Da guerrieri della notte a Cavalieri della Luce
Quando ci fidiamo di Gesù ci accorgiamo che la nostra vita è una costellazione di segni. È stata proprio questa consapevolezza ad accompagnarmi nell’ascolto della testimonianza di Chiara Amirante lo scorso 10 marzo, nella chiesa dei frati francescani di piazza Sant’Angelo a Milano
«Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la Mia voce e Mi apre, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con Me» (Ap 3,20). Chiara, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti,racconta la sua storia. A 17 anni, insieme a tre amici fra cui Claudia, si ritrova vittima di un incidente stradale: «il ragazzo che guidava aveva bevuto e la macchina è finita in un burrone. In quella frazione di secondo mi sono detta: a 17 anni sto già morendo… Che peccato, avrei potuto amare molto di più! Quest’attimo è valso un’eternità; ho rivisto la mia vita e ho pensato: che cosa resta di questi 17 anni?».
Dalla riflessione che «tutto passa» nasce il titolo del suo ultimo libro, Solo l’amore resta: «quella serata ha rappresentato una svolta, io e Claudia abbiamo deciso di non disperdere troppe energie per apparire, ma di concentrarci sugli orizzonti di eternità. Dopo un mese Claudia viene investita in un altro incidente, firmando con la sua vita il patto che avevamo fatto».
A 21 anni Chiara decide di recarsi di notte alla Stazione Termini per incontrare tutti i giovani in situazione di grave disagio che hanno fatto della strada la loro casa. Perché questa scelta radicale? «Quando fai una scoperta che ti riempie e che colora anche gli inferi più terribili, non puoi non condividerla e gridarla in tutti i modi. Ho trovato la bellezza! Quando sei stato nel deserto e trovi un’oasi, prima ti tuffi e poi senti che non puoi non tornare nel deserto a dire che la Sorgente c’è! Gli altri possono pensare che hai delle allucinazioni, ma non c’è niente di più bello nella vita che la promessa di Gesù: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”».
L’idea di andare in strada di notte rischiando la vita è nata in Chiara dallo sperimentare una gioia che resiste anche alla situazione più drammatica: «ero infatti malata agli occhi, quasi cieca; la mia cartella clinica era stata vista dai migliori luminari e tutti mi dicevano che non sarei mai guarita in quanto era interessata anche la retina. Allora ho detto: “Gesù, se sei tu che mi metti nel cuore questo desiderio di cercare giovani deviati, mettimi anche nelle condizioni di poterlo realizzare!”». Con questo spirito Chiara si reca a fare le iniezioni quotidiane agli occhi e scopre che da meno 8 decimi vede più di 11 decimi, come se Dio le dicesse: “Non temere, sono io che ti mando!”.
Il desiderio ora benedetto è quello di andare a trovare personalmente i giovani più disperati per poter testimoniare loro che è possibile sperimentare la gioia: «nei sottopassaggi della stazione Termini di Roma sembrava di scendere nei gironi infernali, ma Dio è disceso nei nostri inferi. Quando ti immergi in certi posti le paure si fanno sentire, però per me è stato più forte scoprire quanta sete di Dio c’è tra i ragazzi che vivono di spaccio e di criminalità. Io li ascoltavo e poi mi sentivo dire: “Gesù ti dà questa gioia?”. E mi chiedevano di portarli via con me. Non era tanto quello che dicevo che li colpiva, ma vedere nei miei occhi quella felicità che anche loro cercavano. “Allora esiste, allora c’è!”».
Inizialmente Chiara indirizza i giovani nei centri di recupero dalle dipendenze, ma si accorge ben presto che le ricadute sono quasi scontate: manca in questi ragazzi la ragione fondamentale che dona la forza per dare senso alla sofferenza: «volevano anestetizzarsi. Allora ho pensato di andare a vivere insieme a loro per sperimentare il Vangelo». Chiara compie così una scelta radicale, compromette totalmente la sua vita e comincia a vivere la proposta del cristianesimo senza interpretazioni di comodo, secondo le parole di Gesù: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi».
