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martedì 31 marzo 2015

Dio è con noi ...: Settimana santa.





La “grande settimana”.      combonianum.org

Settimana_santa2015
Per i primi cristiani la celebrazione pasquale si inscriveva in un quadro temporale ben preciso: non arrivava in un momento qualsiasi dell’anno, ma al termine di un periodo eccezionale, una settimana particolare nella quale tutto aveva inizio, e tutto veniva portato a compimento. La chiamavano la “grande settimana”: dalla domenica delle Palme a Pasqua, mentre noi parliamo di lunedì santo, martedì santo, eccetera.
Detto questo, sarebbe auspicabile lasciare la possibilità di scegliere la terminologia antica, che evoca con maggior forza le parole e le vicende che sono a fondamento della nostra fede. L’ingresso nella grande settimana suggerisce l’idea di un esodo, un cammino di liberazione che permette di passare da un mondo a un altro. Non bisogna mai temere di mettersi in cammino, né di abbandonare per un breve intervallo di tempo quel clima di superficialità nel quale il più delle volte viviamo.
Questo richiede un certo coraggio. Per ritrovare il significato profondo della grande settimana e gustarla in tutto il suo spessore i cristiani devono imparare a dedicarvi tempo. Non si entra in questa settimana eccezionale come si parte per il week-end! Ci vuole coraggio per sbarazzarsi di tutto il “vecchiume”, ciò che è abitudinario, le pose “inacidite”, i vecchi orizzonti, le solite occupazioni e preoccupazioni, le vecchie angosce… La vera domanda da porsi per il cristiano è: sono disposto a perdere del tempo per poterlo ritrovare come dono alla sorgente?
Probabilmente è ciò che vivono, in luoghi come Sylvanès, persone e amici che percorrono fino a mille chilometri, dopo aver preso ferie e lasciato talora il loro paese, e arrivano a volte il giorno delle Palme per poi ripartirsene il lunedì dell’angelo.
Durante la grande settimana non vale più l’assioma che “il tempo è denaro”, e si lascia spazio alla sete interiore e a ciò che è urgente nell’ottica di Dio.
Ma che cosa succede tra la domenica delle Palme e Pasqua? In quegli otto giorni si ripercorrono per sommi capi i grandi eventi che Cristo ha vissuto per portare a compimento il mistero della sua pasqua, per noi e con noi, attraverso la propria persona.
Il mistero è unico. Possiede una sua coerenza essenziale: è il mistero del passaggio dalla morte alla vita. La grande settimana ripercorre questo mistero nei suoi diversi momenti. Ce li ricorda come si commemora l’anniversario dei grandi eventi storici che sono a fondamento di ciò che continuiamo a vivere nel presente. Per noi cristiani si tratta di compiere un passaggio, con Cristo e con la nostra umanità, verso Dio, il Padre.
André Gouzes, La notte luminosa. Iniziazione al mistero della Pasqua, Edizioni Qiqajon 2014

