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lunedì 9 settembre 2013

A 50 ANNI DALLA MORTE di C.S. Lewis ...Il tramonto dell’uomo, di Joseph Ratzinger

Da  Chesterton / Lewis / Tolkien

Clive Staples Lewis 1898 - 1963  
 Clive Staples Lewis

Scritti vari donboscoland.it
  1. Brave persone o uomini nuovi?
  2. Carità
  3. Dio vivo e gli idoli
  4. Facile e difficile nel cristianesimo
  5. Fede
  6. Il Diavolo Berlicche
  7. Il mio castello di carte
  8. La generazione eterna del Figlio nella Trinità
  9. Le risposte che Dio si riserva
  10. L’amicizia secondo Berlicche
  11. L’originalità personale nel cristianesimo
  12. Orgoglio e umiltà
  13. Sacrificio della croce di Cristo
  14. Vivere per un altro
  15. Amicizia
  16. Brave persone o uomini nuovi?

 C. S. Lewis (Belfast, 29 novembre 1898 – Oxford, 22 novembre 1963)

Le cronache di Narnia (The Chronicles of Narnia)

File:The-chronicles-of-narnia-poster.jpg
The Chronicles of Narnia: The Lion, the Witch and the Wardrobe

Da Avvenire

Il "profeta minore" venuto da Narnia




Nel 1962 Clive S. Lewis pubblicò un piccolo libro intitolato Il cristianesimo così com’è (Adelphi). Si basava su una serie di discorsi che l’autore aveva tenuto alla Bbc durante la Seconda guerra mondiale e nei quali esplorava i fondamenti della fede e la loro rilevanza in quel tempo di pericolo e incertezza. Lewis era già ben noto per le sue acute Lettere di Berlicche (1942) e stava per diventare una star internazionale della letteratura con il suo Il Leone, la Strega e l’Armadio (1950), la prima delle sette Cronache di Narnia. Questi racconti fantastici per bambini nella terra di Narnia lo consacrarono come una sorta di J.K. Rowling degli anni Cinquanta. Lewis non si stancò mai di difendere la necessità del racconto nella cultura occidentale. Mostrò una visione immaginativa della realtà che contrastava con quello che definiva il «razionalismo frivolo e superficiale» da lui conosciuto in gioventù. Nell’articolo a lui dedicato nel 1963, in occasione della sua morte, il settimanale Time definì Lewis come «uno dei profeti minori della Chiesa», un difensore della fede che «con un modo di fare affascinante difendeva dalle eresie del nostro tempo un’ortodossia ormai del tutto priva di fascino ». Questo ricordo prendeva in considerazione quel che Lewis aveva fatto e non prevedeva una sua rinascita. Lewis sarebbe stato ricordato come «uno studioso impressionante» da coloro che si fossero presi la briga di guardare al passato. Non aveva futuro. Anche gli amici di Lewis guardarono a lui come una forza ormai consumata. Ma Lewis è come riemerso. Nessuno sa veramente come.


A partire dal 1990 Lewis gode di un revival così significativo che i suoi libri vendono più copie oggi rispetto a quando lo scrittore era in vita. Gode del dubbio privilegio di venir celebrato con ugual vigore sia dalla destra americana di carattere religioso, sia dalla sinistra laica: un segnale sicuro della minaccia potente che Lewis rappresentava per la compiacenza di ciascuno di questi poli. Il ritorno di interesse si spiega in parte con il richiamo, che resta ben vivo a livello popolare, della serie di Narnia, anche grazie alla riscoperta determinata da film di grande impatto. 
Ma il rinnovato fascino di Lewis, recentemente, riguarda di più le idee contenute in Il cristianesimo così com’è rispetto al magico mondo di Narnia. Lewis è qualcosa in più di un maestro di narrativa. Ha dimostrato di possedere una rara abilità nel riunire il richiamo immaginativo e quello razionale della fede in un tempo di crescente scetticismo. In America del Nord la sua opera sta trovando i favori di una nuova generazione, insofferente della presentazione del cristianesimo così come è stata offerta nei decenni recenti, specialmente durante le campagne per le elezioni presidenziali. La lotta contro la superficialità e la ricerca della reale sostanza della fede hanno portato molte persone a prendere in mano Lewis e a leggerlo con rinnovato interesse.