Lascia il lavoro e parte per questa avventura: «l’inferno della strada è diventato la mia famiglia. All’inizio mi sentivo impotente, non avevo risorse economiche né competenze. Cosa potevo fare per questo grido terribile, per i miei fratelli consumati dalla droga e dalla schiavitù della prostituzione? Incontravo giovani con problemi più grandi delle mie possibilità, ma quando apriamo anche solo una fessura del cuore, Dio fa miracoli!». La convinzione di fondo è quella proposta dal Vangelo: «non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre […] Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
Il budget mensile iniziale è di 25 milioni di lire. Chiara al tempo guadagna 1 milione di lire, ma crede nella Provvidenza: «Gesù ha una pedagogia tutta Sua: il giorno in cui mi sono fidata completamente è arrivata una telefonata in cui mi venivano offerti locali in comodato d’uso. Erano 8 mesi che cercavo ed è arrivato tutto quando mi sono abbandonata a Lui!». E dalla prima comunità con 25 ragazzi e il pranzo su un tavolo da ping pong, ora i centri sono diventati 174, grazie a persone di buona volontà e ad imprenditori che di tasca loro hanno donato e continuano a farlo. I primi missionari di Nuovi Orizzonti sono stati proprio gli ex drogati, che sono andati ovunque a mostrare una gioia che gli altri sapevano riconoscere nel proprio cuore: «anche là dove le tenebre sembrano regnare, una luce può squarciare. È una rivoluzione silenziosa ma potentissima: basta un po’ d’amore».
Chiara paragona tutti noi ai discepoli, ricordando come dei semplici pescatori abbiano cambiato la vita di milioni di persone: «San Paolo ai Tessalonicesi afferma che è volontà di Dio la nostra santificazione. Siamo tutti chiamati a vivere la santità, e se è volontà di Dio, allora è possibile. Inoltre Gesù dice: “Rimanete nel Mio amore […] Vi dico queste cose perché la Mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena”. Ma ci avete mai pensato? La volontà di Dio è che siamo sempre nella gioia!». Oggi sono molti i profeti di menzogna che bombardano la nostra società di chimere su come ottenere felicità illusorie, ma «nessun Erode deve prendere il Suo posto. Il Signore deve essere il centro della nostra vita: abbiamo raccolto la morte, abbiamo provato a percorrere la strada della luce». Così, il popolo della notte è diventato il popolo dei cavalieri della luce. (I. Bertoglio)
IL VERO VOLTO DELLA
CHIESA NEL SORRISO
DI UNA RAGAZZA.
Chiara e il conclave
DA LOSTRANIERO DI ANTONIO SOCCI
I mass media continuano a non capire la Chiesa, anche alla vigilia del prossimo Conclave. Per comprenderne il mistero bisognerebbe – per esempio – leggere un libro straordinario, “Solo l’amore resta” (Piemme), dove Chiara Amirante – 45 anni circa – racconta la sua storia.
I giornali quasi non sanno chi sia Chiara, ma lo sanno benissimo migliaia di persone che per l’incontro con lei sono usciti dal buio e si sono convertiti (a me ricorda un po’ santa Caterina, un po’ Madre Teresa, ma lei respingerebbe con un sorriso e una battuta ironica il paragone).
Anche il Papa conosce bene Chiara (l’ha nominata consultrice del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione) e così pure molti importanti cardinali che la stimano davvero (il cardinale Ruini, da Vicario di Roma, ha aiutato e sostenuto la sua opera fin dall’inizio, quando lei era giovanissima).
Invece i media no. Non capiscono cosa è la Chiesa, sebbene Benedetto XVI non si stanchi di indicare la presenza viva e misteriosa di Gesù Cristo.
Ratzinger fin da cardinale continuava ad affermare che la Chiesa è “semper reformanda” (deve essere sempre rinnovata), ma sottolineando che è sempre stata rinnovata non dai riformatori (che hanno fatto disastri), ma dai santi
LA STORIA INSEGNA
I media non lo capiscono. Se fossero esistiti – per esempio – nel XVI secolo, tv, internet e giornali avrebbero raccontato solo trame, corruttele, nepotismi, prostitute e altre cose simili. E avrebbero diagnosticato che la Chiesa stava morendo. Intervistando ogni giorno Lutero.
In effetti nessuna istituzione umana sarebbe mai sopravvissuta a tanta “sporcizia”.