Le Croci - don Tonino Bello

da Leggo&Rifletto 


Miei cari fratelli,

mi era venuta in mente l’idea di intitolare questa lettera così: “L’Internazionale della Croce”. Ma poi l’ho scartata. 
Prima di tutto, perchè poteva apparire solo una bella frase ad effetto. E poi perchè temevo che evocasse spettri di chi sa quali contaminazioni. La frase, però, mi sarebbe servita tantissimo per far comprendere una verità fondamentale: che non c’è solo la Croce mia, la sofferenza tua, il dolore di Angela, la tragedia di Franco, l’agonia dei singoli. C’è anche una croce collettiva.
C’è anche una sofferenza comune. C’è anche un dolore di classi. C’è anche una tragedia di popoli. C’è anche un’agonia di gruppi umani ben definiti.
E per poco che uno, da un terrazzo del Calvario, si metta a contemplare il panorama sottostante, gli è dato sentire non solo l’affanno dei malati, il pianto dei delusi, il gemito degli sfortunati che arrancano sui tornanti del Golgota.
Ma gli toccherà giù, alle pendici del colle, Croci enormi che ondeggiano sospinte da folle sterminate di oppressi. Lì c’è la Croce dei paesi del Quarto Mondo condannati allo sterminio per fame. Accanto, avanza la croce sostenuta da una turba, incredibilmente privata dei diritti fondamentali dell’uomo, su cui grava la congiura del silenzio. Più in fondo si intravede il patibolo di intere popolazioni considerate marginali dalle grandi potenze, e destinate cinicamente al genocidio.
Ecco lì la croce dei “desaparecidos”. 
Ecco quella degli abitanti di Haiti. 
Ecco quella dei massacrati del Guatemala. 
Ecco la croce che schiaccia la schiena delle popolazioni afgane. 
Ecco quella trascinata dalle tribù violente dell’Iran. 
Più in là la croce dei dissidenti dell’Est, che copre, con la sua ombra, interminabili campi di concentramento, squallide prigioni e lontanissime terre di esilio. 
Poi sotto gli occhi, ecco la croce delle grandi masse di tutta la Terra discriminate dalle leggi razziali del mercato. 
Condannate dalle centrali del Capitalismo mondiale, a non risollevarsi mai, a rimanere sempre subalterne, a diventare sempre più schiave, sempre più umiliate, sempre più offese.
Miei cari fratelli, non fate lo sbaglio di dire che il vostro Vescovo sta facendo politica solo perchè cerca di distogliervi da un certo “uso intimistico” della Croce, o da una visione “formato personale” della via del Calvario. Non accusatelo d’inquinare l’atmosfera quaresimale con ingredienti poco ascetici sol perchè tenta di sottrarvi al consumo troppo domestico della Passione di Gesù. Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche staccare tutti coloro che vi sono appesi, noi oggi siamo chiamati ad un compito della portata storica senza precedenti:”Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi”.
Pertanto, non solo dobbiamo lasciare “il belvedere” delle nostre competizioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare con coraggio ed intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
In oscure centrali della terra ci sono dei Cagliostri che con alchimie macabre di potere confezionano per noi croci sintetiche che addossano poi sulle masse sterminate di poveri.
Per noi, oggi, essere fedeli alla Croce di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, significa disintegrare queste fucine di morte e distruggere tutte le agenzie periferiche di questi arsenali di giustizia planetaria.
E forse non c’è bisogno di andare troppo lontano per scovarle. Perchè piccole succursali di queste botteghe, veramente oscure, dove si confezionano croci collettive, esistono anche nelle nostre città.

Con grande Speranza. Vostro.


- Don Tonino Bello -



"Io sono convinto che un giorno il Signore giudicherà con questo criterio le autorità. Non dirà «ero senza chiesa e mi avete costruito la chiesa», ma «ero senza casa e mi avete costruito la casa». Costruiremo anche la chiesa, però quello che ci interessa di più è dare la casa anche ai poveri".

- don Tonino Bello -


La morte di croce respinge "l’incompreso" nella zona del silenzio...

...Essere uomini significa essere destinati alla morte. Essere uomini significa dover morire, conoscere la contraddizione per cui, dal punto di vista biologico, morire è un fatto naturale e necessario, ma, al tempo stesso, nella sfera biologica si è dischiuso un centro spirituale che aspira all’eternità e alla cui luce il morire non è un fatto naturale, bensì illogico, è un essere cacciati dalla sfera dell’amore, è una lacerazione di quel rapporto di comunione che vuole stabilità. In questo mondo, vivere significa morire. «Si è fatto uomo» significa, dunque, anche questo: ha imboccato la via della morte. La contraddittorietà propria della morte umana conosce in lui tutta la sua asprezza. In lui, infatti, che vive fino in fondo la comunione e il dialogo con il Padre, l’isolamento assoluto della morte appare del tutto inconcepibile. D’altra parte, proprio in lui la morte trova la sua più specifica necessità. Abbiamo visto, infatti, che proprio il suo essere con il Padre fonda anche l’incomprensione da parte degli uomini e così il suo isolamento nella vita pubblica. La morte di croce è l’atto ultimo e conseguente di questa non-comprensione, di questo rifiuto dell’incompreso, respinto nella zona del silenzio...

- Card. Joseph Ratzinger  -
da "Il Dio di Gesù Cristo" 




"Grazie terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che proprio per questo mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli".

- Don Tonino Bello - 



"Caro Gesù, asciuga le lacrime segrete di tanta gente che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri".

