Recensione <<<Prima
Si può parlare di valori anche con un piglio scientifico: ed è proprio questo approccio che usa Lamberto Maffei, professore di neuroscienze con un curriculum di grande impatto. La domanda che attraversa il saggio di Maffei riguarda i ritmi di vita, e in particolare quale sia il rapporto tra l’essere<< umano e la velocità. Domanda quantomai opportuna in un mondo dove il momento domina sul lungo periodo, la comunicazione è istantanea, la rapidità decisionale è tutto, le interazioni lavorative e umane si sviluppano a ritmi sostenuti e si consumano in tempi rapidissimi. Ma siamo davvero programmati per tutto questo, oppure i disagi, le disfunzioni e le criticità sempre più frequenti sono il sintomo di un approccio sbagliato?
Il confronto è tutto tra “pensiero rapido”, meccanismo essenziale alla sopravvivenza, e “pensiero lento”, responsabile del ragionamento strutturato, della riflessione, della logica, della contemplazione; “un’eccessiva prevalenza dei meccanismi rapidi del pensiero”, spiega il docente, rischia di portare non solo a “soluzioni e comportamenti errati”, ma anche “danni all’educazione e in generale al vivere civile”.
Nella sua riflessione Maffei parte dall’aspetto scientifico della questione, che affronta con un approccio inevitabilmente specialistico, anche se ragionevolmente divulgativo; entra nei meandri del cervello per confrontare i meccanismi e le loro dinamiche, lo sviluppo della mente umana e le sue risposte agli stimoli. Dalla disamina si desume che il problema non stia nella macchina - perfetta - che abbiamo in dotazione, ma nelle strade che le facciamo percorrere: non il cervello, ma il contesto sociale che lo influenza. In particolare nella seconda parte del suo saggio Maffei punta il dito contro “il trionfo del consumismo”, la “sacralizzazione del mercato” (Maffei lo definisce un “dio ateo dei nostri giorni”) che ha dato vita a una società del provvisorio dove non solo “la memoria non costituisce più progetto di pianificazione” e “il tempo è solo il momento presente”, ma viene a prevalere una strategia economica “senza pietà” che calpesta “valori, cultura e diritti” in nome del Pil.
Stanno scomparendo la lentezza, la diversità, il pensiero irriverente (di cui, ammette serenamente il laico Maffei, fu precursore lo stesso Gesù Cristo), i valori, i comportamenti civili, tutto ciò che richiede tempo e quindi non è in linea con rapidità e consumo. Il pensiero lento «è un pensiero pesante da portare, che trascina con sé il fardello della memoria e il peso dei dubbi» e si tiene lontano dai dogmatismi (anche quelli religiosi): non produce, non consuma e quindi non conta.
Eppure la rapidità non è il male assoluto, e il bene non è il suo contrario ma un equilibrio tra le due dinamiche.
Lo dimostra l’esempio della creatività, con cui Maffei chiude il suo saggio: se il pensiero rapido è attivo nello sbocciare dell’intuizione, «c’è poi bisogno del secondo nella forma di cure assidue e costanti»: una perfetta sinergia che funziona da millenni e che, in tempi iperveloci, dovremmo imparare a riscoprire. - http://www.evangelici.net/libri/1412348427.html#sthash.4KtA93Ve.dpuf
Il confronto è tutto tra “pensiero rapido”, meccanismo essenziale alla sopravvivenza, e “pensiero lento”, responsabile del ragionamento strutturato, della riflessione, della logica, della contemplazione; “un’eccessiva prevalenza dei meccanismi rapidi del pensiero”, spiega il docente, rischia di portare non solo a “soluzioni e comportamenti errati”, ma anche “danni all’educazione e in generale al vivere civile”.
