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venerdì 30 marzo 2018

La Passione di Gesù secondo le rivelazioni di Suor Anna Caterina Emmerick

Beata Anna Katharina Emmerick ...



Parte I: dal cenacolo al Getsemani
Parte II: Passione, morte e sepultura
Parte III: La Resurrezione
DOPO LA RISURREZIONE DEL SIGNORE1. Le apparizioni del Risorto Sulla via di Emmaus«Non ardeva forse il nostro cuore quando egli, lungo la via, ci parlava e ci spiegava le Scritture?» (Luca 24,32).Vidi i discepoli e gli apostoli riuniti nella casa di Giovanni Marco mentre discutevano sulla risurrezione di Gesù. Molti erano ancora dubbiosi.Più di tutti gli altri, Luca e Cleofa esitavano a credervi.Volendo meditare sul loro dubbio, i due decisero di ritirarsi nella solitudine di Emmaus. Per evitare di essere visti insieme, uno prese il sentiero di destra e l'altro percorse una strada diversa.Luca aveva con sé un sacco di cuoio e un bastone, spesso si allontanava dai margini del sentiero per cogliere erbe medicinali.Egli era stato battezzato da Giovanni e aveva seguito saltuariamente gli insegnamenti del Signore. Dopo la passione di Gesù andò ad abitare con gli altri apostoli.Vidi Luca e Cleofa incontrarsi su una collina distante da Gerusalemme. Erano ancora turbati dal fatto che il Signore aveva permesso ai suoi nemici di crocifiggerlo. Discutevano fra loro e di tanto in tanto salmodiavano, finché Gesù risorto li avvicinò a metà strada. Essi lo videro, ma non lo riconobbero, anzi rallentarono il passo affinché “il pellegrino” passasse avanti. Ma anche Gesù rallentò il passo e, avvicinandosi ai due, chiese di quale argomento discutessero. Allora lo udii parlare di Mosè, di ciascun profeta e delle Scritture: in particolare di tutti i passi che lo riguardavano. Vidi i due discepoli molto stupiti di questo strano viandante e della vastità della sua scienza celeste.Giunti in prossimità di Emmaus, un grazioso borgo immerso nella natura, il Signore fece finta di prendere la strada verso Betlemme, ma i due lo esortarono a restare e lo invitarono in una locanda del paese.Occuparono una tavola molto pulita e già apparecchiata nella sala principale.L'oste servì loro del miele e una grande torta di forma quadrata; di fronte al Signore, in quanto straniero e ospite di riguardo, depose un piccolo pane azzimo sottile e soffice come i pani pasquali.Dopo aver recitato una preghiera in comune, Gesù cenò con loro, prese il pane azzimo, vi segnò tre porzioni con un coltello d'osso e lo mise sopra un piatto. Poi si alzò in piedi, pregò, benedisse il piatto e lo levò verso il cielo, tenendolo con entrambe le mani.In quel momento vidi il Signore trasfigurato: i due discepoli lo riconobbero e furono subito rapiti in estasi.Aureolato di luce, Gesù rimise il piatto sul tavolo, spezzò il pane e lo portò alla loro bocca; poi, prendendo la sua parte, disparve.I due discepoli si abbracciarono commossi fino alle lacrime.Nel cenacolo«Metti il tuo dito qui e guarda le mie mani, porgi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere più incredulo, ma credente...» (Giovanni 20,27).Dopo l'apparizione del Signore, Cleofa e Luca ritornarono indietro alla volta di Gerusalemme.Arrivati alla porta del cenacolo, bussarono e fu loro aperto.Davanti al vestibolo si trovavano la santa Vergine e le pie donne, le quali assistevano alla preghiera e alle istruzioni degli apostoli. Questi ultimi erano là radunati, ad eccezione di Tommaso. Quando i due entrarono nella sala, pieni di gioia, rivelarono quel che avevano veduto. Allora fu interrotta perfino la preghiera perché tutti vollero sapere i particolari di quell'incontro straordinario. Subito dopo, gli apostoli, con rinnovato fervore, si disposero in cerchio e ripresero la preghiera. In quel medesimo istante, nonostante la porta fosse chiusa, entrò Gesù, vestito d'una lunga tunica bianca. Gli apostoli si sentirono illuminati dalla grazia, tuttavia non riuscivano ancora a credere alla reale presenza del Signore.Vedendoli intimoriti, il Salvatore andò a mettersi in mezzo a loro e chiese del cibo. Gli apostoli ne ebbero gioia e conforto, misti a turbamento. Gesù mostrò loro le mani e i piedi piagati e si scoprì il petto per mostrare la ferita del la lancia. Pietro prese un piatto dalla dispensa, contenente un pesce e del miele, e lo mise innanzi a lui. Dopo aver benedetto quegli alimenti, il Signore offrì una porzione del pesce ad alcuni apostoli, alla sua diletta Madre e al gruppo delle pie donne, quindi mangiò il rimanente.Per tutto il tempo che Gesù fu in mezzo a loro, la santa Madre non cessò di contemplano, e i suoi occhi sprigionavano amore e gioia.2. Maria, la Madre di Gesù, dopo l'ascensione del FiglioLa mattina del 13 agosto 1823, in occasione della festa del l'Assunzione di Maria santissima, la veggente di Dùlmen iniziò la narrazione della vita della Madonna.La Vergine Maria, dopo l'ascensione di nostro Signore al cielo, visse ancora tre anni a Sion, tre a Betania e nove a Efeso. Qui fu condotta da Giovanni quando si scatenò la persecuzione degli Ebrei contro Lazzaro e le sue sorelle. Giovanni la portò a Efeso e fece costruire per lei una piccola abitazione non molto distante dalla città. La seguirono un gruppo di discepole e altri fedeli della Palestina.Molte famiglie e pie donne di questa prima colonia cristiana dimorarono nelle spelonche delle rupi e nelle cavità che offriva il terreno. Il suolo era fertile e i cristiani avevano orti e frutteti. Altri gruppi abitavano nelle tende o avevano costruito piccole capanne. L'uso delle tende iniziò a diffondersi tra i cristiani fin dall'inizio delle persecuzioni, perché spesso erano costretti a trasferirsi da un luogo all'altro. Solamente la casa di Maria era di pietra. Pochi passi dietro la casa c'era un monte che si alzava ripido fino alla vetta, dalla quale si godeva una bella vista sul mare, su Efeso e sulle sue numerose isole. Non distante dal monte scorreva un bel fiumiciattolo. Per