La biblioteca digitale della letteratura italiana>>>Dal sito web www.letteraturaitaliana.net/

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sabato 29 dicembre 2012

annunci di prossimi testi "LeggiAmo"


Auguri ...2013

Preghiera (Auguri da Kairòs)

Ogni mese, il Santo Padre propone due intenzioni di preghiera, una generale e l’altra missionaria. 
 i seguito le intenzioni affidate da Benedetto XVI all’Apostolato della Preghiera per il mese di gennaio 2013, che inizierà martedì prossimo. 
Quella generale dice: “Perché in questo ‘anno della fede’ i cristiani possano approfondire la conoscenza del mistero di Cristo e testimoniare con gioia il dono della fede in lui”. 
L’intenzione missionaria invece afferma: “Perché le comunità cristiane del Medio Oriente, spesso discriminate, ricevano dallo Spirito Santo la forza della fedeltà e della perseveranza”. 
* * *
Approfondire la conoscenza del Mistero di Cristo: è quello che molto semplicemente mi sono proposto con questo blog. Nel porgere a tutti i lettori gli auguri per il nuovo anno, sono particolarmente lieto di annunciare che la prossima settimana, a partire dal mercoledi 2 gennaio 2013, sarà possibile leggere su Kairosterzomillennio i seguenti testi:




1. "El Kerygma en las Chabolas con los pobres", la versione integrale originale in spagnolo del libro di Kiko Arguello, Edd. BuenasLetras, Madrid (l'edizione italiana uscirà il giorno 7 febbraio);




Kiko Arguello: "El Kerigma" (Versione integrale in spagnolo)



Come annunziato nei giorni scorsi, propongo di seguito la lettura del libro scritto da Kiko: si tratta della versione integrale nell'originale spagnolo. L'uscita in lingua italiana è prevista per il prossimo 7 febbraio. Ancora buon anno 2013! 


2. "L'uomo di Babilonia: la Missio tra i nuovi pagani", di Michi Costa, utilissimo per la trasmissione della fede ai figli, Edd. Chirico, Napoli;




3. "La via della fiducia e dell'amore: la piccola via di Teresa di Lisieux", di padre Jacques Philippe, Edd. San Paolo, Torino

martedì 25 dicembre 2012

É Natale ogni volta che ...


É Natale ogni volta che sorridi
a un fratello e gli tendi la mano.
É Natale ogni volta che rimani
in silenzio per ascoltare l'altro.
É Natale ogni volta che non accetti
quei princìpi che relegano gli oppressi
ai margini della società.
É Natale ogni volta che speri
con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
É Natale ogni volta che riconosci
con umiltà i tuoi limiti
e la tua debolezza.
É Natale ogni volta che permetti
al Signore di rinascere
per donarlo agli altri.
Madre Teresa di Calcutta


Tu scendi dalle stelle



Buon Natale a tutti
Merry Christmas
Heureuse fête de Noël ! 
¡Feliz Navidad! 
Feliz Natal para todos

Pb. Vito Valente


Di seguito il più famoso canto natalizio italianoFu composto nel 1744 da Sant'Alfonso Maria de' Liguori.
Il testo completo della canzone:
   RE                              LA
Tu scendi dalle stelle, o re del cielo,
                   SOL    LA          RE
e vieni in una grotta al freddo, al gelo,
                   SOL    LA          RE
e vieni in una grotta al freddo, al gelo.
 
 
     LA7        RE         LA7           RE
O bambino mio divino io ti vedo qui a tremar.
         LA                      SOL  LA       RE
O Dio beato ah, quanto ti costò l'a - vermi amato,
     LA              SOL  LA       RE
ah, quanto ti costò l'a - vermi amato!
 
    RE                              LA
A Te che sei del mondo il Creatore
                   SOL    LA          RE
mancano panni e fuoco, o mio Signore,
                   SOL    LA          RE
mancano panni e fuoco, o mio Signore.
 
     LA7        RE         LA7           RE
Caro eletto pargoletto, quanto questa povertà
         LA                      SOL  LA       RE
più m'innamora poichè ti fece, amor, povero ancora,
     LA              SOL  LA       RE
poichè ti fece, amor, povero ancora.

