L'eredità di Benedetto
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“Ratzinger al Vaticano II” è un agile volume delle edizioni San Paolo nelle quali il giornalista Gianni Valente ripercorre gli interventi del futuro pontefice in quello che è universalmente considerato l’evento storico religioso più importante del XX secolo. Il libro fa seguito a un altro scritto sempre dallo stesso autore nel 2008 dedicato all’attività accademica del brillante teologo: “Ratzinger professore”.
Ratzinger è un giovanissimo docente dell’Università di Bonn quando prende parte alla prima sessione del Concilio in qualità di perito privato del cardinale arcivescovo di Colonia Frings. Già a partire dal termine della prima sessione viene nominato perito conciliare e in tale veste contribuirà alla redazione dei più importanti documenti conciliari.
L’autore narra in modo scorrevole il succedersi dei fatti, non disprezzando, di tanto in tanto, di inserire i ricordi personali tratti dai diari privati di alcuni protagonisti del Concilio. Desta per esempio un sorriso la descrizione che il Cardinale Siri fa di un testo redatto da Ratzinger considerato “al massimo buono per scrivere una lettera pastorale, stile lettera a Diogneto, e non degno di essere equiparato a un testo conciliare”. Sappiamo come andò a finire: l’arcivescovo di Genova partecipò in tutto a 4 conclavi uscendone sempre cardinale, mentre Ratzinger…
L’opera del professore di dogmatica si inserisce nello scontro fra quelle che sono state chiamate “la minoranza conservatrice” e la “maggioranza progressista”. Più che usare questo linguaggio mutuato dalla politica, si dovrebbe parlare di due sensibilità ecclesiologiche diverse, la prima più preoccupata a conservare il depositum fidei, l’altra più desiderosa di tradurlo in formule maggiormente accessibili per l’uomo contemporaneo. Fra queste due correnti Ratzinger si può ascrivere alla seconda, seppur con alcuni distinguo. E questa può essere per il lettore una prima sorpresa: quello che spesso è stato percepito dalla massa come un conservatore, in realtà durante i lavori del Concilio lavorò per rinnovare in modo decisivo il volto della Chiesa.
Dalla lettura del libro emerge come in realtà nella vita di Joseph Ratzinger non ci sia una vera e propria svolta in senso conservatore dopo gli anni del Concilio, ma anche durante l’evento conciliare egli non condivise la visione eccessivamente ottimista dei suoi colleghi teologi e di quanti erano di tendenza progressista e sognavano l’inizio di una Nuova Chiesa. No, Ratzinger rimase fedele al senso letterale dell’aggiornamento voluto da Giovanni XXIII che voleva trasmettere il contenuto di sempre in uno stile adatto ai tempi. Nell’euforia generale degli anni ’60, il professore tedesco rimase con i piedi per terra.
Uno dei temi più importanti trattati durante l’assise conciliare fu quello della collegialità, inserito nel più ampio schema De Ecclesia. L’autore mette bene in mostra come il Concilio Vaticano I avesse esaltato il primato del vescovo di Roma, in linea con il magistero pontificio degli ultimi secoli, ma non aveva trattato dell’episcopato, anche a causa dell’irruzione dei piemontesi nella Città Eterna che aveva di fatto provocato l’interruzione del Concilio. La minoranza vedeva nella dottrina della collegialità un potenziale pericolo per il primato petrino. Tale preoccupazione era sostenuta anche dalla presunta mancanza di un fondamento scritturistico. In una nota scritta ad hoc, Ratzinger faceva notare fra l’altro come neppure le parole “primato” e “infallibilità” siano contenute nella Scrittura!
Connesso al tema della collegialità è quello della sacramentalità dell’ordine sacro. Anche su questo versante, fra membri della minoranza e quelli della maggioranza non c’era una visione unanime. Mentre i primi sostenevano che si entra a far parte del collegio episcopale per mezzo dell’assegnazione del Papa ad una diocesi, gli altri invece ritenevano sufficiente la sola consacrazione episcopale. Come si inserisce in questo dibattito il futuro Pontefice? Secondo Ratzinger le due cose non si escludono a vicenda, anzi, possono e debbono coniugarsi in maniera tale che con la consacrazione si entra a far parte del corpo episcopale e l’assegnazione alla diocesi rende manifesta la comunione dei vescovi con quello di Roma.
In questi come in altri interventi citati nel libro, si vedono le doti di straordinario equilibrio tenute dal perito conciliare Ratzinger. L’autore mette in evidenza come la caratteristica che contraddistingue il giovane professore tedesco sia quello di non farsi trasportare dall’euforia del momento e di agire sempre e soltanto per l’esclusivo bene della Chiesa. Il quadro che Valente ci mostra è quello di un uomo intenzionato a far risplendere sul volto della Chiesa quella luce che solo il suo Signore può donarle. Egli si allinea alla maggioranza solo quando vede che questa oppone il respiro intero della tradizione e della fede contro una teologia la cui memoria sembra tornare indietro solo fino al Concilio Vaticano I o a quello di Trento.