questa contrada non passava quasi mai nessuno.Nei pressi della colonia cristiana vidi un castello in cui abitava un re detronizzato. Giovanni lo convertì alla nuova fede. Tempo dopo il castello divenne sede vescovile.La casa della Vergine era quadrata, solo la parte posteriore era di forma circolare, aveva le finestre molto sollevate dal suolo e il tetto era piatto.L'abitazione era divisa al centro dal focolare. A destra e a sinistra di questo si accedeva nella parte posteriore della casa, dove c'erano l'oratorio e alcune piccole stanzette. Questa parte della casa, di forma circolare, era scarsamente illuminata ma addobbata in modo grazioso.Al centro del muro, dal focolare al tetto, c'era un'incavatura simile ai nostri condotti per il fumo: serviva, infatti, a guidare il fumo a un'apertura superiore. Una tortuosa canna di rame si alzava al di sopra della casa.Nelle piccole stanzette laterali, formate con pareti mobili di giunchi, dormivano l'ancella di Maria santissima e le donne che talvolta venivano a visitarla.Le pareti erano ricoperte di vimini intrecciati che terminavano superiormente in forma di volta.Nell'oratorio, in una nicchia al centro del muro, vi era un tabernacolo in cui la Vergine teneva una croce lunga al l'incirca un braccio. Essa aveva le due braccia laterali a forma di Y, come ho sempre visto la prima croce di nostro Signore.La croce non aveva ornamenti, anzi era intagliata in modo rudimentale come lo sono quelle che ancor oggi giungono dalla Terrasanta. Io penso che l'avessero intagliata Giovanni e Maria santissima. Era composta di quattro specie di legno e fissata in un supporto di terra o di pietre, com'era la croce di Cristo sul Calvario. Ai piedi della croce si trovava un pezzo di pergamena su cui era scritto qualcosa, forse le parole del Signore. Sul legno vidi scolpita l'immagine del Redentore, molto semplice, spoglia d'ogni vano ornamento e con linee di colore scuro. Le linee più marcate da una tinta nera rendevano ancor più chiara la figura di Cristo.Nelle diverse qualità del legno, ravvisai le varie contemplazioni fatte dalla santa Vergine. Due vasi di fiori stavano l'uno a destra e l'altro a sinistra della croce.Vicino a questi vasi vidi un lino: mi sembrò che fosse quello con cui la Madre di Dio s'era servita per asciugare il sangue e le piaghe del corpo di Cristo.Nello scorgere questa pezzolina, vidi Maria santissima asciugare le sacre piaghe del Redentore. Il panno era simile alla tela con cui i sacerdoti puliscono il calice dopo aver bevuto il sangue di Cristo. Ella conservava pure alcune vesti di Gesù, tra le quali la tunica inconsutile.Quando Giovanni andava a visitarla, si scopriva il tabernacolo e, davanti al crocifisso, essi s'inginocchiavano e pregavano a lungo.Nei dintorni della sua casa la Vergine aveva disposto dodici pietre commemorative delle stazioni della Via Crucis.La vidi percorrere con la sua ancella i luoghi simbolici della passione del Signore. Ella meditava e pregava sui patimenti del Figlio.Ad ogni stazione, baciando la terra, le due donne ricordavano le sofferenze del Signore.La piccola casa della santa Vergine era adiacente un bosco ed era circondata da alberi; la quiete e il silenzio dominavano il paesaggio circostante. L'ancella, più giovane del la Vergine, andava nei dintorni a procurare il cibo. Esse conducevano una vita di preghiera, tranquilla e ritirata.Negli ultimi tempi che dimorò in questo luogo, la Madonna divenne sempre più silenziosa e raccolta, pareva quasi dimenticare di prendere il nutrimento necessario. Durante gli ultimi anni della sua vita terrena la vidi bere un succo simile a quello di uva. Solo il suo corpo sembrava ancora di questo mondo, poiché lo spirito pareva già passato a felice dimora. Tutto in lei faceva trasparire la continua preoccupazione dello spirito.Nelle ultime settimane della sua vita passeggiava per le stanze appoggiata al braccio della sua fedele ancella.Portava spesso una veste bianca, il suo viso era senza rughe, angelico e spiritualizzato.Dopo tre anni di soggiorno ad Efeso, accompagnata da Giovanni e da Pietro, la Madre di Dio fece ritorno a Gerusalemme, spinta dal desiderio di rivedere i luoghi santificati dal sangue del Figlio.Vidi in questa città gli apostoli radunati per un concilio; c'era anche Tommaso.La Vergine li assisteva con i suoi consigli.Essi gettarono le basi concrete della Chiesa futura; dopo di che andarono a portare il vangelo nelle terre lontane.Quando la Vergine giunse a Gerusalemme imbruniva appena. Prima di entrare in città si recò a visitare il monte degli Ulivi, il Calvario, il santo sepolcro e tutti gli altri luoghi santi che sono intorno a Gerusalemme.Sui luoghi della passione Maria non cessava di sospirare:«Oh, Figlio mio! Figlio mio!...».Giunta alla porta del palazzo dove aveva incontrato Gesù sotto la croce, cadde svenuta. Gli apostoli credettero che ella avesse cessato di vivere.Fu portata al cenacolo, in cui abitò le stanze dell'atrio. Maria santissima fu così grave e sofferente che si pensò di prepararle una tomba in una caverna del monte degli Ulivi.Ma dopo che la tomba fu preparata, Maria si ristabilì in salute e tornò ad Efeso.Il bel sepolcro scavato per lei a Gerusalemme fu tenuto in grande considerazione. Più tardi lì vicino fu costruita una magnifica chiesa. Giovanni Damasceno, seguendo una diffusa tradizione, scrisse che la Madonna si era addormentata nel Signore ed era stata sepolta a Gerusalemme.A me, però, fu rivelato che, per volontà di Dio, i particolari del transito, della sepoltura e dell'assunzione della santa Vergine in cielo erano oggetto soltanto di una tradizione incerta.Il tempo in cui la Chiesa commemora il transito di Maria santissima è giusto, ma non tutti gli anni cade nello stesso giorno.Nell'anniversario della sua morte ho visto numerose anime salire in paradiso.Quando la santa anima della Vergine lasciò il santo corpo, era l'ora nona, la stessa in cui era spirato il Salvatore.