Nella sua riflessione Maffei parte dall’aspetto scientifico della questione, che affronta con un approccio inevitabilmente specialistico, anche se ragionevolmente divulgativo; entra nei meandri del cervello per confrontare i meccanismi e le loro dinamiche, lo sviluppo della mente umana e le sue risposte agli stimoli. Dalla disamina si desume che il problema non stia nella macchina - perfetta - che abbiamo in dotazione, ma nelle strade che le facciamo percorrere: non il cervello, ma il contesto sociale che lo influenza. In particolare nella seconda parte del suo saggio Maffei punta il dito contro “il trionfo del consumismo”, la “sacralizzazione del mercato” (Maffei lo definisce un “dio ateo dei nostri giorni”) che ha dato vita a una società del provvisorio dove non solo “la memoria non costituisce più progetto di pianificazione” e “il tempo è solo il momento presente”, ma viene a prevalere una strategia economica “senza pietà” che calpesta “valori, cultura e diritti” in nome del Pil.
Stanno scomparendo la lentezza, la diversità, il pensiero irriverente (di cui, ammette serenamente il laico Maffei, fu precursore lo stesso Gesù Cristo), i valori, i comportamenti civili, tutto ciò che richiede tempo e quindi non è in linea con rapidità e consumo. Il pensiero lento «è un pensiero pesante da portare, che trascina con sé il fardello della memoria e il peso dei dubbi» e si tiene lontano dai dogmatismi (anche quelli religiosi): non produce, non consuma e quindi non conta.
Eppure la rapidità non è il male assoluto, e il bene non è il suo contrario ma un equilibrio tra le due dinamiche.
Lo dimostra l’esempio della creatività, con cui Maffei chiude il suo saggio: se il pensiero rapido è attivo nello sbocciare dell’intuizione, «c’è poi bisogno del secondo nella forma di cure assidue e costanti»: una perfetta sinergia che funziona da millenni e che, in tempi iperveloci, dovremmo imparare a riscoprire. - http://www.evangelici.net/libri/1412348427.html#sthash.4KtA93Ve.dpuf
Lamberto Maffei - Elogio della lentezza
Il pensiero lento è un pensiero pesante da portare, che trascina con sé il fardello della memoria e il peso dei dubbi e le incertezze dei ragionamenti.Da anni ormai siamo costretti a vivere all’insegna di un dinamismo sempre più frenetico.
Le ventiquattro ore della giornata sembrano non esser mai sufficienti per i mille impegni o disimpegni quotidiani.
La tecnologia sforna di continuo strumenti a rapida obsolescenza; non abbiamo ancora finito di apprendere il funzionamento di questo o quel marchingegno digitale che già sul mercato ne è comparso uno più evoluto, più veloce, più efficiente.
Occorre continuamente aggiornarsi, riqualificarsi, sveltirsi: sia nell’ambito lavorativo che in quello domestico.
Insomma, nel nuovo millennio si va di fretta, chi dorme non piglia pesci, e mai come oggi crescono l’ansia di non sprecare il tempo a nostra disposizione e la smania da prestazione; anche perché il cellulare squilla di continuo, occorre rispondere con urgenza alle e-mail ed è indispensabile rimanere costantemente connessi, iperattivi, scattanti.
Siamo mica dei robot, però.
Quindi non sarà il caso, un giorno o l’altro, di mettere in discussione il mito della velocità a ogni costo?
È quanto si chiede - volgendo il quesito a noi lettori - il neurobiologo Lamberto Maffei nel saggio “Elogio della lentezza”, pubblicato dalla casa editrice il Mulino.
Il nostro cervello, infatti, da sempre ci consente veloci reazioni automatiche agli stimoli ambientali, facilitando così la nostra sopravvivenza; ma non dobbiamo scordarci che esso è un sofisticato meccanismo in grado di produrre cogitazioni e riflessioni che per essere elaborate abbisognano − oggi come nel passato − di un lento processo mentale.
Se dunque v’è urgenza di un “pensiero rapido” quando, ad esempio, bisogna risolversi senza indugio a spegnere il prima possibile un incendio o a salvare un infartuato, resta di fondamentale importanza il cosiddetto “pensiero lento”, senza il quale non si elaborano teorie complesse, non si crea cultura e soprattutto non si educano le persone a criticare: letteralmente a mettere in discussione consuetudini, pratiche di vita passivamente subite.
Come nota Maffei, “ [...] normalmente, nella produzione di un lavoro sia scientifico che artistico, il sistema rapido propone possibili soluzioni, la maggior parte delle quali errate, e la cui valutazione è devoluta al sistema lento, che, per esempio nel caso della scienza sperimentale, può impiegare anche anni a verificarne la sensatezza”.