* * *


Tu scendi dalle stelle

Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo,

e vieni in una grotta al freddo e al gelo,

e vieni in una grotta al freddo e al gelo.
O Bambino mio divino,
io ti vedo qui a tremar;
o Dio beato !
Ah, quanto ti costò l'avermi amato!
Ah, quanto ti costò l'avermi amato!

A te, che sei del mondo il Creatore,mancano panni e fuoco, o mio Signore,mancano panni e fuoco, o mio Signore.Caro eletto pargoletto,quanto questa povertàpiù m'innamora,giacché ti fece amor povero ancora,giacché ti fece amor povero ancora.



Immagine in linea 1

lunedì 24 dicembre 2012

AUGURI <> in Bianco e Nero & A Colori <>



Giuliano






Epcot’s Christmas Tree by Tom.Bricker, on Flickr
Creative Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 2.0 Generic License  by Tom.Bricker

BUON NATALE






(15) Tumblr

DA http://erinkayyy.tumblr.com/



Ritrovare la tenerezza




Riporto da "Il sole 24 Ore” - domenicale – del 23 dicembre 2012
a firma di Gianfranco Ravasi.
È il Natale del 1940 e nello Stalag nazista XII D di Treviri i detenuti decidono di allestire una sorta
di dramma sacro. A stenderne il testo incaricano uno di loro, il francese Jean-Paul Sartre, e colui che
diverrà poi uno dei filosofi più acclamati del Novecento compone Bariona o il figlio del tuono. In
quella sceneggiatura a un certo punto entra in scena anche Maria che ha appena dato alla luce Gesù.
«Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi
e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio… Ella sente insieme che il Cristo è suo
figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questa
carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la
forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!". Nessuna donna ha avuto in questo
modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di
baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che può toccare e vive».
Abbiamo voluto evocare questo passo suggestivo per proporre ai nostri lettori una riflessione
natalizia un po' scontata, eppure anche un po' inusuale. Vorremmo, infatti, parlare di una virtù in
declino nei nostri giorni così sguaiati, la tenerezza, che ha un suo corteo di «ancelle» come la
dolcezza, la delicatezza, l'affettuosità, la mitezza e che si colloca all'ombra dell'amore. Dicevamo
che è un tema un po' scontato perché di solito il Natale è incentrato sul Bambino e, quindi,
presuppone una certa finezza di sentimenti, purtroppo subito avvolti nella carta patinata e nei
lustrini dei regali. Ma è anche un soggetto inusuale perché la sessualità sbrigativa e consumistica
delle attuali relazioni spegne la raffinatezza dei legami personali, l'ammiccamento è cancellato
dall'esplicito, l'eros precipita subito nel porno. Anche nei rapporti sociali più generali è la
grossolanità a dominare, alla gentilezza si sostituisce la rozzezza e persino nella religiosità si è
inclini a guardare con sospetto la devozione semplice e spontanea.
Heinrich Böll – in quel tempo ancora cattolico praticante – in un volumetto del 1961 intitolato
Lettera a un giovane cattolico (in Italia lo tradusse la Locusta di Vicenza nel 1968) registrava questa
obiezione di un giovane: «Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni
provenienza è la tenerezza: tenerezza verbale, erotica, sì, persino teologica». Böll replicava: «Non è
vero che i messaggeri del cristianesimo non abbiano avuto tenerezza: il Cantico dei cantici è stato
letto nella Chiesa e, accanto a Benedetto, a Francesco, a Giovanni della Croce, ci sono state
Scolastica, Chiara e Teresa d'Avila». E potremmo continuare l'elenco aggiungendo l'amicizia tenera
tra san Girolamo e la nobildonna romana Eustochio e sua figlia Paola, tra san Bernardo ed
Ermengarda di Bretagna, tra santa Teresa d'Avila e Girolamo Gracián o san Giovanni della Croce,
