Alberto Methol Ferré auspicò e previde l’elezione di Benedetto XVI e intravide all’orizzonte quella di Papa Francesco. Nel 2005, il 6 aprile per l’esattezza, dunque 13 giorni prima della fumata bianca di martedì 19 che portò Ratzinger sulla cattedra di Pietro, da Montevideo dove viveva, Methol Ferré spezzò una lancia in suo favore. Interrogato dalla giornalista del quotidiano argentino «La Nación» che era andata ad intervistarlo dichiarò di essere «un grande sostenitore di Joseph Ratzinger». Di più. «Penso – aggiunse – che sia l’uomo più indicato per essere Papa in questo momento della storia». Argomentò la sua convinzione così: «Perché è una delle ultime grandi espressioni di quella generazione che ha raggiunto uno splendore intellettuale equiparabile ai secoli XII e XIII del Medioevo, paragonabile anche alla migliore epoca della patristica greca e latina, quando ha inizio la gigantesca epopea dell’evangelizzazione dei popoli».
Ma allora, quando fece queste dichiarazioni, Methol Ferré, che aveva auspicato il pontificato di Benedetto XVI, non considerava ancora giunto il momento di un Papa latinoamericano. «La Chiesa – spiegò – sta andando fuori dall’Europa; ma si tratta di un processo recente, che ha ancora bisogno di maturare. L’Europa è stata il centro del mondo fino a 50 anni fa. Con gli inizi della decolonizzazione comincia a sorgere tutto un mondo di nuove chiese, in India, in Asia, ma si tratta di processi ancora incipienti». Methol Ferré era convinto che la Chiesa latinoamericana fosse la più matura, perché la più antica tra quelle non europee. «Ha cinque secoli, contro il secolo delle chiese d’Africa; ma non mi sembra che ancora le chiese della periferia europea siano in condizione di esercitare una leadership mondiale».
Ci voleva altro tempo secondo lui. Non molto, si premuniva di precisare. «Tra pochi anni sicuramente sì, lo saranno [in grado di prendere la guida della cristianità], perché l’intensità dei processi di globalizzazione e di compartecipazione interna alla chiesa sono sempre più forti». Questo tempo è venuto. Papa Francesco ne è la prova e la documentazione nello stesso tempo. Nella prima edizione di L’America Latina del XXI secolo, «vero testamento intellettuale di Methol Ferré», nel capitolo finale dedicato a Ratzinger, Ferré si diceva convinto che il dialogo del pontefice tedesco con la Chiesa del continente sarebbe servito a far evolvere il meglio della tradizione teologica latinoamericana emersa dal Concilio in poi, e a legarlo strettamente al meglio del magistero pontificio. «Quando una tradizione di pensiero, quello latinoamericano, diventa il luogo da cui si parte per un lavoro di appropriazione e di assimilazione degli apporti di altre Chiese, allora vuol dire che lì la Chiesa comincia ad essere fonte. [...] Nel secolo XVI Spagna e Italia sono state chiese fonti. Il Concilio Vaticano II è stata in larga misura un’impresa franco-tedesca. Allo stesso tempo è l’ultimo Concilio europeo. La Chiesa cattolica, adesso sì diventata mondiale, sente la presenza di altre chiese locali, che prima erano un suo puro riflesso».
Quando disse queste cose Methol Ferré era convinto che la cattolicità latinoamericana si trovasse in un tempo di transizione da “riflesso” a “fonte”. Da allora sono passati dieci anni, un tempo sufficiente per completare il transito tra due punti. E così è stato. Il passaggio del Mar Rosso della Chiesa latinoamericana è terminato. Adesso la Chiesa dell’America Latina è diventata fonte, portando sulla cattedra di Pietro un suo figlio illustre. Un Papa argentino, per giunta, che Methol Ferré ha conosciuto bene in vita, che frequentava quando diceva la cose che abbiamo riferito, un Papa che ha apprezzato e con cui ha collaborato strettamente.