- Don Tonino Bello - 



“A me, vostro vescovo e padre, viene la voglia di inginocchiarmi davanti a voi per ricevere la vostra benedizione. Non abbiate timore. Dátemela, nel nome del padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E così, rafforzato dal vostro segno di Croce, sarò più pronto e più forte nel proclamarvi le meraviglie compiute da Dio, lo Sposo che ci ha sedotti ma senza abbandonarci”.

- Don Tonino Bello - 


Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l'onestà. E la speranza non delude.

 - don Tonino Bello -






Buona giornata a tutti. :-) leggoerifletto: Le Croci

lunedì 30 marzo 2015

Dalla depressione alla carità.





DALLA TENTAZIONE DI SUICIDIO ALLA CARITÀ: LA PASQUA DI PADRE SEMERIA

Una testimonianza del barnabita di cui è in corso il processo di beatificazione


La tentazione del suicidio assalì, durante una forte depressione negli anni 1915-1916, il barnabita padre Giovanni Semeria (1867-1931), di cui è in corso il processo di beatificazione. Grazie all’umiltà di chiedere aiuto in quel malessere e alla vicinanza assidua di varie persone riacquistò la salute e si diede alle opere di carità. Leggendo quanto scrisse successivamente – «Le malattie sono tutte brutte, i malati bisogna compatirli tutti e sempre. Ma questa malattia compatitela molto» - con fondamento si può dire che l’aver attraversato e vinto quella “orribile tentazione” lo aprì alla carità verso i più bisognosi. Fu reso capace di comprendere chi soffre proprio dalla sofferenza che lui stesso sperimentò, come si legge dagli scritti del periodo più acuto della depressione:
Sentendomi talora provocato al suicidio in momenti di grande tristezza, voglio qui protestare che se cedessi alla orribile tentazione, chiedo  perdono a Dio e agli uomini… Mi sono accorto di essere ben diverso da quello che mi credevo, inferiore a ciò che mi credevano gli altri – inetto alla lotta della vita, che ho pure combattuto altre volte in circostanze non facili… Io non ho che da accusare me stesso – non ho nessuna ragione di lagnarmi degli altri… Non ho tenuto abbastanza accesa in me la fiamma della fede e della carità…. Me ne accuso, me ne pento – lo dichiaro perché dalla mia morte non si tragga argomento alcuno contro una fede alla quale anche morendo voglio rendere testimonianza. Ho la disperazione nell’animo – non sono più buono a niente… Non è la vita che è brutta, io mi sento oramai inetto a viverla utilmente per me e per gli altri… La provocazione diviene di giorno in giorno più grave, più forte… sento turbarsi la mia intelligenza e vacillare la mia volontà… le notti in specie sono tremende (1 marzo 1916).
Vi scrivo in un momento di grande tristezza… Non mi sento più lo stesso uomo di prima; idee nere, sentimenti poco buoni travagliano l’anima; vedo fosco l’avvenire… Domando anticipatamente perdono a tutti se la mia condotta non dovesse rispondere ai miei doveri. Ho una apatia immensa dentro; nulla mi interessa, nulla mi attrae…Fo uno sforzo in questo momento per scrivervi. E penso con invidia alla vita operosa dei confratelli di costì, alla loro bontà. Divento cattivo, mi sento cattivo… A volte mi pare di perdere la testa.

*

A cura di P. Pietro Messa, ofmIl barnabita p. Giovanni Semeria, di cui è in corso il processo di beatificazione, dopo essere stato un grande e famoso predicatore, cadde in una forte depressione. Grazie anche alla vicinanza di molte persone riacquistò la salute e si diede alle opere di carità. Se riguardo al dicembre 1915 ebbe a scrivere che "un giorno non mi sentii più io: mi spaventai di me", riferendosi al settembre 1916 scrisse: "E un bel giorno mi sentii me stesso. Le ali erano rispuntate". ​L'articolo di Anthony Bianco, L'orribile tentazione di padre Semeria - apparso in Barnabiti Studi 1 (1984), pp. 193-208 - descrive accuratamente i momenti più acuti e drammatici della depressione di padre Semeria, riportando soprattutto gli scritti del medesimo e di coloro che gli stettero maggiormente vicino.Ulteriori approfondimenti in:A. M. Gentili, Padre Giovanni Semeria nel 75° della morte. Lineamenti biografici e rassegna bibliografica, in Barnabiti Studi,  23 (2006), pp. 291-377, in 

