L'infanzia di Gesù: Tre in uno (di Silvia Guidi)
Due libri in uno: una narrazione semplice e piana di un fatto storico, ma anche una raffinata meditazione teologica intessuta di richiami scritturali, citazioni e approfondimenti eruditi;
il terzo volume su Gesù di Nazaret, scritto da Joseph Ratzinger – Benedetto XVI,L’infanzia di Gesù, (Milano - Città del Vaticano, Rizzoli - Libreria Editrice Vaticana, 2012, pagine 173, euro 17) è stato presentato oggi 20 novembre nella sala Pio X, in Vaticano, dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, da Maria Clara Bingemer, che insegna teologia alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro, da don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana e da Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri. L’incontro sul volume — che sarà in libreria da domani 21 novembre — è stato introdotto e moderato da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede, che ha riassunto la genesi della trilogia del Papa dedicata alle profonde radici storiche di «quell’intima amicizia con Gesù da cui tutto dipende», minacciata da quelle riduzioni spiritualistiche e mitologiche della fede cristiana che di fatto negano il mistero dell’Incarnazione, relegandolo in un limbo fuori dal mondo. Il richiamo all’infanzia del titolo non deve depistare, ha sottolineato più volte il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura nel suo intervento (che pubblichiamo integralmente in questa pagina); in quest’opera non c’è nulla di sentimentale e “infantile” in senso deteriore.
La duplice natura dell’ultimo libro di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, accessibile anche al lettore meno esperto ma ricchissimo di spunti a una lettura più attenta, è stata messa in risalto da tutti i relatori che hanno partecipato alla presentazione. Anzi, a ben guardare di tre libri in uno si tratta, visto che «nessuno potrà leggere il testo senza entrare nel ritmo di preghiera che lo attraversa dall’inizio alla fine e che invita a contemplare il Mistero di Gesù di Nazaret, figlio di Maria e figlio di Dio, salvatore e redentore del mondo» come ha detto Maria Clara Bingemer. «Il tempo liturgico dell’Avvento che sta per cominciare in preparazione della festa del Natale — ha aggiunto la teologa brasiliana, sottolineando la dimensione pastorale del libro — sarà grandemente arricchito dalla sua lettura».
«Come editore delegato alla gestione dei diritti e partner della nella pubblicazione di questo terzo volume — ha detto don Giuseppe Costa, direttore della Libreria Editrice Vaticana, nel suo intervento di saluto — vorrei prima di tutto ringraziare l’autore. Grazie Santo Padre per aver voluto portare a termine questo lavoro promesso da tempo ai suoi lettori ed editori. Ora che il libro è pubblicato, leggendolo ci si rende conto che rappresenta non soltanto una piccola “sala d’ingresso” o un “piccolo libro” come scrive lo stesso autore nella premessa, ma qualcosa di più importante. Pellegrini anche noi come Abramo “sulla strada di ciò che deve avvenire”, in questo libro troviamo con il “mattino” di Gesù e di Maria anche quello della nostra fede».
«Le parole di Joseph Ratzinger — ha aggiunto il direttore della Libreria Editrice Vaticana — ci fanno pensare e ci coinvolgono fino a convincerci che fa parte “del diventare cristiani l’uscita dall’ambito di ciò che tutti pensano e vogliono, dai criteri dominanti, per entrare nella luce della verità sul nostro essere e, con questa luce, raggiungere la vita giusta”». E ha continuato: «Desidero aggiungere una parola sullo stile di Joseph Ratzinger scrittore. La sua maieutica è ben dettagliata e scandita. Un discorso scorrevole, stimolante mai debole e ovvio. È un linguaggio che esalta la sua grande capacità di scrittura e di letteratura. L’avventura editoriale di questo terzo volume parte dunque nel migliore dei modi. Così come del resto è avvenuto per gli altri due volumi».
Il primo titolo dedicato a Gesù di Nazaret — pubblicato il 16 aprile del 2007 — è stato tradotto in quarantuno edizioni per complessive due milioni di copie e oltre. Il secondo volume, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana il 18 febbraio 2011, conta quaranta edizioni per un milione di copie. L’infanzia di Gesù esce in contemporanea in nove lingue e in cinquanta Paesi, con una tiratura che supera il milione di copie. Nei prossimi mesi sarà tradotto in venti lingue e pubblicato in settantadue Paesi.
«Se si aggiungono le edizioni eBook e audiolibri — ha aggiunto ancora il direttore della Libreria Editrice Vaticana — ci si trova di fronte a un fenomeno editoriale di dimensioni imponenti. Estendo i miei ringraziamenti anche agli amici dell’editoria internazionale, con il cui aiuto potrà essere assicurata la diffusione internazionale, la più ampia possibile».