Il rapporto tra Bergoglio e Methol Ferré viene da lontano. Elbio Lopez, un amico uruguayano, sostiene che i due si siano conosciuti “intellettualmente” negli anni Settanta, «quando, tra le altre cose, l’offensiva antiromana scuoteva le fondamenta dell’autorità petrina e metteva in discussione le basi ecclesiologiche del Concilio Vaticano II». Vis a vis, invece, si sono incontrati per la prima volta nel 1978, sull’onda dello slancio che entrambi cercavano di imprimere anche in Argentina al dibattito preparatorio per la Terza Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano già annunciata a Puebla de los Angeles, in Messico.
Francisco Piñon, rettore dell’Università del Salvador negli anni 1975-1980, ricorda bene quel momento. «Con Methol Ferré, Lucio Gera, Luis Meyer, Hernán Alessandri, Joaquín Allende, Juan Lumermaz, Carlos Bruno e altri ancora ci incontravamo per discutere il Documento di consultazione di Puebla». Circolava in ambienti alquanto ristretti – ricorda Piñon – «e noi cercammo di allargare il perimetro proponendo la riflessione in altri ambiti, come fu il caso dell’Università del Salvador. Bergoglio era allora provinciale dei gesuiti». Un giovane provinciale di 37 anni, eletto superiore nel 1973, che si adoperava per trasferire l’Università del Salvador alla comunità di laici, conservando nelle mani della Compagnia di Gesù l’Università cattolica di Cordoba.
Piñon rievoca il momento del primo incontro tra Bergoglio e Methol Ferré. «L’occasione fu un pranzo a tre, che ebbe luogo nel Collegio Maximo di San Miguel, allora sede pontificia della Facoltà di filosofia e teologia dei gesuiti, parte dell’Università del Salvador». Bergoglio aveva da poco realizzato un proposito che gli stava a cuore: trasferire la Curia provinciale dal centro della città di Buenos Aires alla località periferica di San Miguel, ad una quarantina di chilometri dalla capitale. «Voleva stare in mezzo ai preti, come adesso, da Papa, in Vaticano» osserva Piñon, che poi rievoca i due punti forti della conversazione che ebbe luogo durante il pranzo. «Si parlò del momento storico dell’America Latina, e della responsabilità della Chiesa in quel frangente.
Era uno sguardo cattolico quello che si portava sulla situazione del continente alla vigilia dell’incontro di Puebla. Il tema della cultura, come si stava delineando nelle fasi preparatorie della Conferenza in cui Methol Ferré aveva parte attiva, quello della religiosità popolare, lo stesso tema della Teologia della liberazione… argomenti tutti che entrarono nella conversazione con molta vivacità».
È opportuno ricordare, a questo punto, che in Argentina si era formato un nucleo, una linea teologica, che poneva l’accento sull’esistenziale, sulla religiosità e sulla cultura popolare. Più sulla storia e il popolo, cioè, che sulla sociologia e le classi sociali.
Ne facevano parte, tra altri, gli argentini Lucio Gera, Gerardo Farrell, Juan Carlos Scannone, tutti nomi conosciuti e frequentati tanto da Bergoglio che da Methol Ferré. Gera, amico personale di Bergoglio, non accettava l’impostazione sociologica di Gutierrez e Boff. Cercava, invece, di assimilare il tema della liberazione all’interno della tradizione sociale della Chiesa. Scannone dal canto suo tentava di coniugare la linea Gera e quella di Gutiérrez; Farrell, altro argentino, forte della sua specializzazione nell’insegnamento sociale della Chiesa, avanzava intanto sul terreno della modernità e della liberazione.