Invece la Chiesa uscì da quel secolo con una rinnovata giovinezza, con uno slancio e una bellezza travolgente e attraversa i secoli. Perché non è una istituzione umana, ma letteralmente una “cosa dell’altro mondo”.
Per capirlo i media nel XVI secolo avrebbero dovuto spostare i riflettori su una quantità immensa di santi che, proprio in quegli anni, il Signore fece sgorgare nel giardino della sua Chiesa.
Ne cito solo alcuni (ma ognuno di loro è stato un poema e un ciclone): Carlo Borromeo, Filippo Neri, Francesco di Paola, Luigi Gonzaga, Francesco Saverio, Ignazio di Loyola, Giovanni della Croce, Giovanni d’Avila, Teresa d’Avila, Tommaso Moro, Juan Diego, John Fisher, Paolo Miki, Caterina de’ Ricci, Pietro Canisio, Stanislao Kostka, Edmund Campion.
Per questo dico che oggi – per capire qualcosa del futuro della Chiesa – bisognerebbe andare a cercare e a raccontare storie come quella di Chiara Amirante.
Il suo libro è un abisso di luce. Eppure racconta, con una prosa semplice, una storia dei nostri anni, di una ragazza che è ancora oggi una giovane donna, del tutto normale.
Un flash della sua storia. E’ una notte d’inverno del 1991, verso le tre. Una graziosa venticinquenne in motorino, a Roma, parte dalla stazione Termini e percorre un viale verso l’Appia quando viene avvicinata da un furgone che le taglia la strada per farla fermare.
Le intenzioni dell’omaccione non lasciano dubbi e vengono dichiarate alla giovane dal finestrino. Lei, che è – come avrete capito – Chiara, accelera, scappa, cerca di darsi coraggio cantando, dice a se stessa (“ma no, non sono sola, il Signore è con me”).
Poi, alla fine, lo guarda negli occhi e gli dice: “hai trovato la persona sbagliata, perché io ho consacrato la mia vita a Dio”.
Sembrò che il tipaccio avesse avuto una mazzata in testa. Infatti si ferma più avanti con le mani alzate e – quasi intimorito – le dice: “Perdonami. Ma davvero tu hai consacrato la tua vita a Dio? Come è possibile? Una bella ragazza come te… Non ci posso davvero credere”.
Ancor più sconvolto sarebbe stato se avesse saputo da dove veniva Chiara. Perché, così indifesa, o meglio, difesa dagli angeli, stava andando ogni notte nei sottopassaggi della stazione Termini che, in quegli anni, erano davvero gironi infernali, pericolosissimi per chiunque (tanto più per una ragazza sola).
Ma come e perché Chiara si era lanciata in quell’avventura? Lo racconta nel suo libro e tutto sembra semplice e normale, ma in realtà i fatti che mette in fila sono sconvolgenti. Provo a enuclearli alla meglio.
COME DIO CHIAMA
Chiara cresce in una famiglia che vive nel movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Fin dall’inizio attorno a lei – anche all’università di Roma – si raccolgono tanti giovani. Poco più che ventenne contrae una malattia gravissima agli occhi – l’uveite – che, oltre a dolori tremendi per quattro anni, secondo la diagnosi di tutti gli specialisti, la porterà presto alla cecità totale.
Nonostante questa prova tremenda il cammino spirituale di Chiara si approfondisce. E perfino la sua gioia. Il suo sobrio racconto fa intuire esperienze che – più che sogni – hanno tutto l’aspetto di esperienze soprannaturali.
Così, mentre matura in lei la vocazione ad andare da sola a cercare gli ultimi, i più derelitti e disperati (e il “popolo della notte” della Stazione Termini è il luogo che ha nel cuore), d’improvviso – dopo un pellegrinaggio al santuario del Divino Amore – le viene donata una guarigione improvvisa, totale e del tutto inspiegabile per i medici.
Una guarigione che lei in fondo non aveva neanche chiesto, ma che interpreta come un segno: deve intraprendere subito la sua strada. E così diventa l’angelo degli inferni metropolitani. Si aggira col suo sorriso in luoghi pericolosissimi e sempre si sente protetta.