Se in Cristo, dopo il sì di Maria — un sì libero e fiducioso, ma non irrazionale — Dio diventa contemporaneo a ogni tempo, è anche vero che solo attraverso la contemporaneità a Cristo gli uomini e le donne di ogni tempo diventano autenticamente cristiani. Per parlare di questo fatto storico sui generis Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri, ha citato l’incipit di Esercizio del cristianesimo di Søren Kierkegaard: «Sono passati ormai diciotto secoli da quando Gesù Cristo camminava sulla terra. Ma non si tratta di un fatto come gli altri i quali, una volta passati, si dileguano nella storia e a lungo andare cadono nell’oblio. Invece la sua presenza in terra non diventerà mai un evento del passato, tanto meno qualcosa di sempre più passato qualora si trovi ancora la fede sulla terra (Luca, 18, 8); infatti, se questa manca, la vita terrena di Cristo diventa un fatto remotissimo. Ma fin quando esiste un credente, bisogna ch’egli per essere divenuto tale, sia stato e, come credente, sia contemporaneo della sua presenza come i primi contemporanei; questa contemporaneità è la condizione della fede o più esattamente essa è la definizione della fede».
Si tratta di un libro — ha continuato Mieli — «che ha dentro di sé un altro libro, basti pensare ai passi in cui viene riportato il dibattito scientifico sui magi, o la questione astronomica sulla stella, in cui si cita Keplero, ma anche le tavole cronologiche cinesi coeve alla vita di Gesù. Sono pagine che lasciano a bocca aperta. Non prendetemi per un editore piazzista, ma è davvero un libro che è un affare comprare». (S. Guidi)
L'Osservatore Romano 21 novembre 2012
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L'infanzia di Gesù: Le quattro chiavi di Benedetto e la tenerezza di Sartre (di Gianfranco Ravasi)
Sono 180 versetti distribuiti in quattro capitoli, due posti in apertura al Vangelo di Matteo e due sulla soglia di quello di Luca. Pagine che hanno generato un ininterrotto filo d’oro artistico, letterario, musicale e che sono state assediate da una vera e propria selva bibliografica esegetica.
Racconti che si muovono sul binario della narrazione, dotata di uno straordinario montaggio quasi filmico, e su quello della teologia, tant’è vero che sottese a esse incontriamo due nuclei capitali della professione di fede cristiana: da un lato, la discendenza storica davidica e, quindi, messianica di Gesù di Nazaret e, d’altro lato, la sua concezione verginale per opera dello Spirito Santo e, di conseguenza, la divinità filiale dello stesso Cristo.
È ciò che san Paolo pone sul frontone del suo capolavoro teologico, la Lettera ai Romani: «l’evangelo di Dio, promesso per mezzo dei suoi profeti nelle Sacre Scritture, riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità» (1, 2-4).
Stiamo parlando dei cosiddetti “Vangeli dell’infanzia” ai quali Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha dedicato la terza e ultima tavola del suo trittico su Gesù di Nazaret (L’infanzia di Gesù, Milano - Città del Vaticano, Rizzoli – Libreria Editrice Vaticana, pagine 176, euro 17). Nella premessa egli ci propone una metafora descrittiva per definire questa sua analisi dell’infanzia di Gesù: siamo come nella «sala d’ingresso» di quella solenne architettura già perlustrata nei due volumi precedenti che mettevano in scena la vita pubblica di Cristo e la sua morte con l’approdo alla gloria della risurrezione.
In questo spazio iniziale, però, già si proiettano le ombre e le luci successive: la persecuzione di Erode con la strage degli innocenti è riverberata dal sangue della croce, l’intera Gerusalemme è sconvolta per la notizia della nascita del Bambino, come lo sarà nell’atto supremo del rifiuto finale, i tre giorni trascorsi da Gesù dodicenne nel tempio sembrano prefigurare il triduo della tomba, e l’arte delle icone di Novgorod (XV secolo) ha creato il modulo poi popolare di rappresentare la mangiatoia in cui è deposto il neonato Gesù come il sepolcro o anche l’altare ove “si mangia” il corpo di Cristo eucaristico, per usare una curiosa allegoria della “mangiatoia” evocata da sant’Agostino.
È proprio con la tecnica quasi cinematografica dell’anticipazione che Benedetto XVIapre il suo libro: nella “sala d’ingresso” fa risuonare una domanda che echeggerà più oltre sotto le volte del pretorio romano di Gerusalemme, quando il governatore Pilato interpellerà l’imputato Gesù: Póthen ei sy; «Di dove sei tu?» (Giovanni, 19, 9). Questa domanda dal sapore meramente anagrafico si riveste per il quarto Vangelo di un ammiccamento trascendente ulteriore. È per questo che l’interrogativo serpeggerà altrove nei Vangeli, ed esso ha la sua risposta proprio in questi 180 versetti che ora il Papa perlustra in un itinerario puntuale, ma trasparente e quasi narrativo.
La trama è semplice: nel racconto di Luca, ove la scansione delle scene privilegia Maria, le annunciazioni e le nascite del precursore Giovanni Battista e di Gesù si appaiano, con tutte le differenze che le connotano; l’annunciazione è, invece, rivolta a Giuseppe, il padre legale del Bambino, secondo la narrazione di Matteo, che ha come estuario finale il quadro grandioso dei Magi col successivo esodo-fuga in Egitto e il relativo esodo-ritorno.
