Fabio Trevisan ci parla di
padre Vincent McNabb
Il nostro amico e socio Fabio Trevisan ci parla di padre Vincent McNabb, amico di Chesterton e Belloc, su cui il nostro vicepresidente Paolo Gulisano ha scritto un bel volumetto.
Con l’imminente beatificazione del Card. John Henry Newman (1801-1890) che condurrà l’attuale Pontefice Benedetto XVI in Inghilterra nel prossimo mese di settembre, credo che si possa inaugurare una nuova stagione di riscoperta della fede e valorizzare nuove figure di beati che in quella terra hanno operato e vissuto. Anche Padre Vincent McNabb (1868-1943) appartiene a questa gloriosa schiera di santi della Chiesa.
La preghiera per la sua canonizzazione compendia una vita dedita alla “carità nella verità” e spesa coerentemente nel servizio alla Chiesa fino alla morte: “Signore, ci donasti il Tuo Servo Vincent McNabb come un esempio di servizio ai poveri, ai senza fissa dimora, e ai disoccupati, e come un coraggioso combattente contro il modernismo e la “cultura della morte”. Per la preoccupazione ardente di Padre McNabb per chi è nel bisogno, riscalda i nostri cuori e le nostre vite con la compassione per i poveri, la giustizia per gli oppressi, la speranza per chi è tormentato, e il coraggio per chi è nel dubbio. Noi preghiamo che la Chiesa che lui tanto amò e servì, riconosca la sua via di santità e lo proclami santo tra i santi nel cielo.
Amen.” Chi era Vincent McNabb ? Perché è ancora sconosciuto in Italia ? Qual è la sua “attualità” ?
Egli era nativo dell’Irlanda del Nord, appartenente ad una famiglia numerosa, decimo di undici figli. Vincent fu il nome che assunse quando divenne frate domenicano in Inghilterra, dov’era emigrato, in onore di un altro santo domenicano spagnolo, San Vincenzo Ferrer. Amico dei Chesterton ( i fratelli Gilbert e Cecil ) e di Hilaire Belloc, fu un autentico protagonista di quella grandiosa “epopea” culturale inglese dei primi ‘900.
Volle interpretare con fedeltà lo spirito della Dottrina Sociale della Chiesa, soprattutto dopo l’enciclica di Leone XIII “Rerum novarum” del 1891. Nacque così un movimento, che lo vide tra i protagonisti, denominato “Distributismo”, il quale attraverso la distribuzione della piccola proprietà cercava di difendere la famiglia, la libertà e l’indipendenza economica, baluardi imprescindibili della vita e della verità cristiana.
Da buon frate “mendicante” percorse l’Inghilterra in lungo e in largo, offrendo una testimonianza forte e coerente di fede vissuta anche in pubblico, tanto da venire apostrofato quale “Santo di Hyde Park” poiché quasi ogni Domenica pomeriggio dal famoso Speaker’s corner manifestava la sua fede e i suoi ideali cristiani a tutti. Grande e stimato oratore, fu invitato perfino a dibattere con uno dei personaggi più famosi dell’epoca, George Bernard Shaw. Padre McNabb non si sottrasse mai all’impegno pubblico di difensore della fede e delle radici cristiane, dando battaglia soprattutto alle imperversanti ideologie che attraversarono l’intero Occidente.
Come ha ben descritto Paolo Gulisano nell’unica biografia (Babylondon, Edizioni Studio Domenicano) in lingua italiana su di lui, “la famiglia, per Padre McNabb, è la base di tutta la vita sociale e quindi tutte le proposte dovevano essere testate per il loro effetto sulla Famiglia”.
Condannò, senza mezzi termini, in Hyde Park ed in ogni altro luogo, il micidiale attacco che il mondo moderno stava sferrando contro l’istituto familiare: il divorzio, il controllo artificiale delle nascite e l’eugenetica. Alfiereante litteram di politiche a sostegno della famiglia, con il Distributismo volle anzitutto salvaguardare la Famiglia su quello che lui chiamava “il modello di Nazareth”.
