Colloqui con una professoressa |
da KAIRO'S
In Colloqui con una professoressa di Mirella Bocchini (edizioni Cantagalli) l’insegnante e autrice del libro racconta che aveva assegnato il tema «Che cosa desidero veramente di più nella vita per me e per gli altri»: «A questo punto accade una scena stranissima: passa un quarto d’ora, passa mezz’ora e nessuno dei presenti riesce a scrivere una riga, neppure una riga dell’indice o della scaletta, che già avevano imparato ad elaborare […]. Alcune ragazze e qualche ragazzo cominciano a rivolgersi disperati verso di me, dicendo che non gli veniva in mente niente, che non riuscivano a trovare niente, e alcuni iniziano a lamentarsi che il tema «è troppo difficile». […] Due o tre ragazze […] di botto prorompono ad alta voce: «È vero!». «Mi sembra impossibile! Non sono capace di capire cosa desidero davvero, proprio per me!». «Ma noi allora cosa siamo? Come siamo ridotti?»».
In questo modo Pasolini in un articolo di giornale, che sarebbe stato poi raccolto in Scritti corsari, descrive il centralismo odierno del potere che mira a soffocare l’umano e ogni forma di desiderio autentico: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. […] Oggi […] l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica, voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana […]. Il Centro […] ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza».
Come fare allora? Da dove ripartire? «Quid animo satis?», cioè «che cosa può bastare all’animo umano?». Come affrontare i problemi familiari dei ragazzi? Come costruire un clima di comunione in una classe? Come sviluppare un autentico gusto per il sapere e per l’attività scolastica? Da queste domande prende spunto l’interessante libro di Mirella Bocchini. «L’esperienza vissuta da professori e alunni dell’istituto professionale Pacinotti di Milano mostra un modo affascinante di vivere la scuola e lo studio». «Non possiamo dare per scontato il soggetto che vuole imparare». Nella scuola di oggi si assiste alla «pretesa delirante di una didattica standard fondata non sulla cura della persona nella sua reale situazione, ma su un’astrazione del concetto di allievo». Si guarda «il ragazzo senza tener conto della sua posizione umana di passività, disinteresse, demoralizzazione dell’io». Che cosa si deve fare? Bisogna ricostruire l’io e «farlo diventare consapevole di sé sotto due aspetti fondamentali: innanzi tutto nella capacità logica, cioè nella capacità di ragionare. In secondo luogo nella sua capacità affettiva, cioè nella curiosità amorosa verso la realtà, le cose e le persone». I ragazzi devono cioè sperimentare che sono capaci. Gli insegnanti devono valorizzare le capacità e la verità. Nella spiegazione «occorre rendere i contenuti il più possibile accessibili, senza rinunciare alla parola viva». Mirella Bocchini, che è stata allieva di don Giussani, ricorda che il suo maestro teneva «lezioni ricche e complesse con venti minuti di sintesi scritte».
L’autrice, inoltre, suggerisce «concrete modalità didattiche che hanno contribuito a ricostruire l’umanità degli studenti, come, ad esempio, la valutazione o lo svolgimento del tema». Il voto va discusso di fronte a tutta la classe, nel senso che il docente deve chiarire a tutti i criteri con cui viene assegnato, quali sono i criteri di valutazioni e le richieste dell’insegnante. Il ragazzo, così, si sentirà sempre più protagonista, non subirà la valutazione, ma comprenderà il metodo, il percorso che deve fare.
Il tema è, poi, un’ottima occasione per scoprire il proprio io, capire la propria posizione umana. È bello scrivere perché permette la scoperta dell’io, consente di «andare a fondo della propria posizione umana riguardo a sé, agli altri e alla realtà in tutti i suoi complessi fattori esistenziali, culturali, sociali». La parola scritta «è la rivelazione anzitutto a me stesso e poi agli altri di una verità su di me o sulla realtà […]. Devo scoprire un pezzettino grande o piccolo di verità, ma devo scoprirlo io». Il ragazzo scopre di avere tanti desideri, di avere tante idee, di avere un’interiorità a cui non aveva mai badato. «Al tempo stesso può avvenire la scoperta dolorosa ma liberante di avere in sé tanti elementi di non verità, di desideri falsi, di condizionamenti soffocanti, irragionevoli e feroci della cultura in cui tutti siamo immersi». Perché il tema sia una vera possibilità di crescita umana occorrono due requisiti: che l’insegnante sia un vero interlocutore (cioè prenda sul serio lo studente e il suo sforzo di cercare un pezzo di verità) e assegni temi che riguardino «un argomento di cui gli studenti conoscono bene tutto», esperienze, questioni della vita, problematiche su cui si è discusso in classe seriamente. Allora, in questo caso, l’attività di scrittura non è solo retorica, ma coincide con un percorso umano.
Mirella Bocchini passa, poi, ad affrontare l’affascinante avventura della nascita di un luogo all’interno della scuola, cioè un gruppo di persone, adulti e ragazzi, che si fa compagnia nella sfida della vita, dello studio, dei problemi, ma anche nella valorizzazione e apprezzamento della bellezza (dalla lettura di poesie all’ascolto della musica, dopo aver mangiato una pizza insieme). Rinviamo alla lettura del libro per conoscere questa storia viva e appassionante, assai lontana dal grigiore con cui spesso è dipinta la scuola dagli addetti ai lavori. Chesterton ci ricorda: «La vita è la più grande delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre». Come è provocatoria questa frase in un panorama in cui l’abitudine principale è quella di lamentarsi, di vivere il lavoro e la scuola come carceri, luoghi tetri e pesanti da cui evadere o in cui stare solo se si guadagna adeguatamente o si può far carriera.
La più grande delle avventure non è il viaggio nella solitudine dell’Alaska come nel film «Into the wild», ma la vita che ora, in questo preciso istante, è data a me e a te da vivere. Come può accadere ciò? Perché la vita sia un’avventura, bisogna recuperare la dimensione della scoperta. Sì, scoperta di sé e scoperta dell’altro, scoperta di un cuore che accomuna me e il mio collega, anche quello che non mi sta poi così simpatico, il ragazzo che si presenta per il primo giorno di scuola delle superiori come l’insegnante che sta per andare in pensione. In questa scoperta del cuore che accomuna me all’altro che incontro, quel cuore che ci rende creati «a immagine e somiglianza» di Dio, sta la possibilità di uno sguardo misericordioso che valorizza il punto luminoso dell’altro (anche in mezzo a tanti limiti), perché spia del mistero che l’altro ha dentro.
Fighera