Noi ora vorremmo, però, individuare i fili interpretativi che Benedetto XVI dipana all’interno della sua lettura di quei testi. Se conserviamo la metafora edilizia iniziale, potremmo parlare, più che di una sala, di una vera e propria planimetria architettonica a più stanze che richiedono diverse chiavi di accesso. È la metafora che adottava Origene, lo scrittore cristiano del III secolo, per definire la sua esegesi delle Sacre Scritture: sono come tante aule davanti alle quali c’è una chiave, ma non è quella giusta perché sono state scambiate e confuse; è, dunque, necessario verificarle a più riprese.
È evidente il riferimento al conflitto delle interpretazioni che già allora vigeva e che si è ramificato nei secoli successivi. Ecco, allora, le principali chiavi ermeneutiche (si dice appunto “la chiave di un testo” per la sua decifrazione) proposte da Ratzinger per i Vangeli dell’infanzia.
La prima e primaria è quella che fa ruotare in interazione “storia e fede”, sulla base anche dell’asserto centrale del cristianesimo: il Lògos eterno e infinito che è Cristo Dio diviene anche sarx, «carne», contingenza, temporalità, finitudine, mortalità, umanità. Ecco, quindi, di fronte a questi racconti dal taglio originale rispetto a quello delle altre pagine evangeliche, la domanda: «Si tratta veramente di storia avvenuta, o è soltanto una meditazione teologica espressa in forma di storia?».
Ogni quadro dell’infanzia di Gesù è sottoposto, perciò, dal Papa a un’essenziale verifica di storicità, anche perché molti esegeti hanno optato, invece, per una chiave “midrashica” per cui saremmo in presenza di una sorta di narrazione parabolica (l’ebraico midrash) attorno a temi, tesi, testi biblici e cristiani, una specie di drammatizzazione narrativa di verità teologiche.
La chiave impugnata da Benedetto XVI è diversa: si tratta di «avvenimenti storici il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità cristiana e dai Vangeli». E ancora: «Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene a un tempo esattamente databile e a un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda».
Non per nulla nei testi abbondano i rimandi alle coordinate geopolitiche, destinate a far esercitare l’acribia dell’esegesi storico-critica, da Betlemme a Nazaret, da Augusto a Erode, dal tempio di Gerusalemme col suo culto al censimento imperiale di Quirinio. E a sostegno di questa storicità egli propone la suggestiva classificazione dei racconti sotto il genere delle “tradizioni familiari”, vero e proprio «fondamento giudaico-cristiano proveniente dalla tradizione della famiglia di Gesù».
Nell’antico Vicino Oriente questi memoriali storici clanico-familiari avevano un rilievo tale da essere considerati simili a patrimoni, custoditi con fedeltà, ma anche duttilità nelle pagine vive della fertile memoria corale.
C’è, però, di più: in questi eventi storici strutturali si incrocia anche il trascendente e questo contatto fa scattare scintille a livello di interpretazione. In una pagina molto potente il Papa rimanda al grande teologo protestante Karl Barth il quale definiva nettamente i due punti in cui Dio interviene nel mondo materiale: la nascita di Gesù dalla Vergine e la sua risurrezione dal sepolcro. E commenta: «Questi due punti sono uno scandalo per lo spirito moderno. A Dio viene concesso di operare sulle idee e sui pensieri, nella sfera spirituale, ma non nella materia (...) Ma se Dio non ha anche potere sulla materia, allora egli non è Dio». Come è chiaro, divino e storico s’incontrano in un unico crocevia ed esigono, quindi, un’interpretazione congiunta tra teologia e storia.
C’è una seconda chiave che ci viene messa tra le mani ed è quella del nesso tra “storia e profezia”: è noto, infatti, che Matteo costruisce il suo edificio narrativo dell’infanzia di Gesù su una sequenza di citazioni bibliche. Si crea, così, un contrappunto tra profezia ed evento. Ratzinger usa una bellissima formula: chiama gli annunci profetici «parole in attesa» di ricevere la loro decifrazione piena, il loro “protagonista”. Quelle parole in sé germinali, sbocciano in Cristo, come nel celebre caso dell’oracolo di Isaia (7, 14) sulla “giovane / vergine” che genera l’Emmanuele. Perciò, «nella storia di Gesù, le parole antiche diventano realtà (...) e la storia di Gesù proviene dalla Parola di Dio, sostenuta e tessuta da essa».
Si può anche allargare questo sguardo retrospettivo oltre le profezie bibliche e — come fa Benedetto XVI — applicarlo analogicamente alla famosa quarta ecloga di Virgilio con le sue immagini generazionali spesso rilette in chiave cristiana, e persino — sia pure per superamento — si può rimandare all’iscrizione augustea di Priene (anno 9 prima dell’era cristiana) ove ci si imbatte in un lessico riletto dal cristianesimo («salvatore, pace, ecumene, vangelo»): forse «i sogni segreti e confusi dell’umanità di un nuovo inizio si sono realizzati nell’avvenimento di Cristo, in una realtà come solo Dio poteva creare». La figura dei Magi diventa, al riguardo, emblematica: «essi rappresentano l’incamminarsi dell’umanità verso Cristo, inaugurano una processione che percorre l’intera storia».