tra san Francesco di Sales e santa Giovanna Frémiot de Chantal, tra il grande teologo Hans Urs von
Balthasar e Adrienne von Speyr e così via.
Anzi, nel 2000 un teologo ha elaborato una sorta di trattato generale sulla Teologia della tenerezza
(edizioni Dehoniane), considerandola come un corollario del Vangelo dell'amore, e allargandola
dalle pagine bibliche alla riflessione spirituale e alla stessa società che ha nell'incontro d'amore tra il
maschile e il femminile la sua cellula germinale. Certo, il grande archetipo non solo religioso, ma
anche culturale – come ricordava Böll – è il biblico Cantico dei cantici, ove si ha tutto l'arcobaleno
dei sentimenti e delle iridescenze che noi rubrichiamo sotto il termine di «tenerezza», un vocabolo
che filologicamente oscilla forse tra il «tenue» (la dolcezza ama il tono minore e non l'urlato) e il
«tendere», perché la delicatezza della passione genera anche tensione talora spasmodica (in greco
tétanos!). C'è, però, nella Bibbia da segnalare anche la vasta applicazione a Dio della simbologia
nuziale e genitoriale.
In questa luce è curiosa (e poco nota, a tal punto da aver creato sconcerto uno dei pronunciamenti
del brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I sulla «maternità» di Dio) la solida fisionomia
materna del Dio biblico, soprattutto all'interno dello scritto di quel profeta anonimo la cui opera è entrata nei cc. 40-55 di Isaia e per questo è denominato «Secondo Isaia». Basti solo citare un paio di
esempi. In Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo lattante, di amare teneramente il figlio
del suo ventre? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!».
Oppure il sorprendente contrasto presente in Isaia 42, 12-15 ove a un Dio che avanza come
guerriero possente e urlante (la trascendenza divina) si oppone un Dio che «grida come una
partoriente, respirando e aspirando insieme», cioè ansimando affannosamente come fa la madre nel
momento del parto (l'immanenza e la prossimità divina).
Il fedele stesso rappresenta la sua fiducia in Dio comparandosi a un bimbo dolcemente abbandonato
a sua madre: «Sono tranquillo e disteso come un bambino svezzato in braccio a sua madre, come un
bimbo svezzato è l'anima mia», si canta nel Salmo 131,2. Un rigoroso teologo come Clemente
Alessandrino (II-III sec.), nella sua opera Quis dives salvetur, cercava persino di fondere le due
metafore della paternità e maternità divina proprio attraverso il denominatore comune della
tenerezza: «Per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza (sympathés) che prova per
noi lo fa diventare madre. Amando, il Padre diventa femminile» (37,2). Nel Nuovo Testamento è,
comunque, la figura di Cristo ad assumere in sé tutta la gamma della tenerezza con la delicatezza, la
benevolenza, la benignità, la compassione, la mitezza. Egli, infatti, si definisce come «mite e umile
di cuore» e attrae a sé tutti coloro che sono «affaticati e oppressi» per un abbraccio di amore e di
solidarietà (Matteo 11,28-29).  Certo, in agguato c'è sempre la degenerazione della tenerezza in
tenerume che si nutre di sdolcinature, moine, bamboleggiamenti, leziosaggini e smancerie, come
ironizzava Majakovskij nella sua Nuvola in calzoni: «Se vuoi, / sarò irreprensibilmente tenero: /
non un uomo ma una nuvola in calzoni». Eppure, anche nella Chiesa, secondo il suggerimento che
faceva allora Böll, come antidoto o contrappeso a un eccessivo legalismo o a un'esclusiva severità
morale (realtà, per altro, più che necessaria in questo tempo di indifferenza etica e di amoralità) si
deve ritornare all'educazione dei sentimenti e alla pratica della mitezza tenera e delicata. È una via
feconda per la spiritualità e per la stessa esistenza: non per nulla in francese «germoglio» si dice
tendron...

lunedì 17 dicembre 2012

Ecco cosa ho imparato. La televisione ...

La televisione rappresenta la parte peggiore del paese.