Nell’ultima parte del libro dedicata agli anni del post-concilio, particolarmente interessante a nostro avviso è una citazione di un discorso che Ratzinger svolge a Foggia nel 1985 quando ormai è divenuto cardinale. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si espresse in questo modo: “Alla chiesa appartiene essenzialmente l’elemento del ricevere, così come la fede deriva dall’ascolto e non è il prodotto di proprie riflessioni o decisioni. La fede infatti è incontro con ciò che io non posso escogitare o produrre con i miei sforzi, che mi deve appunto venire incontro. Questa struttura del ricevere, dell’incontrare la cgiamiamo sacramento. E appunto per questo rientra nella struttura fondamentale del sacramento il fatto che esso venga ricevuto e che nessuno se lo possa conferire da solo… La Chiesa non si può fare, ma solo ricevere”. In un tempo come quello di oggi in cui molti, sia dentro che fuori dalla Chiesa, propongono soluzioni per la Chiesa, Ratzinger ci ha ricordato che ad essa non ci si può avvicinare con lo spirito di manager aziendali, ma che essa è una realtà preesistente a noi e che continuerà ad esistere dopo di noi e che il miglior atteggiamento è l’adesione e il desiderio di scoprirne e vivere il mistero. Un libro dunque molto utile quindi, del quale si può vivamente consigliare la lettura in questo anno della fede.
L'eredità di Benedetto
Riporto da "Popoli"
Osando andare dove i profeti avrebbero timore di inoltrarsi, quello che segue è un esitante status questionis del papato di Benedetto XVI in questo avvincente momento della vita della Chiesa.
SUCCESSI E CONTROVERSIE
L’oggetto è stato Gesù. Già dagli esordi di questo pontificato è stato chiaro che papa Benedetto XVI vedeva se stesso come un papa «professore», il cui interesse principale era ed è il Figlio di Dio. Le sue encicliche sulle virtù teologali, i tre volumi su Gesù, gli Angelus e le udienze del mercoledì sulle vite dei santi della Chiesa primitiva saranno probabilmente il suo più importante lascito sia dal punto di vista pastorale sia da quello culturale. In generale, i suoi discorsi non si addentravano nelle controversie teologiche che hanno contraddistinto l’attività di Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ma piuttosto le fonti centrali del cristianesimo. Nel costante tentativo di rispondere alla sfida di tenere insieme fede e ragione.
Il papato, non il Papa. Il quieto Benedetto XVI non era l’estroverso Giovanni Paolo II. Si è subito intuito che l’accento posto da papa Wojtyla sull’importanza del sacerdozio e del papato non si sarebbe ripetuto. Persino il modo in cui papa Ratzinger celebrava la messa - con un grande crocefisso al centro dell’altare - era concentrato sull’Eucaristia, non sul celebrante. Separando la sua figura da quella del pontefice, Benedetto ha aiutato a recuperare la corretta concezione del papato: un ufficio investito di autorità, non una posizione di potere personale.
Conseguenze indesiderate. Benedetto XVI e la sua curia non comunicavano bene con il mondo. Non pochi sostengono che il grande comunicatore Giovanni Paolo II sia stato sostituito da un Papa non altrettanto bravo nelle relazioni pubbliche. Papa Benedetto ha irritato gli ebrei quando ha tolto la scomunica a un vescovo negazionista e quando, autorizzando l’uso del messale preconciliare, non ha previsto la rimozione delle parole offensive dalla Preghiera del Venerdì Santo sulla conversione. Tuttavia il Papa ha dimostrato di sapere imparare dai suoi errori, come nel caso della decisione di recarsi in Turchia, nel 2007, per rettificare il discorso di Ratisbona sull’islam che l’anno prima era stato male interpretato.
Gli abusi sessuali e la copertura dei colpevoli da parte di preti e vescovi. Sembra che come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger volesse agire in modo più incisivo contro i preti accusati di abusi sessuali sui minori, ma che non sia riuscito nel suo intento. Una volta eletto al soglio pontificio, ha denunciato ciò che chiamava il «marcio», ma ci è voluto tempo prima che incontrasse le vittime. Le direttive vaticane del 2010 sui preti che hanno commesso abusi offrono qualche motivo di speranza: il termine di prescrizione per le indagini è stato raddoppiato da 10 a 20 anni, le procedure di riduzione allo stato laicale sono state velocizzate, il possesso di materiale pedopornografico è stato dichiarato un reato grave ed è stata favorita la partecipazione dei laici ai processi.
