La mia prima fine del mondo. Inseguendo Fratel Ettore dei poveri |
Un Nobel per Fant
di Costanza Miriano
Chiedo con voce ferma e decisa l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Emanuele Fant. Il suo libro mi ha folgorata, come non mi succedeva da non ricordo più quanto (con Houellebecq, direi). Poiché però vedo piuttosto improbabile e comunque non prossima l’assegnazione del Nobel a un libro profondamente evangelico, non convenzionale e per niente ammiccante, proporrei l’istituzione del premio Quaglia ghiacciata*, e ne sancirei l’assegnazione insindacabile a La mia prima fine del mondo, editore Monti.
La nostra famiglia è già titolare di cinque copie distribuite in giro, e credo che il totale aumenterà, perché quello di Emanuele è uno di quei libri che ti viene voglia di regalare a caso a pacchi, facendo volantinaggio per strada, o lanciandolo come faceva Fratel Ettore con i malloppi di rosari fluorescenti. A rendere più acuta la sindrome devi-assolutamente-leggere-questo-libro c’è l’aggravante che Emanuele ancora non lo conosce nessuno (quasi), e quando il mondo si accorgerà di lui uno potrà dire “te lo avevo detto io”, che è sempre una bella soddisfazione.La mia prima fine del mondo racconta l’incontro di tre punk con un santo, e finalmente parla di fede con il passo della grande letteratura, non è il solito librino religioso piatto e sciatto che ti fa venire voglia di qualsiasi cosa tranne che di assomigliare a quello lì che scrive, non ti fa pensare che “va bene, ci credo, prego e vado a messa, ma se devo leggere qualcosa di bello mi butto su un bel libro, scritto magari da un narciso relativista ateo, che almeno però sa fare il suo mestiere”.C’è da dire, come attenuante per chi non scrive libri così belli, che Fratel Ettore fornisce materiale potente. Mica tutti hanno la fortuna di incontrare gente così. C’è chi frequenta gente come (inserire nome di persona mediatica a propria scelta, anche il mio purtroppo va bene). Se lo avesse inventato uno sceneggiatore, Fratel Ettore, avrei detto che aveva esagerato: un sacerdote alto e grosso che piallava con i calli invece che accarezzare, che tirava i barboni fuori dalla strada a colpi di rosario, togliendo i vermi dalla loro carne senza dormire mai, portando in giro una statua della Madonna sopra il tettuccio dell’auto da cui pregava molestando tutti col megafono, e un’altra Madonnina al posto del passeggero, con tanto di cintura di sicurezza, a cui rivolgersi come a una persona in carne ed ossa, per ringraziarla di non essere morti pur avendo inchiodato in mezzo alla strada, fatto acrobazie ed essersi lanciato in mezzo a risse di spacciatori.Emanuele – sì, lo so, un altro problema è che a leggerlo ti viene istintiva la familiarità che ti indurrebbe a chiamarlo per dirgli che sei contenta che piove, ma non lo puoi fare, perché lo scrittore ha una sua vita, e non ti può appartenere – ha aperto una strada, o meglio ne sta percorrendo una poco battuta. Ha detto a noi cattolici che si può parlare di Dio scrivendo bene, che si può sedurre con la nostra bellezza, anche quando è tagliente, evangelizzare lasciandosi inseguire, perché si è fatta intuire una luminosità nuova.E infine, qualità per me preziosissima, Fant non fa il piacione, non ammicca, non bariccheggia, non si compiace della sua maestria: è sincero e accurato, la sua prosa mi fa pensare alle sculture di marmo lungamente piallate. Come in tutto questo riesca anche a far morir da ridere, è un mistero.*p.s. Il motivo del nome del premio, Quaglia ghiacciata, si scopre leggendo del folgorante primo incontro dei tre punk con Fratel Ettore, che si mette a svuotare il frigo pieno di quaglie lanciandole per aria, perché “se il frigo è pieno la Provvidenza non ha niente da fare e si ferma”. Una logica da manicomio. La logica di Dio.
leggi anche: L’ultimo dei testimoni (con anteprima del libro) e I punk, il santo e i santi punk
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