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mercoledì 24 gennaio 2018

Si salvi chi vuole....

wrong: su "Si salvi chi vuole

 Manuale di imperfezione spirituale"

 di Costanza Miriano (Sonzogno)


“Non è più tempo di una fede acquisita culturalmente e data per scontata. Meglio così aggiungerei. Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà. Il cristiano del futuro non è uno che è cresciuto così perché gliel'hanno detto in famiglia. È solo colui che ha fatto un incontro vero con Cristo. Questo incontro, che deve essere personale, ha però bisogno di essere fatto dentro la Chiesa, l'unica che può garantire che non stai ailmentando la tua follia proiettando sulla fede il tuo mondo interiore, che non ti stai facendo un Dio a tua immagine. E in questo momento molto particolare della Chiesa, momento in cui – altro che corpo di Cristo ... - ognuno vuole essere se stesso, anche quelli che dovrebbero guidare i fedeli con la responsabilità di non tradire ma di tramandare quello che hanno ricevuto – questo l'etimo di traditio – , ecco, in questo tempo di individualismo anche ecclesiale, bisogna andare alla sorgente, cercare i criteri, ritrovare un cammino, una morale e una liturgia unitari.” (pag. 19)

Ho cominciato a leggere il nuovo libro di Costanza Miriano “Si salvi chi vuole. Manuale di imperfezione spirituale” (Sonzogno) la sera di un giorno lavorativo particolarmente duro. 
Ero tornato dal Cinema molto stanco, nervoso, svuotato e senza voglia di aprire i romanzi che mi aspettavano in camera, di preparare la cena o guardare la tv, nemmeno di lavarmi avevo voglia. Sulla cassettiera era appoggiato “Si salvi chi vuole” e funzionava come una specie di richiamo tutte le volte che ci passavo davanti col bicchiere di birra in mano e allora l'ho preso in mano e mi sono messo nella mia solita posizione preferita di lettura serale. Alla finestra della cucina, da dove posso vedere le montagne e i boschi. E ho respirato e ho cominciato a piegare gli angoli delle pagine e mi sono munito della mia matita preferita per sottolineare i passaggi migliori o controversi. 

Mi è scivolata addosso a valanga tutta una parte della mia vita. Gli anni di formazione e scontro spirituale, il Collegio Arcivescovile, i miei padri spirituali, i ritiri negli Istituti di Don Orione, le chiacchierate con il rettore a proposito di fede e nichilismo e una lunga discussione che risale a quasi venticinque anni fa quando un prete mi disse che sarei stato un ottimo prete o professore e io che gli risposi che la voce di Dio non mi parlava più e non mi ci vedevo in niente e che avrei solo voluto scomparire, andarmene, mettermi a camminare verso l'oceano. Che la mia strada non era quella e non sapevo nemmeno perché. E poi quando lo rincontrai gli raccontai che la fede l'avevo abbandonata definitivamente e che però continuavo a entrare nelle Chiese quando ci passavo davanti per accendere una candela o anche solo per sedermi su una panca a meditare sulla giornata e che tutte le volte che mi vedevo un cimitero recitavo le preghiere per i morti della mia famiglia e per tutti gli sconosciuti. 
C'è stato un tempo in cui mi confessavo quasi tutte le settimane. Obbligato ma anche consapevole che quello che stavo facendo rimetteva a posto le mie giornate. Mi metteva a nudo davanti alle mie colpe, senza cercare scuse, ma elencando quello che avevo fatto di male. E ricordo, quasi con rabbia, un prete che nemmeno ti voleva ascoltare e ti assolveva dai peccati ancor prima di esserti inginocchiato.

Nel libro di Costanza Miriano, che col suo stile colloquiale mescola vita/disastri/gioie familiari e discorsi spirituali, d'incontro, di preghiera, ho ritrovato quel tipo di fede e Chiesa che mi aveva sempre affascinato allora e che non è quella odierna che, in molti casi, sembra essersi trasformata nella brutta e fin troppo accessibile copia di se stessa o nel miglior alleato del laicismo, come se, per paura di scomparire, di finire processata dai custodi della Verità, la Chiesa debba trasformarsi a tutti i costi, semplificarsi in caratteri da Twitter, evolversi non si sa verso cosa e chi, accettare tutto e il contrario di tutto, modernizzarsi con siringhe di botulino contemporaneo ma intanto le chiese restano vuote, i matrimoni religiosi crollano e su tutti i temi etici, morali, anche quelli spicci si ha l'impressione (o meglio la certezza) di una Chiesa in ritirata, finita nel dimenticatoio, riposta addormentata nella scatola dei ricordi da dove estrarre, all'occorrenza, quelle quattro o cinque parabole o verità alternative sempre utili per dar fiato alla bocca, riempire la pagina dei giornali, sfamare i piccioni. 

