
Il linguaggio appassionato della Bosetti coinvolge fortemente il lettore che si sente condotto fin nella “settima stanza” del racconto evangelico dove si coglie il surplus dell’amore di Gesù e in queste «pagine impastate di amore» (214) si sente davvero a casa. Un’ulteriore conferma di quanto scriveva A. Merini in Corpo d’Amore: «E così nascono i libri, nell’amore».  
R. Manes
Fonte :  zenit.org

"Vangelo secondo Giovanni. Amore fino all'estremo"   

Per i tipi dell'Editrice Messaggero di Padova, il secondo volume di "lectio divina" sul quarto Vangelo di Elena Bosetti





Alfred Wikenhauser (cur.) - Apocalisse di Giovanni



Eliot: profezia di un cristiano


Cori da "La Rocca" di T. S. Eliot»,
 dall'ultimo libro di Luigi 
Giussani

Nel 1934, il vescovo anglicano George Bell, presidente della Religious Drama Society of Great Britain, commissionò un’opera teatrale che doveva celebrare (e aiutare a raccogliere fondi) per la costruzione di nuove chiese, soprattutto nella periferia di Londra. Martin Browne, attore e direttore teatrale, coinvolse T.S. Eliot, che scrisse i cori, ovvero i brani lirici che legavano i quadri storici della rappresentazione, che prese il nome The Rock, la Roccia, come Gesù chiama la Chiesa nel Vangelo. E’ l’opera di Eliot rimasta nota come Choruses from the Rock (tradotto in italiano Cori dalla Rocca), ed è quella che viene citata nella recente enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco.
Lo spettacolo venne rappresentato da una compagnia amatoriale al Sadler’s Wells Theatre per due settimane nell’estate del 1934. Fu un successo, e l’anno successivo il vescovo commissionò a Eliot Assassinio nella cattedrale(1935).
Nel 1934, il poeta Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965), di origine statunitense, aveva già scritto il celebre poema La terra desolata (1922); nel 1927 era diventato cittadino britannico e aveva aderito alla chiesa anglicana, evento che lo portò a comporre il poemetto Mercoledì delle Ceneri (1930). Da quel momento in poi, la riflessione sul Cristianesimo, oltre che sul Tempo e sulla modernità come già in precedenza, sarebbe diventata un elemento fondante della sua poesia, del suo teatro, e dei suoi saggi.

Poco dopo The Rock, iniziò il suo capolavoro, i Quattro Quartetti (1936-42) e nel 1948 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura.

Eliot non è un poeta che si possa illustrare in poche parole, quindi seguiamo il suo consiglio, come scrisse nel 1962 in un saggio su George Herbert:
Dobbiamo goderci la poesia prima di iniziare ad addentrarci nella mente del poeta; dobbiamo goderla prima di capirla, se ne vale la pena. Iniziamo con il gustare alcune poesie, i versi che ci colpiscono. Solo successivamente familiarizziamo con tutta l’opera.
Riportiamo l’inizio del primo Coro dalla Rocca, nella traduzione di Roberto Sanesi:
Si leva a volo l’Aquila alla sommità del Cielo;

Il Cacciatore coi cani segue il suo percorso.

O rivoluzione perpetua di Stelle configurate,

O ricorrenza perpetua di stagioni determinate,

O mondo di primavera e d’autunno, di nascita e di morte!
Il ciclo senza fine dell’idea e dell’azione,
L’invenzione infinita, l’esperimento infinito,
Portano conoscenza del moto, non dell’immobilità;
Conoscenza del linguaggio, ma non del silenzio;
Conoscenza delle parole, e ignoranza del Verbo.
Tutta la nostra conoscenza ci porta più vicini alla nostra ignoranza,
Tutta la nostra ignoranza ci porta più vicino alla morte.
Ma più vicino alla morte non più vicini a Dio.
Dov’è la Vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov’è la saggezza che abbiamo perduto sapendo?
Dov’è la sapienza che abbiamo perduto nell’informazione?
I cicli del Cielo in venti secoli
Ci portano più lontani da Dio e più vicini alla Polvere.
Viaggiavo verso Londra, alla City che è preda del tempo,

Là dove il Fiume scorre con flutti stranieri.