Ed eccoci alla terza chiave tra quelle che il libro ci offre. Fin dalla premessa, Papa Ratzinger ricorda uno dei capisaldi dell’attuale (ma anche tradizionale) narratologia: in azione sono due attori, “l’autore e il lettore”. Soprattutto di fronte a testi performativi e non meramente informativi come sono quelli religiosi, il puro movimento “centripeto” (“che cosa essi dicono in sé”) deve coniugarsi con un percorso “centrifugo” che giunge fino alla periferia dell’oggi (“che cosa essi dicono per me”). È su questa base che le pagine di Benedetto XVI sono costantemente intarsiate di interpellanze rivolte al lettore, un po’ come suggeriva Flaubert per il quale leggere non deve solo divertire o istruire, ma deve essere anche guida per il vivere.
Così, tanto per esemplificare, il rapporto tra fede e politica è ripreso nel suo duplice profilo: «A volte, nel corso della storia, i potenti di questo mondo attraggono a sé il regno di Dio; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere col potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano. Oppure esso è sottoposto all’insistente persecuzione da parte dei dominatori che non tollerano alcun regno e desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono». O ancora, ecco l’applicazione della tragedia dei bambini trucidati da Erode sulla quale incombe il lamento materno della Rachele biblica: «Nella nostra epoca storica rimane attuale il grido delle madri verso Dio, ma al contempo la risurrezione di Gesù ci rafforza nella speranza della vera consolazione».
C’è un quarto e ultimo criterio, corollario del precedente e apparentemente formale. Esso, però, si rivela una vera e propria chiave ermeneutica, nella consapevolezza che il mezzo linguistico è un rilevante strumento interpretativo. Intendiamo riferirci allo stile adottato da Ratzinger - Benedetto XVI nella sua analisi di questi testi evangelici. A differenza di molti teologi che si avvolgono nel manto dell’autoreferenzialità linguistica, striata di oscurità esoterica e oracolare, invalicabile alla «gente che non conosce la Legge» (Giovanni, 7, 49), egli ricorre a un linguaggio sempre limpido, essenziale, incisivo, persino umile («una spiegazione pienamente convincente di questo finora non l’ho trovata»), com’è tipico anche della sua persona.
Prima est eloquentiae virtus perspicuitas, insegnava quel maestro di retorica che era Quintiliano, convinto che la limpidità di discorso fosse la prima virtù dell’eloquenza. Ratzinger mette in pratica quel principio che Wittgenstein aveva coniato (ma poco seguito) nel suo Tractatus logico-philosophicus: «Tutto quello che si può dire, si può dire chiaramente», e già quel grande oratore che era san Bernardino da Siena ammoniva che «colui che parla chiaro, ha chiaro l’animo suo». Questa virtù, per altro, è richiesta dall’oggetto stesso di quei 180 versetti, che hanno al centro un Bambino che nasce da «una giovane donna ignota, in una piccola città ignota, in un’ignota casa privata. Il segno della Nuova Alleanza è l’umiltà, il nascondimento».
Alla nostra semplice ed essenziale mappa di lettura dello scritto ratzingeriano con le quattro coordinate fondamentali indicate desidereremmo accostare del tutto marginalmente un’appendice. A Benedetto XVI, come ha avuto occasione di attestare anche nell’omelia di chiusura del recente Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, è cara l’iniziativa del Cortile dei gentili.
Ebbene, ne vorremmo idealmente aprire uno proprio attorno ai Vangeli dell’infanzia di Gesù, convocando un non credente doc, lo scrittore e filosofo esistenzialista francese Jean-Paul Sartre. Era il Natale 1940 e nello Stalag XII d di Treviri ove era internato, egli fu sollecitato dai suoi compagni cristiani di detenzione a comporre una sorta di rappresentazione sacra. Elaborò, così, il suo primo testo teatrale, Bariona o il figlio del tuono.
Ebbene, in quel testo, a un certo punto, entrava in scena Maria che aveva appena dato alla luce il Bambino Gesù e, come ogni madre si era messa a contemplarlo con tenerezza, consapevole dell’unicità della sua esperienza. Ecco alcune righe veramente sorprendenti di quell’opera composta da un autore di netta caratura “gentile”. «Cristo è suo figlio, carne della sua carne e frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato per nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio (...) Ella sente insieme che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che egli è Dio. Ella lo guarda e pensa: “Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Egli mi assomiglia. È Dio e mi assomiglia!”. Nessuna donna ha avuto in questo modo il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolissimo che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e vive».
L'Osservatore Romano 21 novembre 2012
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Riporto dal blog di Sandro Magister.
ROMA, 20 novembre 2012 – "L'infanzia di Gesù" di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI è da domani in vendita nell'originale tedesco e in altre otto lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, brasiliano, polacco, croato. La tiratura globale di lancio supera il milione di copie. Nei prossimi mesi, il volume sarà tradotto in altre undici lingue e diffuso in 72 paesi.
È un libro breve e scritto in forma semplice e lineare. Più facile da leggersi, rispetto ai due più grossi tomi del "Gesù di Nazaret". E uscito per ultimo, ma nell'intenzione dichiarata dell'autore "è una specie di piccola 'sala d'ingresso' ai due precedenti volumi sulla figura e il messaggio di Gesù di Nazaret".