Senz’altro è altresì condivisibile la considerazione dell’autore sul fatto che: “il pensiero lento è un pensiero pesante da portare, che trascina con sé il fardello della memoria e il peso dei dubbi e le incertezze dei ragionamenti”.
Una considerazione non certo da leggersi in senso pessimistico; ma al contrario intesa a sottolineare come sia essenziale aver sempre presente l’eventualità che quanto abbiamo pensato si possa rivelare un errore, se facciamo nostra l’umiltà di ritenere non esistano certezze assolute e inequivocabili o ancoramenti definitivi cui aggrapparsi.
L'affresco di Vasari, "Festina Lente".Paventando un futuro nel quale dovesse regnare, sovrana e fatua, la velocità e in cui gli esseri umani si votassero – mente e cuore – al suo culto, Maffei profetizza con un pizzico di ironia mordace che: “Il successo evolutivo degli uomini rapidi porterebbe con sé la scomparsa di tutte le azioni considerate inutili, come la contemplazione, la poesia, la conversazione per il piacere di parlare, e la comparsa di una nuova arte, quella della rapidità, dove la poesia è un tweet e la pittura una pennellata”.
Speriamo proprio ciò non debba avverarsi.
Ma forse l’errore esiziale sta nel ritenere che una sola delle due modalità di pensiero qui prese in esame sia la più auspicabile o la migliore.
Forse non bisogna esecrare la lentezza giusto come non è da esaltare la velocità. E allora, mi pare suggerisca salomonicamente il nostro neurobiologo, asteniamoci da troppo facili anatemi e legittimazioni, magari affidandoci a un’immagine metaforica − quella che troviamo più volte dipinta dal Vasari nel fiorentino Salone dei Cinquecento, in cui sono raffigurate delle tartarughe che hanno una grande vela fissata sul guscio − e al monito in latino che le accompagna: festina lente. Affrettati lentamente.
Recensione di Francesco Roat
Il cervello ama le tartarughe.
Saggi. «L’elogio della lentezza», il libro del neuroscienziato Lamberto Maffei, pubblicato dal Mulino, che attacca la bulimia tecnologica per salvare la meditazione e le ragioni (non necessariamente veloci) del pensiero.
di Francesco Antonelli
Delle tante macchine che caratterizzano la contemporaneità, una è in grado di rappresentare meglio delle altre la nostra condizione sociale ed esistenziale: il tapis roulant. Si corre, si fatica, si suda, magari sorridendo, ma alla fine ci si trova sempre allo stesso punto.L’elogio della lentezza (Il Mulino, pp. 146, euro 12) di Lamberto Maffei, eminente neuroscienziato e presidente dell’Accademia dei Lincei, affronta in chiave critica e radicalmente umanista questo paradosso – uno dei più importanti della modernità – integrando in una prosa chiara e godibile, saperi scientifici, letterari e sociologici. La lentezza vuol dire sia vita buona che coltivazione del pensiero razionale, due valori del progetto e dell’utopia emancipativa del moderno oggi eclissati.Tanto il poema di Goethe Faust (1808), nel quale l’omonimo scienziato, da anziano, dopo una vita di studio e sacrificio vende la propria anima a Mefistofele per avere in cambio «tutto e subito» (gioventù, sapienza e piacere), quanto il Manifesto del futurismo (1909), dove, un secolo dopo, leggiamo che ’la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo (…) è più bella della vittoria di Samotracia» rimandano, il primo intenzionalmente il secondo molto meno, alla tragedia della velocità – che la si chiami alienazione o sradicamento: l’inversione tra i mezzi e i fini, la tirannia del godimento e della tecnologia sulle donne e sugli uomini contemporanei. Da segno dell’emancipazione dalla miseria secolare, la velocità di una vita iper-tecnologizzata si rivela una gabbia di ferro: agiamo freneticamente con delle macchine che promettono di renderci felici, ritrovandoci invece ingranaggi spaesati di una macchina più vasta, quella del mondo globale.Gli usi della tecnologia non sono però neutri: il potere economico e politico, oggi inscritti nelle dinamiche di sviluppo del capitalismo finanziario, li condizionano pesantemente. Nel suo libro Lamberto Maffei non utilizza argomentazioni moralistiche