In Gran Bretagna i credenti stanno trovando in Lewis una sorgente di profonda spiritualità e di respiro intellettuale. La crescita del cosiddetto «neo-ateismo» ha fatto sì che molti, nelle Chiese britanniche, si rendessero conto dell’importanza dell’apologetica: Lewis è ampiamente considerato come uno dei maestri di questo genere. Le fantasie delle Cronache di Narnia hanno offerto un’avventura narrativa e al contempo un’allegoria religiosa. Anche Il cristianesimo così com’è offriva una visione complessiva del cristianesimo che ancor oggi risuona in molte persone. Per la sorpresa di molti commentatori,Il cristianesimo così com’è è spesso indicato nei sondaggi tra i libri religiosi più influenti nel XX secolo.
Perché accade questo? Lo studioso di Oxford Austin Farrer ha pochi dubbi sulle ragioni di questa influenza, che secondo lui deriva dall’integrità razionale e dal fascino immaginativo della fede: «Noi pensiamo di essere in ascolto di un’argomentazione; invece ci viene presentata una visione, ed è questa che porta con sé le convinzioni». Mentre sta offrendo una difesa della ragionevolezza della fede, Lewis enfatizza l’abilità della fede stessa nel collegarsi con le intuizioni umane più profonde, così da catturare l’immaginazione umana. Vi è un altro punto sul quale Il cristianesimo così com’èparla in profondità al cristianesimo contemporaneo: su entrambe le sponde dell’Atlantico questo libro era, ed è, un manifesto per una forma di cristianesimo che esalta le cose essenziali e considera come secondarie le altre questioni. Lewis ha operato in modo tale da unire i cristiani di diverse confessioni, che sono arrivati a riconoscerlo come un rappresentante degno di fede, accessibile e intelligente, esponente di una visione attraente della fede cristiana, dal punto di vista sia culturale sia teologico. Mentre le Chiese e in generale i lettori si preparano a festeggiare il cinquantesimo anniversario della sua morte, è chiaro che gli scritti di Lewis esercitano ancora oggi un immenso potere spirituale e intellettuale.
(traduzione di Lorenzo Fazzini)  Alister Mc Grath 

Papa Benedetto XVI° ... 

Il pericolo mortale dell'abolizione dell'uomo in C.S. Lewis, di Joseph Ratzinger

da Il tramonto dell’uomo, di Joseph Ratzinger
Progetto Editoriale Mariano 2005


Lo scrittore e filosofo ingle­se Clive Staples Lewis additò quel pericolo mor­tale dell'abolizione dell'uomo, che risiede nella distruzione dei fondamenti della nostra morale, sottolineandone l'evidenza che interessa l'uma­nità tutta, poiché su di essa poggia la sopravvi­venza dell'uomo in quanto uomo. Egli dimostra inoltre, con una rapida lettura attraverso tutte le grandi culture, come tale evidenza sussista ovun­que. Non rimanda solo all'eredità etica dei greci, quale fu articolata particolarmente da Platone, da Aristotele e dalla Stoà, che intesero indurre l'uo­mo a cogliere la razionalità dell'essere, onde postularono un'educazione nella «connaturalità essenziale alla ragione»; ma si rifà anche al primo induismo e alla sua nozione di «Rta», che signifi­ca armonia fra ordine cosmico, virtù morali e ceri­moniale del tempio.

Lewis sottolinea in modo particolare la dottrina relativa al «Tao» dei cinesi: «Esso è la natura, esso è la via, la strada. Esso è il modo in cui tutto si muove... Esso è anche la via che ogni uomo deve battere, imitando questo moto cosmico e sopraco­smico, orientando tutto il suo muoversi su questo grande modello».
Ma Lewis fa riferimento anche alla legge di Israele, che collega fra di loro cosmo e storia e vuole essere espressione della verità dell'uomo e del mondo tutto. Nell'ambito di questo sapere delle grandi cul­ture si hanno differenze di dettaglio. Ma assai più pronunciato di esse è il grande fondo comune, che si prospetta come l'evidenza originaria della vita umana: l'insegnare l'esistenza di valori obiettivi, che si affermano nell'essere del mondo; il credere che si danno comportamenti i quali, conformi al messaggio del Tutto, sono veri e perciò buoni, mentre se ne danno altrettanti che, difformi dal­l'essere, sono realmente e sempre falsi.