Le Visioni dell'Assunzione di Maria. Anna Caterina Emmerick. 1

By leggoerifletto 
9 febbraio Beata Anna Katharina Emmerick Mistica, religiosa
Anna Catharina Emmerick nacque l’8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia, Germania) comunità di contadini; i suoi genitori Bernardo Emmerick e Anna Hillers, erano di umile condizione ma buoni cattolici.Da bambina faceva la pastorella e in questo periodo avvertì la vocazione a farsi religiosa, ma incontrando l’opposizione del padre; durante la sua giovinezza Dio la colmò di grandi doni, come fenomeni di estasi e visioni.Ma questo non le giovò, in quanto fu rifiutata da varie comunità; nel 1802 a 28 anni, grazie all’interessamento dell’amica Clara Soentgen, una giovane della borghesia, ottenne alla fine di entrare nel monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino di Agnetenberg presso Dülmen.La vita nel monastero fu per lei molto dura, perché non della stessa condizione sociale delle altre e questo le veniva fatto pesare, come pure le si rimproverava di essere stata accolta dietro insistenti pressioni. A ciò si aggiunse che soffrì di varie infermità, per le conseguenze di un incidente patito nel 1805, fu costretta a stare quasi continuamente nella sua stanza, dal 1806 al 1812.Quando era una contadina riusciva a tenere nascosti i fenomeni mistici che si manifestavano in lei, ma nel monastero, un ambiente più ristretto, ciò non le riusciva, pertanto alcune suore o per zelo o per ignoranza la fecero oggetto di insinuazioni maligne e sospetti di ogni genere.Nel 1811 il convento fu soppresso dalle leggi francesi di Napoleone Bonaparte e le suore disperse; Anna Caterina Emmerick nel 1812 si mise allora al servizio di un sacerdote, emigrato a Dülmen proveniente dalla diocesi francese di Amiens, don Giovanni Martino Lambert.Ed in casa del sacerdote verso la fine di quell’anno, i fenomeni sempre presenti prima, si moltiplicarono e negli ultimi giorni di dicembre 1812 ricevette le stigmate; per due mesi riuscì a tenerle nascoste, ma il 28 febbraio 1813 non poté lasciare più il letto, che diventò il suo strumento di espiazione per i peccati degli uomini, unendo le sue sofferenze a quelle della Passione di Gesù.
Fu sottoposta ad un’indagine sulle stigmate, sulle sofferenze della Passione e sui fenomeni mistici che si manifestavano in lei, indagine che confermò la sua assoluta innocenza e il carattere soprannaturale dei fenomeni.Devotissima dell'eucaristia, traeva la sua forza da essa; si verificò in lei, come in altre mistiche, il fenomeno del digiuno eucaristico: poca acqua e l'ostia consacrata furono sufficienti a tenerla in vita per molti anni.Ebbe visioni riguardanti la vita di Gesù e di Maria, ma soprattutto della Passione di Cristo.È diventato difficile sapere quali visioni furono effettivamente sue, perché un suo contemporaneo, il poeta e scrittore Clemente Brentano (1778-1842) le pubblicò facendo delle aggiunte e abbellimenti al suo racconto, creando così una grande confusione, che pesò fortemente sul futuro processo di beatificazione.  Per l’appartenenza da suora all’Ordine delle Canonichesse Regolari, i monaci Canonici Regolari di sant’Agostino promossero la sua causa di beatificazione, che subì varie battute di arresto, interventi di vescovi e dello stesso papa Leone XIII, coinvolgimenti nelle vicende politiche della Germania, ecc., finché il 4 maggio 1981 ci fu il decreto sull’introduzione della causa. Finalmente questa venerabile suora, mistica, veggente, stigmatizzata del secolo XVIII, è giunta alla fine di un lungo processo di canonizzazione, durato più di 135 anni, san Giovanni Paolo II, papa l’ha scritta nell’albo dei Beati il 3 ottobre 2004. Sia Anna Caterina che il poeta Brentano non erano mai stati in Terra Santa, eppure Anna Caterina ha descritto con sorprendente precisione della casa di Efeso dove vissero Giovanni e Madonna.Alcuni archeologi austriaci, fra cui Il ricercatore francese Julien Dubietpresero sul serio le visioni della monaca agostiniana e, tracciando una mappa topografica basata sulle sue indicazioni, riportarono alla luce, in Turchia a 9 km da Efeso, alcuni resti (mura perimetrali e focolare) di una casa che identificarono come l'antica abitazione nella quale la  Vergine Maria e San Giovanni Evangelista vissero dopo la morte di Gesù. L’edificio, nonostante le trasformazioni subite nel tempo, a nove chilometri a sud di Efeso, su un fianco dell'antico monte Solmisso di fronte al mare, esattamente come aveva indicato la beata Emmerich. La validità delle visioni di Caterina e del relativo ritrovamento, venne confermata anche dalle ricerche archeologiche condotte nel 1898 da alcuni esperti austriaci. Gli archeologi ebbero modo di appurare che l’edificio - almeno nelle sue fondamenta - risaliva al I secolo d.C.
Meryem Ana è visitato ogni anno da migliaia di pellegrini. 
La chiesa cattolica non si è mai ufficialmente pronunciata ma il sito è stato meta dei pellegrinaggi dei papi Paolo VI (26 luglio 1967), Giovanni Paolo II  
(30 novembre 1979) e Benedetto XVI (29 novembre 2006).

