Giuliano
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Ritrovare la tenerezza
Riporto da "Il sole 24 Ore” - domenicale – del 23 dicembre 2012a firma di Gianfranco Ravasi.È il Natale del 1940 e nello Stalag nazista XII D di Treviri i detenuti decidono di allestire una sortadi dramma sacro. A stenderne il testo incaricano uno di loro, il francese Jean-Paul Sartre, e colui chediverrà poi uno dei filosofi più acclamati del Novecento compone Bariona o il figlio del tuono. Inquella sceneggiatura a un certo punto entra in scena anche Maria che ha appena dato alla luce Gesù.«Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesie gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio… Ella sente insieme che il Cristo è suofiglio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: "Questo Dio è mio figlio. Questacarne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è laforma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!". Nessuna donna ha avuto in questomodo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire dibaci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che può toccare e vive».Abbiamo voluto evocare questo passo suggestivo per proporre ai nostri lettori una riflessionenatalizia un po' scontata, eppure anche un po' inusuale. Vorremmo, infatti, parlare di una virtù indeclino nei nostri giorni così sguaiati, la tenerezza, che ha un suo corteo di «ancelle» come ladolcezza, la delicatezza, l'affettuosità, la mitezza e che si colloca all'ombra dell'amore. Dicevamoche è un tema un po' scontato perché di solito il Natale è incentrato sul Bambino e, quindi,presuppone una certa finezza di sentimenti, purtroppo subito avvolti nella carta patinata e neilustrini dei regali. Ma è anche un soggetto inusuale perché la sessualità sbrigativa e consumisticadelle attuali relazioni spegne la raffinatezza dei legami personali, l'ammiccamento è cancellatodall'esplicito, l'eros precipita subito nel porno. Anche nei rapporti sociali più generali è lagrossolanità a dominare, alla gentilezza si sostituisce la rozzezza e persino nella religiosità si èinclini a guardare con sospetto la devozione semplice e spontanea.Heinrich Böll – in quel tempo ancora cattolico praticante – in un volumetto del 1961 intitolatoLettera a un giovane cattolico (in Italia lo tradusse la Locusta di Vicenza nel 1968) registrava questaobiezione di un giovane: «Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogniprovenienza è la tenerezza: tenerezza verbale, erotica, sì, persino teologica». Böll replicava: «Non èvero che i messaggeri del cristianesimo non abbiano avuto tenerezza: il Cantico dei cantici è statoletto nella Chiesa e, accanto a Benedetto, a Francesco, a Giovanni della Croce, ci sono stateScolastica, Chiara e Teresa d'Avila». E potremmo continuare l'elenco aggiungendo l'amicizia teneratra san Girolamo e la nobildonna romana Eustochio e sua figlia Paola, tra san Bernardo edErmengarda di Bretagna, tra santa Teresa d'Avila e Girolamo Gracián o san Giovanni della Croce,tra san Francesco di Sales e santa Giovanna Frémiot de Chantal, tra il grande teologo Hans Urs vonBalthasar e Adrienne von Speyr e così via.Anzi, nel 2000 un teologo ha elaborato una sorta di trattato generale sulla Teologia della tenerezza(edizioni Dehoniane), considerandola come un corollario del Vangelo dell'amore, e allargandoladalle pagine bibliche alla riflessione spirituale e alla stessa società che ha nell'incontro d'amore tra ilmaschile e il femminile la sua cellula germinale. Certo, il grande archetipo non solo religioso, maanche culturale – come ricordava Böll – è il biblico Cantico dei cantici, ove si ha tutto l'arcobalenodei sentimenti e delle iridescenze che noi rubrichiamo sotto il termine di «tenerezza», un vocaboloche filologicamente oscilla forse tra il «tenue» (la dolcezza ama il tono minore e non l'urlato) e il«tendere», perché la delicatezza della passione genera anche tensione talora spasmodica (in grecotétanos!). C'è, però, nella Bibbia da segnalare anche la vasta applicazione a Dio della simbologianuziale e genitoriale.In questa luce è curiosa (e poco nota, a tal punto da aver creato sconcerto uno dei pronunciamentidel brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I sulla «maternità» di Dio) la solida fisionomiamaterna del Dio biblico, soprattutto all'interno dello scritto di quel profeta anonimo la cui opera è entrata nei cc. 40-55 di Isaia e per questo è denominato «Secondo Isaia». Basti solo citare un paio diesempi. In Isaia 49,15: «Si dimentica forse una donna del suo lattante, di amare teneramente il figliodel suo ventre? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!».Oppure il sorprendente contrasto presente in Isaia 42, 12-15 ove a un Dio che avanza comeguerriero possente e urlante (la trascendenza divina) si oppone un Dio che «grida come unapartoriente, respirando e aspirando insieme», cioè ansimando affannosamente come fa la madre nelmomento del parto (l'immanenza e la prossimità divina).Il fedele stesso rappresenta la sua fiducia in Dio comparandosi a un bimbo dolcemente abbandonatoa sua madre: «Sono tranquillo e disteso come un bambino svezzato in braccio a sua madre, come unbimbo svezzato è l'anima mia», si canta nel Salmo 131,2. Un rigoroso teologo come ClementeAlessandrino (II-III sec.), nella sua opera Quis dives salvetur, cercava persino di fondere le duemetafore della paternità e maternità divina proprio attraverso il denominatore comune dellatenerezza: «Per la sua misteriosa divinità Dio è Padre. Ma la tenerezza (sympathés) che prova pernoi lo fa diventare madre. Amando, il Padre diventa femminile» (37,2). Nel Nuovo Testamento è,comunque, la figura di Cristo ad assumere in sé tutta la gamma della tenerezza con la delicatezza, labenevolenza, la benignità, la compassione, la mitezza. Egli, infatti, si definisce come «mite e umiledi cuore» e attrae a sé tutti coloro che sono «affaticati e oppressi» per un abbraccio di amore e disolidarietà (Matteo 11,28-29). Certo, in agguato c'è sempre la degenerazione della tenerezza intenerume che si nutre di sdolcinature, moine, bamboleggiamenti, leziosaggini e smancerie, comeironizzava Majakovskij nella sua Nuvola in calzoni: «Se vuoi, / sarò irreprensibilmente tenero: /non un uomo ma una nuvola in calzoni». Eppure, anche nella Chiesa, secondo il suggerimento chefaceva allora Böll, come antidoto o contrappeso a un eccessivo legalismo o a un'esclusiva severitàmorale (realtà, per altro, più che necessaria in questo tempo di indifferenza etica e di amoralità) sideve ritornare all'educazione dei sentimenti e alla pratica della mitezza tenera e delicata. È una viafeconda per la spiritualità e per la stessa esistenza: non per nulla in francese «germoglio» si dicetendron...
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