Prima che il libro uscisse, l'incognita maggiore era su come Benedetto XVI avrebbe risposto alla domanda se la nascita verginale, l'adorazione dei Magi e gli altri racconti dell'infanzia di Gesù, nei Vangeli di Matteo e di Luca, siano "veramente storia avvenuta" oppure "soltanto una meditazione teologica espressa in forma di storie".
L'autore inclina decisamente per la prima delle due risposte. Ma senza negare cittadinanza nella Chiesa alla seconda posizione.
Al termine del capitolo sui Magi, Benedetto XVI dà ragione a Jean Daniélou quando scriveva in "Les Évangiles de l'Enfance":
"A differenza del racconto dell'annunciazione a Maria, l'adorazione da parte dei Magi non tocca alcun aspetto essenziale per la fede. Potrebbe essere una creazione di Matteo, ispirata da un'idea teologica: in questo caso niente crollerebbe".
"Daniélou stesso, però – prosegue papa Ratzinger –, giunge alla convinzione che si tratti di avvenimenti storici il cui significato è stato teologicamente interpretato dalla comunità giudeo-cristiana e da Matteo".
E continua:
"Per dirla in modo semplice: questa è anche la mia convinzione".
Benedetto XVI riconosce che "nel corso degli ultimi cinquant'anni" si è affermata tra gli esegeti la tendenza a non riconoscere la storicità dell'adorazione dei Magi. Questa opinione – nota – "non si fonda su nuove conoscenze storiche, ma su un atteggiamento diverso di fronte alla Sacra Scrittura e al messaggio cristiano nel suo insieme".
A riprova di questo cambiamento, il papa fa notare che mentre il protestante Gerhard Delling, nella voce "Mágos" del "Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, ancora nel 1942 "riteneva la storicità del racconto sui Magi ancora assicurata in modo convincente", successivamente "anche esegeti di chiaro orientamento ecclesiale" come i cattolici Ernst Nellessen o Rudolf Pesch si sono detti "contrari alla storicità" o almeno hanno "lasciata aperta tale questione".
Di fronte a tutto ciò, tuttavia, Benedetto XVI consiglia di "considerare attentamente" la presa di posizione di un altro esegeta cattolico contemporaneo, Klaus Berger, che nel suo commento del 2011 al Nuovo Testamento scrive:
"Bisogna supporre – fino a prova contraria – che gli evangelisti non intendono ingannare i loro lettori, ma vogliono raccontare fatti storici. Contestare per puro sospetto la storicità di questo racconto va al di là di ogni immaginabile competenza di storici".
E conclude:
"Non posso che concordare con questa affermazione. I due capitoli del racconto dell'infanzia in Matteo non sono una meditazione espressa in forma di storie. Al contrario: Matteo ci racconta la vera storia, che è stata meditata e interpretata teologicamente, e così egli ci aiuta a comprendere più a fondo il mistero di Gesù".
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Di seguito alcuni brani del nuovo libro del Papa
(...)Gesù è nato in un’epoca determinabile con precisione. All’inizio dell’attività pubblica di Gesù, Luca offre ancora una volta una datazione dettagliata ed accurata di quel momento storico: è il quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare; vengono inoltre menzionati il governatore romano di quell’anno e i tetrarchi della Galilea, dell’Iturea e della Traconìtide, come anche dell’Abilene, e poi i capi dei sacerdoti (cfr.Lc 3,1 s).
Gesù non è nato e comparso in pubblico nell’imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato: l’universale e il concreto si toccano a vicenda. In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos eterno si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Mt 28,16ss).
Da pagina 36 del manoscritto
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(…) Maria avvolse il bimbo in fasce. Senza alcun sentimentalismo, possiamo immaginare con quale amore Maria sarà andata incontro alla sua ora, avrà preparato la nascita del suo Figlio. La tradizione delle icone, in base alla teologia dei Padri, ha interpretato mangiatoia e fasce anche teologicamente. Il bimbo strettamente avvolto nelle fasce appare come un rimando anticipato all’ora della sua morte: Egli è fin dall’inizio l’Immolato, come vedremo ancora più dettagliatamente riflettendo sulla parola circa il primogenito. Così la mangiatoia veniva raffigurata come una sorta di altare.
Agostino ha interpretato il significato della mangiatoia con un pensiero che, in un primo momento, appare quasi sconveniente, ma, esaminato più attentamente, contiene invece una profonda verità. La mangiatoia è il luogo in cui gli animali trovano il loro nutrimento. Ora, però, giace nella mangiatoia Colui che ha indicato se stesso come il vero pane disceso dal cielo – come il vero nutrimento di cui l’uomo ha bisogno per il suo essere persona umana. È il nutrimento che dona all’uomo la vita vera, quella eterna. In questo modo, la mangiatoia diventa un rimando alla mensa di Dio a cui l’uomo è invitato, per ricevere il pane di Dio. Nella povertà della nascita di Gesù si delinea la grande realtà, in cui si attua in modo misterioso la redenzione degli uomini.