o nostalgiche per criticare tutto ciò: la sua base di partenza sono le acquisizioni delle neuroscienze e il modo in cui ci consentono di leggere il complicato intreccio tra natura e cultura. Con una sorprendente quanto illuminante denuncia: in un’epoca di vorace e retorico scientismo, la stessa scienza, con i tempi lunghi del metodo sperimentale e il valore centrale del progresso umano attraverso la conoscenza, rischia di essere soffocata dalla mercificazione della tecnologia, che passa per l’ansia di sfornare sempre nuovi prodotti per il mercato.Nell’Elogio della lentezza viene innanzitutto mostrato come l’evoluzione della specie umana si leghi allo sviluppo del cervello, un organo caratterizzato da un’elevata plasticità: nei suoi limiti biologici, il cervello umano è in grado di plasmare se stesso in funzione degli stimoli ambientali, ove ambiente è sia la natura sia, e soprattutto, società e cultura. Partendo da ciò, e lontani anni luce dalle prospettive deterministiche del XIX secolo, le neuroscienze hanno trovato il fondamento della nostra individualità: ciascuno di noi è un singolo, risultato dell’interazione complessa della socializzazione e delle nostre «predisposizioni» genetiche. Ne deriva che siamo letteralmente plasmati da ciò che ci circonda e da questo insieme, a nostra volta, ci distinguiamo.In questo processo evolutivo, alle risposte iperveloci, quelle dei riflessi e dell’azione «istintuale», propria anche delle altre specie animali, l’umanità ha gradualmente aggiunto lo sviluppo del pensiero e del linguaggio, tra loro strettamente connesse, e aventi principalmente sede nell’emisfero sinistro del cervello. Alla potenza di questa acquisizione evolutiva, cui si deve la stessa civiltà umana nel senso etico del termine, corrispondono i tempi lunghi dei suoi processi: il ragionare, l’argomentare, lo sperimentare su cui poggiano tutti i saperi e le scienze, richiedono uno sviluppo che sia nell’individuo che nella società, non può esaurirsi nell’istante della risposta istintuale.Il mondo contemporaneo, sotto l’azione principale della tecnologia mercificata, incentiva comportamenti e moltiplica stimoli caratterizzati dalla crescente velocità di risposta che inverte il rapporto tra pensiero e azione. Data la plasticità del cervello, semplificando, le nostre menti si ristrutturano e le parti più evolute di essa tendono a retrocedere: come recita l’efficace titolo di uno dei capitoli del libro, alla bulimia dei consumi – che ci richiedono compulsività e poca meditazione razionale – corrisponde l’anoressia dei valori – cioè l’eclissi del pensiero razionale e della stessa scienza.Tuttavia, non è tanto la possibilità, pur inquietante per quanto lontana, che ciò avvenga, quanto il fatto che – parafrasando Michel Maffesoli – questa nuova tribalizzazione del mondo e delle menti si stia verificando qui ed ora. Allontanandoci da ciò che ci rende più umani: l’elogio della lentezza è un appello al recupero dell’umanesimo, del mettere al servizio della realizzazione di una vita buona la conoscenza e la tecnica. Nel paradosso di Zenone, infatti, in una stessa pista la tartaruga (pensiero e meditazione) non potrà mai essere raggiunta da Achille (desiderio e forza). Lentezza e velocità devono così re-integrarsi, ma si tratta di una sfida irta di pericoli non sempre colti dalla riflessione di Maffei: in primo luogo, perché tutti i grandi sistemi ideologici del «secolo breve» hanno coltivato questo sogno, finendo in guerre e stermini di massa. In secondo luogo, perché il valore della lentezza rimanda inevitabilmente al suo essere contro-immagine del moderno stesso: il neo-tradizionalismo – anche come effetto perverso della cultura della nuova sinistra degli anni Sessanta e Settanta – con le sue inseparabili gerarchie ed autoritarismi, è dunque sempre in agguato. Coltivare il valore della lentezza vuol dire perciò prendere consapevolezza di questi rischi e agganciare saldamente questo valore ad un razionalismo scettico e non settario, in grado di dubitare anche di se stesso.
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