Finché decide lei stessa di andare a vivere con questa povera gente, tra tossicodipendenti, malati di Aids, ragazze prostitute, derelitti al limite del suicidio, ex carcerati, gente che aveva frequentato sette sataniste, con tutte le conseguenze…
I fatti che accadono attorno a Chiara sono sconvolgenti. Veramente si rende visibile la potenza dello Spirito Santo. Sono pagine tutte le leggere. Ma Chiara è chiamata ad andare avanti in quel cammino.
Medjugorje è un altro dei suoi luoghi del cuore. E lì s’illuminano i nuovi passi di Chiara. Nasce “Nuovi orizzonti”, l’ideale di una comunità dove si vive con semplicità e integralità il Vangelo.
C’è la freschezza di ogni inizio, in tutti i tempi, dai primi amici di Gesù a Francesco d’Assisi a Ignazio di Loyola…. C’è l’abbandono totale al Signore e la scelta radicale, da parte di Chiara e dei suoi amici, dei voti di povertà, castità, obbedienza e – in seguito – di gioia.
Questo è solo l’inizio dell’avventura di Chiara, ma è nell’origine che si coglie davvero l’essenza di qualunque cosa. Oggi mettere in file i numeri di ciò che è nato da Chiara fa impressione: 174 centri di accoglienza e di formazione, 152 Equipe di servizio, 5 Cittadelle Cielo in costruzione in diversi continenti, più di 250 mila “Cavalieri della luce” che – come dice Chiara – sono impegnati a portare dovunque, nel mondo, “la rivoluzione dell’amore”.
Ma tutto questo – che forse è quello che più interesserebbe i media – in realtà è solo un sovrappiù rispetto all’essenziale. Che è l’intima unione spirituale di Chiara con Gesù, la sua toccante umanità, la sua semplicità, la sua gioia contagiosa (pur dentro sofferenze fisiche tuttora molto pesanti).
I “segni” che accadono attorno a Chiara poi fanno sperimentare davvero la vicinanza del Signore.
Quella “Chiesa gerarchica” che oggi spesso viene messa sulla graticola dai media fin dall’inizio ha accolto Chiara come una figlia amatissima e ha riconosciuto e valorizzato il suo carisma.
Oggi incontrando Chiara, leggendo la sua storia, guardando il suo volto e i tanti giovani che accanto a lei hanno trovato il senso della vita, viene da concludere che i media non raccontano cosa è davvero la Chiesa. Non la capiscono.
Forse non la vogliono capire.
Già i primi apologeti cristiani, durante le persecuzioni, dicevano: “i cristiani chiedono solo questo, di essere conosciuti prima di essere condannati”. Anche oggi sembra che non si conoscano i cristiani. Che sono “una cosa dell’altro mondo” in questo mondo.
Antonio Socci
Da “Libero”, 26 febbraio 2013
Vedi Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”
Lettera a mia figlia
“Perché il mondo ha tanta paura della sofferenza? Perché ha così bisogno di chiudere una ferita?”
si domanda l’autore. “Forse perché sconvolge la vita, le nostre visioni, i nostri progetti. La
sofferenza chiede amore, tanto amore, e non è facile amare così.”
La vita di Antonio Socci e della sua famiglia viene travolta nel 2009 dal dramma improvviso della
primogenita Caterina, entrata in coma dopo un inspiegabile arresto cardiaco. Tutto sembra perduto,
resta solo il grido di una preghiera che coinvolge un mare di persone. E Caterina si risveglia
dal coma. Ma la gioia per questo miracolo viene messa alla prova dall’enormità dei problemi che la
ragazza si trova ad affrontare.
Tuttavia la forza e la fede con cui Caterina percorre un cammino così duro sono travolgenti per il padre, che scopre anche la bellezza di un mondo sconosciuto, eroico e affascinante, fatto soprattutto di giovani, che sono per l’autore la “meglio gioventù”.