Nel suo libro: “The Church and the Land”, non ancora disponibile in lingua italiana, definì la famiglia come “la misura di Nazareth”, cioè il metro con il quale valutare ciò che avveniva nel mondo, impegnanondosi nel dare battaglia alle idee anti-cristiane che imperversavano del dibattito politico, sociale e culturale.
Ancor oggi, e forse questo spiega in parte il suo oblio, la famiglia non è al centro della vita politica e culturale, così come non lo sono le radici cristiane e la testimonianza pubblica della fede.
Per il frate domenicano: “ Se il mondo voleva liberarsi dalle catene delle sue paure, doveva tornare alla Chiesa”. Da buon discepolo di San Tommaso d’Aquino egli volle tradurre la “Summa Teologica” in inglese e spesso lo fece pregando in ginocchio. Affermava: “Ogni peccato è, essenzialmente, un peccato contro la ragione ed il peccato lancia l’inferno nel mondo”.
Per opporsi a quella che lui chiamò, coniando il termine, “Babylondon” (la Babilonia londinese) bisognava ri-costruire una civiltà cristiana fondata sulla famiglia, sulla cultura, sulla fede. Contro quella che lui chiamava “nuova barbarie”, bisognava far ritorno a Nazareth, al modello della Sacra Famiglia e ad una vita ordinata secondo le leggi di Dio.
Egli diceva: “La fede è l’unica cosa degna per cui valga la pena di vivere. Se una cosa non merita che si muoia per lei, non merita neppure che per lei si viva”.
Amava intensamente la Chiesa e pregava per Lei, mostrando innanzitutto grande interesse nel voler riavvicinare la Chiesa Anglicana a quella Cattolica.
Valente studioso e teologo, la sua disamina partiva dalla concezione della vita dell’uomo segnata dal peccato originale, ma non definitivamente corrotta. Seppur consapevole dell’esilio dell’uomo “in questa valle di lacrime”, come amava ripetere recitando il Salve Regina, egli era pure conscio che il dolore non poteva impedire di scorgere l’autentica gioia cristiana; quella gioia che con l’amico Chesterton chiamava “il vero segreto del cristiano”.
Coltivava così, come ben ricorda Paolo Gulisano, l’eutrapelia, la virtù del buon umore, come la coltivò un suo grande predecessore, San Tommaso Moro, patrono dei politici.
La gioia cristiana era, per Padre McNabb, la vittoria della vita sulla “cultura della morte”.
Egli diceva: “Gli occhi umani non sono stati fatti per piangere. Essi sono stati creati per vedere”.
Vedere la bellezza del creato nella quale si rispecchia la bellezza di Dio Creatore. Riconoscere con gratitudine l’amore di Dio e gioirne: ecco il vero segreto del cristiano.
Padre Vincent McNabb compose una splendida preghiera, oltre ad aver scritto numerose altre opere, nella quale volle restituire un ruolo centrale a Dio. In un mondo che, come il nostro, aveva relegato la presenza di Dio ai margini, incoraggiò ciascuno a mettersi umilmente un po’ da parte per potersi aprire a Cristo Salvatore. Lo fece con rispetto, umiltà e soprattutto coltivando quella “carità nella verità” che poteva guarire la persona malata di soggettivismo e incrostata di ideologie.
Ecco la sua commovente e intensa preghiera:
“Signore Gesù, salvami!
Colui che tu ami è smarrito.
Ho perso te.
Non riesco a trovare te.
Cercami. Trovami.
Non riesco a trovare te.
Ho perso la mia strada.
Tu sei la Via.
Ritrovami, o io sono completamente perso.
Tu mi ami.
Io non so se ti amo, ma so che tu mi ami.
Io non chiedo il mio amore, ma il tuo.
Io non chiedo la mia forza, ma la tua.
Io non chiedo la mia iniziativa, ma la tua.
Colui che tu ami è malato.
Non oso dire:
Colui che ti ama è malato.
La mia malattia è che io non ti amo.
Il che è la fonte della mia malattia che si sta avvicinando alla morte.
Sto affondando:
sollevami.
Vieni a me sulle acque,
Signore Gesù, colui che tu ami è malato”.
Fabio Trevisan
Da : uomovivo.blogspot.it
RISCOPERTE.