Da pagina 38 del manoscritto
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Il ruolo di una donna, Maria, nella storia del mondo
[La genealogia di Matteo] termina con una donna: Maria che, in realtà, è un nuovo inizio e relativizza l’intera genealogia. Attraverso tutte le generazioni, tale genealogia aveva proceduto secondo lo schema: «Abramo generò Isacco…». Ma alla fine compare una cosa ben diversa. Riguardo a Gesù non si parla più di generazione, ma si dice: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Nel successivo racconto della nascita di Gesù, Matteo ci dice che Giuseppe non era il padre di Gesù e che egli intendeva ripudiare Maria in segreto a causa del presunto adulterio. E allora gli viene detto: «Ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo» (Mt 1,20). Così, l’ultima frase dà una nuova impostazione dell’intera genealogia. Maria è un nuovo inizio. Il suo bambino non proviene da alcun uomo, ma è una nuova creazione, è stato concepito per opera dello Spirito Santo. La genealogia rimane importante: Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui, Egli appartiene secondo la Legge, «legalmente», alla tribù di Davide. E tuttavia viene da altrove, «dall’alto» – da Dio stesso. Il mistero del «di dove», della duplice origine, ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e, tuttavia, è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il «Padre» suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo. E, ciononostante, alla fine è Maria, l’umile vergine di Nazaret, colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana. Capitolo 1: «Di dove sei tu?» (Gv 19,9), pp. 15-16
La risposta essenziale di Maria all’Annunciazione: il suo semplice «sì».
[Maria] si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte. Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà. Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»? Lei indugia… Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta – le dice Bernardo – non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola». È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì». I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio – e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo? Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23). Capitolo 2: L’annuncio della nascita di Giovanni Battista
e della nascita di Gesù, pp. 46-47Il quadro storico e teologico della narrazione della nascita nel Vangelo di Luca
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). Con queste parole Luca introduce il suo racconto sulla nascita di Gesù e spiega perché essa è avvenuta a Betlemme: un censimento con lo scopo di determinare e poi riscuotere le imposte è la ragione per cui Giuseppe con Maria, sua sposa, che è incinta, vanno da Nazaret a Betlemme. La nascita di Gesù nella città di Davide si colloca nel quadro della grande storia universale, anche se l’imperatore non sa nulla del fatto che questa gente semplice, a causa sua, è in viaggio in un momento difficile e così, apparentemente per caso, il bambino Gesù nascerà nel luogo della promessa. Per Luca il contesto storico-universale è importante. Per la prima volta viene registrata «tutta la terra», l’«ecumene» nel suo insieme. Per la prima volta esiste un governo e un regno che abbraccia l’orbe. Per la prima volta esiste una grande area pacificata, in cui i beni di tutti possono essere registrati e messi al servizio della comunità. Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala e una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, difatti, «la pienezza dei tempi». Capitolo 3: La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 71-72La gioia del Natale
L’angelo del Signore si presenta ai pastori e la gloria del Signore li avvolge di luce. «Essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). L’angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento”» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato. Continua attraverso i secoli in sempre nuove forme e nella celebrazione del Natale di Gesù risuona sempre in modo nuovo. Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata. Capitolo 3: La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 87-88Astrologia e religione nella storia dei Magi
Gregorio Nazianzeno dice che nel momento stesso in cui i Magi si prostrarono davanti a Gesù, sarebbe giunta la fine dell’astrologia, perché da quel momento le stelle avrebbero girato nell’orbita stabilita da Cristo (Poem. dogm. V, 55-64: PG 37, 428-429). Nel mondo antico, i corpi celesti erano guardati come potenze divine che decidevano del destino degli uomini. I pianeti portano nomi di divinità. Secondo l’opinione di allora, essi dominavano in qualche modo il mondo, e l’uomo doveva cercare di venire a patti con queste potenze. La fede nell’unico Dio, testimoniata dalla Bibbia, ha qui operato ben presto una demitizzazione, quando il racconto della creazione, con magnifica sobrietà, chiama il sole e la luna – le grandi divinità del mondo pagano – «lampade» che Dio, insieme con tutta la schiera delle stelle, appende alla volta celeste (cfr. Gen 1,16s). Entrando nel mondo pagano, la fede cristiana doveva nuovamente affrontare la questione delle divinità astrali. Per questo, nelle Lettere dalla prigionia agli Efesini e ai Colossesi, Paolo ha fortemente insistito sul fatto che il Cristo risorto ha vinto ogni Principato e Potenza dell’aria e domina tutto l’universo. In questa linea sta anche il racconto della stella dei Magi: non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella. Volendo, si può parlare di una specie di svolta antropologica: l’uomo assunto da Dio – come qui si mostra nel Figlio unigenito – è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero. Capitolo 4: I Magi d’Oriente e la fuga in Egitto, pp. 118-119
Gesù lascia la famiglia perché deve essere presso il Padre