http://ufficiocomunicazioni.barnabiti.net/?
wpdmact=process&did=MjcuaG90bGluaw==A 75 anni dalla morte del Servo di Dio P. Giovanni Semeria. Una coscienza insoddisfatta. Atti del Convegno (Roma, 15 marzo 2007), in Barnabiti Studi 25 (2008), inhttp://ufficiocomunicazioni.barnabiti.net/?wpdmact=process&did=NDEuaG90bGluaw==Segue PDFpdfGiovanni_Semeria_e_la_orribile_tentazione.pdf

domenica 29 marzo 2015

Settimana Santa, non sia solo una parentesi sacra in una vita fatta di interessi terreni .


 Spiritualità della Settimana Santa Kairòs
Leonardo da Vinci, L'ultima cenaSettimana Santa, non sia solo una parentesi sacra in una vita fatta di interessi terreni
di Stefano Bimbi
La Settimana Santa inizia con la Domenica delle Palme e finisce con il Sabato Santo alle soglie della Pasqua di Risurrezione.
Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo in obbedienza al Padre, ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, affrontando per amore nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione. È bene capire che Gesù ha scelto liberamente di vivere la passione, non è stato costretto dalle guardie che l'hanno arrestato o dai tribunali umani che l'hanno condannato. Più volte nel Vangelo si legge che la folla voleva uccidere Gesù perché pur essendo uomo, si proclamava Dio. Una volta volevano buttarlo giù dal precipizio, un'altra volevano lapidarlo e per questo avevano raccolto le pietre, ma in tutti questi casi Gesù si dileguava e non riuscivano ad ucciderlo. È quindi per una sua precisa volontà che è stato crocifisso quando è venuta l'Ora che aveva più volte annunciato. Questo ci permette di capire che Gesù è morto in croce per i nostri peccati, non perché è stato costretto dagli eventi. Ciascuno di noi vivendo la Settimana Santa può quindi dire: "Gesù è morto per i miei peccati, per salvarmi dalla morte e quindi io devo partecipare con il cuore vedendo il giusto (Gesù) che muore per l'ingiusto (che sono io)!". Ecco perché, in vista di una fruttuosa partecipazione alla Settimana Santa, ogni cristiano è invitato a confessarsi per poter partecipare con maggiore frutto alla Santa Pasqua.
Nella Domenica delle Palme si ricorda l'ingresso di Gesù a Gerusalemme quando fu salutato dalla folla festante; ma, a quell'ingresso trionfale, seguì ben presto la condanna e la morte di Gesù. Dall'"osanna" al "crucifige": è questo il mistero del cuore umano. Certamente, in mezzo a quella folla che gridò "crocifiggilo" vi furono molti che poco prima accolsero trionfalmente Gesù e che, forse, erano stati anche miracolati da Lui. 
Non si può ascoltare la parola di Cristo per quanto riguarda i nostri rapporti in chiesa, e poi ascoltare i criteri del mondo per quanto riguarda la vita pratica. Gesù e il suo Vangelo devono essere la direttiva costante della nostra vita. Con il Triduo Pasquale, "centro di tutto l'anno liturgico" come recita l'annuncio della Pasqua che si legge nella Santa Messa dell'Epifania, la Chiesa fa memoria del grande mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Il Giovedì Santo è il giorno in cui si fa memoria dell'istituzione del sacramento della Comunione e del Sacerdozio ministeriale. In mattinata (o, in alcune città, il mercoledì sera), ciascuna diocesi, radunata nella Chiesa Cattedrale attorno al Vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro Crisma, l'Olio dei catecumeni e l'Olio degli infermi. Durante la Messa crismale, avviene anche il rinnovo delle promesse sacerdotali. Ogni sacerdote rinnova gli impegni che si è assunto nel giorno dell'Ordinazione. È bene che i fedeli accompagnino i sacerdoti con la preghiera personale.
Nel pomeriggio del Giovedì Santo inizia effettivamente il Triduo pasquale, con la memoria dell'Ultima Cena, nella quale Gesù istituì il Memoriale della sua Pasqua, dando compimento al rito pasquale ebraico. Qui è bene chiarire che la Santa Messa, ogni Santa Messa, non è rivivere l'Ultima Cena. Memoriale non vuol dire semplicemente ricordare, ma attualizzare il sacrificio sulla croce di Gesù. Infatti senza la morte e risurrezione di Nostro Signore, l'ultima cena perderebbe qualunque significato di nuova ed eterna alleanza. Infatti le parole di Gesù che vengono utilizzate nella consacrazione ebbero durante l'Ultima Cena il verbo al futuro, sottintendendo che il pane spezzato e il vino versato erano il corpo spezzato e il sangue versato sulla croce. Noi utilizziamo i verbi al passato per intendere un fatto già compiuto, la passione, morte e risurrezione di Gesù, ma non dobbiamo dimenticare questo importante particolare e cioè che alla Santa Messa noi attualizziamo, cioè rendiamo nuovamente presente, l'unico sacrificio di Cristo: la sua morte in croce e la risurrezione.