«Tutti avevano in comune l’accentuazione del tema della religiosità popolare, dei poveri, della cultura, della storia latinoamericana, della Patria Grande», osserva l’intellettuale argentino Miguel Angel Barrios, e sviluppavano un approccio molto più comprensivo delle realtà nazionali, che di conseguenza entrava in conflitto con quella parte della teologia della liberazione subalterna all’ermeneutica marxista. Methol Ferré sintetizzava così la critica di fondo mossa alla teologia della liberazione: «Molti di noi, e in anni non sospetti, hanno rimproverato alla teologia della liberazione la sua dipendenza di fondo dalla logica marxista. In tanti esponenti di questa corrente – non in tutti, si badi bene – il cristianesimo si assoggettava ad una concezione totalizzante di origine diversa e contraddittoria con il cristianesimo, e non l’inverso. L’amalgama era tenuta assieme forzosamente e in maniera precaria. I fatti successivi hanno verificato la bontà di questa critica. La delegittimazione storica del comunismo ha volatilizzato la teologia della liberazione come presenza in America Latina».
Con una postilla che dimostrava la grande indipendenza intellettuale di Methol Ferré: «Condivido l’intenzionalità profonda della teologia della liberazione, anche se le mie posizioni differiscono. Questa teologia ha prestato un inestimabile servizio ripensando la politica in funzione del bene comune, e quindi in relazione stretta con l’opzione preferenziale per i poveri e la giustizia. In un certo senso è stato un peccato che si sia “evaporata”. La comunità ecclesiale ha perso lo stimolo di una riflessione molto coinvolta con le vicende degli immensi settori poveri del continente».
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San Giuseppe, Bergoglio invita a pregare per “tutti i papà”
All’udienza sottolinea il ruolo educativo dei padri. Saluta il direttore Calabresi che gli dona il libro "Francesco il Papa della gente", pubblicato da La Stampa e Vatican Insider
IACOPO SCARAMUZZICITTÀ DEL VATICANO
Papa Francesco ha invitato i fedeli in piazza San Pietro e pregare per tutti i papà, quelli vivi e quelli defunti, nell’udienza generale che cade
nel giorno di San Giuseppe, sottolineando sia il ruolo “educativo” dei padri, sia l’esperienza di san Giuseppe, che “era un rifugiato” quando fuggì con Maria e Gesù in Egitto.
“Oggi, 19 marzo, celebriamo la festa solenne di san Giuseppe, sposo di Maria e patrono della Chiesa universale. Dedichiamo dunque questa catechesi a lui, che merita tutta la nostra riconoscenza e la nostra devozione per come ha saputo custodire la vergine santa e il figlio Gesù”, ha detto Bergoglio.
“L’essere custode è la caratteristica di Giuseppe, la sua grande missione, essere custode. Oggi vorrei riprendere il tema della custodia secondo una prospettiva particolare: la prospettiva educativa. Guardiamo a Giuseppe come il modello dell’educatore, che custodisce e accompagna Gesù nel suo cammino di crescita ‘in sapienza, età e grazia’, come dice il Vangelo di Luca. Lui – ha precisato il Papa – non era il padre di Gesù, il padre di Gesù era Dio, ma lui faceva da papà di Gesù per farlo crescere. Partiamo dall’età, che è la dimensione più naturale, la crescita fisica e psicologica. Giuseppe, insieme con Maria, si è preso cura di Gesù anzitutto da questo punto di vista, cioè lo ha allevato, preoccupandosi che non gli mancasse il necessario per un sano sviluppo. Non dimentichiamo che la custodia premurosa della vita del bambino ha comportato anche la fuga in Egitto, la dura esperienza di vivere come rifugiati – Giuseppe è stato un rifugiato con Maria e Gesù – per scampare alla minaccia di Erode. Poi, una volta tornati in patria e stabilitisi a Nazareth, c’è tutto il lungo periodo della vita nascosta di Gesù in seno alla santa Famiglia. In quegli anni Giuseppe insegnò a Gesù anche il suo lavoro. Passiamo alla seconda dimensione dell’educazione di Gesù, quella della sapienza. Dice la Scrittura che il principio della sapienza è il timore del Signore. Giuseppe è stato per Gesù esempio e maestro di questa sapienza, che si nutre della parola di Dio. Possiamo pensare a come Giuseppe ha educato il piccolo Gesù ad ascoltare le sacre scritture, soprattutto accompagnandolo di sabato nella sinagoga di Nazareth. E infine – ha detto il Papa – la dimensione della grazia. Dice sempre san Luca riferendosi a Gesù: ‘La grazia di Dio era su di lui’. Qui certamente la parte riservata a san Giuseppe è più limitata rispetto agli ambiti dell’età e della sapienza. Ma – ha sottolineato Bergoglio facendosi serio – sarebbe un grave errore pensare che un padre e una madre non possono fare nulla per educare i figli a crescere nella grazia di Dio. Ci sono alcuni papà in piazza?”, ha domandato il Papa a braccio.