La risposta di Gesù alla domanda della madre è impressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve trovarsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Lc 2,49)? Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa. In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Padre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù? Con ciò è direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli si attiene. Il figlio, il bambino deve essere presso il padre. La parola greca deî, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro (cfr. Mc 8,31). Questo «deve» vale già anche in questo momento iniziale. Egli deve essere presso il Padre, e così diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei confronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione. Epilogo: Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 143-144«Cresceva in sapienza, età e grazia»: Gesù vero uomo e vero Dio
È importante anche ciò che Luca dice sulla crescita di Gesù non solo in età, ma anche in sapienza. Da una parte, nella risposta del dodicenne si è reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Padre. Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è l’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). È proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce. Tuttavia è anche vero che la sua sapienza cresce. In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Così appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana. Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narrazione che così apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli. Epilogo: Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 146-147
[La genealogia di Matteo] termina con una donna: Maria che, in realtà, è un nuovo inizio e relativizza l’intera genealogia. Attraverso tutte le generazioni, tale genealogia aveva proceduto secondo lo schema: «Abramo generò Isacco…». Ma alla fine compare una cosa ben diversa. Riguardo a Gesù non si parla più di generazione, ma si dice: «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» (Mt 1,16). Nel successivo racconto della nascita di Gesù, Matteo ci dice che Giuseppe non era il padre di Gesù e che egli intendeva ripudiare Maria in segreto a causa del presunto adulterio. E allora gli viene detto: «Ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo» (Mt 1,20). Così, l’ultima frase dà una nuova impostazione dell’intera genealogia. Maria è un nuovo inizio. Il suo bambino non proviene da alcun uomo, ma è una nuova creazione, è stato concepito per opera dello Spirito Santo. La genealogia rimane importante: Giuseppe è giuridicamente il padre di Gesù. Mediante lui, Egli appartiene secondo la Legge, «legalmente», alla tribù di Davide. E tuttavia viene da altrove, «dall’alto» – da Dio stesso. Il mistero del «di dove», della duplice origine, ci viene incontro in modo molto concreto: la sua origine è determinabile e, tuttavia, è un mistero. Solo Dio è nel senso proprio il «Padre» suo. La genealogia degli uomini ha la sua importanza riguardo alla storia del mondo. E, ciononostante, alla fine è Maria, l’umile vergine di Nazaret, colei in cui avviene un nuovo inizio, ricomincia in modo nuovo l’essere persona umana. Capitolo 1: «Di dove sei tu?» (Gv 19,9), pp. 15-16
La risposta essenziale di Maria all’Annunciazione: il suo semplice «sì».
[Maria] si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).
Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte. Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana. Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà. Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»? Lei indugia… Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta – le dice Bernardo – non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola». È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì». I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio – e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo? Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23). Capitolo 2: L’annuncio della nascita di Giovanni Battista
e della nascita di Gesù, pp. 46-47Il quadro storico e teologico della narrazione della nascita nel Vangelo di Luca
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). Con queste parole Luca introduce il suo racconto sulla nascita di Gesù e spiega perché essa è avvenuta a Betlemme: un censimento con lo scopo di determinare e poi riscuotere le imposte è la ragione per cui Giuseppe con Maria, sua sposa, che è incinta, vanno da Nazaret a Betlemme. La nascita di Gesù nella città di Davide si colloca nel quadro della grande storia universale, anche se l’imperatore non sa nulla del fatto che questa gente semplice, a causa sua, è in viaggio in un momento difficile e così, apparentemente per caso, il bambino Gesù nascerà nel luogo della promessa. Per Luca il contesto storico-universale è importante. Per la prima volta viene registrata «tutta la terra», l’«ecumene» nel suo insieme. Per la prima volta esiste un governo e un regno che abbraccia l’orbe. Per la prima volta esiste una grande area pacificata, in cui i beni di tutti possono essere registrati e messi al servizio della comunità. Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala e una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, difatti, «la pienezza dei tempi». Capitolo 3: La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 71-72La gioia del Natale