Laggiù mi dissero: abbiamo troppe chiese.

E troppo poche osterie. Laggiù mi dissero:

Se ne vanno i parroci. Gli uomini non hanno bisogno della Chiesa
Nel luogo in cui lavorano, ma dove passano le domeniche.
In città non abbiamo bisogno di campane:
Che sveglino i sobborghi.
Camminai fino ai sobborghi, e là mi dissero:
sei giorni lavoriamo, il settimo giorno vogliamo andare in gita
Con l’automobile fino a Hindhead, o a Maidenhead.
Se il tempo è brutto restiamo a casa a leggere i giornali.
Nei distretti industriali mi dissero
Delle leggi economiche.
Nelle campagne ridenti sembrava
Vi fosse solo posto per i picnic.
E sembra che la Chiesa non sia desiderata
Nelle campagne, e nemmeno nei sobborghi; in città
Solo per importanti matrimoni.
T.S. Eliot Cori da La Rocca ed. Rizzoli

traduzione Roberto Sanesi
Cecilia Barella

*


Eliot: profezia di un cristiano

Luigi Giussani
Tertio millennio adveniente
Proponiamo alcuni brani del capitolo su «Coscienza della Chiesa nel mondo moderno nei Cori da "La Rocca" di T. S. Eliot», dall'ultimo libro di Luigi Giussani, Le mie letture, edizioni Bur-Rizzoli. L'Incarnazione: un fatto nel tempo e nella storia. L'avvenimento di Cristo si compie in un popolo Il mondo non solo non vuole la Chiesa, ma la perseguita.

E che volete - dice, infatti, Eliot -, volete forse che il mondo accetti la Chiesa? Perché deve accettarla?

«Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perché dovrebbero amare le sue leggi? / Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare./ È gentile dove sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri./ Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli./ Essi cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono». Gli uomini che perseguitano la Chiesa, sognano l'eliminazione della libertà, perch?'estremo ideale di questo mondo è creare un mondo di automi: «Sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».

L'ultima, la più profonda accusa di Eliot: dove sta la radice vera di tutta questa ostilità e di questo disegno? La rinuncia a Cristo. La ribellione a Cristo e, quindi, la eliminazione di Dio perché, come aveva già detto Nietzsche, se aboliamo Cristo, aboliamo Dio. (...)

Dunque la Straniera sembra dimenticata e avversata in un'epoca di uomini «impegnati a ideare il frigorifero perfetto», «a risolvere una morale razionale», «a far progetti di felicità e a buttar via bottiglie vuote,/ passando dalla vacuità di un febbrile entusiasmo/ per la nazione o la razza o ciò che voi chiamate umanità».
«O anima mia - dice il poeta - che tu sia pronta per la venuta della Straniera,/ che tu sia pronta per colei che sa come fare domande». Del resto, il Coro ricorda agli uomini, che non vogliono sentire quelle domande, che possono «eludere la Vita ma non la Morte». Anch'essa indica la strada verso il tempio.
«Non rinnegherete la Straniera», conclude il III Coro. È una grande responsabilità ed è un'affascinante missione per la nostra meschinità. (...)
È a questo punto l'a fondo di Eliot, già citato, sulla considerazione degli uomini moderni sulla Chiesa: «Perché gli uomini dovrebbero amare la Chiesa?».
«Essi [gli uomini che non vogliono la Chiesa] cercano sempre d'evadere/ dal buio esterno e interiore [perché se non ci sono criteri oggettivi di bene e di male c'è buio e confusione]/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d'essere buono».
Tutti sognano strutture sociali che abbiano un esito buono a prescindere dalla libertà. Nessuno più avrebbe bisogno d'essere buono. «Ma l'uomo che è adombrerà/ l'uomo che pretende di essere». L'uomo così come è sfaterà sempre le visioni delle ideologie che pretendono di essere. «E il Figlio dell'Uomo non fu crocefisso una volta per tutte/ il sangue dei martiri non fu versato una volta per tutte,/ le vite dei Santi non vennero donate una volta per tutte (...). E se il Tempio dev'essere abbattuto /dobbiamo prima costruire il Tempio».
È la pagina più chiara sull'antitrionfalismo. Tante volte, noi siamo accusati di trionfalismo per la nostra volontà di affermazione del fatto cristiano nel tempo e nello spazio, nella storia. Invece, è profondamente antitrionfalista la nostra volontà di costruire. Perché l'idea della storia che ha il cristianesimo è questo possibile continuo ripetersi di cicli e di abbattimenti. Perciò «se il sangue dei Martiri deve fluire sui gradini/ dobbiamo prima costruire i gradini».
Il nostro costruire i gradini non è trionfalismo, anzi. E se il Tempio deve essere distrutto, bisogna prima costruirlo. La nostra volontà di costruire il Tempio non è trionfalismo.
Forse non sarà inutile, a questo punto, rileggere (...) il Coro VII, ove il poeta traccia in sintesi splendida la storia delle religioni.

In principio Dio creò il mondo. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la faccia dell'abisso.
[deserto perché non c'è uomo, vuoto perché non c'è senso, perché il senso viene percepito nella coscienza dell'uomo].
E quando vi furono uomini, nei loro vari modi lottarono in tormento alla ricerca di Dio
Ciecamente e vanamente, perché l'uomo è cosa vana, e l'uomo senza Dio è un seme nel vento, trascinato qua e là e non trova luogo dove posarsi e dove germinare.
Essi seguirono la luce e l'ombra [l'apparente], e la luce li condusse verso la luce e l'ombra li condusse verso la tenebra,
Ad adorare serpenti ed alberi, ad adorare demoni piuttosto che nulla: a piangere per la vita oltre la vita, per un'estasi non della carne.
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso.

E lo Spirito si muoveva sopra la faccia delle acque.
E gli uomini che si volsero verso la luce ed ebbero conoscenza della luce
Inventarono le Religioni Maggiori; e le Religioni Maggiori erano buone
E condussero gli uomini dalla luce alla luce, alla conoscenza del Bene e del Male.
Ma la loro luce era sempre circondata e colpita dalle tenebre (...)
E giunsero a un limite, a un limite estremo mosso da un guizzo di vita,
E giunsero allo sguardo rinsecchito e antico di un bimbo morto di fame.
[riti che non avevano nessuna capacità di ravvivare l'umano]
Preghiere scritte in cilindri girevoli, adorazione dei morti, negazione di questo mondo, affermazione di riti il cui senso è dimenticato
[il contrario di ciò per cui sono sorti: alla ricerca del senso]
Nella sabbia irrequieta sferzata dal vento, o sopra le colline dove il vento non farà mai posare la neve.
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso.
[è ritornato il deserto e il vuoto, si è confermato il deserto e il vuoto: sopra, dentro, sotto, intorno a tutti i tentativi di interpretazione umana, le religioni maggiori].

Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,
Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo,
Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c'è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.
Quindi sembrò come se gli uomini dovessero procedere dalla luce alla luce, nella luce del Verbo.
Attraverso la Passione e il Sacrificio salvati a dispetto del loro essere negativo;
Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima,
Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce;
Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un'altra via .
[la lotta ascetica è stata introdotta nel mondo dal cristianesimo]

Ma sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove.
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dei, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima
Che gli uomini negassero gli dei e adorassero gli dei, professando innanzitutto la Ragione,
E poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica.
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l'alto
In una età che avanza all'indietro, progressivamente?
(...)
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell'abisso
[è ritornato come al principio]
È la Chiesa che ha abbandonato l'umanità, o è l'umanità che ha abbandonato la Chiesa?
Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato
tutti gli dei, salvo l'Usura, la Lussuria e il Potere.

L'avventura cristiana è un dramma storico, della storia, nella storia.()

Gesù non era venuto per dominare il mondo. Era venuto per salvare il mondo. Il proprio del cristianesimo è questo incastro delle due parti tanto inverosimile: il temporale nell'eterno e l'eterno nel temporale.

(L. Giussani, Le mie letture, Bur-Rizzoli, pp.109-131)