L'umanità moderna si è fatta persuadere che le morali dell'umanità si contraddicono radicalmen­te a vicenda, e così anche le religioni. In entrambi i casi si è tratta una semplice conclusione: che tutto, morale e religione, è invenzione umana, le cui incongruenze abbiamo potuto finalmente individuare e rimpiazzare con la conoscenza razionale. Ma questa diagnosi è superficiale al massimo. Si aggrappa a una serie di particolari che enumera e giustappone disordinatamente, per approdare così alla sua banale saccenteria.
La realtà è che, l'intuizione basilare del caratte­re morale dell'essere in quanto tale e della neces­saria armonia dell'essere umano con il messaggio della natura, è comune a tutte le grandi culture, e pertanto lo sono anche i grandi imperativi mora­li. Clive Staples Lewis ha vigorosamente formula­to così: «Quello che per motivi pratici ho denomi­nato "Tao" e che altri preferiscono chiamare legge naturale, morale tramandata o primo principio della ragion pratica o verità fondamentali, non è un sistema di valori. È l'unica fonte di tutti i giu­dizi di valore. Se la si respinge, si rigetta ogni valore. Se si salvaguarda un valore qualsiasi, si salvaguarda anche quella. Il tentativo di rifiutarla e di mettere al suo posto qualcosa di nuovo è una contraddizione in sé...»

L'abolizione dell'uomo

Il problema dei tempi moderni, cioè il proble­ma morale della nostra epoca, sta nell'essersi essa separata da quella evidenza originaria di cui si è detto. Per intendere realmente il fenomeno, ci occorre descriverlo più precisamente. È caratteri­stico del pensiero improntato dalle scienze natu­rali, scavare un abisso tra il mondo dei sentimen­ti e il mondo dei fatti. I sentimenti sono soggetti­vi, i fatti sono oggettivi.
I «fatti», vale a dire ciò che è constatabile al di fuori di noi stessi, non sono altro che «fatti», nuda effettualità. Aggiungere all'atomo chissà quali altre qualità, magari di natura morale o estetica, oltre alle sue determinazioni matematiche, è con­siderato mero prodotto della fantasia. Ma codesta riduzione della natura a fatti esaminabili e quindi anche padroneggiabili, ha come conseguenza che, dal di fuori di noi stessi, non ci perviene più alcun messaggio morale. Ora ciò che è morale, come pure ciò che è reli­gioso, appartiene alla sfera del soggettivo: non ha posto nell'oggettivo. Se è soggettivo, è creazione dell'uomo: non ci preesiste; siamo noi a preesi­stergli e a farlo. Per sua natura questo movimen­to di «obiettivizzazione», che «scruta» le cose, le rende padroneggiabili, non conosce limiti. Già Auguste Comte postulava una fisica dell'uomo. A poco a poco si sarebbe dovuto rendere scientifica­mente comprensibile, cioè assoggettabile alla conoscenza naturalistica, anche l'oggetto naturale più difficile: l'uomo. Questi sarebbe allora scruta­to esattamente come lo è già la materia.

Psicanalisi e sociologia sono le modalità fonda­mentali per tradurre in realtà il postulato. Ora, a quanto pare, si possono spiegare i meccanismi per i quali l'uomo arrivò a convincersi che la natura esprime una legge morale. Senonché l'uomo, scru­tato in tal modo, non è più uomo; in base alla natu­ra stessa di tale tipo di conoscenza non può esser altro che pura effettualità anche lui: «Chi scruta tutto, non vede più nulla», sentenzia Lewis. Le teorie dell'evoluzione, elaborate in visione onni­comprensiva del mondo, suggellano questa ottica e al tempo stesso ne tentano una compensazione.
Naturalmente, esse dicono, tutto è diventato quel che è senza logica di sorta, o meglio con la mera logica dei fatti. Ma questo svolgimento, questo farsi del mondo, puramente meccanico, ora lo si può ricostruire con le teorie sul caso e la neces­sità, con la compiuta dottrina evoluzionistica.