 Di Costanza Miriano.http://costanzamiriano.com/about/

Venerdì scorso è stata una giornata molto istruttiva, per me. Innanzitutto ho imparato che alle sette di mattina il mondo già esiste: sono andata a correre a quell’ora indecente in cui di solito sono sprofondata in coma vigile, e ho scoperto che i fondali della città sono già srotolati, i marciapiedi disposti al loro posto, e la gente addirittura già in movimento. Chi l’avrebbe mai detto.
Poi ho preso un treno, e sono andata a Milano, attraversando mezza Italia coperta dalla neve, che bello. Ero invitata a Nova Milanese, la sera, e così avevo incastrato altri due impegni, prima. Nel primo pomeriggio sono andata a La7, ospite di Parodi Live (fornita di vestito di seta e scarpe col tacco, l’ideale sulla neve), nel tardo in una parrocchia (anfibio e giacchina di lana cotta).
Ecco cosa ho imparato. La televisione rappresenta la parte peggiore del paese. Per bucare lo schermo, infatti, bisogna esprimere pochi semplici concetti, alzando la voce e reiterando i concetti, semplificando e usando i colori forti, unico modo per ottenere l’attenzione. Come si sa, il mezzo è il messaggio, e la televisione è un mezzo veloce e semplice.
Ero invitata per parlare dei miei libri, solo che a commentare le mie affermazioni c’erano: Luca Giurato, Alba Parietti, una soubrette cubana, un giornalista de La7 perfetto rappresentante del giornalista collettivo (copyright Il Foglio), un opinionista fisso della trasmissione che non conosco e che mi sembrava avere accenti lievemente femminei, Giusi Ferrè (giornalista di moda) e tre donne straniere (cinese, tedesca e greca) chiamate a dare un respiro internazionale alla conversazione. Devo dire che mi hanno anche lasciato la parola, ma proprio il messaggio non passava, perché si parlavano due lingue diverse, e – a parte Giusi Ferrè, alla quale devo dare atto di onestà intellettuale – non c’era il tentativo di tradurre quello che cercavo di dire. Sottomissione è stato tradotto, anche grazie ai servizi preparati prima, come sinonimo di prestazioni da geisha (la Parietti: “io faccio la geisha, ma se l’altro se ne vuole approfittare gli salto alla giugulare”), o come accettazione supina di ogni nefandezza (un altro servizio ha proposto la classifica delle sottomesse, sciorinando l’elenco delle famose che avevano perdonato il marito fedifrago), o ancora  come rinuncia a ogni progetto di realizzazione personale. Insomma, tutto sempre e solo nella logica profondamente del mondo: chi comanda, chi sta sopra o sotto, chi ci guadagna e chi ci perde. Va be’. Cosa imparata: la logica del mondo è un’altra, e le parole in questi casi non servono.
Ma negli altri due appuntamenti, come nelle decine e decine che ho avuto ormai in tutta Italia, ho imparato invece che ci sono davvero un numero incredibile di persone belle, brave, che silenziosamente fanno bene il loro lavoro, stanno bene al loro posto, sono generose, accoglienti, disposte ad ascoltare, spesso, quasi sempre, più sagge e più in gamba di me. Una comunione di santi dell’ordinario, persone appassionate e appassionanti, persone con cui è facile fare amicizia, perché nel nome di Gesù bastano pochi gesti, a volte un’occhiata.
Persone come Clementina, Daniela, Simone, che mi hanno accompagnata generosamente, solo per amicizia, sacrificando il tempo del riposo e della famiglia (e della cena, nel caso specifico) e affrontando neve e ghiaccio. Persone come Franco Nembrini, che ha fatto non so quanti chilometri, sempre sotto la neve, solo per poterci scambiare un abbraccio; padre, insegnante, educatore, autore del bellissimo Di padre e in figlio che sto leggendo, scoprendo (è colpa mia, non lo conoscevo ancora, ma lui è famoso) un fratello maggiore, un intelligente, appassionato, grande educatore. Uno che seduce, parlando di Dante, platee di ragazzi in un’età in cui di solito l’unica cosa che attira la loro attenzione è What’s app (a proposito, ma che è?).
Persone come gli amici di Alleanza Cattolica di Cassina de’ Pecchi, che hanno radunato un bel po’ di gente sotto la bufera di neve, e che fanno da anni un grande lavoro formativo per conoscere e difendere la dottrina sociale della Chiesa. Non fanno rumore, non vanno in tv come la Parietti, ma sono uomini e donne di livello eccezionale.
Persone come quelle dell’Associazione Felicita Merati, una donna – come Chiara Corbella, come Gianna Beretta – morta di tumore per non essersi curata durante la gravidanza, per non dover abortire: i suoi concittadini lavorano per difendere la cultura della vita, e ci mettono un’energia incredibile.
Persone come quelle che incontro ovunque vado, persone che prendono le carte che la provvidenza dà loro in mano, e giocano la loro partita meglio che possono, senza imbrogliare, mettendocela tutta.
Io sono contenta di vivere in questo tempo. Vedo il disastro generale, ma vedo i semi di una rinascita culturale e spirituale di cui, come in tante stagioni della storia, ci faremo carico noi cattolici, con il nostro piccolo esercito, sparuto, silenzioso forse, ma armato di cuore e intelligenza e soprattutto di preghiera. E chissà che anche questa crisi non venga per aiutarci: perché fino a che si ha la pancia piena non si ha tempo né voglia di alzarsi, e andare ad aprire a Colui che sta alla porta e bussa.