McNabb, un profeta contro la crisi
Più Nazareth, meno Greenwich. Più tempo condiviso, a contatto della terra e a beneficio della famiglia, e meno tempo parcellizzato, da consumare nel chiuso di un’urbanizzazione forzata e a tutto vantaggio di un’industria impersonale e, in definitiva, disumana. Vedeva lungo, padre Vincent McNabb (1868-1943), il domenicano di origine irlandese che ebbe un ruolo di primo piano nel dibattito culturale londinese di inizio Novecento. Nonostante il legame strettissimo con Gilbert Keith Chesterton, di cui fu confessore e guida spirituale, McNabb è una figura ancora poco conosciuta in Italia, dove è stata a lungo stranamente ignorata anche dal punto di vista editoriale. Ma negli ultimi anni, complice una crisi globale molto simile a quella prefigurata da padre Vincent, i segnali di attenzione nei suoi confronti si stanno moltiplicando. Nel 2010 Paolo Gulisano gli ha dedicato un utile profilo biografico (Babylondon, Edizioni Studio Domenicano) ed è di questi giorni la pubblicazione, presso la ritrovata Libreria Editrice Fiorentina, di La Chiesa e la Terra (a cura di Laura Melosi e Giannozzo Pucci, pagine 272, euro 18: il libro sarà presentato venerdì 1° novembre, alle ore 16.15, nell’ambito del Salone dell’Editoria Sociale di Roma).Questa raccolta di saggi, apparsa originariamente nel 1925, può essere considerata come il manifesto del pensiero di McNabb, a sua volta inserito in quel più vasto movimento economico e culturale che va sotto il nome di distribuzionismo. Per capire di che cosa stiamo parlando basta rivolgersi allo stesso Chesterton, che con il suo fulminante talento per il paradosso sosteneva che «troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti». L’obiettivo del distribuzionismo (o distributismo, come può anche essere tradotto l’originale distributism) è proprio questo: garantire a ciascuna famiglia il diritto alla proprietà della casa, della terra e dei mezzi di produzione. Il riferimento alla famiglia non è casuale, perché secondo McNabb è il vero soggetto dell’economia è il nucleo familiare nel suo insieme, e non il singolo individuo che, nel suo isolamento, diventa facile preda del ricatto salariale.Da qui l’accorata perorazione per i diritti dei genitori, intesi come autentica salvaguardia di quel «fagotto di diritti» che è ogni neonato («Per la millesima volta – annota McNabb con straordinaria preveggenza – dobbiamo mettere in guardi ai cattolici contro le benevole leggi che vogliono garantire i diritti del bambino solo per portarne a termine la distruzione»). Da qui, inoltre, l’insistenza sulla necessità di un ritorno alla terra come rivolta contro un dilagante processo di massificazione che non riguarda in modo esclusivo l’agricoltura, ma coinvolge ogni settore dell’attività umana, come dimostrano le bellissime pagine dedicate alla scomparsa delle «botteghe» (le cui insegne sono identificate dal nome e cognome dell’artigiano) a favore dei «negozi», che dalle loro vetrine si limitano a garantire la corretta esecuzione di un servizio.Temi molto cari agli odierni movimenti di economia alternativa – non a caso elencati dall’editore italiano nella presentazione al volume – ma che McNabb affronta da una prospettiva fieramente tradizionale. Molto san Tommaso d’Aquino, anzitutto, e molti rimandi alla Rerum Novarum, per quanto il sostrato più profondo rimanga di impronta biblica. Per commentare la parabola del Padre misericordioso, per esempio, padre Vincent si basa sull’ipotesi che il fratello maggiore fosse un tipo incapace di cogliere la magnifica vivacità sociale del ballo, simile in questo ai borghesi degli anni Venti, che anziché mettersi a danzare preferiscono pagare per assistere a uno spettacolo di danza. Un ragionamento che non faceva una piega alla vigilia del crollo di Wall Street e che diventa ancor più convincente oggi, nel momento in cui il ballo si è ridotto a uno dei tanti generi di intrattenimento televisivo. Del resto, è McNabb stesso ad avvertire che «l’ora di Greenwich misura il giorno», mentre «l’ora di Nazareth misura anche l’eternità».
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