Le conclusioni che si traggono dall'«evoluzio­ne», il riprodurne e diffonderne i risultati sareb­bero quindi la nuova morale: il fine dell'evoluzio­ne e l'ottimizzazione delle specie. La sopravvi­venza ottimale della specie «uomo» sarebbe ora il valore morale basilare; le regole secondo cui lo si fa, sarebbero gli ordinamenti morali particolari.
Solo apparentemente tutto questo è un ritorno all'ascolto del magistero morale della natura. In realtà ora regna il dio «senzasenso», poiché l'evo­luzione è di per se stessa priva di senso. Regna il calcolo e regna la forza.
La morale è liquidata, ed è liquidato l'uomo in quanto uomo. Perché mai ci si debba aggrappare alla sopravvivenza di questa specie, non lo si può più rendere comprensibile.
Ancora una volta vorrei citare Lewis, che nel 1943 già descriveva con tagliente lucidità questo processo. Egli vi scorgeva il vecchio patto con il mago: «Dammi l'anima tua, e riceverai in cambio potere. Ma una volta che avremo ceduto l'anima, cioè noi stessi, il potere che ce ne viene in cambio non ci apparterrà più... È in potere dell'uomo con­cepire se stesso come mero "oggetto naturale"... L'obiezione pertinente è questa: l'uomo che vuole concepirsi come materiale grezzo, materiale grez­zo diventa...».
Questi moniti, Lewis li formulò durante la seconda guerra mondiale, vedendo minacciata dalla distruzione della morte anche la capacità di difendere la patria dall'assalto della barbarie. Egli, però, era sufficientemente obiettivo per sog­giungere: «A questo proposito, non penso unica­mente e nemmeno soprattutto a coloro che al momento sono nostri nemici politici. Il processo che distruggerà l'uomo, nel caso che non lo si blocchi, si svolge tanto palesemente tra comunisti e democratici quanto tra fascisti...» .
Questo accenno mi sembra di grande impor­tanza: le moderne ideologie, le contrapposte visioni del mondo hanno in comune il punto di avvio nella negazione della legge morale e natu­rale e nella riduzione del mondo a puri fatti.
Diversa è la misura in cui esse ritengono illogi­camente qualcosa degli antichi valori, ma nel noc­ciolo sostanziale esse sono minacciate dallo stesso pericolo.
La falsità vera e propria di quell'ideologia, per la quale droga e terrorismo sono soltanto sintomi, consiste nel ridurre il mondo a fatti e nel restrin­gere la ragione alla percezione del quantitativo. La peculiarità dell'uomo viene ricacciata nel sog­gettivo e diviene così irreale. L'«abolizione del­l'uomo», che consegue dall'assolutizzare un unico modo di conoscenza, è al tempo stesso l'evidente falsificazione di questa visione del mondo.
L'uomo esiste e chi, in forza della sua teoria, è costretto a tirarlo giù nella sfera dell'apparato scrutabile e smontabile, vive in un restringimento di prospettiva a cui sfugge proprio l'essenziale.
Se la scienza mira a una cognizione il più pos­sibile comprensiva e adeguata alla realtà, una forma metodologica così assolutizzata è il contra­rio della scienza. Per dirla in altri termini: anche la ragion pratica, su cui poggia la conoscenza pro­priamente etica, è una ragione reale e non mera espressione di sentimenti soggettivi senza valore gnoseologico.
Dobbiamo reimparare a capire che le grandi cognizioni morali dell'umanità sono altrettanto razionali e altrettanto vere, anzi più vere di quel­le sperimentali, proprie della sfera naturalistica e tecnologica. Sono più vere, perché più profonda­mente raggiungono il proprio dell'essere e sono più determinanti a che l'uomo sia uomo. 

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