“Ma quanti papà! Auguri, auguri nel vostro giorno. Chiedo per voi la grazia di essere sempre vicini ai vostri figli, lasciandoli crescere ma vicini. Cari fratelli e sorelle – ha proseguito Bergoglio – la missione di san Giuseppe è certamente unica e irripetibile, perché assolutamente unico è Gesù. E tuttavia, nel suo custodire Gesù, educandolo a crescere in età, sapienza e grazia, egli è modello per ogni educatore, in particolare per ogni padre. Affido dunque alla sua protezione tutti i genitori, i sacerdoti, e coloro che hanno un compito educativo nella Chiesa e nella società”.
Il Papa ha concluso poi a braccio: “Alcuni di noi abbiamo perso il papà, se n’è andato, il Signore lo ha chiamato. Tanti che sono in piazza non hanno il papà adesso. Possiamo pregare per tutti i papà del mondo, per quelli vivi e quelli defunti. E possiamo farlo insieme, ognuno ricordando il suo papà, se è vivo e se è morto, e preghiamo il grande papà di tutti di noi”, ha detto recitando un “padre nostro” con i fedeli in piazza. Una preghiera particolare ha rivolto il Papa per il Canada, il cui patrono è san Giuseppe.
Bergoglio era giunto con qualche minuti di ritardo, rispetto alle sue abitudini, in piazza San Pietro, per incontrare, alle 9,30 nella Casa Santa Marta dove risiede, una delegazione di venti rappresentanti di varie religioni che partecipano a un incontro promosso dal Movimento dei Focolari. A presentarglieli, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Tra i molti fedeli salutati a fine udienza – malati, coppie di sposi, pellegrini – Bergoglio ha salutato anche un gruppo di combattenti e famigliari dei caduti nella guerra anglo-argentina delle Malvinas (Falkland in inglese) del 1982.
Il Papa ha salutato anche il direttore della Stampa Mario Calabresi, che gli ha donato una copia del libro pubblicato da La Stampa e Vatican Insider “Francesco il Papa della gente”. Si tratta di un elegante volume in carta patinata curato da Andrea Tornielli, che presenta le migliori immagini di questo primo anno di pontificato, insieme a sei ampi capitoli scritti dalle migliori firme internazionali di Vatican Insider. Il volume è in vendita per soli 8,70 euro nelle edicole di Piemonte, Liguria e Val d'Aosta; nel resto d'Italia si può acquistare nelle librerie (distribuito da Rcs) oppure online sul sito della Stampa.
«In quest'anno - scrive il direttore Mario Calabresi nella prefazione - il nuovo Papa è diventato un leader mondiale, capace di parlare ben al di là dell'universo dei credenti, un uomo che ha fatto sembrare terribilmente vecchi molti altri leader più giovani di lui». Oltre all'introduzione sulle novità del pontificato, il libro contiene un capitolo dedicato ai viaggi (scritto da Giacomo Galeazzi), uno dedicato alle udienze del mercoledì (Andrés Beltramo Alvarez), un'altro alle omelie di Santa Marta (Domenico Agasso jr.), un quinto all'esortazione «Evangelii gaudium», la road map del pontificato (Gianni Valente) e infine l'ultimo alle nomine e alla riforma della Curia (Gerard O'Connell).
Vatican Insider