L’angelo del Signore si presenta ai pastori e la gloria del Signore li avvolge di luce. «Essi furono presi da grande timore» (Lc 2,9). L’angelo, però, dissipa il loro timore e annuncia loro «una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,10s). Viene loro detto che, come segno, avrebbero trovato un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. «E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del [suo] compiacimento”» (Lc 2,12-14). L’evangelista dice che gli angeli «parlano». Ma per i cristiani era chiaro fin dall’inizio che il parlare degli angeli è un cantare, in cui tutto lo splendore della grande gioia da loro annunciata si fa percettibilmente presente. E così, da quell’ora in poi, il canto di lode degli angeli non è mai più cessato. Continua attraverso i secoli in sempre nuove forme e nella celebrazione del Natale di Gesù risuona sempre in modo nuovo. Si può ben comprendere che il semplice popolo dei credenti abbia poi sentito cantare anche i pastori, e, fino ad oggi, nella Notte Santa, si unisca alle loro melodie, esprimendo col canto la grande gioia che da allora sino alla fine dei tempi a tutti è donata. Capitolo 3: La nascita di Gesù a Betlemme, pp. 87-88Astrologia e religione nella storia dei Magi
Gregorio Nazianzeno dice che nel momento stesso in cui i Magi si prostrarono davanti a Gesù, sarebbe giunta la fine dell’astrologia, perché da quel momento le stelle avrebbero girato nell’orbita stabilita da Cristo (Poem. dogm. V, 55-64: PG 37, 428-429). Nel mondo antico, i corpi celesti erano guardati come potenze divine che decidevano del destino degli uomini. I pianeti portano nomi di divinità. Secondo l’opinione di allora, essi dominavano in qualche modo il mondo, e l’uomo doveva cercare di venire a patti con queste potenze. La fede nell’unico Dio, testimoniata dalla Bibbia, ha qui operato ben presto una demitizzazione, quando il racconto della creazione, con magnifica sobrietà, chiama il sole e la luna – le grandi divinità del mondo pagano – «lampade» che Dio, insieme con tutta la schiera delle stelle, appende alla volta celeste (cfr. Gen 1,16s). Entrando nel mondo pagano, la fede cristiana doveva nuovamente affrontare la questione delle divinità astrali. Per questo, nelle Lettere dalla prigionia agli Efesini e ai Colossesi, Paolo ha fortemente insistito sul fatto che il Cristo risorto ha vinto ogni Principato e Potenza dell’aria e domina tutto l’universo. In questa linea sta anche il racconto della stella dei Magi: non è la stella a determinare il destino del Bambino, ma il Bambino guida la stella. Volendo, si può parlare di una specie di svolta antropologica: l’uomo assunto da Dio – come qui si mostra nel Figlio unigenito – è più grande di tutte le potenze del mondo materiale e vale più dell’universo intero. Capitolo 4: I Magi d’Oriente e la fuga in Egitto, pp. 118-119
Gesù lascia la famiglia perché deve essere presso il Padre
La risposta di Gesù alla domanda della madre è impressionante: Ma come? Mi avete cercato? Non sapevate dove deve essere un figlio? Che cioè deve trovarsi nella casa del Padre, «nelle cose del Padre» (Lc 2,49)? Gesù dice ai genitori: mi trovo proprio là dove è il mio posto – presso il Padre, nella sua casa. In questa risposta sono importanti soprattutto due cose. Maria aveva detto: «Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Gesù la corregge: io sono presso il Padre. Non è Giuseppe mio padre, ma un Altro – Dio stesso. A Lui appartengo, presso di Lui mi trovo. Può forse essere espressa più chiaramente la figliolanza divina di Gesù? Con ciò è direttamente connessa la seconda cosa. Gesù parla di un «dovere» al quale Egli si attiene. Il figlio, il bambino deve essere presso il padre. La parola greca deî, che Luca qui usa, ritorna sempre nei Vangeli là dove viene presentata la disposizione della volontà di Dio, alla quale Gesù è sottomesso. Egli «deve» soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere, come dice ai discepoli dopo la professione di Pietro (cfr. Mc 8,31). Questo «deve» vale già anche in questo momento iniziale. Egli deve essere presso il Padre, e così diventa chiaro che ciò che appare come disobbedienza o come libertà sconveniente nei confronti dei genitori, in realtà, è proprio espressione della sua obbedienza filiale. Egli è nel Tempio non come ribelle contro i genitori, bensì proprio come Colui che obbedisce, con la stessa obbedienza che condurrà alla Croce e alla Risurrezione. Epilogo: Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 143-144«Cresceva in sapienza, età e grazia»: Gesù vero uomo e vero Dio
È importante anche ciò che Luca dice sulla crescita di Gesù non solo in età, ma anche in sapienza. Da una parte, nella risposta del dodicenne si è reso evidente che Egli conosce il Padre – Dio – dal di dentro. Egli solo conosce Dio, non soltanto attraverso persone umane che lo testimoniano, ma Egli lo riconosce in se stesso. Come Figlio, Egli sta a tu per tu con il Padre. Vive alla sua presenza. Lo vede. Giovanni dice che Egli è l’Unico che «è nel seno del Padre» e perciò può rivelarlo (Gv 1,18). È proprio ciò che diventa evidente nella risposta del dodicenne: Egli è presso il Padre, vede le cose e gli uomini nella sua luce. Tuttavia è anche vero che la sua sapienza cresce. In quanto uomo, Egli non vive in un’astratta onniscienza, ma è radicato in una storia concreta, in un luogo e in un tempo, nelle varie fasi della vita umana, e da ciò riceve la forma concreta del suo sapere. Così appare qui, in modo molto chiaro, che Egli ha pensato ed imparato in maniera umana. Diventa realmente chiaro che Egli è vero uomo e vero Dio, come s’esprime la fede della Chiesa. Il profondo intreccio tra l’una e l’altra dimensione, in ultima analisi, non lo possiamo definire. Rimane un mistero e, tuttavia, appare in modo molto concreto nella breve narrazione sul dodicenne – una narrazione che così apre al tempo stesso la porta verso il tutto della sua figura, che poi ci viene raccontato dai Vangeli. Epilogo: Gesù dodicenne nel Tempio, pp. 146-147
Ma sei in cammino? Io si... sono capitata sul tuo blog per caso... semmai vienimi a trovare
RispondiEliminaTi linko perché hai un blog molto interessante ^^
buona giornata!
Elisabetta
Ciao EliMod, si ... ai Filippini a Vicenza...
EliminaBuona giornata a te Giuliano