venerdì 14 dicembre 2012

ll biglietto di auguri del Papa & Una piccola enciclica...


Da L'Osservatore Romano Gli auguri del Papa


Leandro Bassano (1557-1622), «La natività e l’adorazione dei pastori» (Palazzo Apostolico vaticano)
«La natività e l’adorazione dei pastori» di Leandro Bassano (1557-1622)
Veritas de terra orta est!  («La Verità è germogliata dalla terra»):
sono le parole — tratte dal Salmo 85, 12 — che Benedetto XVI ha scelto quest'anno per il biglietto di auguri natalizi destinato alla Curia romana, ai dipendenti del Vaticano e a tutti i fedeli che parteciperanno nei prossimi giorni a udienze e celebrazioni.  Il Papa le ha scritte di suo pugno, facendole riprodurre dalla Tipografia Vaticana su un bigliettino, insieme all’immagine del dipinto «La natività e l’adorazione dei pastori» di Leandro Bassano (1557-1622), conservato nell’appartamento privato  del Palazzo Apostolico vaticano. Continua così la consuetudine dei Pontefici — inaugurata nel 1963 da Paolo VI — di stampare immaginette e cartoncini augurali a Natale, Pasqua e in altre particolari solennità, con una frase autografa — tratta dalle Scritture, dai padri della Chiesa o dal lezionario — e una raffigurazione artistica in tema con la ricorrenza liturgica.


Una piccola enciclica...