Tanti cristiani purtroppo dimenticano questo fatto e pensano che la Santa Messa sia un banchetto, una festa, un ritrovo della comunità, ecc. Solo se si comprende che la Santa Messa è invece la partecipazione ad un sacrificio, la si vive appieno in un clima di raccoglimento e di preghiera. Come Maria sotto la croce parteciperemo con il cuore agli eventi drammatici che Cristo vive per noi. Bando quindi a canti sguaiati, battimani e tutto ciò che distrae da un clima di raccoglimento necessario alla preghiera. Di recente anche Papa Francesco ha approvato un documento che vieta sia il "canto della pace", definito un "abuso liturgico" in quanto inesistente nel Rito romano, sia lo scambio della pace dato tra celebrante e fedeli o tra fedeli che si spostino dalla propria panca: questi accorgimenti mirano appunto a mantenere un clima di raccoglimento proprio prima dell'Agnello di Dio. Questo momento, che rischia di essere adombrato appunto dallo scambio della pace, è in realtà uno dei più importanti della Santa Messa perché, nello spezzare il pane, ricorda il corpo di Cristo offerto sulla croce e invita quindi al riconoscimento dei propri peccati (non certo a un festoso scambio di auguri, come talvolta si ottiene durante lo scambio della pace).
Il Giovedì Santo, si chiude infine con l'Adorazione eucaristica, nel ricordo dell'agonia del Signore nell'orto del Getsemani. Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente una grande angoscia per la vicinanza della morte.
Durante il Venerdì Santo la Chiesa ricorda la passione, la morte e la sepoltura di Gesù. Contempleremo quindi Cristo Crocifisso, parteciperemo alle sue sofferenze con la penitenza e il digiuno. È bene partecipare non solo alle varie Via Crucis o Processioni di Gesù morto che sono tradizionali nelle vie dei nostri paesi, ma anche alla Celebrazione della Passione che è un rito molto particolare e si svolge in chiesa. Visto che né il Venerdì Santo, né il Sabato Santo si celebrano Messe in nessuna parte del mondo, coloro che stanno facendo la pratica dei primi nove venerdì è bene che sappiano che non è richiesta la partecipazione alla Messa, bensì la sola Comunione. Quindi partecipando alla Celebrazione della Passione, pur non essendo una Messa, si può fare la Comunione e quindi la pratica dei primi venerdì non viene interrotta.
Il Sabato Santo si può, facoltativamente, prolungare il digiuno del venerdì. È un giorno in cui la Chiesa ci invita ad aspettare, assieme alla Madonna, in religioso silenzio, il grande avvenimento della Resurrezione in attesa di poter recitare con gioia nella Veglia pasquale: "O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto".
Concludendo, la Settimana Santa merita davvero di essere vissuta bene. Così potremo riflettere sul criterio che ha guidato ogni scelta di Gesù durante tutta la sua vita: la ferma volontà di amare il Padre. Questa decisione di corrispondere al suo amore lo ha spinto ad abbracciare, in ogni singola circostanza, il progetto del Padre, anche quando questo ha comportato sacrificio e sofferenza.
Nel rivivere la Settimana Santa, disponiamoci ad accogliere anche noi nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che nella volontà di Dio, anche se appare dura, in contrasto con i nostri desideri, si trova il nostro vero bene, la via della vita.
Come ha scritto san Josemaria Escrivá, "meditare sulla morte di Cristo diventa un invito ad affrontare con assoluta sincerità i nostri impegni quotidiani, un invito a prendere sul serio la fede che professiamo. Per cui la Settimana Santa non può essere soltanto una parentesi sacra nel contesto di una vita guidata da interessi umani: è invece un'occasione per introdurci con maggiore profondità nel mistero dell'Amore di Dio e poterlo poi mostrare agli uomini con la parola e con l'esempio".