Nella foto io e mio marito in visita a Mary Ana. La casa è su una collina e, ai tempi di Maria il mare era visibile ad occhio nudo, ora è distante una trentina di chilometri.
Mi piace immaginare Maria, al tramonto, seduta proprio lì, dove siamo seduti noi, guardare il tramonto sul mare.


"Anche se rimanesse un solo cattolico, la Chiesa vincerebbe di nuovo, perché non si fonda sui consigli e sull'intelligenza umani." 
- Beata Caterina Emmerick -Flamske 
(Germania), 8 settembre 1774 – Dülmen, 9 febbraio 1824
 

San Giovanni-Maria Vianney (Curato d’Ars)

 - Biografia, preghiere

Chi è più soggetto alla tentazione - San Giovanni Maria Vianney (curato d'Ars) 
"Chi sono dunque coloro che subiscono di più la tentazione? Sono senza dubbio gli ubriachi, i mormoratori o gli spudorati che si gettano alla cieca nelle lordure, o l’avaro, che pensa solo ad arricchirsi in ogni modo, direte voi. No, non sono affatto costoro; al contrario, il demonio li disprezza, o meglio, li protegge perché possano fare il male per il maggior tempo possibile, dal momento che più a lungo essi vivranno, più i loro cattivi esempi trascineranno le anime all’inferno. Infatti, se il demonio avesse incalzato troppo fortemente questo vecchio impudico, egli, per i suoi vizi, avrebbe accorciato i suoi giorni di quindici o vent’anni e quindi avrebbe avuto meno tempo per indurre a peccare questa vergine, della quale ha violato il fiore della verginità; o questa giovane che ha gettato nel più infame pantano dei peccati contro la purezza. Non avrebbe avuto il tempo di iniziare al male quel giovane, che forse vi resterà avviluppato fino alla morte. Se il demonio avesse indotto quel ladro a rubare in modo sfrenato, già da tempo sarebbe incorso nel patibolo, e non avrebbe avuto l’opportunità di trascinare qualche altro nel suo vizio. Se il demonio avesse sollecitato quest’ubriaco a riempirsi di vino fino all’orlo, già da tempo sarebbe morto nella crapula; invece, prolungando i suoi giorni, riuscirà a trascinare molti altri col suo cattivo esempio. Se il demonio avesse tolto la vita a questo musicista o a questo maestro di ballo o a questo cabarettista, quanta gente in loro assenza avrebbe scampato il pericolo, mentre se quelli restano in vita, si dannerà per loro. Sant’Agostino ci insegna che il demonio non tormenta troppo queste persone, ma, al contrario, li disprezza e sputa loro addosso. Ma, mi dirai, chi sono dunque quelli che il demonio preferisce tentare? Ascolta attentamente, amico mio. Sono proprio coloro che si mostrano più pronti, con l’aiuto di Dio, a sacrificare ogni cosa per la salvezza della loro povera anima; che sanno rinunciare a tutto ciò che, sulla terra, gli altri ricercano con ansia e con ardore. E non è solo un demonio che li tenta, ma sono milioni quelli che gli piombano addosso, per farli cadere nei loro lacci. Eccovi un esempio. La storia racconta che San Francesco d’Assisi era riunito un giorno con tutti i suoi religiosi, in un grande campo dove erano state costruite delle piccole capanne di giunchi. San Francesco, vedendo che facevano penitenze così straordinarie, ordinò che gli fossero portati tutti gli strumenti di penitenza, e li ammassò come si fa con la paglia. C’era lì un giovane a cui il buon Dio aveva fatto la grazia di vedere il suo angelo custode. Egli vedeva, da una parte, questi buoni religiosi che non potevano saziarsi mai di fare penitenza, e dall’altra, il suo buon angelo custode, gli fece vedere una assemblea di diciottomila demoni, che tenevano consiglio per trovare il modo di travolgere questi religiosi con la tentazione. Ci fu un demonio che disse: “Voi non capite niente; questi religiosi sono troppo umili, (ah! bella virtù!), troppo distaccati da se stessi, troppo attaccati a Dio. Essi hanno un superiore che li guida così bene, che è impossibile poterli vincere. Aspettiamo che il superiore muoia, e allora tenteremo di introdurre in mezzo a loro, dei giovani che non hanno una vera vocazione, e che li spingeranno a rilassarsi, e in tal modo saranno nostri”. Qualche tempo dopo, entrando in città, vide un demonio tutto solo, seduto alla porta della città, per tentare tutti quelli che vi abitavano. Il santo giovane chiese al suo angelo custode, perché, per tentare quei religiosi occorrevano tante migliaia di demoni, mentre per una intera città ce n’era solo uno e anche seduto oziosamente. Il suo buon angelo gli rispose che la gente del mondo non ha affatto bisogno di tentazioni, perché ci pensa da sola a trascinarsi verso il male, mentre i religiosi si comportano bene, nonostante tutte le trappole e le battaglie che il demonio procura loro."
(S. Giovanni M. Vianney)