Per l’ampiezza dello sguardo si è tentati di definire una piccola enciclica il messaggio per la giornata mondiale della pace. Lo sfondo del testo è dato da due avvenimenti di mezzo secolo fa: l’inizio del concilio Vaticano II, aperto l’11 ottobre 1962, e la Pacem in terris, dell’11 aprile 1963, l’ultima enciclica di Giovanni XXIII che indicò i quattro fondamenti — verità, libertà, amore, giustizia — di una convivenza pacifica.
Il contesto mondiale è segnato da conflitti e venti di guerra, causati e rinforzati da fenomeni più volte denunciati, non solo dalla Santa Sede, e di nuovo enumerati: dal capitalismo finanziario sregolato al terrorismo, sino ai fondamentalismi e ai fanatismi che sfigurano il volto autentico della religione. Non bisogna tuttavia rassegnarsi alla durezza ispirata dai criteri di potere o di profitto, ribadisce ancora una volta il Papa che rilancia e rinnova uno dei più efficaci slogan di Paolo VI, perfetto per un tweet: «La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile».
Precondizione della pace è il riconoscimento della legge morale naturale, ferita da tendenze che vogliono codificare arbitrii come il preteso diritto all’aborto e all’eutanasia che invece sono minacce al diritto fondamentale alla vita. Allo stesso modo, i tentativi di rendere giuridicamente equivalenti alla struttura naturale del matrimonio forme di unione diverse lo destabilizzano di fatto e ne danneggiano l’insostituibile ruolo sociale.
Esplicitamente il testo papale dichiara che questi principi non sono verità di fede né derivano dal diritto primordiale alla libertà religiosa, ma sono iscritti nella natura umana, riconoscibili con la ragione e comuni a tutta l’umanità. Dunque, l’azione della Chiesa nel promuoverli non è confessionale, «ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa».
La sottolineatura non è certo nuova, ma appare molto significativa oggi e suona come una conferma evidente della linea di quei cattolici che in diversi Paesi sono stati e sono capaci di favorire, in questa battaglia culturale a sostegno di principi comuni a tutti, la convergenza di credenti e non credenti di diverse appartenenze religiose e ideali. Così sta avvenendo in Francia, dove attorno alle posizioni della Chiesa cattolica contraria al matrimonio omosessuale si stanno ritrovando ortodossi e protestanti, ebrei, musulmani, intellettuali laici.
In questo stesso senso aiuta la costruzione della pace anche il riconoscimento del principio dell’obiezione di coscienza di fronte a leggi che introducono attentati alla dignità umana come l’aborto e l’eutanasia, mentre la libertà religiosa — tema specialmente caro anche alle Chiese sorelle dell’ortodossia, come ha sottolineato nella festa di sant’Andrea il patriarca Bartolomeo — va promossa non soltanto come libertà da costrizioni di qualsiasi tipo ma, da un punto di vista positivo, come libertà di espressione pubblica della religione.
Accanto ai temi biopolitici e a quelli che riguardano l’ineliminabile dimensione sociale della fede Benedetto XVI colloca la critica al liberismo radicale e alla tecnocrazia e la difesa del diritto al lavoro. Per auspicare che temi come la strutturazione etica dei mercati e la crisi alimentare restino al centro dell’agenda politica internazionale. Ma nella convinzione che il ruolo della famiglia e quello dell’educazione restano fondamentali. Su un tema, la pace, che davvero riguarda tutti. (Giovanni Maria Vian)
Di seguito il testo del Messaggio.
* * *
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA 
XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 
1° GENNAIO 2013

BEATI GLI OPERATORI DI PACE

1. Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una vita felice e prospera.
A 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze, tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e promuovendo la pace per tutti.
In effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo.
Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini.
E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.
Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).
La beatitudine evangelica
2. Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa, ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste, piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene, Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.
La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29 (v. 11).
La pace: dono di Dio e opera dell’uomo
3. La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIIInell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio.
Per diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.
La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un « noi » comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3].
La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).
Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani.
Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.
Operatori di pace sono coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità
4. Via di realizzazione del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana, considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita.
Coloro che non apprezzano a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace, lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.
Anche la struttura naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.
Questi principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita grave inflitta alla giustizia e alla pace.
Perciò, è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia.
Tra i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria religione.
L’operatore di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a cominciare da quelli civili e politici.
Tra i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del lavoro per tutti.
Costruire il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia
5. Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.
Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5]. Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.
Nell’ambito economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal punto di vista sociale, ambientale ed economico.
Educazione per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni
6. Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale.
Nessuno può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico, economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].
In questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e, di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.
Una missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.
Una pedagogia dell’operatore di pace
7. Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati. Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace, un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora, insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione. Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male, infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento, perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio e perseveranza.
Gesù incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33; Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini. In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da parte nostra, insieme al beatoGiovanni XXIII, chiediamo a Dio che illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie, così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace [8].
Con questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna concordia, nella prosperità e nella pace.
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2012

BENEDICTUS PP XVI
  

[1] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 1.
[2] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 265-266.
[3] Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.
[4] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32AAS 101 (2009), 666-667.
[5] Cfr ibid., 34 e 36AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.
[6] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.
[8] Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.