È l’incontro con volti di persone normali che l’amore di Gesù Cristo rende capaci perfino di sacrificare silenziosamente la propria esistenza. Storie che testimoniano un coraggio e una letizia
più forti del dolore e della morte. Ne scaturisce una lunga lettera in cui l’autore,
cristiano controcorrente da sempre, scrive alla figlia non solo per accompagnarne la rinascita,
ma anche per raccontare a tutti il miracolo che una giovinezza piena di fede può compiere. “Abbiamo
bisogno di uomini e donne indomiti” scrive Socci “che ci mostrano che non si deve aver paura del cammino della vita, delle sue fatiche e delle sue prove. Perché è questo brevissimo cammino che ci fa guadagnare la felicità per sempre.”
Riporto di seguito dal blog dell'autore.
* * *
Oggi è uscito il mio libro “Lettera a mia figlia (sull’amore e la vita al tempo del dolore)”, (Rizzoli). Quello che segue è il capitoletto finale del libro
LETTERA A MIA FIGLIA
«Mentre ancora parlava, dalla casa del capo
della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia
è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?”.
Ma Gesù, udito quanto dicevano,
disse al capo della sinagoga: “Non temere,
continua solo ad aver fede!”. […] Presa la
mano della bambina, le disse: “Talità
kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico,
alzati!”. Subito la fanciulla si alzò.»
Mc 5,35-43
Carissima Caterina,
c’è sempre un immenso struggimento in ciò che un padre vorrebbe dire a una figlia e ancora di più nel nostro caso perché quello che ci è accaduto e che viviamo ha ingigantito tutti i sentimenti e ora non riescono più a stare dentro le parole.
E nemmeno dentro ai silenzi.
È difficile per tutti, in questi casi, aprire il proprio cuore perché quei sentimenti straripano fuori alla rinfusa e cozzano fra loro. E lo è per me specialmente, perché conosco la tua assoluta refrattarietà a questo tipo di confessioni e dichiarazioni. Che certo tu, per sottrarti alla commozione, bolleresti – con un incurante sorriso – come «enfatiche».
Tu che ridendo mi «ordini» sempre di volerti bene stando zitto. Hai ragione. Ma voglio abbracciarti egualmente con la gioia di queste parole, perché quel giorno atroce pensai…
“Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai nulla può giovare” (1).
Mentre oggi che sei tornata, oggi che ci sei stata restituita, su ogni alba trovo scritto il tuo nome, per me ogni sole a mezzogiorno brilla con i tuoi occhi, ogni brezza mi ricorda il tuo pianto, ogni notte fa riecheggiare il tuo canto e il tuo sorriso illumina e cura tutte le mie ferite.
No, la Felicità non si è scordata di noi. È sulla strada, sta tornando, ci ha già fatto arrivare i suoi messaggeri e io su ali d’aquila andrò a cercarla affinché non si attardi.
Perché affretti il suo passo chiederò ai venti di aiutarne il cammino, alle stelle di segnarle la via, incaricherò la luna di non farla assopire, alla primavera domanderò di vestirla a festa.
Colui che ha promesso, Colui a cui sei cara, manterrà la Sua parola, perché essa non può fallire, è stabile più della terra, certa più della luce del sole. Perché è già realtà.
Supplicherò tutte le schiere degli angeli perché la loro Regina ci renda pronti e degni. Perché affretti i giorni della consolazione. Mentre noi – che apprendemmo un po’ di umiltà dal dolore – impariamo ora la saggezza dal tuo silenzio, Caterina, la fede dal tuo coraggio, la speranza dalla tua allegria, la carità dalla tua pazienza.
Tua mamma un giorno ti ha detto: «Cate, sei un mito, per me. Sei il mio mito!». E tu sai di esserlo per tutti noi. Sei il nostro orgoglio e la nostra forza. Non finirò mai di ringraziare il Cielo per averci dato una figlia come te. E per averti ridonata a noi quando sembrava che ci fossi stata tolta.
Io ho riempito il mondo del tuo nome, l’ho scritto in cielo e in terra, sui libri e nei cuori, lo scriverò su ogni fiore che spunterà la prossima primavera e lo farò sussurrare al mare.
E sono certo che…
“Il più bello dei mari e quello che non navigammo.
[…] I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto” (2).
il tuo babbo
(1) Wystan Hugh Auden, Blues in memoria, in La verità, vi prego,
sull’amore, Adelphi 1994.
(2) Nazim Hikmet, Il più bello dei mari, in Poesie d’amore, Mondadori 2002
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