Una Cristianità che volesse risorgere, con umiltà e semplicità ma anche sfrontatezza, dovrebbe ripartire secondo me anche proprio dalle cinque colonne del monastero che Costanza Miriano delinea nel suo libro:

-la Parola di Dio: “Dio puoi accoglierlo o rifiuatarlo, ma non puoi dire che non c'é, se sei serio. Solo che, quando vuoi fare le cose sul serio, ti accorgi che Dio è una presenza santa, inaccessibile. Il Vangelo racconta questo fatto miracoloso: c'è stato uno che si è messo in mezzo tra l'infinito di Dio e te creatura: se vuoi veramente parlare di Dio guarda a Cristo. Chi è Dio non lo sa il mio cervello, ma è lui che viene e me lo dice. C'è un racconto, e possiamo credere che sia vero o che non lo sia. Però dobbiamo prima ascoltare, che è la cosa più altra che possiamo fare, e la più gradita a Dio.” (pp. 65-66)
-la preghiera: “Una vita senza la preghiera è inutile. Arranchiamo sui vetri. Tutti noi abbiamo memoria del vuoto che è una vita in cui il cuore non è unitario, non è consegnato a Dio (la memoria del nostro vissuto è indelebile). Senza preghiera viviamo disgiunti, separati, spaccati. La preghiera si fa strada da sola, è una luce che cammina, illumina, fa crescere, purifica, rasserena, pulisce il cervello, la memoria, lo sguardo. La preghiera deve portarci a essere sempre più pienamente quelli che siamo. La preghiera diventa gesto, movimento, fa delle scelte.” (pag. 84)
-la confessione: “La confessione riguarda i peccati, e bisogna essere il più possibile precisi, non perchè Dio non sappia, ma perché serve a noi. Quindi non bisogna confessare le strutture del peccato, per esempio “sono orgogliosa”, ma quello che realmente abbiamo fatto. Sono una mamma e non ho pensato ai miei figli.” (pag. 93)
-l'eucarestia: “Ogni tanto ancora mi vergogno di me stessa, ma poi ripenso a quello che una volta ho sentito dire da un sacerdote: Gesù si è fatto battezzare a Bethabara, il punto più basso della terra; per quanto in basso tu possa scendere, Cristo ti raggiunge. Il suo essersi incarnato ha redento tutto, tutto è salvato. Questa terra è buona, il creato è buono, anche una che mangia un cioccolatino durante la messa ha speranza. Non mangiamo la carne e il sangue di Dio non perché ce li meritiamo, ma perché possiamo anche noi imparare a dare noi stessi da mangiare agli altri.” (pag. 110)
-il digiuno: “Il digiuno, come certe devozioni – per esempio alcune Coroncine che assomigliano molto a delle superstizioni -, non è certo inutile, ma non è il fine. Serve a farci arrivare oltre, capire che la cosa più importante è fidarci, ascoltare. Dunque la vera ascesi è obbedire alla vita ordinaria, e cercare ristoro in Gesù, quando intuisci che non ti fa felice nessuno intorno a te. L'ascesi ci fa diventare maggiormente figli e fratelli. Serve a elevare tutte le nostre facoltà verso Dio. Ascesi è, prima di tutto, accettare la realtà, vivere la croce, donarla. L'ascesi è educazione del desiderio, cooperare con Dio che lavorava per la nostra santificazione. La finalità dell'ascesi è vivere di più la vita battesimale, quindi qualsiasi sforzo ascetico, per quanto piccolo e umile, è un passaggio dalla morte alla vita.” (pag. 124)
con gli ultimi due punti che meritano anche quelli di essere vissuti e interiorizzati “Abitare tutti i giorni nella casa dello sposo” (quale sposo mi direte voi?) e “Noi delle strade”.

Ma non voglio aggiungere altro perchè “Si salvi chi vuole”  è sì un manuale di self helping che mescola spiegazioni semplici ma non scontate sulla “lectio” insieme a consigli su “come” e “dove” pregare  e a tragicomiche avventure familiari fra figli e figlie, borsette di struzzo, cellulite, marito silenzioso e amiche e amici e monaci e preti coi quali condividere drammi, emozioni, percorsi, preghiere, consigli ma le parole di Costanza sono soprattutto l'abbraccio di una “madre spirituale” che invita alla costruzione di un monastero wi-fi vivo, fraterno, unito dalla Fede, dalla preghiera, dall'amore, dal sacrificio, dalla vita. 

E per chi come me che la fede non ce l'ha o l'ha persa o ce l'ha lì zoppicante da qualche parte, l'abbraccio di una madre spirituale, imperfetta quanto si vuole, ma sempre madre, è sempre una sensazione gradita, che riporta sempre al mistero dell'amore.

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