venerdì 27 marzo 2015

IL SALE DELLA TERRA: la felicità....



la felicità...




bouquet-di-peonie-bianche.jpg (500×500)





Il denaro


Il denaro può comprare la buccia
di molte cose, ma non il seme;
può darvi il cibo, ma non l'appetito,
la medicina ma non la salute,
i conoscenti ma non gli amici,
i servitori ma non la fedeltà,
giorni di gioia ma non la pace o la felicità.

Henrik Ibsen



da IL SALE DELLA TERRA: la felicità...

martedì 24 marzo 2015

Chi è Mons Oscar ROMERO - il vescovo il martire...


MONSEÑOR ROMERO, 35 AÑOS DESPUÉS.FUE EL PASTOR DE UN PUEBLO OPRIMIDO Y HUMILLADO, 
HOY ES RECONOCIDO COMO SANTO DE LA IGLESIA.

Monseñor Romero, 35 años después
24 MARZO 1980,

35 ANNI FA IL MARTIRIO DI OSCAR ROMERO.

Conversando con mons. Oscar Romero ai piedi dell’obelisco di San Pietro, un anno prima di essere ucciso mentre celebrava l’Eucaristia.

24 marzo, Giornata dei missionari martiri.


35 anni esatti dall'uccisione

 di Mons Oscar Arnulfo Romero.

Beato Oscar Arnulfo Romero Galdámez -



             Chi è Oscar Arnulfo Romero               

              >>> www.ilsussidiario.net                


   >>> LA STORIA SIAMO NOI rai.it        

Mons Oscar Arnulfo Romero, vita e preghiere

Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell'ospedale della Divina Provvidenza, l’Arcivescovo di San Salvador Oscar Romero fu ucciso da un sicario, su mandato di Roberto D'Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore Arena (Alianza Republicana Nacionalista). 

Ancora una volta, nell'omelia, aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L'assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l'ostia nella consacrazione.

Oscar Arnulfo Romero nacque a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917, da una famiglia modesta. Suo padre era telegrafista, sua madre una semplice donna del popolo. All’età di 12 anni venne avviato come apprendista presso un falegname. Ma nel 1930, a 13 anni, entrò nel seminario minore di San Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San José de la Montana a San Salvador, retto dai gesuiti. 

Sempre nel 1937, all’età di 20 anni, fece il suo ingresso all’Università Gregoriana di Roma dove si licenziò in teologia nel 1943. 