Gli spiriti cattivi si manifestano in tutt’altro modo che gli Angeli: irradiano una luce torbida, come un riflesso, sono pigri, stanchi, sognanti, malinconici, arrabbiati, selvaggi, rigidi e passivi, oppure leggermente mobili e passionali. Ho notato che questi spiriti sprigionano gli stessi colori che avvolgono gli uomini durante le sensazioni dolorose, provenienti da situazioni di sofferenze estreme e travagli dell’anima. Sono gli stessi colori che avvolgono i martiri durante la trasfigurazione della gloria del martirio. Gli spiriti cattivi hanno visi affilati, violenti e penetranti, si insinuano nell’animo umano come fanno gli insetti quando sono attratti da determinati odori, sulle piante o sui corpi. Questi spiriti penetrano dunque negli animi risvegliando negli esseri ogni genere di passione e pensieri materiali. Il loro scopo è di separare l’uomo dall’influsso divino gettandolo nelle tenebre spirituali.
- Beata Anna Caterina Emmerick - 

Buona giornata a tutti. :-)
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Emmerick Anna Katharina, beata (1774-1824) La Passione del Signore
Vidi un grande edificio in una zona alberata sul versante meridionale del monte Sion, non lontano dalle rovine del palazzo di Davide. Nel cortile spazioso di questa soli da costruzione vidi altre case, tra le quali quella del maestro di mensa e un'altra dove si radunavano la santa Vergine e le pie donne dopo la morte di Gesù. L'edificio si trovava in pessime condizioni, quando di venne proprietà di due buoni membri del sinedrio, Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea. Essi provvidero a ristrutturare la sala principale allestendola come cenacolo per i banchetti pasquali degli stranieri. In questo locale vi avevano abitato i prodi capitani di Davide. Nel cenacolo non ho visto finestre: la luce scende dai fori praticati nelle alte volte; dal soffitto pendono molte lucerne. Durante le feste le pareti vengono coperte fino a metà altezza da meravigliose stuoie e tappeti e un velo blu viene steso al di sopra di un'apertura nel tetto. Una tenda simile separa la sala principale dei banchetti dal vestibolo, al quale si accede da tre ingressi. Dietro la sala principale si trova un locale interno, ai cui lati vengono deposti gli arredi e gli oggetti del culto, e al centro c'è un focolare che serve per cuocere i pani azzimi e arrostire l'agnello pa squale, ma viene usato anche per bruciare gli incensi e gli avanzi del pasto. La divisione del cenacolo in tre parti — vestibolo, sala centrale e sala interna — è simile alla struttura del tempio: atrio, santuario e santo dei santi. I locali situati nell'altra ala dell'edificio servivano da deposito per le grandi pietre tombali ed edilizie e come officina degli scalpellini, poiché Giuseppe d'Arimatea possedeva al suo paese cave di pietre della miglior qualità; egli commerciava in lapidi, ornamenti architettonici e colon ne, e tutto veniva lavorato sotto la sua guida. Nicodemo collaborava con Giuseppe nell'attività commerciale, inoltre si occupava di sculture e lavori d'intaglio. Eccetto i giorni di festa, lo si vedeva spesso in questa sa la intento a scolpire disegni e ornamenti sulla pietra.


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Branduardi 

"Ballo in fa diesis minore", dell'Album la "Pulce d'acqua" del 1977.

Da:La pulce d'acqua (1977)


Angelo Branduardi - State buoni se potete [1983 original soundtrack] (1/3)


Angelo Branduardi - State buoni se potete [1983 original soundtrack] 1/2

Angelo Branduardi - State buoni se potete [1983 original soundtrack] 1/3

martedì 27 marzo 2018

I GIORNI DELLA TENEREZZA "La cena del profumo"

La settimana santa di don Angelo

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C'è un modo speciale di scandire i giorni della settimana santa, di entrare nel grande mistero della cristianità, di assaporarne in maniera aperta e poetica tutti i momenti: è farsi accompagnare da donAngelo Casati e dal libro che ha pensato per noi
"I giorni della tenerezza". Don Angelo ci conduce con il suo stile poetico e profondo nei giorni cruciali della vicenda di Gesù, nel luogo decisivo di ogni incontro con Lui. Le sue meditazioni accendono una luce delicata e poetica sui giorni della settimana santa. La sua Via Crucis scandisce i principali momenti della Passione di Gesù per trasformarli in orizzonti di libertà. "Don Angelo - ha scritto di lui Erri de Luca - rianima la parola antica, ci soffia sopra e quella torna a sprigionare fiamma". E' un dono speciale avere questo prete speciale come amico. Leggere le sue pagine è sentirsi un compagno di viaggio accanto che non conduce, che non accentra su di sè l'attenzione, ma che ci aiuta a tenere aperte porte di amore, di fiducia e di libertà.

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I GIORNI DELLA TENEREZZA
Angelo Casati

Capitolo
"La cena del profumo"

all'aprirsi della Settimana Santa
vai alla scheda del libro
 «E tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (Gv 12,3) 
A introdurci in una meditazione, lungo i giorni della Settimana detta santa, il racconto di una cena, la cena di Betania. Introduzione dovuta, si potrebbe pensare, se si vuole accompagnare il Signore Gesù, in questo suo estremo passaggio, secondo la cadenza dei giorni: “sei giorni prima della pasqua” scrive l’evangelista Giovanni.

Introduzione affascinante se si pensa come questa cena sveli i pensieri del cuore, sveli la qualità delle relazioni. La cena di Betania sembra dirci una cosa importante: che una Pasqua avvenga o al contrario faccia naufragio, al di là della cadenza cronologica, dipende dalla relazione, dalla fede, dalla qualità della relazione che ci lega a Gesù.

L’episodio di Betania vede un incrociarsi di relazioni, le più diverse, in quella sala del banchetto. La curiosità dei molti, poco fuori la sala, vogliosi di vedere il Rabbì che ha chiamato l’amico dalla tomba, la pervicacia spietata dei capi religiosi che lo stanno braccando, il silenzio sorprendente di Lazzaro, l’attivismo frenetico di Marta, la mentalità mercantile dei discepoli e il gesto tenero di Maria, che unge i piedi di Gesù con un olio costosissimo, da capogiro, e li asciuga con i suoi capelli. Enorme distanza, siderale distanza, da un lato i personaggi dentro e fuori la sala, dall’altro la donna del profumo. Una cosa accomuna, pur con gradazioni diversissime, tutte le relazioni, all’infuori di quella di Maria: non vanno al cuore, non vanno al cuore del mistero, del mistero di Gesù.

E ci verrebbe da dire: passi, lo potremmo anche capire, che al cuore di Gesù non arrivino i suoi nemici, esautorati da quel Rabbì sovversivo, potremmo anche capire che estranei rimangano i curiosi della folla in ricerca pruriginosa di segni eccezionali. Ma il problema si fa più angosciante, più triste, quando lontani dal cuore del mistero di Gesù, alla periferia, appaiono i suoi amici. Perché quella di Betania era una casa di amici, e lui andrà, quasi ogni sera, in quella casa. Andrà a prendere un po’ di fiato, un briciolo di vicinanza, un sorso di coraggio nei giorni precedenti la Passione. E che bello che Gesù sia così, come uno di noi in cerca di amici!

Casa di amici e a far contrasto il silenzio di Lazzaro, e le mille cose di Marta, come assenti là dove è in questione il cuore. Ecco perché questa cena alla soglia della Settimana santa insegna. Ci interpella su come noi ci introduciamo in questa settimana che chiamiamo santa. Noi vi entriamo, come nella sala del banchetto di Betania, ma potremmo esserci rimanendo alla periferia, senza entrare in una relazione, muti come Lazzaro o lontani nelle mille cose come Marta.

Fa problema l’atteggiamento di Lazzaro e di Marta, ma fa problema, è inquietante, è alla periferia del mistero anche l’atteggiamento dei discepoli. Parlo al plurale, perché a qualcuno viene spontaneo pensare che l’evangelista Giovanni un poco ce l’abbia con Giuda, attribuendo solo a lui quella critica sul costo dell’unguento profumato, che altri evangelisti registrano al plurale, come critica di tutti. Ne fanno una questione di soldi e di poveri: «Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?». Ma dov’è il loro cuore? Ma lo vedono il dramma che segna il volto di quel loro Maestro? Ma dove sono? Usano belle parole, che sembrano eticamente generose, ma desiderano soltanto dare spettacolo di sé.

«Anche oggi» scrive un commentatore attento «assistiamo allo spettacolo di parole cristiane in libertà. Perdono, amore del prossimo, rispetto della religione. Vengono adoperate da persone a cui non interessa niente né del prossimo, né della religione, né dei poveri, né di niente. Rito perfettamente omogeneo alla volgarità dello spettacolo che va in scena ogni giorno. Funziona sempre e tutti abboccano» (Pierangelo Sequeri, L’ombra di Pietro, pp. 38-39). Con questi atteggiamenti rimaniamo alla periferia, anche se siamo, anche se saremo tra pochi giorni nella sala del banchetto.

E c’è Maria, l’unica che si avvicina al mistero di quel suo amico, va al cuore delle cose, al cuore della fede, che è relazione vera. Relazione che è fatta di cuore. Per questo qualcuno distingue tra religione e fede, e dice che le religioni non salveranno l’umanità, perché le religioni si possono svuotare di cuore, di cuore e di fede. La fede non è fede senza che dentro vibri il cuore, senza che dentro vibri almeno una briciola della tenerezza di Maria. Una religione, appiattita sui calcoli umani, sta nella sala e non capisce, non è sfiorata dal mistero.

Voi mi capite, c’è qualcosa da rompere. C’è da rompere il vaso che trattiene il profumo. C’è da rompere qualcosa anche nella nostra vita, se vogliamo fare pasqua, se vogliamo che nella sala, nella sala della chiesa e nella sala dell’umanità, ci sia profumo: «e la casa» è scritto «si riempì di profumo». C’è da rompere questa mentalità mercantile che ci sta inquinando. Se non la rompiamo, udremo parole religiose, ma sarà solo spettacolo, volgare spettacolo.

Solo chi ha la tenerezza che va al cuore, al problema dell’altro, solo chi ha il coraggio di rompere il vaso che trattiene il profumo potrà sostare questa settimana sotto una croce. A contemplare il Signore della croce. A odorare il profumo, profumo di vita, che viene dal vaso squarciato di quel cuore, il profumo che viene da quell’amore incondizionato. Profumo per noi e profumo per tutta la terra.

«Tenete fisso lo sguardo su Gesù»: invita la lettera agli Ebrei e sembra di cogliere un appello per i giorni che ci attendono. Lo faremo, io ne sono certo! Ci ritaglieremo in questi giorni un tempo per tenere fisso lo sguardo. E gli occhi, lasciatemelo dire, siano gli occhi di Maria di Betania, il suo sguardo per l’amico. Ci sia dato, ce lo auguriamo, di avere occhi capaci, dopo anni, di stupirci e di sostare, ancora una volta, al mistero, il mistero dell’eccedenza. Qui qualcosa eccede. Chiamati dunque anche noi ad assistere a un eccesso, l’eccesso evocato dal profumo costosissimo di Maria.

È come se la donna avesse inventato con quel suo profumo una parabola, quasi volesse raccontare con quel profumo, che le era costato un patrimonio, a quelli che erano nella casa e oggi a tutti noi, il mistero della dismisura, dell’eccedenza. Fuori dai canoni e da ogni misura, l’amore del suo amico e maestro! Come fuori dai canoni e da ogni misura era quel profumo con cui gli cospargeva i piedi, fuori dai canoni e da ogni misura i suoi capelli con cui glieli asciugava teneramente.

Anche noi sosteremo alla dismisura della donazione di Gesù. E chi di noi avrà capito non potrà nella vita non avere gesti che raccontano l’eccedenza, lo spreco dell’amore, la dismisura.

E dove succede questo e quando succede questo, dove si esce e quando si esce dalla mentalità del calcolo, allora c’è profumo: «e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo». C’è profumo dentro di te, c’è profumo nella casa, c’è profumo nella società, c’è profumo nella chiesa, c’è profumo nella vita. In gesti, vorrei aggiungere, silenziosi. Non c’è nel racconto una parola che è una di Maria. Ma c’è profumo. Forse anche per questo oggi c’è così poco profumo, siamo invasi da parole e spesso parole che sbandierano il bene comune mentre sottendono nascosti interessi. E dove c’è calcolo, dove il calcolo viene ammantato di bene comune, come succede a Giuda, c’è odore di morte, di morte di noi stessi, della società, della chiesa. Non è forse scritto nella prima lettera di Giovanni: «Chi non ama rimane nella morte» (1 Gv 3,14)? Porta nella vita un’aria di morte, anche se cerca di incantare.

Sono due mondi e noi possiamo, quasi senza avvedercene, passare dall’uno all’altro. Sono due mondi che intersecano la storia. All’inizio del racconto e alla fine del racconto il cattivo odore della morte: Giovanni annota che lo vogliono togliere di mezzo. Volti spenti, immobili nei loro riti interessati, senza eccessi e senz’anima. Non è lì il profumo di una umanità autentica.

A fugare questa coreografia buia, ci rimanga quasi miracolo il ricordo di Gesù e della sua amica. Lì c’è profumo. C’è la sapienza del vivere, la sapienza di un unguento, che profuma proprio nell’atto di schiudersi e di darsi e non nell’atto di chiudersi e di tenersi. È la sapienza su cui fissare lo sguardo, contro le predicazioni del calcolo, dell’interesse, della chiusura. Fuori è la stoltezza da cui ci mette in guardia il Cantico dei Cantici, quando ci ricorda che vendere l’amore per quattro soldi o per un barlume della propria immagine, vendere l’amore per qualcos’altro è operazione di inimmaginabile insipienza: «Se uno» scrive il Cantico «desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore non ne avrebbe che disprezzo» (Ct 8,7).

I passi ci conducano alla Pasqua. Là troveremo scritta, a caratteri di sangue e di fuoco, la sapienza nuova. Che profuma la casa e la terra.
Da : www.romena.it/15-news/news-da-romena/1269-la-settimana-santa-di-don-angelo

All’uomo del sorriso




Ciao Fabrizio da giuma56🙏🏻🙏🏾🙏



Per ricordare L’uomo del sorriso , ho scelto le parole di Renato Zero.

Sperando che anche da lassù si possano ricevere messaggi…Te ne vai lasciando dietro di te il bell’esempio che sei stato per tutti. Il tuo rassicurante sorriso che spargevi come polvere magica su questi Italiani che non hanno resistito alla tua simpatia, amabilità ed eleganza. Ma il coraggio sarà la dote tua che si racconterà per sempre. Io personalmente mi sono beato della tua amicizia, discreta ma così meravigliosamente rumorosa. Mi ha rassicurato sapere che c’eri che eri una realtà, in un mondo dove le favole sono state avvelenate dall’ipocrisia e dalla crudeltà umana. Il mondo non sarà lo stesso, ma per tanti come me il tuo ricordo sarà come un richiamo costante e necessario per fare sempre meglio ed osare di più.Non ti perderai tra le nuvole perché il tuo papà che io ho ammirato tanto e al quale ho voluto un gran bene è già lì a riceverti. Stai sereno che ciò che hai lasciato ci difenderà dagli inverni che dovremo ancora attraversare. Veglia sulla tua bellissima famiglia che lascerà sempre un posto a tavola e non permetterà al tempo di dispendere le tracce del tuo profumo e della tua presenza. Canterò per te e farò in modo che nella mia modestissima rappresentazione tu abbia ad essere sempre orgoglioso di me!
Ti voglio bene Fabrizio e questo sarà per sempre. 
Renato


Renato Zero - Amico

domenica 25 marzo 2018

Padre, perdona loro


Padre, perdona loro
Anselm Grün

Padre, perdona loro

Le sette parole di Gesù sulla crocee

Saggio, mago o angelo? Chi è Gandalf?

Gandalf: Saggio, mago o angelo? Chi è Gandalf?

la forza umana non è magia ma saggezza, conoscenza delle leggi della natura e anche bontà, dedizione e coraggio.

Kadr z filmu
La popolare figura del mago della storia di Tolkien ha le caratteristiche distintive di un saggio cristiano e di un angelo. E ha qualcosa anche dei Re Magi…
Gandalf è senz’altro uno dei maghi più famosi nella storia della letteratura. Questo anziano dalla barba grigia che si appoggia a un bastone è tra i personaggi più riconoscibili dei racconti di Tolkien, sia per gli elfi che per gli umani, gli hobbit e i nani, che lo conoscono e lo valorizzano. Pochi, tuttavia, sanno da dove è venuto e con quale proposito. Ma chi è davvero questo anziano?
È un mago, un angelo o Odino?
Questo anziano dal mantello grigio e il cappello a punta non è un figura creata da zero da Tolkien, che si è infatti ispirato a varie fonti. Non è difficile vedere in Gandalf similitudini visive con il nordico Odino o Väinämöinen, l’eroe dell’epopea finlandese Kalevala. Se lo guardiamo da vicino, però, vedremo in lui anche molte caratteristiche del saggio cristiano e perfino di un angelo.
Gandalf era membro della misteriosa fratellanza degli Istari, più noti come maghi o saggi. Arrivati nella Terra di Mezzo dall’altro lato del mare, dal Regno Benedetto di Aman, avevano il compito di sostenere gli elfi e le persone nella lotta contro Sauron. Erano stati inviati lì dai Valar, potenti spiriti fedeli al Creatore di Arda.
In una delle lettere scritte da Tolkien al sacerdote gesuita Robert Murray, l’autore de Il Signore degli Anelli descrive Gandalf con il termine greco Ἄγγελος, che significa messaggero o angelo. Gli Istari sono come angeli biblici inviati a servire gli abitanti della terra con consigli e saggezza, perché il Creatore non abbandona i suoi figli.
Dire però che Gandalf sia per Tolkien la metafora dell’angelo sarebbe troppo semplice. Anche se la sua missione è simile a quella degli angeli biblici (guida gli hobbit nelle loro avventure come l’arcangelo Raffaele guida Tobia), il mago è un essere spirituale all’interno di un corpo in carne e ossa, che sperimenta ad esempio tutto ciò che è fisico e psichico, il dolore e la paura. Il corpo degli Istari, inoltre, è mortale. Non si liberano quindi di tutte le tentazioni terrene (della Terra di Mezzo).
È forse un mago o un saggio?
Dotati di un corpo, i maghi vengono inviati nella Terra di Mezzo con una missione: devono sostenere persone, elfi, nani e hobbit nella lotta contro Sauron. Il padrone dell’oscurità, tuttavia, cerca di trascinarli dalla sua parte. Dei cinque Istari che arrivano nella Terra di Mezzo, alcuni rimangono invischiati nelle trappole di Sauron, altri si allontanano e non svolgono la loro missione.
Solo Gandalf riesce a superare tutte le prove a cui è sottoposto. Mostra grande umiltà e coraggio, dedicando la sua vita alla difesa della Compagnia dell’Anello a Moria, nella lotta contro il Balrog.
Secondo quanto ha scritto Tolkien a padre Murray, la vicenda di Gandalf per alcuni aspetti è un sacrificio più grande di quello di un semplice mortale, perché “è stata l’umiliazione e l’abnegazione d’accordo con i Principi”. In questo modo, Gandalf ha messo la questione direttamente nelle mani del Creatore, che lo riporta alla vita e gli permette di portare a termine con successo la missione di lottare contro Sauron.
La sua vittoria, però, non è dovuta a capacità magiche. La forza di Gandalf è costituita dall’umiltà, dalla saggezza e dalla conoscenza delle leggi che reggono il mondo. Non dà alla gente armi potenti, non insegna incantesimi mortali. Serve con consigli e saggezza. Con una parola gentile risveglia ciò che c’è di più bello: lo spirito d’amore, coraggio e audacia, il desiderio di libertà – un po’ come i saggi eremiti dei primi secoli del cristianesimo. Usa estremamente poco i poteri soprannaturali, solo in caso di necessità straordinaria. È un saggio che capisce perfettamente i meccanismi del mondo. Può leggerli e interpretarli, come i Re Magi, che osservando le stelle scoprirono la nascita di Gesù.
Gandalf non è un mago comune, come Merlino o Silente. È una sintesi peculiare di esseri angelici e dell’archetipo del Vecchio Saggio. Tolkien dà un messaggio chiaro ai suoi lettori: la forza umana non è magia ma saggezza, conoscenza delle leggi della natura e anche bontà, dedizione e coraggio.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
Da:

Lord of the Rings Medley – Lindsey Stirling