Tuttavia la maggiore trasparenza e il principio di responsabilità non sono stati estesi ai vescovi che avevano spostato i preti pedofili da una parrocchia a un’altra al fine di evitare scandali. L’indagine sugli abusi in Irlanda affidata a vescovi esterni è lodevole, ma rimane un’eccezione. Dovrebbe invece diventare regola l’indagine oggettiva da parte di una commissione di uomini e donne qualificati (religiosi e laici) con un monitoraggio simultaneo del vescovo e del prete sotto accusa. All’indagine deve poi seguire una pena. La Chiesa non può voltare pagina senza un’azione decisiva su questi crimini e peccati.
Una cultura della diffidenza. In un momento in cui la Chiesa è più che mai benedetta dalla abbondanza di teologi, filosofi e storici della Chiesa, di entrambi i sessi e di contesti culturali diversi, il controllo talvolta oppressivo su coloro che sono sospettati di mettere in pericolo il magistero continua a danneggiare la Chiesa. Gli insegnamenti di molti studiosi sono stati messi in discussione senza valutazioni da parte di esperti né approfondimenti in forum specifici. Questo fatto ha allontanato alcune tra le menti più illuminate che si ispiravano alle aperture del Concilio Vaticano II. Al contrario, questi studiosi hanno visto i loro sforzi sottoposti all’esame minuzioso di un sistema che non appariva adeguato a rendere onore ai loro meritevoli sforzi per servire la Chiesa.
QUESTIONI IRRISOLTE
Dialogo ecumenico, interreligioso e infra-cattolico. Non ci si dovrebbe sorprendere che Benedetto XVI abbia fatto pochi progressi nel dialogo interreligioso, poiché negli anni trascorsi alla Congregazione per la Dottrina della Fede ha spesso messo in evidenza come la fede cattolica sia diversa dalle altre fedi. Tuttavia, malgrado i passi falsi fatti con musulmani ed ebrei, Benedetto XVI non ha avuto timori nel chiedere scusa e nel lavorare per riannodare i rapporti, benché con risultati contrastanti. Il suo tendere le mani agli anglicani ha dato fastidio a molti all’interno della Comunione anglicana. Alcuni cattolici lo hanno poi accusato di preoccuparsi troppo di riportare in comunione con Roma i tradizionalisti della Fraternità San Pio X.
Concilio Vaticano II: amministrazione della Chiesa e riforma. Se Giovanni Paolo II, per la sua influenza politica, poteva essere definito il Papa più medievale della storia recente, Benedetto XVI si può paragonare a un monarca del Rinascimento che, a quanto si dice, chiedeva consiglio a pochi e ignorava i buoni pareri. Ha lasciato che si incancrenisse la deriva curiale del papato di Giovanni Paolo II e la conseguenza sono stati Vatileaks e lo scandalo dello Ior. L’amministrazione condivisa e una più ampia collegialità tra i vescovi, così come una maggiore collaborazione tra clero, religiosi e laici erano obiettivi nati in seno al Concilio Vaticano II e che hanno destato entusiasmo. Come si vede, molto resta da fare, in particolare quando si tratta di prendere decisioni vere.
Molti hanno accusato Benedetto XVI di voler ripensare il Concilio Vaticano II, riportando indietro le lancette dell’orologio, specialmente sul piano liturgico. Studiosi di spicco del calibro dell’ecclesiologo Joseph Komonchak e dello storico della Chiesa John W. O’Malley hanno evidenziato come il Papa, in un suo intervento alla Curia nel dicembre 2005, abbia legittimato la messa in discussione del Vaticano II: «È proprio in questo amalgama di continuità e discontinuità a diversi livelli che consiste l’essenza stessa della vera riforma». Ciò che Benedetto XVI ha detto sul Concilio Vaticano II continua a essere analizzato, ma egli potrebbe aver aperto la strada verso una sintesi degli obiettivi del Concilio che, come la storia della Chiesa insegna, è possibile solo dopo almeno 50 anni.
IL GESTO FINALE
L’onestà di Papa Benedetto nel riconoscere di non poter più continuare il suo lavoro è coerente con il paradosso cristiano che noi possiamo essere forti (con Dio) quando siamo deboli (come esseri umani). Inoltre questo atto consente di aprire quel dibattito che sappiamo essere necessario, ma che prima non poteva essere affrontato apertamente.
Quando Giovanni Paolo II soffriva davanti ai nostri occhi sembrava offensivo chiedersi che cosa sarebbe successo se fosse entrato in coma. L’atto disinteressato di Benedetto XVI apre un dibattito; ora possiamo parlare del testamento di un Papa vivente.
La sua è stata una leadership votata al servizio, reso con il massimo della generosità. La maggior parte delle dimissioni sono forzate. Le dimissioni di Benedetto XVI invece sono volontarie e pianificate. Alla fine, la lezione più importante di Papa Ratzinger potrebbe essere proprio questa: che l’umiltà è ancora una virtù.
Christopher M. Bellitto
Professore di Storia alla Kean University di Union (New Jersey) © America |
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