A Roma, in piena guerra mondiale, venne ordinato sacerdote un anno prima del conseguimento della licenza. 
Rientrato nella sua terra natale, si dedicò con passione all’attività pastorale come parroco. 
Divenne presto direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador. 
In seguito ebbe numerosi incarichi prestigiosi sino al 22 febbraio 1977, quando venne nominato vescovo dell’archidiocesi di San Salvador, proprio nel periodo in cui nel paese si scatenava la repressione sociale e politica. 
La nomina di Mons. Romero ad arcivescovo di San Salvador fu una gioia per il governo ed i gruppi di potere, che vedevano in questo religioso di 59 anni un possibile freno alle attività d’impegno con i più poveri che stava sviluppando l’arcidiocesi. Ma l’illusione durò poco. Un fatto successo poche settimane più tardi si rivelò decisivo nella scalata della violenza sofferta nel Salvador e chiarì la futura linea d’azione di Romero: il 12 marzo 1977 venne assassinato il padre gesuita Rutilio Grande, che collaborava alla creazione di gruppi contadini di auto-aiuto e buon amico di Mons. Romero. 
Il neo eletto arcivescovo insistette col presidente Molina perché investigasse le circostanze della morte e, di fronte alla passività del governo e al silenzio della stampa a causa della censura, minacciò persino la chiusura delle scuole e l’assenza della Chiesa Cattolica negli atti ufficiali. 
Passò poco tempo che le notizie della sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale cominciarono a giungere lontano. 
La posizione di Oscar Romero iniziò ad essere riconosciuta e valorizzata a livello internazionale: il 14 febbraio 1978 fu nominato Doctor Honoris Causa dall’Università di Georgetown; nel 1979 fu candidato al premio Nobel per la pace e nel febbraio 1980 fu nominato Doctor Honoris Causa dall’Università di Lovagno, in Belgio. 
Nel corso di questo viaggio in Europa ebbe un incontro con papa  Giovanni Paolo II e gli comunicò le sue preoccupazioni di fronte alla terribile situazione che stava attraversando il suo paese. 
Nel 1980 il Salvador visse un periodo particolarmente violento. Si calcola che, tra gennaio e marzo di questo anno, furono assassinati più di 900 civili da parte delle forze di sicurezza, delle unità armate o da gruppi paramilitari sotto controllo militare. Tutti sapevano che il governo agiva in stretta relazione con il gruppo terrorista Orden e gli squadroni della morte. 
Appena rientrato dal suo viaggio in Europa l’arcivescovo Romero inviò una lettera al presidente degli Stati Uniti nella quale si opponeva agli aiuti che gli Stati Uniti stavano offrendo al governo salvadoregno, aiuti che fino a quel momento avevano favorito soltanto lo stato di repressione in cui viveva il popolo. 
La risposta del presidente statunitense, si tradusse in una petizione al Vaticano perché richiamasse all’ordine l’arcivescovo. Ciò nonostante, in altri paesi continuava il riconoscimento del lavoro di Mons. Romero: nello stesso periodo ricevette il premio della Pace dell’Azione Ecumenica Svedese. Alla fine di febbraio Mons. Romero venne a conoscenza delle minacce di morte contro la sua persona; ricevette anche un avviso del pericolo da parte del Nunzio Apostolico in Costa Rica Mons. Lajos Kada e agli inizi di marzo venne danneggiata una cabina di trasmissione della radio panamericana che trasmetteva le sue omelie domenicali. 
Nei giorni 22 e 23 marzo le religiose che gestivano l’ospedale della Divina Provvidenza, dove viveva l’arcivescovo, ricevettero chiamate telefoniche anonime che minacciavano il prelato di morte. 
Il 24 di marzo Oscar Arnulfo Romero venne assassinato da un tiratore scelto mentre celebrava la messa nella cappella di questo ospedale. 
La Chiesa anglicana, la Chiesa luterana e la Chiesa vetero-cattolica commemorano Mons. Oscar Romero come martire il giorno 24 marzo.
La Chiesa cattolica aprì nel 1997 la causa di beatificazione.  Il lungo oblio è stato interrotto da Papa Francesco che il  22 aprile 2013, “ha sbloccato la causa di beatificazione”.
Da morto Oscar Romero fa più rumore che da vivo. 
Per la sua gente e nel mondo, egli è martire, per aver voluto illuminare la politica e la vita sociale, dando un messaggio di speranza nella realizzazione di un mondo migliore. Non è morto invano. La sua voce è rimasta nel cuore del suo popolo, dove nessuno potrà mai spegnerla.





















"Sento che il popolo è il mio profeta"

- Mons. Oscar Romero - 



Uomini per il Regno di Dio 



Fuori dalla chiesa ogni persona che lotta per la giustizia, ogni persona che cerca rivendicazioni giuste in un ambiente ingiusto, sta anche lavorando per il Regno di Dio e può darsi che non sia cristiana. 

La chiesa non esaurisce il Regno di Dio. 

Il Regno di Dio sta in maggior parte al di fuori delle frontiere della chiesa e pertanto la chiesa apprezza tutto ciò che in sintonia con la sua lotta per impiantare il Regno di Dio. 
Una chiesa che cerca solamente di conservarsi pura, incontaminata, non sarebbe una chiesa al servizio di Dio e degli uomini (3.12.78)

- Moms. Oscar Romero - 


Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, che il mio sangue sia un seme di libertà e il segno che la speranza sarà presto realtà....

Se mi uccideranno risorgerò nel popolo salvadoregno.


- Mons. Oscar Romero -


In memoria del Vescovo Romero - Padre Davide Maria Turoldo

In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi...
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?




Buona giornata a tutti :-) leggoerifletto: