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domenica 13 ottobre 2013

Papa Francesco ha stabilito che la beata Angela da Foligno (1248-1309) sia iscritta nel catalogo dei Santi ...




"Angela da Foligno è una donna da vertigini. La prima volta che ho avuto occasione di conoscere il suo Libro, sono rimasto folgorato e mi son detto: «I teologi oggi scrivono libri di centinaia di pagine domandandosi se esiste Dio (come quello, che allora era in auge, di Hans Küng), e alla fine il punto interrogativo è ancora lì, mentre dopo aver letto una sola pagina di questa donna, si chiude il libro e si riconosce che Dio esiste, ma è fuoco divorante!». Uno studioso domenicano di mistica ha detto che Angela da Foligno è per la mistica quello che Dante Alighieri è per la poesia, cioè uno dei vertici assoluti. Dà il senso del mistero di Dio, della trascendenza, quel senso di un altro mondo, che solo i mistici riescono a dare. Oggi abbiamo un estremo bisogno della prospettiva mistica, perché l’uomo d’oggi non si convince per i ragionamenti. Viviamo nel tempo del «pensiero debole», non sarà il pensiero a convincere. Ma quando l’uomo si pone davanti ad esperienze così coerenti e convincenti del divino, è difficile sottrarsi. Angela da Foligno è infatti all’origine di alcune tra le conversioni più celebri del secolo scorso: Claudel, Bloy, e si potrebbe allungare la lista." (padre Raniero Cantalamessa)


BEATA ANGELA DA FOLIGNO


MEMORIALE


ANGELA DA FOLIGNO, LA GRANDE MISTICA


Papa Francesco ha stabilito che la beata Angela da Foligno (1248-1309) sia iscritta nel catalogo dei Santi estendendo alla Chiesa universale il culto liturgico in suo onore. La decisione, presa lo scorso 9 ottobre nel corso dell’udienza concessa al cardinale Angelo Amato - prefetto della Congregazione delle cause dei santi -, è stata annunciata ieri.

A spiegare la modalità di questa canonizzazione - diversa da quella ordinaria che prevede il riconoscimento canonico di un miracolo attribuito all’intercessione di un beato - è stato lo stesso cardinale Amato con un breve articolo esplicativo apparso sull’Osservatore Romano stampato ieri pomeriggio con data odierna. Il porporato ha spiegato come papa Francesco, «in seguito alle numerose suppliche presentate alla Santa Sede da vescovi e superiori francescani», ha proceduto «alla canonizzazione equipollente della beata Angela da Foligno».

Per tale canonizzazione, ha ricordato il cardinale, secondo la dottrina di Benedetto XIV risalente al XVIII secolo, «si richiedono tre elementi: il possesso antico del culto; la costante e comune attestazione di storici degni di fede sulle virtù o sul martirio; la ininterrotta fama di prodigi». E se si soddisfano queste condizioni - sempre secondo la dottrina di papa Lambertini - «il Sommo Pontefice, di sua autorità, può procedere alla canonizzazione equipollente, cioè all’estensione alla Chiesa universale della recita dell’ufficio divino e della celebrazione della Messa, "senza alcuna sentenza formale definitiva, senza aver premesso alcun processo giuridico, senza aver compiuto le consuete cerimonie"».

Il cardinale Amato ha sottolineato come «la pratica della canonizzazione equipollente è stata sempre presente nella Chiesa e attuata regolarmente, anche se non frequentemente». E poi ha citato alcuni esempi di santi canonizzati in questo modo. Tra questi ci sono E cioè Romualdo (1595), Raimondo Nonnato (1681), Stefano di Ungheria (1686), Margherita di Scozia (1691), Giovanni di Matha (1694), Gregorio VII (1728), Venceslao di Boemia (1729), Gertrude di Helfta (1738). E anche Pier Damiani e Bonifacio martire (1828); Cirillo e Metodio di Salonicco (1880); Cirillo di Alessandria, Cirillo di Gerusalemme, Giustino martire e Agostino di Canterbury (1882); Giovanni Damasceno (1890); Beda il venerabile (1899); Efrem Siro (1920); Alberto Magno (1931); Margherita di Ungheria (1943); Gregorio Barbarigo (1960); Giovanni d’Avila (1970). L’ultima canonizzazione equipollente è stata quella di santa Ildegarda di Bingen, ad opera di Benedetto XVI, il 10 maggio 2012. (Diverso è il caso di Giovanni XXIII la cui prossima canonizzazione - con la decisione del Papa di dispensare la causa dal miracolo - non è però classificabile come equipollente).

Sempre ieri è stato annunciato che papa Francesco, ancora il 9 ottobre, ha autorizzato il dicastero presieduto dal cardinale Amato a promulgare sette decreti relativi ad altrettante cause.

Un decreto riguarda il miracolo attribuito all’intercessione della venerabile Maria Assunta Caterina Marchetti (1871-1948), cofondatrice della Congregazione delle suore missionarie di San Carlo, che quindi diventerà beata. Un altro riguarda poi le virtù eroiche - in vista della canonizzazione che potrà avvenire dopo la certificazione di un miracolo - del beato Amato Ronconi (1226-1292), fondatore dell’Ospizio dei pellegrini poveri di Saludecio (Rimini), oggi "Casa di riposo Opera Pia beato Amato Ronconi". Cinque decreti infine riguardano le virtù eroiche di altrettanti servi di Dio.

Si tratta dell’arcivescovo toscano Pio Alberto Del Corona (1837-1912), fondatore della Congregazione delle suore domenicane dello Spirito Santo, della canadese Maria Elisabetta Turgeon (1840-1881), fondatrice della Congregazione delle suore di Nostra Signora del Santo Rosario di San Germain; di Maria di San Francesco Wilson (1840-1916), nata in India da famiglia anglicana, fondatrice nelle Azzorre della Congregazione delle suore francescane di Nostra Signora delle vittorie; di Maria Eleonora Giorgi (1882-1945), suora professa della Congregazione delle serve della Vergine Maria Addolorata di Firenze; di Attilio Luciano Giordani (1913-1972), laico cooperatore salesiano. Questi cinque servi di Dio, che ora diventano venerabili, potranno eventualmente essere iscritti nell’albo dei beati dopo che venga riconosciuto un miracolo attribuito alla loro intercessione.
G. Cardinale

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Mistica convertita dal Poverello
Le testimonianze dirette che abbiamo di Angela da Foligno vengono da frate Arnaldo, prima suo confessore e poi incaricato ufficialmente, dopo le prime notizie sui rapimenti mistici, di stendere una relazione informativa sulla donna.

Nata a Foligno, appunto, nel 1248, Angela proveniva da una famiglia agiata ma era illetterata, seppur capace di padroneggiare bene la lingua latina usata a quel tempo. Sappiamo anche che si sposò (forse intorno al 1270) e che nel 1288 circa in breve tempo morirono la madre, il marito, i figli e in quella solitudine, mettendo fine ad una vita «selvaggia, adultera e sacrilega», secondo la sua stessa testimonianza, si avvicinò alla fede fino a sentire una forte vocazione.

Vendette i suoi beni tra la fine del 1290 e l’inizio dell’anno seguente, ed entrò nel Terz’Ordine francescano dedicandosi alle opere di carità. Frate Arnaldo divenne in un primo tempo suo confessore poi dopo le notizie di rapimenti mistici ebbe l’incarico di compilare un dettagliato Memoriale. In particolare l’anno 1291 segna la vita della religiosa a causa del pellegrinaggio compiuto ad Assisi per conoscere l’opera e il carisma di Francesco. Lungo il percorso ebbe una visione che segnerà e cambierà la sua vita. «E poiché io – nota frate Arnaldo in proposito – le chiedevo e le dicevo: "Cosa hai visto?, essa rispose.

Dicendo: "Ho visto una cosa piena, una maestà immensa, che non so dire, ma mi sembrava che era ogni bene. E mi disse molte parole di dolcezza quando partì e con immensa soavità e partì piano, con lentezza». Frate Arnaldo durante i quattro anni successivi, dal 1292 al 1296, assolse il suo compito di seguire la mistica per raccogliere il contenuto delle estasi. Nello stesso 1296 il "Memoriale" di Arnaldo veniva approvato dal cardinale Giacomo Colonna e da una commissione di otto teologi francescani. Nel 1298 Angela incontrò Ubertino da Casale, il quale confessò in una sua opera di aver superato una crisi religiosa proprio grazie a questo incontro. Era del resto un’epoca di dispute teologiche e scontri religiosi. Angela morì il 4 gennaio 1309 ed i suoi resti sono venerati nella chiesa di San Francesco, a Foligno. 

F. Mastrofini

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Il Dio povero
Angela da Foligno è diventata santa nel nome di Francesco, come è vissuta. Un’apparizione di san Francesco stabilisce il suo radicale mutamento spirituale, che la porta verso un’esistenza di perfetta povertà: venduti i suoi beni, distribuisce il ricavato ai poveri ed entra nel terz’ordine francescano. Poco dopo, nella basilica di Assisi ha una crisi mistica che frate Arnaldo, suo trascrittore, documenterà poi in un libro di memorie e rivelazioni. Ora è il nuovo Papa che si è chiamato Francesco a decidere la sua canonizzazione.

Difficile non pensare alla povertà sociale che, sull’esempio del santo di Assisi, in lei corrispondeva alla povertà di Dio fattosi uomo: una povertà che non è diminuzione ma presenza in tutta la sua divinità e potenza. Come dice Angela, san Francesco è colui che sta ai piedi della croce e ne assume ogni dimensione.

Con il coraggio dell’estrema chiarezza, Angela definisce il suo linguaggio una bestemmia: non tanto per l’arditezza delle espressioni che usa, quanto per ciò che dice di Dio. Descrivendo i modi in cui l’anima umana s’incontra con Dio, osserva che nelle prime esperienze l’anima lo "sente" ma non riesce a vederlo, pur essendo piena di una gioia che non arriva ancora a comunicare agli altri. E quando lo fa, finisce sempre per incagliarsi in una obiezione, che lei stessa si rivolge, assieme al suo "frate-scrittore": questo che dici, di te e di Dio, non si trova nella Bibbia.

La forza, la novità della sua parola pagano questo prezzo alla sua coscienza. Il suo itinerario, non tanto verso Dio, quanto dentro Dio, passa per alcuni momenti fondamentali: il momento dell’amore, che è anche quello della croce, di "Gesù passionato", della totale spoliazione di sé, della più completa nudità; il momento del nulla, della tenebra più tenebra, dove però alla fine Dio ricompare; e poi il momento della resurrezione, nella quale Angela ha l’esperienza più alta, che va anche oltre Francesco, ossia quella della trinità.

Lì, in quel momento, Angela sperimenta la realtà cosmica, l’unione umano-divina di tutto il creato. Lei stessa è Dio in Dio, come Dio è uomo in lei. Il momento della resurrezione è cosmico perché coinvolge, con l’essere umano, tutta la creazione, e dà il segno della pienezza a ogni vita. Dice, per mano di frate Arnaldo: «E allora sento la sua presenza e capisco come è presente in ogni creatura e in ogni cosa che possieda in sé l’essere: nel demonio e negli angeli buoni, nel paradiso e nell’inferno, nell’adulterio e nell’omicidio e in ogni buona azione, e in ogni cosa che esista o comunque possieda l’essere, tanto se bella quanto se brutta… E allora l’anima, avvertendo la sua presenza, molto si umilia, prova confusione per i suoi peccati, riceve grande dignità di sapienza e larga consolazione divina e gioia».

Oltre la tenebra che nasconde e rivela Dio, non ci sono più la contraddizione bene-male, l’alternativa paradiso-inferno, ma l’esperienza, enorme e, alla fine, alla portata di ciascuno, di un Dio ritrovato nella povertà, nella piena umanità. Le donne, forse, sono le vere eredi di Francesco e in Angela da Foligno trovano un vertice. 

Laura Bosio
Avvenire

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ANGELA DA FOLIGNO, LA GRANDE MISTICA
 Predica di P. RANIERO CANTALAMESSA, OFMCAP.
Foligno, 15 Marzo 1997
1. “Perché tutti a te?”
Io non sono quello che si chiama uno specialista o uno studioso di Angela da Foligno. Come mai allora proprio io sono stato invitato dal Comitato di coordinamento “La città di Foligno”, in occasione dell’uscita del libro “Angela da Foligno, la grande mistica”, con cui la città di Foligno vuole rilanciare la conoscenza della sua illustre cittadina? Forse è perché sono anch’io uno dei tanti “folgorati” da Angela.
La mia storia con Angela cominciò nel 1978. A quel tempo ero docente all’Università Cattolica di Milano. Partendo, insieme con il Prof. G. Lazzati, per un congresso in Brasile, all’ultimo momento misi nella valigia il libro della Beata. A un certo punto, mi accorsi che ero talmente preso da quella che anche il congresso passava in secondo ordine. Alcune parole si incisero a fuoco. Ricordo per esempio quello che Angela rispose a Frate Arnaldo che la sollecitava a spiegarsi meglio su una certa sua esperienza di Dio. “Se un giorno vedessi tu quello che ho visto io, ti dico io cosa faresti. Salendo sul pulpito a predicare, ti fermeresti, guarderesti la gente e diresti loro: ‘Fratelli, andatevene con la benedizione di Dio, ché di Dio oggi niente posso dirvi! E scenderesti dal pulpito”. Più d’una volta, in seguito, trovandomi io stesso a dover predicare, provai un gran desiderio di ripetere alla gente quelle parole e andarmene.
Molte ho volte, citando nella mia predicazione qualche pensiero di Angela, ho ripetuto alle persone l’incredibile promessa che un giorno ella si sentì rivolgere da Dio: “Io benedirò perfino chi ti sentirà nominare”. E tutti abbiamo costatato la verità di quella promessa.
Nel 1983 fui incaricato di preparare i testi per la via crucis del Papa in mondo-visione dal Colosseo, il Venerdì Santo. Pensai subito a lei e così quell’anno ella poté parlare ancora al mondo della Passione di Cristo e far risuonare di nuovo le celebri parole che si sentì rivolgere lei stessa un giorno della settimana santa: “Non ti ho amato per scherzo”.
Non più tardi di ieri mattina, il nome di Angela e uno dei suoi insegnamenti chiave (“ O nulla sconosciuto, o nulla sconosciuto…!”) sono risuonati durante una delle meditazioni che da anni sono chiamato a tenere alla Casa Pontificia, davanti al Papa e alla curia romana.
Come si spiega tutto questo? E il fatto stesso che dopo sette secoli dalla morte, la città di Foligno (che non ha mai rinnegato, a quanto so, la sua anima “ghibellina”) si occupa di questa sua figlia vissuta nel lontano medioevo? Verrebbe quasi da porre ad Angela la stessa domanda che un giorno frate Masseo pose a bruciapelo a Francesco: “Perché tutti a te? perché a te tutto il mondo corre dietro?” .
Ci sono spiegazioni contingenti: Angela è una donna, una laica, testimone di un primo prepotente venire alla ribalta del mondo femminile, e sappiamo quanto questi temi siano oggi di attualità. Ma la risposta fondamentale è un’altra: la santità!
Pascal dice che esistono tre ordini di grandezza al mondo, o tre categorie di valori: l’ordine dei corpi, e delle cose materiali, l’ordine dell’intelligenza e del genio e l’ordine della santità. Appartengono al primo ordine, la forza, la salute, le ricchezze materiali; appartengono al secondo ordine il genio, la scienza, l’arte; appartengono al terzo livello la bontà, la santità, la grazia.
Tra ognuno di questi ordini e quello superiore c’è un salto di qualità pressoché infinito, dice Pascal. Al genio non aggiunge e non toglie nulla il fatto di essere ricco o povero, bello o brutto; la sua grandezza si colloca su un piano diverso e superiore, e infatti i più grandi geni hanno dovuto spesso lottare con la miseria più nera, o erano addirittura deformi…Allo stesso modo, al santo non aggiunge e non toglie nulla il fatto di essere forte o debole, ricco o povero, un genio o un illetterato: la sua grandezza si colloca su un piano diverso e infinitamente superiore .
Su che cosa si basa questa graduatoria di merito? E’ semplice. I beni materiali – ricchezze, forza e prestanza fisica- sono transitori; inoltre discriminano, non possono essere possedute contemporaneamente da più persone; quello che ognuno ha è sottratto agli altri. Di qui le lotte, le invidie che queste cose generano. I beni dell’intelligenza -scoperte scientifiche, opere d’arte- possono essere goduti da più persone contemporaneamente, non discriminano ma uniscono. Tuttavia, anche di questi beni si può fare cattivo uso. Sappiamo l’uso tremendo che è stato fatto di certe scoperte scientifiche, come la bomba atomica. Anche la grandezza propria del genio e dell’intelligenza è dunque ambigua, anche se superiore a quella delle ricchezze e della forza.
I beni del terzo ordine, la bontà e la santità, non solo fanno sempre del bene a tutti e mai del male; non solo ciò che uno possiede non è sottratto a un altro, ma essi ridondano a beneficio di tutti. Più io me ne arricchisco, più il mondo se ne arricchisce. Ogni atto di carità e di altruismo si traduce in ricchezza per tutto il mondo. Inoltre questi beni sono gli unici che ci seguono oltre la morte. Nella vita eterna non inciderà minimamente se uno di qua è stato bello o brutto, forte o debole, se è stato un genio o un analfabeta; inciderà invece se è stato buono o cattivo, onesto o disonesto.
Questo principio trova un riscontro preciso nella storia e in parte anche nella geografia di questa regione, l’Umbria. Che cosa ha fatto di Assisi Francesco di Bernardone, con la sua santità! Ma anche Foligno è una riprova. C’erano ricchi mercanti nella Foligno della fine del Duecento; c’erano molte giovani donne belle e ricche. Angela stessa era tra queste, ma non è per questo che è ricordata. C’erano intellettuali, spiriti critici indipendenti, hanno certo contribuito a creare un patrimonio culturale, ma non è su essi che si fanno convegni e mostre. Angela mostra che la santità non è una “sovrastruttura”, è la realtà più reale, più duratura, la grandezza di “terzo livello”. Essa ha riflessi anche sugli altri ordini. Francesco ha reso Assisi più ricca e prospera di beni e più bella artisticamente! Così Angela, con il suo nascondimento, ha reso celebre Foligno nel mondo intero.
Facciamo dunque uno sforzo per contemplare Angela nel suo proprio “ordine” di grandezza, cercando di andare al cuore del fenomeno “Angela da Foligno”, senza arrestarci alla periferia. La sua è una grandezza mistica; cerchiamo dunque di dire qualcosa di questa realtà. Tanto più che secondo la dottrina attuale della Chiesa tale esperienza non è qualcosa di esotico, di elitario, riservata a pochi privilegiati. E’ la vocazione di ogni battezzato
Noi dobbiamo convincerci che Dio non ha suscitato anime come quella di Angela solamente per farci venire invidia, quasi facendoci intravedere quella pienezza di essere che, in fondo al cuore, ognuno brama sopra ogni altra cosa, per poi dirci che tutto ciò non è fatto per noi. Dio ama così tutti noi, non una o due persone in ogni epoca. A una o due persone in ogni epoca, da lui scelte e purificate a tale scopo, affida il compito di ricordare tutto ciò agli altri. Ma cosa sono le differenze di grado, di tempo, di modi, tra noi e i santi, in confronto alla realtà principale che abbiamo in comune con essi e cioè che tutti siamo oggetto di un incredibile disegno d’amore di Dio? Quello che ci unisce ad essi è molto più forte di ciò che ci divide da essi.
2. I mistici
I mistici, secondo una celebre definizione, sono coloro che hanno “patito Dio” . Oh, come suona indolore questa definizione letta nei libri, e come è invece terribile nella realtà! Qualcuno che l’ha sperimentato si è lasciato sfuggire dalle labbra questo lamento: “Tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati” e “i tuoi spaventi mi hanno annientato…Mi sono compagne solo le tenebre” (Salmi 42 e 88).
Questi uomini e queste donne hanno “arrischiato la vita” per accostarsi a Dio (cf. Ger 30,21); hanno lottato con lui e, come Giacobbe, ne sono usciti “feriti” per sempre (cf Gen 32, 23 s.). Quando si leggono i loro scritti, o si ha la sorte di conoscere qualcuno di essi da vivo, mentre è ancora in pieno svolgimento la terribile “traversata”, come appaiono lontane e perfino ingenue le più sottili argomentazioni degli atei. Nasce, nei loro confronti, un senso di stupore e anche di pena, come davanti a qualcuno che parla di cose che manifestamente non conosce. Come chi credesse di scoprire continui errori di grammatica in un interlocutore, e non si accorgesse che questi sta semplicemente parlando un’altra lingua che lui non conosce.
I mistici sono, per eccellenza, coloro che hanno scoperto che Dio “esiste”; anzi, che egli solo esiste davvero e che è infinitamente più reale di ciò che di solito chiamiamo realtà. Essi sono per il popolo cristiano come gli esploratori che entrarono per primi, di nascosto, nella terra promessa e poi tornarono indietro per riferire ciò che avevano veduto (“una terra dove scorre latte e miele”), esortando tutto il popolo ad attraversare il Giordano (cf Num 14,6-9). Per mezzo di essi giungono a noi, in questa vita, i primi bagliori della vita eterna. Lo scrittore inglese Leonard Huxley, citato da P. Domenico Alfonsi, nel volume che stiamo presentando, diceva giustamente: “I mistici sono i canali per i quali un po’ della conoscenza della realtà filtra entro il nostro universo umano di ignoranza e di illusione. Un mondo totalmente antimistico sarebbe un mondo cieco e insano. E noi ora ci troviamo ben avanti, pericolosamente avanti nell’oscurità”.
Purtroppo una certa moda letteraria è riuscita a neutralizzare spesso anche questa “prova” vivente dell’esistenza di Dio che sono i santi, e in particolare i mistici. Lo ha fatto con un metodo singolarissimo: non riducendo il loro numero, ma aumentandolo, non restringendo il fenomeno, ma dilatandolo a dismisura. Mi riferisco a coloro che in una rassegna dei mistici, in antologie dei loro scritti, o in una storia della mistica, mettono uno accanto all’altro, come appartenenti allo stesso genere di fenomeni, san Giovanni della Croce e Nostradamus, santi ed eccentrici, mistica cristiana e cabala medievale, ermetismo, teosofismo, forme di panteismo e perfino l’alchimia .
Non mi soffermo neppure sulla posizione dei riformatori protestanti che -forse proprio per la confusione ora segnalata- rigettarono l’idea stessa di una mistica cristiana e la considerarono un fenomeno pagano di esaltazione dell’umano. L’esperienza dei mistici è, al contrario, la dimostrazione più forte dell’annientamento dell’umano, dei meriti, delle virtù proprie e delle pretese di salvezza. È l’esperienza che più fa risplendere l’assoluta sovranità dell’azione di Dio e della grazia. I veri mistici sono coloro che si sono “convertiti”, una volta per sempre, alla pura fede.
3. Momenti dell’esperienza di Angela
In questa luce rievochiamo qualche momento della esperienza della nostra amica Angela che, della mistica cristiana, rappresenta, a detta ormai di tutti, uno dei vertici assoluti. “Angela sta alla mistica -ha scritto P. Innocenzo Colosio- come Dante alla poesia”. Scelgo i momenti che sono rimasti più impressi in me dalla sua lettura; dunque non necessariamente i più importanti in sé.
Già avanti nelle vie della santità, Angela fece un giorno un’amara scoperta: Dio non era ancora veramente il suo tutto. Il suo “volere Dio” era ancora “velleitario”, dal momento che il desiderio di lui non abbracciava tutto il suo mondo e non raggiungeva una intensità assoluta. Allora avvenne una cosa singolare. Sentì farsi dentro di sé una nuova unità, come se tutto il suo essere si raccogliesse in un punto: il corpo si accordava con l’anima, l’intelligenza con la volontà, ed ella si accorse di avere ormai un solo volere. In quel momento fu chiesto all’anima: “Che vuoi?” e l’anima rispose gridando con tutta la sua forza: “Voglio Dio!”. Dio le rispose: ”Io porterò a compimento questo tuo desiderio”. E sappiamo fino a che punto ha mantenuto questa promessa.
Uno dei tratti caratteristici del Dio vivente della Bibbia riguarda i suoi “giudizi”. La Bibbia parla spessissimo dei giudizi di Dio che proclama giusti, santi, imperscrutabili, terribili e, nello stesso tempo, “più dolci del miele e di un favo stillante” (Sal 19, 10 s.). “O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!” (Rm 11,22). “Per i suoi giudizi – si dice in un salmo – esultano le città di Giuda”(Sal 97,8), e ancora: ” Il suo giudizio è come il grande abisso” (Sal 36,7). Nell’idea di Dio elaborata dai filosofi, questo fatto non trova alcun riscontro; non si sospetta nemmeno che esistano tali giudizi, che tutta la terra -come dice un salmo- sia piena dei suoi giudizi (cf Sal 105,7). I giudizi di Dio non sono come in noi semplici valutazioni delle cose, sono pensieri efficaci ,“decisivi”, nel senso che decidono del mondo e degli eventi.
Sembra che al tempo di Angela le litanie dei santi, accanto alle altre invocazioni, contenessero anche quella che diceva: “Per i tuoi santi giudizi, liberaci o Signore”. Scrive infatti: “Non c’è niente in cui tanto completamente io conosca Dio quanto nei suoi continui giudizi. Per questo, quando, di sera o di mattino, nella preghiera dico a Dio: “Signore, per il tuo avvento liberami, per la tua nascita, per la tua passione, liberami”, in niente mi diletto tanto quanto nel dire con confidenza: “Per i tuoi santi giudizi, liberami”, perché non riconosco più la sua bontà in un uomo buono e santo e in molti uomini buoni e santi, che in un dannato e in una moltitudine di dannati…Anche se venissero meno tutte le cose proprie della fede, solamente qui, cioè nei suoi giudizi e nella giustizia che si esprime in essi, avrei la certezza riguardo a Dio. Oh, quanta profondità c’è in questo!”.
Il confessore che raccoglieva e metteva per iscritto tali confidenze, a questo punto annota: “Qui comprendevo che ella diceva le cose più mirabili del mondo”. Ma cosa aveva detto, la santa, di preciso? Nulla; quella semplice evocazione dei giudizi di Dio era bastata a veicolare il sentimento del Dio vivente e santo e a trasmetterlo all’ascoltatore. Questi era stato colto dal senso del “numinoso” e del soprannaturale, come capita spesso, anche oggi, a chi legge le parole di questa mistica. Angela fa venire spesso i brividi al lettore; brividi dolci, di infinito. Un’esperienza analoga a quella cantata da Leopardi nell’Infinito: “..e il naufragar m’è dolce in questo mare”.
Dopo aver visto per anni Dio “in mezzo a grandi tenebre”, alla fine Angela fu trasportata dalla grazia alla visione di Dio “sopra le tenebre”. Qui possiamo solo ascoltare con riverenza le sue stesse parole. “Mi trovai impercettibilmente tutta in Dio, più del solito, e mi sembrò d’essere più del consueto in mezzo alla Trinità…Vidi che nessun angelo e nessuna creatura è così intelligente e capace da poter intendere quelle divine operazioni e quel profondissimo abisso…A quel punto l’anima fu liberata da ogni tenebra e conobbe maggiormente Dio…Io vedo Colui che è l’essere e capisco che è l’essere di tutte le cose create”. Qui la mistica si incontra con la filosofia. Anche la filosofia infatti ha per oggetto la conoscenza dell’essere. Solo che nell’esperienza mistica, l’essere che i filosofi, e in particolare gli ontologi, intravvedono oscuramente e come a tentoni, nella mistica viene contemplato, per così dire, “ a faccia a faccia”.
Finalmente un giorno, Angela sperimenta ciò che avviene oltre la fede, nella visione, quando tutti i veli che si frappongono tra Dio e la creatura vengono rimossi. “Allora -scrive- l’anima mia si presentò a Dio con grandissima sicurezza, senza alcun timore, con piacere maggiore di quello provato in passato, con differente ed eccellentissima gioia e gustando un miracolo nuovo, mai sperimentato in modo così diverso e splendente come in quell’incontro. Incontrai Dio e insieme compresi e ottenni l’inenarrabile manifestazione di Dio all’anima e la presentazione della mia anima a lui e mi furono rivolte parole profondissime che non voglio siano riportate”. Si pensa spontaneamente a Paolo che, tornando dal suo rapimento al terzo cielo, dice di aver udito “parole che non è lecito ad alcuno pronunziare” (2 Cor 12, 4).
Avvicinandosi il giorno della sua morte, Angela fu udita esclamare, da coloro che le erano intorno, queste parole che dicono, del Dio vivente, più che tanti discorsi: “Oh, ogni creatura viene meno! Oh, tutta l’intelligenza degli angeli non basta!”. E, alla domanda dei presenti: “In che cosa viene meno ogni creatura e a che cosa l’intelligenza degli angeli non basta?”, rispose: “A comprendere!” .
Si scrivono oggi libri interminabili, pieni ci citazioni di filosofi, per rispondere alla domanda: “Esiste Dio?” e spesso si giunge alla fine senza che il punto interrogativo si sia ancora cambiato in esclamativo. Poi, un giorno, si apre a caso un piccolo libro come questo, scritto da una donna, non certo dotta, del medioevo, già madre di famiglia, poi vedova e terziaria francescana laica, e si scopre di colpo non solo che Dio esiste, ma che è davvero “fuoco divorante”, “dolcezza senza fine”.
4. Il sospetto sui mistici
Ma non possiamo continuare a parlare di queste cose come se fossero realtà pacifiche o condivise da tutti. Su tutto questo fenomeno della mistica, come sulla santità e la religione in genere, è calato da un secolo o due a questa parte un sospetto e l’uomo colto moderno ormai non può sentire parlare di queste cose senza che scatti automaticamente in lui questo sospetto e questa riserva.
L’operazione che sto cercando di descrivere è legata in particolare a tre grandi nomi della cultura degli ultimi due secoli: Feuerbach, Marx, Freud. Si sa che per Feuerbach l’essere divino è l’essenza dell’uomo, purificata e liberata dai limiti degli uomini singoli, contemplata e venerata come fosse un’essenza distinta da lui. “L’uomo oggettiva nella religione la sua propria essenza segreta, rispecchiandosi in un ente che è il suo profondo essere” .
In altre parole, non è Dio che ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, come dice la Bibbia, ma è l’uomo che ha creato Dio come un’immagine distaccata e fantastica di se stesso. “La fede in Dio non è altro che la fede nella dignità umana”. I mistici non sarebbero, in questo caso, che l’apice di questa proiezione illusoria di se stessi.
È stato Carlo Marx a dare a questa brillante operazione il successo che ha avuto, facendone la base teorica del suo ateismo scientifico. Ma con uno spostamento di accento. Per Feuerbach, Dio è primariamente la proiezione dell’essenza dell’uomo, di ciò che l’uomo è, delle sue perfezioni, e solo secondariamente della sua povertà e del suo vuoto. Dunque è un’illusione, ma, a suo modo, piena, perché ricca di un contenuto positivo. Anche per Marx, Dio è la proiezione, ma più che dell’essenza positiva dell’uomo, lo è dei suoi bisogni inappagati; non di ciò che ha, quanto di ciò di cui manca, soprattutto dei suoi bisogni economici. “La religione -scrive- è il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore…Essa è l’oppio per il popolo…La religione non è che un sole illusorio, che si muove attorno all’uomo finché questi non giunge a muoversi intorno a se stesso” . Dio è dunque proiezione illusoria non di una pienezza di umanità, ma di una mancanza, di un vuoto. Doppiamente quindi negativa. Dio non è che “la direzione verso cui l’uomo lancia il suo grido”.
La stessa teoria assume, con Freud, una colorazione nuova, non più filosofica o socioeconomica, ma psicologica, senza cambiare tuttavia nella sostanza. La religione, Dio, è una “illusione”; è la proiezione del bisogno inconscio di protezione paterna e materna che la persona umana conserva, una volta uscita d’infanzia. “La radice della necessità della religione – ha scritto – è nel complesso parentale. Un Dio giusto e onnipotente è la sublimazione grandiosa del padre e della madre” . Ancora dunque qualcosa di doppiamente negativo: proiezione non di una realtà, ma di un bisogno e di un vuoto.
Quando si cerca di stringere e andare al nocciolo delle argomentazioni dei tre autori menzionati, si costata che tutto ciò che resta in piedi di esse non è una prova contro l’esistenza di Dio, ma, appunto, solo un sospetto. Infatti, anche se il Dio in cui crediamo fosse una proiezione dell’uomo, una “essenza desiderata”, questo non vorrebbe dire ancora niente circa la sua esistenza o non-esistenza nella realtà.
Prima che su Dio, del resto, il sospetto è portato, in questo modo, sull’uomo. È l’uomo che è dichiarato sospetto nei suoi desideri più profondi. Freud dice: “Sarebbe davvero molto bello che ci fossero un Dio come creatore dell’universo e benigna Provvidenza, un ordine morale universale e una vita ultraterrena; tuttavia è almeno molto strano che tutto ciò sia davvero così come non possiamo fare a meno di desiderare che sia” . Affermazione rivelatrice di un profondo disprezzo dell’uomo. Una cosa diventa sospetta per il fatto stesso che l’uomo la concepisce e la desidera! Sarebbe come un gettare il sospetto sull’amore e sul matrimonio, perché esso corrisponde a un desiderio universale e a un bisogno profondo del cuore umano, o come negare che esista la verità e la felicità, semplicemente perché l’uomo la desidera
Questa critica globale ha un suo fondamento; solo che non colpisce il vero Dio, il Dio vivente della Bibbia, ma la sua controfigura, il suo surrogato che è l’idea umana di Dio, il Dio dei filosofi, che è spesso una versione moderna dell’idolo, del vitello d’oro. ciò oggi è riconosciuto anche da pensatori che provengono dalla stessa matrice marxista. “L’uomo -scrive Erik Fromm- trasferisce le sue passioni e qualità nell’idolo. Più egli si svuota, più l’idolo si ingrandisce e si fortifica. L’idolo è la forma alienata dell’esperienza che l’uomo fa di se stesso. Adorandolo, l’uomo si adora…Egli dipende dall’idolo perché solo sottoponendovisi trova l’ombra, anche se non la sostanza, di se stesso. L’idolo è una cosa e non ha vita. Dio al contrario è un Dio vivente” .
Questi “maestri del sospetto” -come sono stati chiamati Feuerbach, Marx e Freud- nella loro critica non hanno avuto a che fare con la realtà di Dio, ma con la sua idea; non hanno studiato i santi e i mistici in concreto, biograficamente, ma in astratto, hanno avuto a che fare con i tipi, o stereotipi, dell’uomo religioso e del santo. Si comportano perciò nei confronti della religione e della fede, esattamente nel modo con cui rimproverano alla religione di essersi comportata, nei secoli passati, nei confronti della scienza. Le rimproverano infatti (e giustamente) che, nel valutare i risultati della scienza, la religione non si basava su osservazioni dirette, su verifiche ed esperienze, ma piuttosto su idee preconcette, di carattere astratto e deduttivo, o sull’autorità indiscussa di qualche grande del passato, come Aristotele.
Nei confronti della mistica, il sospetto ha preso una forma assai sottile e insidiosa. La descrizione dei loro stati mistici -si dice- richiama così da vicino quella degli stati amorosi; ciò che essi dicono dell’amore divino somiglia così da vicino a ciò che avviene nell’amore umano! Il loro matrimonio mistico con Dio non sarà, appunto, una “mistificazione” del matrimonio naturale, una sua sublimazione, o un suo surrogato? Questo sospetto è stato gettato in modo particolare su Angela le cui immagini e descrizioni (Angela che bacia il collo di Cristo, che lo accarezza ed è accarezzata) sono state da qualcuno assunte come la riprova lampante della teoria freudiana che tutto si riduce a libido, che la santità e la mistica, come del resto l’arte e tutte le manifestazioni più alte dello spirito umano, non sono che sublimazioni dell’istinto sessuale.
Potremmo rispondere: perché non prendere in considerazione anche l’ipotesi contraria, che sia, cioè, il matrimonio naturale a essere l’imitazione, e quello mistico la realtà? Non è più giusto vedere nell’unione sessuale un simbolo, una parabola, e come un conato verso quell’altro “completamento” che i mistici hanno pregustato, tanto più che essa reca così evidenti in se stessa i segni dell’incompiutezza, della precarietà e dell’aspirazione a qualcosa di più e di diverso? Noi infatti non siamo stati creati per vivere in un eterno rapporto di coppia, ma per vivere in un eterno rapporto con Dio, con l’Assoluto. Non è stato un mistico né un “uomo di chiesa”, ma Goethe a pronunciare le parole: “Tutto ciò che passa è solo una parabola” . E lo ha detto proprio dell’amore terreno di Margherita per Faust in confronto all’amore che ha per lui ora che è in cielo.
Chi avanza quel sospetto sui mistici e su Angela in particolare non sa nulla di quello che è avvenuto in queste anime nel corso della “notte oscura dei sensi e dello spirito” quando ogni residuo eros carnale è stato seccato e bruciato, “calcificato” -dice il Mauriac, con una immagine citata in questo libretto commemorativo- come ogni vegetazione dal sole nel deserto. La spiegazione ultima della nostra difficoltà (non solo degli atei) di comprendere i mistici è quella data da S. Paolo: “L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui” (1 Cor 2,14).
La caratteristica del sospetto sta nel fatto che sfugge a ogni confronto e a ogni possibilità di confutazione. Si può confutare una ragione o un fatto, ma non un sospetto. Il sospetto dunque non si può eliminare con delle ragioni. Ma forse non è neppure bene che sia eliminato, perché è proprio esso che fa del credere quella cosa seria che è. È proprio la possibilità del dubbio, fuori e dentro di noi, che purifica la fede e rende umile il credente.
5. Che fare dei mistici?
Ma vorrei accennare prima di concludere anche un pericolo interno per i mistici, che non viene cioè dall’esterno dai non credenti, ma dagli stessi cultori della mistica. Devo rallegrarmi con la città di Foligno e con i promotori della figura di Angela perché ho visto in questi anni lo sforzo di affiancare agli studi critici su Angela (edizione critica, congressi, studi storici, ricostruzione di ambiente, di fonti), anche iniziative di carattere più spirituale: la riapertura del Cenacolo spirituale creato da Angela intorno a sé e alla chiesa di S. Francesco, i pellegrinaggi ad Assisi in memoria di quello memorabile durante il quale iniziarono le manifestazioni mistiche in Angela, gruppo di preghiera, diffusione degli scritti della santa, in edizioni popolari e accessibili, in cui si è distinto ultimamente D. Sergio Andreoli, da cui io stesso ho tratto le mie citazioni di Angela.
Dico questo perché il pericolo che intendo segnalare si situa proprio in questo campo. Il pericolo è di dare tanta importanza a tutto l’aspetto critico e storico da dimenticare che il centro, il nucleo dell’interesse, nel caso dei mistici, come dei poeti, è da un’altra parte. Non voglio essere frainteso. Gli studi critici sono una benedizione per tutti; io ho spesso un pensiero di gratitudine per chi si è accollato tutto il lavoro che mi permette di avere sotto mano un testo che posso leggere con sicurezza. Ma sono cose preparatorie al vero scopo che è di confrontarsi con quello che i mistici e nel nostro caso Angela hanno vissuto. Sono sussidi per qualcos’altro. Se il lavorio critico dovesse servire a far passare in secondo piano questo piano operativo, o a rinviarlo all’indefinito, allora sarebbero un ben povero espediente per sfuggire alla serietà della sfida. Sarebbe come ricevere un ospite illustre che sappiamo ha una proposta impegnativa da farci e parlare, parlare, parlare, per non dargli tempo di porci la domanda cruciale.
E’ ciò che succede con la stessa Scrittura. Kierkegaard è stato profeta quando ha denunciato a che cosa avrebbe portato, in campo biblico, l’eccesso di ermeneutica. L’interpretazione del testo, non il testo, è diventata la cosa seria. Come quando un re emette un editto e i dotti del regno si scatenano. Nascono commenti, glosse, commenti dei commenti, bibliografia dei commenti. una selva inestricabile. E in tutto questo l’ultima cosa a cui la gente pensa è conoscere cosa ha ordinato il re e cominciare a metterlo in pratica. Il re capirebbe subito che lo si sta prendendo “per i fondelli” .
Ci sono stati uomini e donne che non avevano a disposizione che una poverissima edizione del Nuovo Testamento, neppure tradotta direttamente dai testi originali, senza grandi commenti, in povera carta… Ma ne hanno fatto materia di vita, ne hanno succhiato lo “spirito e la vita”, l’hanno messo in pratica. Questi ne sanno, del Vangelo, infinitamente più che il più ferrato professore di filologia neotestamentaria che va forse in giro con la sua Mercedes.
Lo stesso succede, fatte le debite proporzioni, con i santi e i mistici. Lavoriamo pure dunque a migliorare il testo critico di Angela, ma nel frattempo non trascuriamo di cominciare ad ascoltare quello che Angela ha da dirci. E ha da dirci tanto, anche a livello pratico, di vita cristiana ordinaria. Perché una delle cose che stupiscono in Angela è proprio la sua capacità di trasportare il lettore alle altezze più vertiginose della mistica, nella luce abbagliante della visione dell’Essere, e nello stesso tempo di istruirlo nelle cose più concrete della vita cristiana con una penetrazione senza pari, come quando parla dei pericoli dell’amore, o della preghiera “violenta” e corporale.
Un altro punto, la vicenda del libro di Angela ha in comune con quello che succede ai libri della Scrittura. I filologi hanno voglio a ogni costo trovare per tutto una fonte. Qui si esercita infatti soprattutto il loro acume; tolta la ricerca delle fonti rimarrebbe ben poco da fare per un ricercatore. (Parlo per esperienza, perché questo è il mestiere che io fatto per molti anni e ho insegnato a fare agli studenti, come docente di Storia delle origini cristiane). Sicché si arriva all’assurdo di ritenere sospetto ogni parola, titolo o gesto di Cristo, per il quale non si può documentare una fonte nel giudaismo o nell’ellenismo contemporaneo. Come se Gesù non potesse inventare nulla di assolutamente nuovo.
Nel caso dei mistici e di Angela in particolare questo porta al tentativo di individuare una fonte per ognuna delle sue intuizioni più ardite. Se Angela vuole andare in giro a confessare in pubblico le sue colpe, questo deve dipendere dalla storia di Margherita da Cortona di cui qualcuno deve averle parlato. Se parla di tenebra e di notte oscura, attraverso qualche canale, a noi ancora sconosciuto, deve aver conosciuto lo Pseudo Dionigi. Si ignora che i geni possono a volte anche creare qualcosa di nuovo; che i mistici hanno una fonte endogena, non solo fonti esterne. E che ci sono leggi e costanti nel cammino della mistica che ognuno sperimenta di nuovo, per conto suo. Non tutto si spiega con influssi “letterari”, come tendono a credere i filologi. Mi pare che questa tendenza, se portata all’esasperazione, potrebbe seriamente sviare la comprensione di Angela. Conosco anime illetterate che non sanno neppure chi è lo Pseudo Dionigi e non hanno mai letto S. Giovanni della Croce, ma parlano di notte, tenebra, esattamente come loro.
Chi sono oggi, da questo punto di vista esistenziale, i veri “specialisti” su Angela da Foligno? Io ne conosco qualcuno, ma non posso dire i nomi, e del resto nessuno li conoscerebbe. Sono persone che hanno imboccato seriamente (o meglio sono state messe da Dio su) la stessa strada di Angela. Nel buio tremendo e negli abissi di solitudine che si attraversano su questa strada, ho letto loro a volte una pagina di Angela e le ho viste sgranare gli occhi, quasi incredule. “Sì, è questo, è così! Come lo sai? Allora non è pazzia, la mia, non sono malata di mente”. E lacrime di commozione.
Se lo spazio intorno a quella tomba di Angela e il marmo della balaustra potessero parlare, di quello che hanno sentito e visto, delle lacrime che hanno raccolto, in ore quiete, quando questa chiesa era deserta, o mentre nessuno guardava…! Lì è il centro della grandezza di Angela, la sua missione più vera e imperitura: essere una stella polare. Una scalatrice che, dalla cima cui è giunta, si china amorevolmente a indicare ad altri il sentiero, o, come li chiama lei, con una immagine appunto alpinistica “i passaggi”. Per queste persone, Angela non è solo una celebre mistica, ma è diventata “sorella e madre”. Come diceva Gesù di coloro che ascoltano e mettono in pratica la sua parola.
Vogliamo che Angela sia anche per tutti noi questo, e cioè “sorella e madre”? Un modo ci sarebbe. C’è una parola di Angela che raramente ometto di ricordare ogni volta che tengo corsi di esercizi e di cui ogni volta costato l’effetto “folgorante”. L’ho già ricordata: è il suo grido: “Voglio Dio!”. Se esso potesse risuonare questa sera, almeno come anelito, nel cuore di qualcuno, perché no? anche di molti, dei presenti, mi riterrei felice di essere venuto a Foligno.

BEATA ANGELA DA FOLIGNO


MEMORIALE



I. Cenni biografici. Non si hanno certezze sulla data di nascita di Angela. Sposatasi, ha dei figli.
Verso il 1285, si verifica la sua conversione ad un’autentica vita cristiana, nel sacramento della penitenza, nella Cattedrale di Foligno.
Rimasta sola, inizia l’esperienza di penitente, che condivide con una certa Masazuola.
Durante un pellegrinaggio ad Assisi, al termine di un’esperienza mistica, esce in grida d’amore, all’ingresso della Basilica superiore di San Francesco.
All’evento è presente frate A., suo parente e consigliere, che, tornato a Foligno, la costringe a rivelargli i suoi segreti. Nasce così il Memoriale, a cui si aggiungono, anno dopo anno, altri documenti; insieme costituiscono Il libro della beata Angela da Foligno. Angela muore il 4 gennaio 1309. Il processo di canonizzazione è in corso.

II. L’esperienza mistica di Angela da Foligno, magistra theologorum, entrata nel Terz’Ordine francescano verso il 1291, ci è nota grazie ad importanti documenti di un dossier che ha avuto una buona tradizione manoscritta e una notevole fortuna editoriale, anche se per secoli in una trascrizione rimaneggiata (solo negli ultimi settant’anni M. Faloci-Pulignani, M.-J. Ferré, P. Doncoeur, L. Thier e A. Calufetti hanno lavorato per risalire al testo latino autentico, il più vicino possibile alla primissima stesura irrimediabilmente perduta; molti problemi, comunque, restano aperti, tanto che si può parlare di questione angelana).

Di tale esperienza, che assicura ad Angela un posto di prestigio nel movimento penitenziale medievale e nella storia della mistica occidentale, si può tentare una sintesi, a partire dal Soggetto che di volta in volta ne fu la causa.

Si ha così l’esperienza trinitaria («A me sembra di stare e di giacere in mezzo a quella Trinità che vedo con tanta tenebra», tr. S. Andreoli, p. 139), e in particolare, quella del Padre («Dopo contempla Dio in una tenebra, perché egli è un bene più grande di quanto si possa pensare…», p. 136), quella del Figlio («Vidi e sentii che Cristo abbracciava in me l’anima con quel braccio che era stato fissato alla croce…, p. 102) e quella dello Spirito Santo («Non posso neppure valutare quanto fosse grande la gioia e la dolcezza che gustai, soprattutto quando affermò: Io sono lo Spirito Santo e sto dentro di te», p. 62).

Altre esperienze mistiche fanno riferimento a Maria («Una volta improvvisamente la mia anima fu rapita… e contemplai la beata Vergine nella gloria», p. 114), agli angeli («Allora gli stessi santissimi angeli, procurandomi un piacere meraviglioso, mi dissero: O tutta piacevole e gradita a Dio, ecco il Dio e Uomo ti è stato portato e l’hai qui. Ti è stato dato, anche perché tu possa mostrarlo e offrirlo agli altri», p. 243) e a Francesco d’Assisi («In quella circostanza mi furono rivolte queste parole: Io sono Francesco, mandato da Dio. La pace dell’Altissimo sia con voi», p. 146).

Va anche detto che l’esperienza mistica di Angela conobbe un significativo sviluppo e che in vari modi la Folignate raggiunse la certezza della presenza di Dio in lei.

In merito a questa forma di esperienza (che non fu la più alta e intensa, dalla conversione fino al 4 gennaio 1309, giorno della morte), dopo aver superato molte difficoltà connesse con l’ineffabilità del mistico contatto con Dio, dichiara: «Ancora in molti altri modi, di cui non si può dubitare, l’anima comprende che Dio è in lei. Il primo è l’unzione… L’altro modo… è il suo abbraccio. Non si può pensare che una madre stringa a sé il figlio o che una persona di questo mondo ne abbracci un’altra con lo stesso amore con cui Dio abbraccia indicibilmente l’anima».

Poco prima la Poverella ne aveva elencati e descritti altri quattro; a conclusione del suo discorso, però,
«…fece notare che i modi in cui l’anima capisce che senza dubbio Dio è in lei sono così numerosi che in nessuna maniera potremmo indicarli tutti».

III. Mistica francescana. In quale rapporto si pone con il messaggio evangelico l’esperienza della Folignate, che affonda le sue radici nella tradizione francescana? Almeno quella che viene descritta nel Memoriale, prima parte del dossier, è con essa in piena corrispondenza.

Nel Prologo, infatti, si legge: «L’esperienza di quelli che sono veramente fedeli prova, conferma e illustra, riguardo al Verbo della vita che si è fatto uomo, queste parole del Vangelo: Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv 14,23). Chi mi ama io mi manifesterò a lui (Gv 14,21b)».

L’autore del documento, frate A., annota: «Dio stesso fa sì che i suoi fedeli facciano in modo pieno tale esperienza e sviluppino la riflessione su di essa. Anche recentemente ciò ha permesso che una delle sue fedeli manifestasse in qualche maniera, per la devozione dei suoi, tale esperienza e riflessione…».

La chiave di lettura della parte principale del Libro, suggerita dal redattore stesso è, dunque, evangelica; di conseguenza i passi – trenta, condensati da frate A. in ventisei – della prima fase dell’esperienza di A., iniziata dal disagio interiore per la situazione di peccato, sviluppatasi nella conversione del 1285 ca. e culminata in eventi mistici eccezionali, vanno letti come conferma delle promesse di Gesù Cristo.

La stessa cosa ci pare si possa dire degli sviluppi della medesima esperienza, documentati da testi molto densi della seconda parte del dossier, redatti dai discepoli della Poverella.

IV. L’attualità dell’esperienza mistica della Folignate, realizzatasi in tempi difficili, segnati dall’eresia dello Spirito di libertà e da accese polemiche tra francescani sulla povertà, è incontestabile.

Innanzitutto perché si dimostra capace di risvegliare quella coscienza dell’universale chiamata all’intima comunione con Dio, di cui parla il CCC (n. 2014); lungo i secoli si era affievolita, ma ora si va irrobustendo, anche attraverso l’influsso delle folgoranti confessioni dei grandi mistici.

Inoltre, tale esperienza rivela tutto il suo fascino di dono mirabile di Dio, indipendente dagli sforzi o artifici umani, e di convincente prova della incessante e sorprendente azione divina nell’uomo.

Infine, associata alla dottrina esposta in alcuni documenti del Libro, successivi al Memoriale (stesi da frate A. e da altri), la ricca esperienza della Poverella, «vera maestra di vita spirituale» (Giovanni Paolo II, 20 giugno 1993), è in grado di contribuire a dare un sapore nuovo alla teologia, oggi più attenta alle testimonianze dei mistici, e di stimolare la riflessione degli uomini di cultura, in particolare di quelli interessati ai problemi del linguaggio.




DICHIARAZIONE


Chi avrà l’occasione di leggere o esaminare le parole che seguono, raccolte con molta diligenza e massima cura dalla bocca di una serva di Cristo, ad opera di un frate Minore degno di fede, stia pur certo che sono state lette e controllate dal signor cardinale diacono Giacomo Colonna, prima del suo scontro con il Sommo Pontefice, e da otto famosi docenti, uno dei quali ha insegnato per parecchi anni allo Studio Generale del convento di Milano, quattro sono stati ministri nella Provincia di san Francesco, due per più anni inquisitori nella stessa Provincia, uno custode in diverse parti.

Le hanno anche esaminate altri tre frati molto dotati e ben preparati per l’insegnamento e parecchi altri frati degni di fede, persone veramente oneste e molto spirituali, che non solo non vi hanno trovato nulla da confutare, ma umilmente nutrono per esse venerazione e le accolgono assai affettuosamente come approvate da Dio.



PROLOGO

L’esperienza di coloro che sono veramente fedeli riguarda, attiene e ha per oggetto il Verbo della vita, che si è incarnato e nel vangelo dice: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», e: «Chi mi ama… io mi manifesterò a lui».

Dio fa conoscere sempre in modo perfetto ai suoi fedeli tale esperienza e la dottrina che ne deriva. Anche recentemente, da queste parti, ciò è avvenuto, per la devozione dei suoi, attraverso una fedele, la cui esperienza e dottrina saranno descritte, secondo verità, anche se in modo incompleto e in forma molto ridotta e abbreviata, nelle pagine che seguono.

Perché e come io, indegno redattore, sono stato, credo, costretto da Dio a scrivere e perché e come la fedele fu senza dubbio obbligata a parlare, lo dirò più avanti, dove racconto le circostanze, in cui cominciai a conoscere i fatti, o meglio a metterli per iscritto.



Capitolo I
Dal primo al ventesimo passo


1. Dal primo all’ottavo passo.

Una fedele, parlando di Dio con la sua compagna, disse che i passi, o cambiamenti, che fa l’anima quando percorre la via della,penitenza, sono trenta e aggiunse che li aveva individuati in se stessa.
Il primo fu la conoscenza del peccato, in seguito alla quale l’anima ebbe un gran timore di dannarsi; in questo passo pianse amaramente.

Il secondo fu la confessione, nella quale l’anima provò vergogna e amarezza e non sperimentò ancora l’amore, ma il dolore.

In proposito la fedele mi riferì che si era comunicata molte volte in stato di peccato, dopo aver fatto, per vergogna, confessioni non complete, e che aveva provato rimorso giorno e notte. Avendo, però, pregato il beato Francesco di trovarle un confessore capace di capire i suoi peccati, per poterglieli confessare bene, la notte stessa le apparve un vecchio frate, che le disse: «Sorella, se mi avessi pregato prima, già ti avrei esaudita; comunque, quello che hai chiesto ti è stato concesso». La mattina andai subito a San Francesco, ma venni via presto e sulla strada del ritorno, a San Feliciano, trovai un frate, cappellano del vescovo, che predicava.
Subito, mossa dal Signore, decisi di fargli una confessione completa, sia che fosse in possesso della facoltà di assolvermi, sia che avesse dovuto consultare il vescovo.
E mi confessai bene. Egli, ascoltata la confessione, mi disse che, se non ero soddisfatta, era pronto a riferire tutti i miei peccati al vescovo.
Poi aggiunse: “Successivamente ti comunicherò la penitenza che ti vorrà assegnare, sebbene io possa assolverti senza consultarlo”. Dunque, in questo passo l’anima provò vergogna e amarezza e sperimentò non l’amore, ma il dolore.

Al terzo l’anima fece penitenza in riparazione dei suoi peccati e fu ancora nel dolore.

Al quarto passo riconobbe la misericordia di Dio, che le aveva concesso il perdono e l’aveva liberata dall’inferno. A questo punto cominciò a essere illuminata e allora pianse, si addolorò più di prima e bramò maggiormente di fare una penitenza più dura.

Io attesto di non aver descritto in tutti i passi precedenti la mirabile penitenza che la fedele fece e che ho conosciuto solo dopo averli compilati. Allora, infatti, lei non me la svelò completamente, ma raccontò solo quanto era necessario per distinguere i passi, e io volli scrivere solamente quello che lei diceva, non una parola in più; anzi, tralasciai parecchie cose che non ero in grado di riferire.

Al quinto passo l’anima conobbe se stessa e già alquanto illuminata non vide altro in sé che difetti e allora si dichiarò colpevole di fronte a Dio, perché era sicurissima di meritare l’inferno. In questo passo l’anima pianse amaramente.

Capisci bene tu: in tutti i passi si verifica una sosta; di conseguenza si deve avere grande pietà e commiserazione per l’anima, che può andare verso Dio con tanta lentezza, dolore e pesantezza, facendo ogni volta uri piccolissimo tratto di strada. Io lo so per esperienza, in quanto a ogni passo mi fermavo e piangevo e non ricevevo simultaneamente più di una cosa, sebbene in ognuno trovassi conforto nel pianto; era però una consolazione amara.

Il sesto passo fu un’illuminazione di grazia, che mi accordò una profonda conoscenza di tutti i peccati; in essa mi resi conto d’aver offeso tutte le cose create per me, e i peccati mi tornavano in mente in modo vivissimo nella confessione che ne facevo di fronte a Dio. Allora supplicai tutte le creature, che sapevo d’aver offeso, di non accusarmi.
Io potei pregare con grande fuoco d’amore, chiesi a tutti i santi e alla beata Vergine di intercedere per me e domandare all’Amore, che tanti beni mi aveva elargito, di ridarmi la vita, dal momento che mi consideravo morta e mi sembrò che tutte le creature e tutti i santi avessero compassione di me.

Al settimo passo mi fu concesso di guardare la croce, sulla quale vedevo Cristo morto per noi, ma si trattò di una contemplazione insipida, sebbene vi provassi grande dolore.

All’ottavo passo, mentre guardavo la croce, ottenni una maggiore comprensione della morte del Figlio di Dio, causata dai nostri peccati, e con dolore grandissimo riconobbi tutte le mie colpe e compresi che ero stata io a crocifiggerlo.
Ancora però non capivo se era bene maggiore la mia liberazione dai peccati e dall’inferno e la conversione a penitenza oppure la sua crocifissione per me. In questa conoscenza della croce mi venne concesso un fuoco tanto grande, che, standole vicino, mi tolsi tutti i vestiti e mi offrii tutta al Figlio di Dio.
Accusando distintamente tutte le membra, sebbene con timore, gli promisi di osservare perpetua castità e di non offenderlo con nessuna parte del corpo. Lo pregai di farmi mantenere la castità delle membra e dei sensi, perché, se da una parte avevo paura di promettere, dall’altra quel fuoco mi costringeva a farlo e non potei comportarmi diversamente.


2. Dal nono al quattordicesimo passo.

Il nono passo mi fu accordata la grazia di cercare la via della croce, per poter stare ai suoi piedi, dove si rifugiano tutti i peccatori. Ecco come mi fu insegnata, illuminata e indicata.
Ebbi l’ispirazione che, se volevo raggiungere la croce, dovevo spogliarmi, per essere più leggera, e andarci nuda, perdonare cioè tutti quelli che mi avevano offeso, privarmi di tutti i terreni, di tutti gli uomini e le donne, di tutti gli amici e i parenti, di tutte le altre persone, della mia proprietà e di me stessa e dare il mio cuore a Cristo, che mi aveva concesso tanti benefici, e camminare per la via spinosa della tribolazione.
A quel punto cominciai a non indossar più i vestiti migliori e a fare a meno di certe vivande e di alcuni fazzolettoni; ma il fatto che ancora non provavo amore, era per me motivo di vergogna e di pena.
Io allora vivevo con mio marito e perciò provavo amarezza quando venivo ingiuriata con parole o azioni; tuttavia sopportavo pazientemente, come potevo.
In quel periodo, per volere di Dio, morì mia madre, che era per me un grande impedimento, e dopo, in breve tempo, cessarono di vivere mio marito e tutti i miei figli. Poiché avevo cominciato a percorrere la via della croce e avevo pregato Dio che morissero, ne ebbi una grande consolazione e pensai che, dopo quei doni divini, il mio cuore sarebbe stato sempre in quello di Dio e il suo nel mio.

Al decimo passo chiesi al Figlio di Dio che cosa dovevo fare per piacergli di più, ed egli, per sua clemenza, più volte, sia nel sonno sia nella veglia, mi apparve inchiodato alla croce e mi disse di guardare le sue ferite e in modo mirabile mi rivelò d’aver sofferto tutto per me; questo avvenne più volte.
Mostrandomi ad una ad una tutte le pene sofferte per me, mi chiese: «Cosa puoi fare, perciò, che basti?».
Allo stesso modo, e più piacevolmente che nel sonno, sebbene apparisse sempre molto afflitto, mi si manifestò molte volte nella veglia e mi disse quello che m’aveva detto nel sonno, indicandomi tutte le pene, dai piedi fino alla testa.
Egli mostrò anche i peli della barba, delle sopracciglia e del capo che gli erano stati strappati, contò ad una ad una tutte le flagellazioni e precisò: “Per te ho sofferto tutto questo!”.
Allora mi tornarono in mente in modo mirabile tutte le colpe; nella rivelazione capii che, avendolo recentemente di nuovo ferito con i miei peccati, dovevo dolermi più che nel passato, e allora provai un dolore grandissimo. Mentre contemplavo la sua passione, egli mi chiese ancora: «Cosa puoi fare per me, perciò, che basti?». A quel punto piansi molto, con lacrime così ardenti che mi bruciavano la carne ed era necessario che vi versassi dell’acqua come refrigerio.

All’undicesimo passo, a seguito delle cose già riferite, decisi di fare più aspra penitenza.
Questo è un passo lungo, stupendo e difficilissimo da descrivere; lo dico io, che conobbi successivamente la penitenza della fedele.

Al dodicesimo passo, poiché mi sembrava impossibile fare sufficiente penitenza, tenendo le cose del mondo, mi proposi di lasciare assolutamente tutto, per poter fare penitenza e arrivare alla croce, come Dio mi aveva ispirato.
Ora egli stesso, per grazia, mi suggerì tale decisione in modo mirabile. Da una parte, infatti, avevo un vivissimo desiderio di diventare povera e frequentemente, con molta preoccupazione, pensavo che poteva capitarmi di morire prima di diventarlo; dall’altra tutti mi dissuadevano dal farlo ed ero contrariata da molte tentazioni: la giovane età e quindi la possibilità che mendicare fosse per me un pericolo e una vergogna, poi la certezza che sarei morta di fame, di freddo e nudità.
Così, una volta, Dio misericordioso mandò nel mio cuore una grande illuminazione e insieme anche una grande fermezza, che credetti, e ancora credo, di non perdere in eterno.
In quella rivelazione stabilii e decisi che, se fosse stato necessario morire di fame, di nudità o vergogna, dal momento che era gradito, o poteva esserlo, a Dio, non mi sarei in alcun modo tirata indietro. Anche se fossi stata sicura che mi sarebbero capitati tutti quei mali, sarei stata pronta a morire, contenta di Dio. Da quel momento presi una vera decisione.

Al tredicesimo passo entrai nel dolore della Madre di Cristo e di San Giovanni e li pregai di ottenermi un segno sicuro, per poter avere sempre in mente la passione di Cristo.
Mentre si verificavano queste cose, nel sonno mi fu mostrato il cuore di Cristo e sentii dire: “In questo cuore non c’è menzogna, ma tutte cose vere”. Mi sembra che ciò sia avvenuto, perché avevo preso in giro un predicatore.

Al quattordicesimo passo, nella veglia, mentre stavo pregando, Cristo mi si manifestò sulla croce con maggiore chiarezza, cioè mi dette più profonda conoscenza di sé.
Mi chiamò e mi disse di avvicinare la bocca alla ferita del costato e mi sembrò di vedere e bere il suo sangue, che usciva proprio in quel momento, e capii che in esso mi purificava.
A quel punto cominciai a gustare una grande letizia, sebbene nella contemplazione della passione provassi tristezza, e pregai il Figlio di Dio di farmi spargere per amor suo tutto il sangue, come lui aveva fatto per me.
Desiderai che per amor suo tutte le mie membra patissero una morte diversa dalla sua, cioè più spregevole e, se avessi trovato un carnefice – purché mi avesse ucciso per la fede di Cristo e per amor suo – gli avrei chiesto la grazia di crocifiggermi su una ripa – a differenza di Cristo, che fu inchiodato sul legno – o in un luogo o su una cosa ignominiosissima e di non farmi morire come i santi, perché ne ero indegna, ma in modo più abietto e con una morte lenta.
Io però non fui capace di immaginare una morte tanto spregevole, come desideravo, e mi addolorai molto di non poterne trovare una in cui in nessun modo somigliassi ai santi, dal momento che ne ero assolutamente indegna.


3. Dal quindicesimo al diciottesimo passo.

Il quindicesimo passo mi fissai su san Giovanni e sulla Madre di Dio, pensando al loro dolore e pregandoli di ottenermi di sperimentare sempre le sofferenze della passione di Cristo, o almeno la loro, ed essi me la impetrarono e ancora me l’ottengono. Una volta san Giovanni me ne impetrò tanta che fu una delle cose più grandi che sperimentai.
Mi fu dato di capire che aveva provato tanto dolore per la passione e la morte di Cristo e per la sofferenza della Madre, che ritenni, e ancora ritengo, che fu più che martire.
Per questo in quella occasione mi fu concesso un desiderio tanto deciso di espropriarmi dei beni che, sebbene il demonio mi contrastasse molto perché non lo facessi e mi tentasse spesso, e quantunque me lo proibissero i parenti, tu e gli altri a cui dovevo chiedere consiglio, non avrei potuto in alcun modo non farlo, per tutti i mali o i beni possibili.
Del resto, se non avessi potuto distribuire i beni ai poveri, li avrei lasciati assolutamente tutti, perché non mi sembrava possibile tenere qualcosa senza commettere un grande peccato.
Tuttavia l’anima era ancora nell’amarezza per i peccati e non sapevo se tutto quello che facevo piaceva a Dio. Allora, versando molte lacrime amare, gridai: “Signore, anche se sono dannata, farò penitenza, mi esproprierò dei beni e ti servirò”.

Quando ancora ero nell’amarezza per i peccati e non gustavo la dolcezza divina, la mia condizione cambiò nel modo che segue.
Una volta, al sedicesimo passo, andai in chiesa e supplicai Dio di farmi una grazia. Mentre pregavo, egli mi mise nel cuore il «Padre nostro» e mi dette la chiara intelligenza della sua bontà e della mia indegnità e le parole mi furono spiegate ad una ad una.
Io dissi quel «Padre nostro» con tanta calma e conoscenza di me stessa, che, sebbene piangessi amaramente per i miei peccati e la mia indegnità, di cui mi rendevo conto in quella preghiera, tuttavia vi provai una grande consolazione e cominciai a gustare un po’ la dolcezza divina, perché vi scoprii, e ancora vi scopro, la divina bontà, meglio che in qualunque altra cosa. Poiché in quella preghiera mi furono svelate la mia indegnità e le mie colpe, cominciai a vergognarmi tanto, che a stento osavo alzare gli occhi. Allora mi presentai alla beata Vergine, perché mi impetrasse il perdono dei peccati, a causa dei quali ero ancora nell’amarezza.

In ognuno dei passi precedenti mi fermai a lungo prima di poter passare a un altro; in uno sostai di più, in un altro di meno. – Per questo la fedele, meravigliandosi, esclamò: – Oh!, qui non c’è scritto niente della grande lentezza, con cui l’anima cammina!
Essa ha ai piedi ceppi tanto pesanti e subisce grave impedimento da parte del mondo e del demonio!

Successivamente, al diciassettesimo passo, mi fu rivelato che la beata Vergine mi aveva ottenuto la grazia di una fede diversa; al confronto, quella che avevo prima sembrava quasi morta. Aumentarono anche le lacrime e mi addolorai più intensamente della passione di Cristo e del dolore di sua Madre.
A quel punto, qualsiasi cosa, per quanto grande facessi, mi sembrò poco ed ebbi la voglia di compiere maggiore penitenza. Perciò mi rinchiusi nella passione di Cristo e mi fu data la speranza d’esservi liberata.
In quel periodo feci dei bei sogni, durante i quali iniziai a gustare la consolazione. Cominciai a sentire continuamente nell’anima, sia nella veglia sia nel sonno, la dolcezza di Dio; ma poiché non avevo ancora la certezza, era mista all’amarezza e perciò volli sperimentare qualcos’altro.

Delle tante visioni avute in sogno ne riferì una, dicendo: – Una volta, mentre stavo nel carcere, dove m’ero rinchiusa per la Quaresima maggiore, e riflettevo con amore su una parola del vangelo di massima importanza e carica di amore smisurato, avevo accanto a me il messale.
Avendo sete di vedere quella parola scritta, per l’eccessiva sete e lo smisurato amore mi astenni a fatica, frenandomi e trattenendomi, per timore della superbia, dall’aprire con le mie mani quel libro; vinta dal sonno, mi addormentai in quel desiderio ed ebbi subito una visione. Mi fu detto che la comprensione dell’epistola è una cosa tanto piacevole che, se qualcuno la capisse bene, si dimenticherebbe di tutte le cose del mondo.
Colui che mi guidava mi chiese: «Vuoi provarlo?». Poiché risposi di sì, per la veemente sete di sperimentarlo, subito egli mi condusse e me lo fece provare e io capii i beni divini con tanto piacere che mi scordai subito di tutte le cose del mondo.
Colui che mi guidava aggiunse che la comprensione del vangelo è una cosa tanto piacevole che, se qualcuno lo capisse, si dimenticherebbe non solo di tutte le cose del mondo, ma perfino di se stesso
Egli mi condusse e me lo fece sperimentare e io compresi subito i beni divini con tanto piacere che assolutamente mi scordai non solo di tutte le cose del mondo, ma anche di me stessa.
Gustai un piacere divino così grande che chiesi a chi mi guidava di non farmi allontanare più da quella condizione, ma egli mi rispose che il mio desiderio non poteva ancora essere esaudito e mi riportò subito alla condizione di prima.
Io aprii gli occhi e provai una grandissima letizia per le cose viste, ma mi addolorai molto per averle perdute. Ora, quando ci ripenso, mi diletto molto in esse. Da allora mi è rimasta tale certezza, tale luce e ardore d’amore di Dio, che, con massima sicurezza, affermo che dell’amore divino non viene detto nulla e quelli che predicano non possono parlarne e non capiscono quanto affermano. Così aveva detto colui che mi aveva guidato nella visione.

Successivamente, al diciottesimo passo, gustai Dio e provai tanto piacere nella preghiera da non ricordarmi di mangiare; avrei voluto che non fosse stato necessario, per poter restare in preghiera.
Qui, però, si insinuò una tentazione, quella di non mangiare o di prendere pochissimo cibo, ma io capii l’inganno.
Nel mio cuore c’era il fuoco dell’amore di Dio e non mi stancavo di fare genuflessioni e qualsiasi altra penitenza.
Dopo pervenni a un fuoco tanto maggiore, che, se sentivo parlare di Dio, urlavo e non avrei potuto non farlo, neppure se qualcuno mi fosse stato sopra con la scure, per uccidermi.
Questo la prima volta mi accadde, dopo che avevo venduto il casale, la terra migliore che avevo, per dare il ricavato ai poveri.
Io, che prima prendevo in giro Pietruccio, da allora non potei in nessun modo non urlare, anzi, quando le persone mi dissero che ero indemoniata, per il fatto che non potevo controllarmi, mi vergognai molto e anch’io riconobbi che forse ero malata e indemoniata e non fui in grado di dare spiegazioni a quelli che dicevano male di me. Quando mi imbattevo in qualche dipinto della passione di Cristo, potevo a stento sopportarne la vista, mi veniva la febbre e mi ammalavo; di conseguenza la mia compagna si preoccupò di nascondermi – e lo fece – i dipinti della passione.


4. Il diciannovesimo passo.

Il diciannovesimo passo, dopo il periodo delle urla successivo all’illuminazione e consolazione che stupendamente provai nel «Padre nostro», ecco come sperimentai la prima grande consolazione della dolcezza divina.
Ebbi un’ispirazione e fui rapita, perché gustassi il piacere che c’è nella contemplazione della divinità e dell’umanità di Cristo. Allora provai una consolazione più grande di quelle precedenti, tanto che per gran parte della giornata restai in piedi nella cella dove stavo rinchiusa a pregare da sola, e il mio cuore rimase in quel piacere.
In seguito caddi a terra e persi la parola e allora la mia compagna venne da me e pensò che stessi morendo; a me questo dispiacque, perché lei mi era di ostacolo nella grandissima consolazione.

Una volta, quando ancora non aveva finito di distribuire completamente i suoi beni, anche se era rimasto molto poco, mentre a tarda ora stava in preghiera, confessò di non gustare Dio.
Lo pregò e si lamentò, dicendo: «Signore, ciò che sto facendo, lo faccio solo per trovare te. Ti troverò quando avrò finito?».
Lei disse molte altre cose in quella preghiera. Le fu chiesto: «Cosa vuoi?». Rispose: «Non voglio né oro né argento e se anche mi dai tutto il mondo, non voglio altro che te».
Allora egli aggiunse: «Datti da fare, perché appena avrai finito tutta la Trinità verrà in te». Mi promise molte altre cose, mi liberò da ogni tribolazione e mi lasciò con molta dolcezza; da quel momento attesi che si attuasse quanto mi aveva promesso.
Io riferii l’accaduto alla mia compagna, nel dubbio che mi fossero state dette e promesse cose troppo grandi; egli, comunque, mi aveva lasciato con molta soavità divina.


5. Il ventesimo passo.

Dopo, al ventesimo passo, andai ad Assisi, a San Francesco, e per strada si realizzò la promessa di cui ti ho parlato. Non ricordo se avevo già terminato di dar via tutti i beni; anzi, non avevo ancora finito di distribuirli ai poveri, ma era rimasto poco. Infatti, uno mi aveva detto di aspettare, perché, terminato quel pellegrinaggio ad Assisi, egli sarebbe andato in fretta nel regno di Puglia per dividere la proprietà con il fratello, che abitava laggiù, e sarebbe subito tornato per dare tutta la sua parte ai poveri e liberarsi di tutto con me.
Volendo egli espropriarsi assolutamente di tutti i beni insieme a me, perché era stato convertito e salvato, per grazia di Dio, dietro mio ammonimento, io avevo aspettato.
Orbene, in seguito mi fu portata la notizia sicura che egli era morto durante quel viaggio, che Dio faceva dei miracoli per la sua intercessione e che la sua tomba era oggetto di venerazione.

Il passo indicato qui come ventesimo è la prima cosa che io, indegno scrittore, conobbi e ascoltai dalla bocca della fedele.
Perciò ora non completo né proseguo la descrizione di questo passo davvero stupendo che contiene una grande rivelazione, è molto lungo e procurò alla fedele grande godimento e familiarità con Dio – sebbene il ventunesimo sia ancora più mirabile –, ma la sospendo, o meglio la rinvio, per riferire brevemente come, per straordinario intervento di Cristo, arrivai alla conoscenza di queste cose e fui proprio costretto a metterle per iscritto.



Capitolo II
Nota di frate A.


1. Premessa

Devo far notare che, con l’aiuto di Dio, cercai di continuare il racconto dal primo passo fino al punto del ventunesimo – alla fine della seconda rivelazione –, dove si dice che, sebbene i fatti fossero molto più densi di significato, le relazioni che avevamo steso contenevano cose vere, senza menzogna, e che io le avevo scritte in forma ridotta e difettosa.
Da lì in poi, però, non seppi continuare l’esposizione, perché potei parlarle raramente e in circostanze diverse.
Poiché anche dal diciannovesimo passo non seppi distinguere e numerare con certezza i successivi, ho cercato di concentrare tutto in sette passi o rivelazioni, tenendo presenti le grazie ricevute dalla fedele e la sua crescita nei doni e carismi e seguendo il metodo che ho ritenuto più conveniente e adatto.


2. Sommario degli ultimi sette passi

Il primo passo, che sarà esposto dopo l’introduzione, è la mirabile rivelazione della familiarità di Dio, delle sue parole e dei suoi insegnamenti. Nella parte finale c’è la risposta sulla Trinità e il racconto delle visioni di Cristo nel Sacramento dell’altare.

Il secondo passo è quello dell’unzione divina, della concessione di un segno e della visione di Dio in paradiso. Dio chiede all’anima di amarlo senza malizia e dimostra con una lunga spiegazione, che nel testo è ridotta e abbreviata, d’essere l’amore dell’anima e di volere che lei abbia, o desideri avere, qualcosa che somigli all’amore vero che lui ha nutrito per noi.
Vengono inoltre presentati alcuni argomenti per provare che l’anima, che vuole avere o trovare la divina misericordia, può, come Maria Maddalena, ottenerla.
Dio dimostra che ciò dipende dall’amore e dalla bontà del Padre e dal fatto che il peccatore si rende conto di questo; per tali motivi, più il peccatore è grande, maggiore è la misericordia e la grazia che può trovare.
In questo passo si dice che Dio è l’amore dell’anima e si dice pure che alla fedele fu rivelato che piaceva a Dio e che Dio era presente nelle cose che scrivevamo; poi vi si legge che tutte le cose da noi scritte non contenevano menzogna. Si parla anche delle elemosine benedette da Dio e poi dalla beata Vergine e viene riferito il rapimento verificatosi durante l’elevazione del Corpo di Cristo.

Il terzo passo è la rivelazione del divino insegnamento, attraverso parole percepibili con le orecchie e parole comprensibili con il solo gusto spirituale. Vi si insegna che i figli legittimi di Dio sono quelli che cercano di conoscere chi sia Dio Padre, che donò loro la sua filiazione, e lo fanno perché vogliono riconoscerlo e piacergli.
Viene poi riferito ciò che Dio dice loro. Inoltre si afferma che essi, avvicinandosi a lui, ottengono la sua grazia e si insegna il modo di avvicinarsi a lui e di diventare suoi figli legittimi; si specifica poi chi sono, tra i figli di Dio, quelli che lui condanna. Viene anche narrata la visione della sapienza divina, grazie alla quale la fedele acquistò la capacità di fare giudizi veri.

Il quarto passo è la rivelazione dell’umiliazione della fedele e della sua trasformazione e rassicurazione da parte di Dio. Vi si narra come comprese che il mondo e tutta la realtà sono una piccola cosa e che Dio riempie e supera tutto. Inoltre, alla fine, si dice che in un rapimento vide la potenza e la volontà di Dio e che così le fu risolto ogni problema: quello di chi si deve salvare e di chi si è salvato, dei dannati, dei demoni e qualsiasi altra questione. Lei restò soddisfatta e ricevette spiegazioni su tutto; non sa dire, però, se in quella occasione fu nel corpo o fuori del corpo.

Il quinto passo è la rivelazione dell’unione divina e dell’amore. C’è innanzi tutto la mirabile rivelazione della passione del Signore e poi l’estasi d’amore. Seguono la visione della beata Vergine in preghiera per il genere umano e la descrizione di una grazia ricevuta durante la celebrazione del Sacramento dell’altare. Inoltre viene riportato un lungo insegnamento sui diversi modi in cui l’anima è sicura della venuta di Dio in lei e ugualmente su come sa d’aver ospitato Dio, cosa ben diversa dalla precedente.
C’è poi il colloquio dell’anima con il corpo e la lamentela di questo nei confronti di quella, dopo la contemplazione. Per ultimo si parla dei modi, in cui le persone spirituali si possono ingannare, e delle cose comuni a chi è fedele e a chi non lo è.

Il sesto passo è il martirio molteplice e insopportabile, prodotto sia dalle infermità del corpo sia dagli innumerevoli tormenti spirituali e fisici, orribilmente eccitati da molti demoni. Questo passo si sviluppa insieme al settimo, che è più mirabile di tutti gli altri.

Il settimo passo è la rivelazione, di cui si può soltanto dire che non può essere oggetto di pensiero; al confronto il passo della divina familiarità, quelli della divina unzione, dell’insegnamento, della rassicurazione, quello dell’unione e dell’amore e tutte le cose passate sono nulla.
Quando, infatti, chiesi alla fedele se ciò che scrissi al settimo passo attirava l’anima più di tutte le cose precedenti, lei rispose che attirava di più senza confronto e aggiunse: – Tanto di più, che, qualunque cosa dico, mi sembra di dir nulla o di dir male. – Dopo affermò: – Qualsiasi cosa dico, mi sembra di bestemmiare e perciò, ora che tu mi hai chiesto se quanto hai scritto al settimo passo attirava più delle cose passate e io ho risposto in quel modo, mi sono sentita tutta male.
Questo eccellentissimo passo, comunque, si sviluppò per qualche tempo insieme al sesto, il quale a poco a poco scomparve, rimanendo così solo l’ultimo.


3. Introduzione

Il racconto che viene immediatamente dopo questa introduzione, sebbene faccia parte del ventesimo passo, è tuttavia la prima relazione che ho scritto sulle divine parole ascoltate dalla fedele. Senza pretesa di completezza e con poco impegno, cominciai a scriverlo come memoriale su un foglietto, dal momento che credevo di dover scrivere poco, ma non molto tempo dopo essere stata costretta a parlare la fedele ebbe la rivelazione che dovevo prendere non un foglietto, ma un quaderno grande.

Poiché io non ritenni di doverlo fare, scrissi su due o tre fogli bianchi del mio libretto, ma in seguito fui costretto a fare un quaderno di carta bambagina. Comunque, prima di andare avanti nell’esposizione dei passi, credo di dover riferire come arrivai alla conoscenza di questi fatti e cosa fu, oltre al volere di Dio, che mi costrinse a metterli per iscritto.

Senza dubbio il motivo fu, per quanto mi riguarda, il seguente. La fedele venne una volta a San Francesco, ad Assisi, dove vivevo in convento, e gridò molto, stando seduta all’ingresso della chiesa.
Di questo fatto io, che ero suo confessore, parente e anche consigliere principale e particolare, mi vergognai molto, soprattutto perché parecchi frati, che conoscevano me e lei, erano venuti a vederla, mentre urlava.
Sebbene allora quel sant’uomo, suo compagno di viaggio – che poi morì e di cui al ventesimo passo è stato detto che voleva espropriarsi dei beni insieme a lei – umilmente stesse seduto in chiesa sul pavimento, non molto lontano da lei e la guardasse e osservasse con massimo rispetto e una certa mestizia e altrettanto facessero gli altri compagni, uomini molto buoni e anche donne, tuttavia, tanta fu la mia superbia e vergogna, che non mi avvicinai a lei, ma la guardai con imbarazzo e sdegno, mentre urlava, rimanendo alquanto lontano. Anche quando smise di gridare e si alzò dall’ingresso della chiesa e venne da me, a stento potei parlarle con calma.
A lei dissi di non osare più di venire ad Assisi, dal momento che aveva quella malattia, ai suoi compagni di non condurcela più.

Poco tempo dopo tornai da Assisi nella città mia e della fedele. Volendo conoscere la causa di quelle sue urla, cominciai a spingerla in tutte le maniere possibili a spiegarmi perché aveva gridato in quel modo e tanto a lungo, quella volta che era venuta ad Assisi.
Lei, avuta prima da me la precisa promessa che non avrei detto nulla a chi la conosceva, iniziò a narrarmi parte della storia, che sarà raccontata dopo questa introduzione.

Poiché io mi meravigliavo di quello che diceva e sospettavo che ci fosse di mezzo qualche spirito maligno, mi detti molto da fare perché venisse anche a lei il sospetto, dal momento che io lo avevo, e la invitai e costrinsi a raccontarmi tutto e le dissi che volevo scrivere assolutamente ogni cosa, per poter consultare in merito qualche persona esperta e spirituale che non la conosceva.
Precisai che volevo farlo perché non fosse in alcun modo ingannata da qualche spirito maligno e cercai di incuterle timore e le portai esempi di molte persone che nel passato erano rimaste ingannate e le feci presente che pure lei poteva esserlo.
Poiché ancora non aveva raggiunto il grado della certezza chiarissima e perfettissima, a cui pervenne in seguito – come sarà specificato più avanti – cominciò a manifestarmi i segreti divini.
Di essi, veramente, così poco potei comprendere e scrivere, che pensai e mi accorsi di essere come uno staccio, che non trattiene la farina sottile e preziosa, ma quella più grossa.

Dal momento che allora feci esperienza di una grazia divina speciale e nuova, mai prima sperimentata, scrivendo con grande riverenza e timore, senza aggiungere nulla di mio, neppure una parola, e mettendo solo quello che potevo cogliere dalla sua bocca, non volli registrare nulla dopo essermi allontanato da lei.
Anche quando le sedevo accanto, per scrivere, mi feci ripetere più volte la parola da riportare. C’è anche da dire che quello che per la fretta ho messo in terza persona, lei, parlando di sé, lo disse sempre in prima, e io non l’ho ancora corretto.
Ora in qualche modo può essere chiaro che delle parole divine non potei capire che le più semplici; talvolta, infatti, pur avendole riportate esattamente, come avevo potuto ascoltarle dalla sua bocca, quando gliele rilessi, perché me ne dicesse altre da scrivere, con meraviglia affermò di non riconoscerle.
Un’altra volta, mentre le stavo rileggendo la relazione, perché controllasse se avevo scritto bene, osservò che il mio linguaggio era arido e senza alcun sapore e se ne meravigliò.
Un’altra volta disse: – Grazie alle tue parole mi ricordo di quello che ti ho detto, ma si tratta di un racconto oscurissimo, perché le parole che mi stai leggendo non spiegano ciò che dicono; per questo è una narrazione oscura.
Un’altra volta disse: – Tu hai scritto ciò che conta di meno ed è nulla, ma non hai riferito niente delle cose preziose che gusta l’anima. – Senza dubbio questo avveniva per mio difetto, non perché aggiungessi qualcosa, ma perché veramente non potevo capire tutto quello che diceva.
Lei notava che avevo riferito secondo verità, ma in modo abbreviato e ridotto. Quindi, dato che sapevo scrivere molto lentamente e mi affrettavo assai per timore dei frati, che mormoravano riguardo al fatto che, per poter scrivere, le sedevo accanto in chiesa, penso che sia stato un miracolo di Dio se sono riuscito a riportare ordinatamente le cose che ho scritto.

Ciò sarà chiaro più avanti, perché la fedele ebbe in merito una rivelazione al ventunesimo passo, cioè in quello dell’unzione divina; le fu rivelato e detto che le cose che avevo scritto erano tutte vere e senza alcuna menzogna, ma che erano state riferite con grande difetto.
Se qualche volta andai a scrivere senza avere la coscienza a posto, eravamo ambedue tanto impediti che non potevo riportare nulla di ordinato in modo completo; per questo cercavo, come potevo, di andare a parlarle e a scrivere con la coscienza a posto
Talvolta feci in modo di premettere la confessione dei peccati, riconoscendo che dipendeva dalla grazia divina, sulla quale potevo contare, se quanto era oggetto, per ispirazione divina, della mia indagine andava a compimento in modo ordinato.
A me, tuttavia, rimasero il dolore e la non piccola preoccupazione di aver omesso molte cose degne d’essere scritte, a causa della fretta, dei miei limiti e del timore dei frati che mi contrariavano.
Per le molte mormorazioni di questi ultimi il guardiano e anche il ministro mi proibirono severamente di scrivere, senza tuttavia sapere quali buone cose io annotassi.



Capitolo III
Il ventesimo passo


1. Pellegrinaggio a Roma e ad Assisi

Ora riprendo il discorso su come e quando cominciai a scrivere dopo le grida della fedele a San Francesco, secondo quanto ho detto nell’introduzione. Ritornato da Assisi alla città mia e della fedele, cercai di sapere perché aveva urlato a San Francesco e di indurla con tutte le forze, facendo leva su tutti gli obblighi che lei aveva nei miei confronti, a dirmelo assolutamente. Così costretta, avuta prima la precisa promessa che non avrei detto nulla a nessuno che la conosceva, iniziò il racconto, dicendo che quella volta che camminava verso Assisi stava pregando. Tra l’altro supplicava il beato Francesco di implorare Dio per lei, perché potesse fare esperienza di Cristo, e di impetrarle la grazia di osservare bene la Regola che aveva professato da poco e soprattutto di farla vivere e morire veramente povera.
Ella, infatti, tanto desiderava avere la perfetta povertà, che era andata a Roma solo per pregare il beato Pietro apostolo di ottenerle da Cristo la grazia di diventare veramente povera.

Quando lessi queste cose alla fedele, disse che, anche se scritte con grande difetto, erano vere e aggiunse: – Allorché mi avvicinai a Roma, sentii che, per grazia divina, mi era concesso ciò che avevo chiesto riguardo alla povertà.
Quella volta, come dicevo, andando ad Assisi, pregava il beato Francesco di impetrarle dal Signore Gesù Cristo la grazia della povertà. Lei mi riferì pure le molte altre cose che chiedeva in quella preghiera lungo la strada.
Poi arrivò tra Spello e la stretta via che sta dopo il paese e sale verso Assisi, e li, al trivio, le fu detto: «Tu hai pregato il mio servo Francesco, ma io non ho voluto mandarti un messaggero.
Sono lo Spirito Santo e son venuto da te, per darti una consolazione che non hai mai gustato, e rimarrò con te, in te, fino a San Francesco e nessuno se ne accorgerà.
Voglio venire, parlando con te lungo la strada, senza mai smettere, e tu non potrai fare altro, perché ti ho avvinta. Partirò da te solo quando andrai la seconda volta a San Francesco; allora mi allontanerò, per quanto riguarda questa consolazione, ma da te non me ne andrò mai più, se mi amerai».

Cominciò a dire: «Figlia mia dolce, figlia mia, mia delizia, mio tempio, figlia, mia delizia, amami, perché io ti voglio tanto bene, molto più di quanto me ne vuoi tu». Spessissimo disse: «Figlia e sposa dolce», e aggiunse: «Io ti amo più di qualsiasi altra donna della valle di Spoleto.
Ora che io mi sono riposato in te, anche tu riposati in me. Tu hai pregato il mio servo Francesco, al quale ho concesso molti doni, poiché mi volle molto bene, ma se ci fosse qualche persona che mi amasse di più, io gliene farei ancora di più.
Io ti darò quello che ebbe il mio servo Francesco e ancora di più, se mi amerai».
A queste parole cominciai a dubitare molto e l’anima gli disse: «Se tu fossi lo Spirito Santo, non mi rivolgeresti queste parole, perché non si addicono a me, che sono fragile e potrei vantarmene».
Egli rispose: «Ora vedi se puoi vantartene ed esaltartene; e, se puoi, allontanati da esse».
Io iniziai a tentare di vantarmene, per verificare se quello che aveva detto era vero e se lui era lo Spirito Santo. Cominciai anche a guardare verso i vigneti per allontanarmi dalle sue parole, ma dovunque volgevo lo sguardo egli mi diceva: «Questa è una mia creatura», e io gustai una dolcezza divina ineffabile.

Allora mi ritornarono in mente tutti i peccati e i vizi e non vidi in me nient’altro che colpe e difetti. Mi sentii più umile che mai e tuttavia mi fu detto che il Figlio di Dio e della beata Vergine Maria si era chinato su di me.
Poi aggiunse: «Anche se venissero con te gli abitanti del mondo intero, non potresti parlare ad essi; già ora viene con te tanta gente e non puoi rivolgere la parola a nessuno».
Per sciogliere il mio dubbio, disse: «Io per te fui crocifisso, ebbi fame e sete e per te sparsi il mio sangue; tanto ti amai!». Egli raccontò tutta la passione e poi aggiunse: «Domanda qualunque grazia per te, per i tuoi compagni e per chiunque altro e preparati a riceverla, perché sono molto più pronto io a dare che tu a ricevere». La mia anima gridò: «Non voglio chiedere, perché non ne sono degna».

Mi tornarono allora in mente tutti i peccati e l’anima disse: «Se tu fossi lo Spirito Santo, non mi diresti cose tanto grandi, e se fossi tu a dirmele, la gioia dovrebbe essere tanto maggiore che la mia anima non dovrebbe essere capace di sopportarla».
Egli rispose: «Poiché niente può esistere o avvenire diversamente da come voglio io, non ti do una gioia più grande di questa.
Io già a un altro dissi meno di quanto ho rivelato a te e lui cadde a terra, senza più sentire e vedere. Tu stai andando con dei compagni e nessuno sa quello che ti succede; per questo non ti procuro una gioia maggiore.
Ti do questo segno: fa’ in modo e sforzati di parlare con loro e di rivolgere il pensiero ad altre cose, buone o cattive, e vedrai che non puoi pensare ad altro che a Dio.
Tutto questo io non lo faccio per i meriti tuoi». Allora mi tornarono in mente le mie colpe e i miei difetti e capii che ero più che mai degna dell’inferno.
Egli aggiunse: «Io lo faccio per mia bontà e se tu fossi venuta con persone diverse da queste, non te l’avrei concesso».
Esse, infatti, in qualche modo si accorgevano del mio languore, dal momento che a ogni sua parola ricevevo una grande dolcezza. Così non sarei voluta mai arrivare ad Assisi e avrei voluto che quella strada non finisse mai.

Non posso neppure valutare quanto fosse grande la gioia e la dolcezza che gustai, soprattutto quando affermò: «Io sono lo Spirito Santo ed entro dentro di te».
Quando disse tutte le altre cose, ricevetti ugualmente una grande dolcezza. Per zelo osservai: «Io avrò la prova che sei lo Spirito Santo se verrai con me, come hai affermato».
Egli, infatti, aveva detto: «Io mi allontanerò da te, per quanto riguarda questa consolazione, quando andrai la seconda volta a San Francesco, ma da te non partirò mai più, se mi amerai».
In effetti egli venne con me fino a San Francesco, come aveva promesso, e non si allontanò da me, quando arrivai e rimasi a San Francesco, ma continuò a stare con me fin dopo il pasto, cioè sino a che mi recai la seconda volta nella chiesa di San Francesco.
In tale occasione, appena mi misi in ginocchio all’ingresso della chiesa e vidi San Francesco dipinto nel seno di Cristo, mi disse: «Così ti terrò stretta e molto di più di quanto si possa vedere con gli occhi del corpo.
Ora, figlia dolce, mio tempio, mia delizia, è tempo che adempia ciò che ti ho predetto; riguardo a questa consolazione ti lascio, ma non ti abbandonerò mai, se mi vorrai bene».
Tali parole, sebbene amare, mi procurarono massima dolcezza; allora guardai, per vedere qualcosa con gli occhi del corpo e quelli dell’anima.

Poiché a quel punto le chiesi: – Cosa vedesti? –, lei rispose: – Vidi una cosa piena, una maestà immensa che non so descrivere; ma mi sembrò che fosse Ogni Bene. Quando partì da me, mi rivolse parole dolci con immensa soavità e si allontanò pian piano, lentamente. Allora, dopo la sua partenza, cominciai a urlare e senza alcuna vergogna gridai: «Amore non conosciuto, e perché?», cioè: «Perché mi lasci?».
Non potevo dire di più; solamente urlavo senza vergogna, dicendo: «Amore non conosciuto, e perché e perché e perché?».
Tuttavia le mie parole erano così coperte dalle grida, che non se ne capiva neppure una. A quel punto egli mi lasciò con la certezza assoluta che era Dio.
Io volevo morire, e perciò urlavo e provavo gran dolore, perché non cessavo di vivere e tutte le giunture del mio corpo si scompaginarono.


2. Verso Foligno

Partita da Assisi con quella grandissima dolcezza, mi incamminai verso casa e lungo la via parlavo di Dio.
Per me era una gran pena tacere, ma, come potei, cercai di stare zitta, per rispetto nei confronti dei miei compagni.
Per strada egli, tra le altre cose, mi disse: «Per dimostrare che sono io che ti parlo e ti ho parlato, ti do un segno, metto cioè in te la croce e l’amore di Dio; esso sarà con te in eterno».
Io sentii subito la croce e l’amore nella mia anima e avvertii fisicamente la croce e, percependola, l’anima si sciolse nell’amore di Dio.


3. Un ricordo

Egli sulla strada verso Assisi mi aveva detto: «Tutta la tua vita, il mangiare, il bere, il dormire e ogni altra cosa mi piace».


4. A Foligno

Tornata a casa, provai una dolcezza pacificante, tanto grande, che non so parlarne, e desiderai morire.
A causa di tale dolcezza pacificante, quieta e piacevole, la vita fu una pena così grande che non so descriverla; per non perderla e possederla pienamente, desiderai lasciare questo mondo.
La vita fu per me una pena superiore al dolore provato per la morte di mia madre e dei miei figli e a ogni dolore immaginabile.
Per otto giorni stetti a letto in questa grandissima consolazione e in questo languore.
Una volta l’anima gridò: “Signore, abbi pietà di me e non permettere che resti ancora in questo mondo”.


5. Ricordo

Egli sulla strada verso Assisi mi aveva predetto tale piacevole e indicibile consolazione con queste parole: «Quando sarai ritornata a casa, proverai un’altra dolcezza mai sperimentata e allora non mi sentirai parlare, come è accaduto finora, ma farai esperienza di me».


6. A Foligno

Io cominciai a sperimentare questa consolazione ineffabile, pacificante e quieta, tanto grande che non so descriverla, e per otto giorni stetti a letto, potei parlare poco e non fui in grado di dire il «Padre nostro» e neppure di stare a lungo alzata.


7. Ricordo

Sulla strada verso Assisi mi aveva detto: “Io stetti molte volte con gli apostoli ed essi mi videro con gli occhi del corpo, ma non provarono ciò che gusti tu; tu non mi vedi, ma fai esperienza di me”.


8. A Foligno

Quando queste cose stavano finendo, egli partì molto piacevolmente e disse: «Figlia mia, a me cara più di quanto io lo sia a te».
Ripeté pure quello che mi aveva detto a San Francesco: – Mio tempio, mia delizia –, e non volle che, alla sua partenza, rimanessi coricata; così, a queste parole, stetti in piedi.
Mi disse ancora: «Tu hai l’anello del mio amore e sei stata presa da me in pegno e non ti allontanerai mai più da me. Ricevete, tu e la tua compagna, la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Parlò così, mentre partiva, perché gli avevo chiesto una grazia per la mia compagna; poi aggiunse: «A lei faccio un’altra grazia». Quando disse: «Non ti allontanerai mai più da me», la mia anima esclamò: e Oh!, non peccherò mortalmente», ma egli osservò: «Non ti ho detto questo».

Successivamente avvertii spesso odori indicibili e le esperienze furono tante che non potrei mai raccontarle e, se posso riferire poco delle parole, non posso proprio esprimere la dolcezza e il piacere che sperimentai. Simili discorsi mi furono fatti molte volte, ma non con questa calma, così profondamente e con tanta dolcezza. Ritornata da Assisi, mentre era coricata, come già ho detto, la sua compagna, che era di una mirabile semplicità, purezza e verginità, udì una voce, che per tre volte le disse: «Lo Spirito Santo è in L.» ; per questo andò da lei e iniziò a domandarle: «Dimmi quello che hai, perché mi è stato detto tre volte così e così.»
La fedele rispose: – Se ti è stato riferito così, mi fa piacere – e confermò quello che la compagna aveva affermato e da allora le comunicò maggiori informazioni sui segreti divini.
La sua compagna successivamente mi riferì che, mentre la fedele era in estasi e stava coricata sul fianco, lei vide una stella rotondissima, mobilissima, di innumerevoli colori splendenti.
Da essa procedevano raggi spessi e raggi sottili di meravigliosa bellezza, che, uscendo dal suo petto si piegavano e poi salivano in alto verso il cielo. Vide questo con gli occhi del corpo, da sveglia, verso l’ora terza, e mi disse che la stella era molto grande.


9. La risposta sulla santissima Trinità

Una volta io, che indegnamente riferisco queste parole divine, le domandai come mai nella precedente rivelazione le era stato detto: «Io sono lo Spirito Santo» e poco dopo: «Io per te fui crocifisso».
Dopo questa domanda andò a casa e, ritornata da me, mi rispose così: – Quando arrivai a casa, cominciai a riflettere, in quanto avevo dei dubbi su quello che mi avevi chiesto. Quando, infatti, mi viene detto qualcosa di particolare, dubito, perché me ne vedo assolutamente indegna.
In quella situazione di incertezza mi fu data questa risposta: «Chiedi a lui, cioè a frate A., com’è che la Trinità è già venuta in te. Digli: “Già è venuta, già è venuta”. Domandagli come è potuta venire».

Allo stesso tempo mi fu dato di capire che, sebbene la Trinità fosse venuta in me, tuttavia era restata in cielo e non era discesa.
Poiché io ancora non capivo bene e mi sembrava che non mi avesse risposto in modo comprensibile e completo, allora aggiunse: «Digli che, quando ti sono state rivolte quelle parole, cioè: “Io sono lo Spirito Santo” e dopo: “Io per te fui crocifisso”, allora c’era in te il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo».
Poiché dubitavo di questo, cioè che il Padre fosse venuto in me, tanto indegna, insieme al Figlio e allo Spirito Santo, e pensavo che forse c’era di mezzo un inganno, allora più volte egli ripeté: «La Trinità era venuta in te», e aggiunse: «Chiedigli come è potuta venire».
Egli affermò che in quella rivelazione c’erano il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Allora mi sentii dire – mi sembra – che la Trinità è una realtà unita insieme e mi fu proposto l’esempio del sole e anche un altro esempio, ma io li rifiutai, perché, quando mi vengono dette cose tanto grandi, le respingo, temendo di non esserne degna.
Vorrei che Dio mi desse la sicurezza che in questo non c’è inganno.

La promessa: «Tutta la Trinità verrà in te» è annotata nel passo precedente, cioè alla fine del diciannovesimo, e si è realizzata in questo.
La fedele mi disse: – Una volta pensavo al grande dolore che Cristo soffri sulla croce e ai chiodi che, come avevo sentito dire, portarono nel legno un po’ della carne delle mani e dei piedi.
Desideravo almeno vedere quel poco di carne di Cristo che i chiodi portarono nel legno, e allora provai un così grande dolore per la pena di Cristo, che non potei restare in piedi, ma mi piegai, mi misi a sedere e reclinai il capo sopra le braccia distese a terra.
Cristo allora mi mostrò la gola e le braccia e la precedente tristezza si mutò in una gioia così grande, che non ne posso dire nulla e fu diversa dalle altre e non vedevo né udivo né sperimentavo altro. Fu un’esperienza tanto chiara nella mia mima, che non ne dubito né dovrei cercarne spiegazioni.

Essa lasciò nella mia anima il segno della gioia, che era così sicuro che credo di non perderlo più. La bellezza della gola era tanta che capivo che proveniva dalla divinità; per questo mi sembrava di vedere, attraverso essa, la divinità di Cristo e di stare davanti a Dio, ma non mi veniva rivelato di più.
Io non so paragonare quello splendore a qualche cosa o a qualche colore di questo mondo, ma solamente allo splendore del Corpo di Cristo, che vedo talvolta durante l’elevazione.
Quando stavo uscendo da quella visione, cominciai a pensare un po’ a me stessa, ma questo durò pochissimo; sono però sicura che, quando ebbi tali pensieri, ero già fuori da quella visione.


10. Le visioni nel contesto eucaristico

Quando sentii – per volere divino – quella parola sul Corpo di Cristo, la fissai subito nel mio cuore e chiesi alla fedele e la obbligai a raccontarmi cosa mai avesse visto nel Corpo di Cristo, e lei, così costretta, cominciò a dire: – Talvolta vedo l’Ostia, come vidi la gola, con grande splendore e grande bellezza, che sembra provenire dalla divinità, ed è più grande del fulgore del sole.
Da tale bellezza capisco, per grazia, di vedere senza alcun dubbio Dio; comunque, in casa, nella gola vidi una bellezza ancora maggiore, tanto grande, che non credo di perdere più la gioia di quella visione e non so descriverla, se non paragonandola all’Ostia del Corpo di Cristo, dove si manifesta una bellezza molto più grande di quella che appare nel sole. L’anima però prova una gran pena, per il fatto che non può manifestarla.
Ella disse anche che talvolta vede l’Ostia in un altro modo, cioè vi scorge due occhi splendidissimi, così grandi che dell’Ostia sembrano rimanere soltanto gli orli.

Una volta, stando in cella, quindi non mentre guardavo l’Ostia, mi furono mostrati gli occhi con maggiore bellezza e tanto piacevole, che non credo di perder più la letizia di quella visione, come quando mi fu mostrata la gola.
Non so però se avvenne nel sonno o nella veglia; comunque mi ritrovai in una gioia massima e ineffabile, tanto grande che credo di non perderla più.
Un’altra volta disse che nell’Ostia vide Cristo con le sembianze di un ragazzo, che però appariva grande e maestoso, simile a un re: Sembrava che, sedendo in trono, tenesse in mano qualcosa come segno di comando, ma non so dire cosa fosse.
Lo percepii con gli occhi del corpo; e anche quello che ho detto riguardo all’Ostia, lo vidi sempre con gli occhi del corpo.
Allora, quando gli altri si misero in ginocchio, io non mi ci misi e non so bene se corsi fin vicino all’altare o se non mi potei muovere, a causa del piacere e della contemplazione, e provai grande rincrescimento per il fatto che il sacerdote ripose troppo rapidamente l’Ostia sull’altare.
Cristo era molto bello e splendente e sembrava un ragazzo di dodici anni. Quella visione mi dette una gioia così grande che credo di non perderla in eterno, e fu tanto certa che non ne dubito in alcun modo né per nessun motivo; non è quindi necessario che tu la riporti
Il piacere fu tanto, che non chiesi a Cristo di aiutarmi, e non dissi qualcosa di buono o di cattivo, ma solamente mi dilettai nel vedere quell’inestimabile bellezza.



Capitolo IV
Il ventunesimo passo


1. “Tu sei piena di Dio”

La fedele disse: – Un anno dopo le rivelazioni sulla strada verso Assisi, mentre ero in preghiera e volevo dire il «Padre nostro», improvvisamente udii nella mia anima una voce che disse: «Tu sei piena di Dio».
Allora realmente sentii tutte le membra del corpo colme del piacere di Dio e desideravo morire, come quando andai ad Assisi, e, come quella volta, svenni nella cella.
La compagna disse che le lacrime mi uscivano dagli occhi aperti.
Mi fu detto che Dio abbracciava l’anima e sentii che era veramente così. Mi sembra che noi ora diciamo tutto questo quasi per burla, perché le cose stavano diversamente da come si può raccontare e io mi vergogno di parlare in modo più espressivo.


2. Un ricordo

L’anno prima, sulla via di San Francesco, Cristo mi aveva detto: «Io farò in te cose grandi al cospetto delle genti e attraverso te sarò conosciuto e grazie a te il mio nome sarà lodato da molti popoli».


3. Angela chiede un segno

Ultimamente di nuovo, mentre ero in preghiera, improvvisamente mi furono rivolte queste parole molto piacevoli: «Figlia mia, cara a me molto più di quanto io lo sia a te, mio tempio, mia delizia, il cuore di Dio onnipotente sta ora sul tuo cuore».
Io, ascoltandole, gustai un piacere divino molto più grande di quello sperimentato in passato. Anche tutte le membra del corpo provarono questo diletto e svenni.
Egli aggiunse: «Dio onnipotente ti ama tanto, più di qualsiasi altra donna della tua città, e si compiace in te ed è soddisfatto di te e della tua compagna. Fate in modo che la vostra vita sia luce per tutti coloro che la vogliono contemplare. Per quelli che ammirano tale luce e non agiscono, ci sarà un duro giudizio».
L’anima capì che esso sarà spietato più per le persone istruite che per quelle ignoranti, perché loro, attraverso la Scrittura, conoscono le cose di Dio e tuttavia le disprezzano. «Tanto grande è l’amore che Dio onnipotente ha posto in voi, che sta continuamente con voi, senza però concedere questi piaceri, e i suoi occhi ora vi guardano».
Con gli occhi dell’anima mi sembrò di vedere quegli occhi, che mi dilettarono più di quanto possa dire, e mi dispiace che ora noi raccontiamo così, per burla, queste cose.
Allora, sebbene la gioia fosse grande, mi tornarono in mente i miei peccati e mi resi conto che in me non c’era alcun bene. Pensai anche di non aver mai fatto qualcosa di gradito a Dio e mi ricordai dei dispiaceri che gli avevo procurato e ritenni così di dover dubitare delle cose tanto grandi che mi venivano dette.

Poi cominciai a chiedere: «Se tu sei il Figlio di Dio onnipotente, perché la mia anima, avvertendo la tua presenza in me così indegna, non prova una gioia ancora maggiore, impossibile da sopportare?». Egli rispose: «Se la gioia è limitata, è perché non voglio che in te ce ne sia una più grande»; e aggiunse: «È vero che tutto il mondo è pieno di me».
Allora vidi che ogni creatura era piena di lui, ed egli mi disse: «Io posso fare tutto: che tu mi veda, come mi vedevano gli apostoli quando son vissuto con loro, e non faccia esperienza di me, oppure che faccia esperienza di me e non mi veda, come avviene ora». Sebbene non esprimesse tutto questo con parole, tuttavia la mia anima capiva che diceva queste e altre cose molto più grandi e mi rendevo conto che era proprio in quel modo.

Quando le domandai: – Come? – lei rispose: – Io avevo sperimentato che la mia anima capiva che era proprio in quel modo.

L’anima poi gridò: «Se sei Dio onnipotente e queste cose sono vere e, come dici, sono tanto grandi, dammi un segno, perché sia sicura che sei tu; liberami dal dubbio».
Tuttavia mi meravigliai che in me ci fosse qualche incertezza, sebbene molto piccola. Chiesi allora che mi desse un segno fisico, visibile, cioè mi mettesse in mano una candela o una pietra preziosa o qualunque altro segno, e dissi: «Se vuoi, non lo farò vedere a nessuno».
Egli rispose: «Ciò che chiedi è un segno capace di procurarti gioia tutte le volte che lo vedi e lo tocchi, ma non ti libererebbe dal dubbio e ti ci potresti ingannare».
Quando mi disse queste cose, le capii tutte più a fondo di quanto possiamo riferire, e allo stesso modo mi fu dato di comprendere molte più cose di quante ne raccontiamo e con un gusto e un piacere, di cui non diciamo assolutamente nulla. Dio voglia che non mi sia imputato come peccato, se narro queste cose così male e difettosamente.

Egli aggiunse: «Ti do un segno migliore di quello che chiedi, che sarà continuamente con te, nella tua anima; grazie ad esso farai esperienza di Dio e sarai calda dell’amore di Dio e interiormente capirai che solo io posso farlo.
È questo il segno che lascio nella tua anima, migliore di quello che hai chiesto: l’amore per me, che renderà la tua anima continuamente calda di me. Sarà così fervente che, se qualcuno ti rivolgerà parole cattive, tu le considererai una grazia e ti protesterai indegna di essa. Io l’ho provato e l’amore per voi fu tanto grande, che sopportai tutto con pazienza.
Allora capirai che sono in te. Se nessuno ti rivolgerà parole cattive, ne avrai un gran desiderio. Questo è il segno certo della grazia di Dio, perché io ho sofferto così, con grande umiltà e pazienza».


4. L’unzione divina

Ecco, ora ti ungo con l’unguento siricoso, come spesso ho fatto a un santo di nome Sirico e anche a molti altri santi».
Improvvisamente sentii quell’unzione con tanta dolcezza che desiderai la morte, e una morte piena di tormenti fisici. Pensai che questo sarebbe stato niente, perché i santi sopportarono martìri strazianti, e allora desiderai e bramai che tutto il mondo mi insultasse e che morissi nei tormenti, e fu per me molto piacevole pregare Dio per coloro che mi avrebbero inflitto tutti questi mali.
Mi meravigliai di quei santi che pregarono Dio per coloro che li perseguitavano e uccidevano, perché per loro non solo dovevano pregare, ma anche chiedere a Dio una grazia speciale; così avrei voluto supplicare Dio per coloro che mi avrebbero fatto queste cose e amarli con grande affetto.

Allora, in quella unzione, gustai tanto piacere, dentro e fuori, quanto mai ne avevo provato, e non posso parlarne né poco né molto. Fu una consolazione diversa dalle altre, perché in esse desideravo andarmene subito dal mondo, mentre in questa bramai che la mia morte fosse lenta, piena di tormenti, e che in ogni membro ci fossero tutti i supplizi del mondo.
Nondimeno tutto questo mi sembrò assolutamente niente e l’anima comprese che quella consolazione era un piccolo incendio rispetto ai beni promessi, conosciuti in modo certissimo.
Se tutti i sapienti del mondo dicessero diversamente, non ci crederei, e se giurassi che tutti coloro che vanno per questa strada si salvano, non mentirei. Il Figlio di Dio lasciò nella mia anima questo segno sicuro e chiaro, con tanta luce, che credo che affronterei il martirio prima di ammettere che le cose stanno in modo diverso, e lasciò il segno, che avverto continuamente, della via diritta che porta alla salvezza: amare voler soffrire per amor suo.
Io le dissi: – Tu, ora, vorresti essere insultata? – Ella rispose: – Poco lo vorrei; nel passato, invece, provai perfino vanagloria, quando mi fu rivolto qualche insulto.

Chi parlava in me disse: «Se dubiti di questo segno, cioè di questa unzione, parlane con il tal frate; qualche volta gliel’ho concessa, ma lui l’ha compresa poco. Le parole che hai ascoltato sono così profonde che non mi dispiace che ne dubiti, perché altrimenti la tua gioia sarebbe troppo grande, e mi fa piacere che ne abbia scrupolo, perché sono molto, molto alte. Comunque, se io volessi, non dubiteresti».


5. Visione di Dio

Io vidi Dio.

Poiché le chiesi come e che cosa avesse visto e se aveva contemplato qualcosa di fisico, rispose: – Vidi una pienezza, uno splendore di cui mi sentii tanto colma che non riesco a parlarne, e non so dire assolutamente a che cosa somigliasse.
Neppure so specificare se vidi qualcosa di fisico; egli era come è in cielo, cioè una bellezza tanto grande che non so dirti nient’altro se non che era la Bellezza e Ogni Bene. Tutti i santi stavano davanti alla sua maestà e lo lodavano, ma mi sembra che in questo ci rimasi poco.

Precedentemente mi aveva rivolto queste parole: «Figlia mia, molto più cara a me di quanto io lo sia a te». Spesso disse: «Mia amata figlia, a me cara, tutti i santi del paradiso e mia Madre nutrono per te un amore speciale e io ti unirò a loro».
Questo riferimento ai santi e a sua Madre mi sembrò molto poco ed io mi dilettai pienamente in lui, tanta fu la dolcezza che mi procurò. Poi aggiunse: «Io ti nascondo, a causa dei tuoi difetti, qualcosa del grande amore che nutro per te, perché non potresti sopportarlo».
Io le feci una domanda e lei rispose: – Puoi capire che era Ogni Bene dal fatto che fui chiamata a vedere i santi che stavano davanti a quella Maestà, e mi fu detto di guardare anche gli angeli che sembravano stare al di sopra dei santi, ma poiché capii che ogni bene dei santi e degli angeli veniva da lui ed era in lui, Sommo Bene, mi compiacqui solamente in lui e non mi curai, né potevo farlo, di guardare i santi e gli angeli.
Egli mi disse: «Io ti nascondo qualcosa del grande amore che nutro per te», e l’anima comprese che mi svelava molto poco, quasi niente, dell’amore che aveva per me.

L’anima chiese: «Perché senti tanto amore per me, che sono così peccatrice, e perché provi tanto piacere in me, che sono così insensata e ti ho offeso tanto in tutta la mia vita?».
A quel punto mi resi conto che quanto avevo fatto di buono, l’avevo compiuto con grande difetto.
Egli rispose: «L’amore che ho riposto in te è tanto grande che non mi ricordo dei tuoi difetti e i miei occhi non li guardano. Io ho nascosto in te un grande tesoro».
Allora l’anima comprese che era verissimo, tanto che non ne dubitò affatto, e capì e vide che la guardavano gli occhi di Dio, nei quali gustò tanto piacere che nessuno, neppure un santo disceso dal cielo, potrebbe parlarne e manifestarlo.
Quando mi disse che mi nascondeva il suo grande amore perché non potevo sopportarlo, l’anima osservò: «Se sei Dio onnipotente, puoi far sì che io riesca a sopportarlo».
Egli rispose: «Per il fatto che in questo amore qualunque cosa volessi, l’otterresti e non avresti più fame di me, non voglio farlo; anzi, voglio che in questo mondo tu abbia fame e desiderio di me e che provi languore per me».


6. Un ricordo

Sulla via di San Francesco, nella prima rivelazione, quando disse: «Figlia mia dolce, amami, perché io ti voglio bene molto di più di quanto me ne vuoi tu», e io confessai i miei peccati e difetti e riconobbi di non essere degna di quel grande amore, egli aggiunse: «L’amore che nutro per l’anima, che mi vuol bene senza malizia, è grande», e mi sembrò che egli voleva che l’anima avesse, secondo la sua possibilità, un po’ di quell’amore che lui nutrì per noi; se lei soltanto desiderasse averlo, glielo concederebbe.
In quella rivelazione precisò che allora erano pochi i buoni e poca la fede, e mi sembrò che se ne lamentasse; e aggiunse: «Tanto è l’amore che nutro per l’anima che mi vuol bene senza malizia, che a lei e a chiunque avesse veramente il mio amore ora farei una grazia molto più grande di quella che ho concesso ai santi, quando operai in loro molte cose grandi».


7. Dio è l’amore dell’anima

Non c’è nessuno che possa portare scuse, perché chiunque può amare Dio, ed egli non chiede all’anima se non che gli voglia bene, perché egli l’ama ed è il suo amore. La fedele mi disse: – Come sono cupe, cioè profonde, queste parole, vale a dire che Dio non chiede all’anima se non che gli voglia bene.
Dopo, per spiegare, aggiunse: – Chi è colui che, se ama, può tenere per sé qualcosa? –
Successivamente, per chiarire l’altra affermazione, che cioè Dio è l’ amore dell’anima, affermò: – Che Dio ami l’anima e sia il suo amore, me l’ha dimostrato lui stesso con una prova convincente; infatti, lui, che era tanto grande, venne nel mondo e mori sulla croce.
Egli mi spiegò tutto, cioè il suo avvento, la passione di croce e la sua grandezza e aggiunse: «Vedi se in me c’è altro che amore!».
Prima specificò da chi fu mandato e perché venne e disse che egli era grande e in modo esplicito indicò la sua passione, la sua croce e tutte le cose, di cui ho parlato. Alla fine io vidi e l’anima comprese in modo certissimo che lui non è altro che amore.
Io qui, a causa della fretta, ho scritto in forma molto ridotta e abbreviata; delle più belle argomentazioni del mondo ho preso solo alcune parole, abbreviandole, cioè non riportando tutte le cose che lei diceva.


8. Un ricordo (continuazione)

La fedele disse: – In quella rivelazione, sulla via di San Francesco, mi sembrò che il Figlio di Dio si lamentasse, perché trovava ben poche persone in cui poter effondere la sua grazia.
Perciò affermò che a quelli che l’amano è pronto a fare una grazia molto più grande di quella concessa ai santi del passato. – Poi aggiunse: – Avrei il rimorso di riferire queste cose, se non mi fosse stato assicurato che quanto più ne riferirò, tanto più ne rimarrà a me.


9. Approvazione divina

Mi disse: – Oggi e ieri non ho voluto ricevere molte cose, ma ho avuto il rimorso d’aver parlato del segno, che mi è stato concesso e che ti ho detto di possedere, e d’aver affermato, come hai scritto, che amavo le tribolazioni.
Ho anche avuto il timore che non fosse tutto vero quello che ti ho confidato di me e che hai registrato; allora ho ricevuto subito questa risposta: «Tutte le cose scritte sono vere e non c’è in esse una parola falsa, anche se i fatti avevano un significato molto più denso e tutto è stato riportato in modo difettoso».
Aggiunse che lo scrittore aveva riferito in modo ridotto e imperfetto. Mi dimostrò anche che avevo quel segno e disse: «Dio è presente in tutte le cose che scrivete ed è lì, con voi».
L’anima comprese e sperimentò che Dio se ne compiaceva. Questo mi fu detto per il fatto che avevo avuto il rimorso per le cose riferite, perché ne avevo dette molte, su cui, per la loro chiarezza, non c’era da chiedere consiglio.


10. La divina misericordia

Dopo che ebbi scritto le cose precedenti, la fedele mi disse: – Ora nuovamente mi ha rivelato una cosa e me l’ha così impressa nel cuore e dimostrata tanto chiaramente, che a fatica posso trattenermi dal gridarla a tutti.
È questa: nessuna persona potrà portare scuse in ordine alla salvezza, perché non c’è bisogno che faccia se non come fa con il medico il malato, che gli manifesta la malattia e si prepara a mettere in atto le cose che gli dice.
Così, non è necessario che una persona faccia di più o che si procuri altre medicine; deve soltanto mostrarsi al medico e disporsi a fare tutto quello che lui gli dice; e si guardi bene dal mischiarvi cose contrarie.

L’anima capì che la medicina era il suo sangue e che gliela dava lui stesso. Il malato non deve fare altro che prepararsi e allora il medico gli ridà la salute e guarisce la sua malattia.
Qui l’anima capì che tutte le membra avevano una malattia particolare e indicò i loro peccati. Cominciò a contare tutte le membra e le loro colpe, che vide e specificò mirabilmente.
Egli ascoltò tutto pazientemente e dopo affermò molto gioiosamente e piacevolmente che la guariva subito e aggiunse: «Maria Maddalena provò dolore, perché era malata, ed ebbe il desiderio di liberarsi dalla malattia.
Chiunque ha questo desiderio può trovare come lei la salvezza».

Fece un altro esempio, sebbene fermandomi e meditando sul primo ne avessi per tutta la giornata. Disse: «Quando tornano al Padre i figlioli che con il peccato si allontanarono dal mio regno e si fecero figli del diavolo, egli prova gioia per il loro ritorno e mostra ad essi una letizia speciale, tanta è quella che gusta, e dà loro una grazia particolare, che non concede agli altri che furono vergini e non si separarono da lui.
Questo avviene per l’amore del Padre e perché essi, ritornando, si dolgono d’aver offeso una maestà tanto grande, capiscono d’essere degni dell’inferno e hanno una tale conoscenza dell’amore del Padre, che provano un piacere speciale».


11. Approvazione divina

La fedele mi disse queste cose con parole diverse, cioè più abbondanti, efficaci e piene di luce.
Per questo, quando le lessi la mia relazione, osservò che non avevo scritto una cosa viva, ma secca e arida; comunque, confermò che avevo riferito la verità e aggiunse che proprio quel giorno le era stato detto: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ mettere che per esse siano rese grazie a Dio. Chiunque vuole conservare la grazia, non deve togliere gli occhi dell’anima dalla croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto».


12. Benedizione delle elemosine

La fedele mi disse pure: – Mentre pregavo prima del pasto e chiedevo alla Madonna di ottenermi da suo Figlio, per i meriti della sua santissima passione, che mi togliesse ogni peccato, mi assolvesse, desse la sua benedizione a me e alla mia compagna e benedicesse il nostro mangiare e bere, lui che benedisse la mensa quando era con i suoi apostoli e mangiò con loro, improvvisamente lei mi rispose: «Figlia mia dolce, ciò che hai chiesto ti è concesso; a te è tolto ogni peccato e a voi viene impartita l’assoluzione»; mi sembra che l’abbia detto insieme di me e della mia compagna, specificando «a voi». «Abbiate la mia benedizione e il vostro mangiare e bere è benedetto da Dio onnipotente per sempre, finché vivete in questo mondo».

Io mi chiesi se le elemosine, quando ci vengono fatte, ricevono tutte la benedizione o soltanto quelle che mangiamo. Subito mi fu risposto che venivano benedette tutte. «A chi ne darete, gioveranno secondo la maggiore o minore disposizione, tanto grande è la virtù che hanno ricevuto da colui che le ha benedette; chi ne riceverà, anche se è in peccato mortale, ne avrà giovamento, perché sentirà il desiderio di convertirsi più celermente a penitenza».
Allora l’anima avvertì che Dio era in lei e capì che era proprio così, per la gioia spirituale e il piacere divino che provò veramente.
La fedele aggiunse che ora, quando dice la preghiera prima di mangiare, viene sempre assicurata che le sono concesse tutte le cose di cui sopra, e sente che Dio si compiace e che si rallegra anche del fatto che lei, per scrupolo, dà la benedizione.
Le sembra che sia contento che non tralasci di farlo, per scrupolo, dal momento che non è sicura se è stata data, sebbene ogni volta le venga detto che la benedizione c’è stata.
Lei s’accorge che Dio le mostra un volto luminoso e che non gli dispiace che dia la benedizione ed è assicurata in modo evidentissimo.


13. Frammento

La fedele riferì pure che molte volte le fu detto: «Chiedi e fallo nel modo giusto e otterrai».


14. Rivelazione nel contesto eucaristico

Mi disse anche: – Quando stavo in chiesa, al momento in cui le persone si mettono in ginocchio, all’elevazione del Corpo di Cristo, mi fu fatta questa rivelazione: «Figlia mia, cara a mio Figlio».
Lo disse molto umilmente e provocando un nuovo sentimento nell’anima e massima dolcezza, e aggiunse: «Figlia mia, cara a mio Figlio e a me; mio Figlio è già venuto a te e hai ricevuto la sua benedizione».
Allora mi fece capire che suo Figlio era già sull’altare, dicendo cose nuove che mi procurarono grandissima gioia, tanta che non so parlarne né credo che ci sia qualcuno che possa farlo; anzi, dopo mi meravigliai d’essere potuta stare in piedi mentre gustavo tanta gioia.

Mi disse: «Dopo che hai ricevuto la benedizione di mio Figlio, è giusto che io venga a te e ti dia la mia benedizione, perché, come hai avuto la benedizione del Figlio, così riceva quella della Madre.
Abbi la mia benedizione e sii benedetta da mio Figlio e da me e cerca, quanto puoi, di amare, perché sei molto amata e perverrai a una realtà infinita».
Allora la mia anima provò una gioia tanto grande quanta non ne avevo mai gustata. Mentre quelle parole terminavano, il sacerdote elevò il Corpo di Cristo; io mi inginocchiai e lo adorai e la mia gioia aumentò. Prima, però, quando le altre persone si erano messe in ginocchio, io non mi ci ero potuta mettere, e durante la rivelazione ero restata in piedi.

Io domandai se aveva visto, come al solito, qualcosa nel Corpo di Cristo e lei rispose di no, ma precisò d’aver gustato veramente Cristo nell’anima. Io le chiesi: – Come sai che fu veramente così? – Lei rispose: – Perché c’è niente che abbracci tanto l’anima con fuoco ardente e con piacere d’amore, come Cristo che è nell’anima.
Non si trattava allora del fuoco che di solito ardeva in me, ma era un fuoco di soave amore. Quando esso è nell’anima, io non dubito, perché so che quanto avviene non può essere fatto da altri.
Tutte le membra si scompaginano e io accetto che sia così.
Tutte le membra provano grandissimo piacere e io vorrei stare sempre in quella condizione.
Allorché si scompaginano, le membra fanno anche rumore. Io faccio questa esperienza quando viene elevato il Corpo di Cristo, e le mie mani si disgiungono e si separano.



Capitolo V
Il ventiduesimo passo


1. Parabola del convito

La fedele mi disse che una volta, mentre stava chiedendo a Dio di comunicarle qualcosa di sé, si fece il segno della croce e pregò Dio di indicarle chi sono i suoi figli.
Egli, fra l’altro, le portò questo esempio: – «Mettiamo che ci sia un uomo che ha molti amici, li invita a un banchetto e dispone a tavola quelli che vanno; infatti, alcuni non accettano l’invito e per essi si addolora, perché ha preparato un convito molto abbondante. Sebbene voglia bene a tutti e a tutti offra il banchetto, nondimeno mette quelli che ama di più vicino a sé, alla mensa speciale, e con questi, che ama più intimamente, mangia in un’unica scodella e beve a un’unica coppa».

Io con grande compiacimento spirituale chiesi: «Quand’è Signore, che inviti tutti?».
Ed egli mi rispose: «Io ho amato e invitato tutti alla vita eterna; coloro che vogliono venire, vengano, perché nessuno può portare la scusa di non essere stato invitato. Se vuoi capire quanto li ho amati e scelti con piacere, guarda la croce».
Dopo disse: «Ecco, i chiamati vengono e sono disposti a tavola», e fece capire che era lui la mensa e il cibo.
Io chiesi: «Per quale strada son venuti i chiamati?». Ed egli rispose: «Per la via della tribolazione; sono i vergini, i casti, i poveri, i pazienti e i malati»; e nominò molti tipi di persone che si sarebbero salvate.
Di ogni parola capii il significato e la spiegazione e mi compiacqui molto e feci in modo di non muovere neppure gli occhi, per non perdere la consolazione. Questi furono definiti figli comuni.
In quella rivelazione disse che la verginità, la povertà, la febbre, la perdita dei figli, la tribolazione e la privazione della proprietà – e specificò molte cose con prove e spiegazioni che ben capivo – vengono mandate da Dio a quei figli, per il loro bene.
Essi non lo sanno e non se ne rendono conto, anzi all’inizio tribolano, ma poi sopportano in pace e riconoscono che è tutto permesso da Dio.

Invece gli invitati alla mensa speciale, che il Signore conduce con sé a mangiare in un’unica scodella e a bere a un’unica coppa, sono quelli che vogliono conoscere chi è l’uomo buono che li ha invitati, per potergli piacere. Dopo aver capito che hanno ricevuto l’invito, senza esserne degni e senza meritarlo, si danno da fare, per piacergli. Essi sono coloro che sanno d’essere stati amati molto da Dio onnipotente e se ne riconoscono indegni. Per scoprirlo, vanno alla croce, vi si fissano, la guardano e vi conoscono l’amore.


2. Due parabole

Allora all’anima fu detto che Dio Padre mandò suo Figlio per amore e che il Figlio, per venire, aderì a tale amore; che prima creò l’anima e poi la redense.
Per agire ordinatamente, egli mandò prima gli angeli e lasciò, per così dire, il Padre, il cielo e la sua dignità. Egli contò ad una ad una le sofferenze di tutte le membra, le fatiche e le parole dure e ingiuriose.
In questo mondo lasciò la Madre – e ciò fu per lui molto doloroso – e gli apostoli.
Allora, avendole chiesto quale fu il dolore più grande della Madre, la fedele rispose che fu quello del cuore.
In breve, a questi figli stretti sono assegnate tutte le cose proprie dell’amore, che sarebbe molto lungo elencare, ma l’anima allora le ascoltò e le gustò; solamente riferirle e sentirle non è nulla.

a) Prima parabola

– All’anima fu anche detto: «Ti meravigli del corpo di Cristo così afflitto e straziato? Quanto più ci si deve meravigliare della divinità, che permise che ciò avvenisse nel suo mantello, cioè nell’umanità, in cui c’è la stessa divinità».
Perché capissi, mi venne portato l’esempio di un uomo nobilissimo, che non può essere offeso nella sua persona, ma è oltraggiato e annientato nella sua casa, che viene distrutta al posto della sua persona.
Si dimostrò così che, sebbene Dio fosse impassibile, tuttavia, per amor nostro, permise che alla divinità fosse arrecata una grande offesa di fronte a tutti.
Questa parte relativa all’esempio l’ho curata poco; e ho ridotto e abbreviato, per la fretta, questo bel discorso e insegnamento divino, perché era molto lungo.

Allora l’anima fu infiammata dall’amore e quasi valutò poca cosa la passione del corpo di Cristo, rispetto all’amore della divinità.

Le fu detto ancora: «Poiché Dio ha fatto per te tutte queste cose ed è voluto nascere per te – questo vuol dire “scendere a tanta indegnità e bassezza” per te –, è giusto che tu nasca a Dio e muoia a te stessa, cioè ai vizi e ai peccati – questo vuol dire “salire a grande dignità”. – Dopo essere morta a te stessa e aver riconosciuto così grande amore, tu ricevi la vita della grazia e vivi in Cristo».
Ai figli stretti Dio permette grandi tribolazioni e lo fa come grazia speciale, affinché mangino con lui in un’unica scodella.
Cristo disse: «Io fui chiamato a questa mensa e il calice che bevvi era amaro, ma per l’amore diventò dolce.
Così, sebbene per questi figli, che conoscono i benefici ricevuti e sono nella grazia, le tribolazioni siano talvolta amare, esse diventeranno, per l’amore e la grazia che è in loro, dolci.
Anzi, essi sono più tribolati quando non sono afflitti, perché, quando maggiormente soffrono pene e persecuzioni, si dilettano di più e gustano Dio».


b) Seconda parabola

Cristo mi propose quest’altro esempio riguardo alla croce: «Mettiamo che ci sia un padre che ha dei figli che peccano».
Egli precisò come peccavano. «Mettiamo che il padre, innocente della colpa dei figli, a causa di essa venga ucciso».
All’anima fu presentato morto su una strada grande, come fosse un trivio, dove sembrava esserci del sangue. «È naturale e ragionevole che questi figli soffrano per la morte dolorosa del padre provocata con la spada, ed è ancora naturale che si addolorino, soprattutto perché è stato ucciso così crudelmente e in modo tanto indegno, per colpa loro.
Per questo portano sempre nel cuore un’afflizione tanto grande che evitano quella strada e si guardano bene dal passarvi.
Se poi capita loro di transitarvi, non possono farlo senza provare un dolore grandissimo, come se il padre fosse stato ucciso da poco.

Perciò, o anima, vedi quanto più grande deve essere la tua pena per la morte di Cristo, che è più che un padre terreno ed è morto per i tuoi peccati». Per questo disse: «Addolorati, anima, che devi passare presso la croce, sulla quale è morto Cristo. È necessario che ti ci metta sopra, perché è la tua salvezza e il tuo letto e deve essere il tuo piacere, in quanto in essa c’è la tua salvezza.
C’è da meravigliarsi che uno possa passarvi davanti tanto in fretta e non sostarvi».
Aggiunse che, se l’anima ci si fissasse, vi troverebbe quasi sempre sangue recente. Con questo esempio mi fece capire chi sono i figli legittimi di Dio.

Dopo queste cose, quando passavo presso la croce o i dipinti della passione, mi sembrava che non rappresentassero nulla a confronto della grandissima sofferenza da lui veramente patita, che mi era stata rivelata e impressa nel cuore; così non volevo guardare le pitture perché mi sembravano assolutamente poco, quasi niente.
Avendole fatto una domanda, la fedele, per assicurarmi che è vero che i figli di Dio provano la dolcezza divina nelle persecuzioni e nelle tribolazioni, come è stato già detto nel mirabile insegnamento divino, cominciò a dire che non poteva manifestare la dolcezza che provò e le lacrime di gioia che versò quando fu contrariata dai frati e dai penitenti.


3. Due esperienze

a) Prima

Avendole fatto una domanda, la fedele, per assicurarmi che è vero che i figli di Dio provano la dolcezza divina nelle persecuzioni e nelle tribolazione, come è stato già detto nel mirabile insegnamento divino, cominciò a dire che non poteva manifestare la dolcezza che provò e le lacrime di gioia che versò quando fu contrariata dai frati e dai penitenti.

b) Seconda

Dopo che mi ebbe riferito l’insegnamento divino sui figli comuni di Dio e su quelli speciali, i quali mangiano in un’unica scodella e bevono insieme a Cristo a un unico calice, che, sebbene amaro, diventa dolce a tal punto che per essi è molto piacevole, cominciai a contestare e dissi che era una cosa abbastanza aspra. La fedele allora mi riferì una storia, con cui si sforzò di farmi capire che non si trattava di una cosa aspra, ma dolce.

Raccontò: – Il giovedì santo dissi alla mia compagna che dovevamo cercare Cristo e aggiunsi: «Andiamo all’ospizio, forse troveremo Cristo tra quei poveri, addolorati e afflitti».
Portammo tutti i fazzolettoni che potemmo, dal momento che non avevamo altro, e dicemmo a Gigliola, inserviente dell’ospizio, di venderli e di comprare qualcosa da mangiare per i malati.
Lei, sebbene inizialmente si rifiutasse in modo deciso di farlo e dicesse che la stavamo insultando, tuttavia, per la nostra grande insistenza, vendette quei fazzolettoni e comprò del pesce, mentre noi portammo tutto il pane che ci era stato offerto per il nostro nutrimento.
Dopo aver servito loro queste cose, lavammo i piedi alle donne e le mani agli uomini, soprattutto a un lebbroso che le aveva molto putride e rovinate, e bevemmo parte di quella lavatura.
Provammo tanta dolcezza che percorremmo tutta la via del ritorno con grande soavità, come se ci fossimo comunicate.
Mi sembrò davvero d’aver fatto la comunione, perché provai una grandissima soavità.
Poiché una piccola parte di quelle piaghe mi si era fermata in gola, mi sforzai di deglutirla, ma la coscienza mi impedì di rimuoverla, come se mi fossi comunicata, sebbene volessi farlo, non per buttarla, ma per staccarla dalla gola.


4. Altre due parabole

a) Prima

Lo stesso giorno in cui avevo scritto, anche se non in modo completo, le cose precedenti, la fedele tornò nella sua cella e cominciò a dire, come al solito, il «Padre nostro della passione».
Appena ebbe finito, le furono rivolte queste parole: «Tutti quelli che, educati da Dio e illuminati per comprendere la sua via, rifiutano questa luce, chiudono le orecchie a questo insegnamento offerto loro in modo speciale da Dio, non vogliono ascoltare e prestare attenzione a ciò che Dio dice loro nell’anima, diventano grossolani e seguono una dottrina diversa da quella divina e vogliono percorrere contro coscienza la via comune, ricevono la maledizione di Dio onnipotente».
Questo le fu detto molte volte. Lei, infatti, si rifiutava di ascoltare, sembrandole una cosa molto dura, e temeva che non fosse vero che Dio dà la maledizione a quelli a cui prima ha offerto la luce e la grazia.
Allora le fu proposto l’esempio di una donna, che comincia a imparare a fare lavori delicati e ne ricava un tale profitto che è necessario che cambi maestra.

b) Seconda

Dopo questo esempio gliene fu fatto un altro e le fu detto di raccontarmelo, perché l’avrei capito meglio di quello della donna. Per questo, più volte, le fu ripetuto di riferirmi le parole precedenti e l’esempio, e le fu detto: «Raccontaglielo».
Allora fu proposto l’esempio di un ragazzo mandato a scuola dal padre, che fa per lui delle spese, lo fa vestire bene, fa sì che progredisca nel sapere e poi procura che passi a un maestro più bravo. Se lo scolaro si comporterà con negligenza, ritornerà allo stato secolare e al lavoro di una volta, e di quello che ha imparato non gli resterà nulla.
Così c’è chi prima viene istruito attraverso la predicazione o le Scritture, è illuminato in modo speciale da Dio e ottiene di comprendere con particolare illuminazione come seguire la via di Cristo. Perché la conosca, il Padre fa sì che prima sia istruito da altri e dopo lo ammaestra con speciale insegnamento e luce, come lui solo può fare.
Se costui agisce con negligenza, diventa a bella posta grossolano e, mentre Dio vuole che sia luce per gli altri, disprezza quella dottrina e quella luce, il Padre gli toglie la luce e la grazia e gli rivolge la maledizione.
La fedele mi riferì che aveva avuto dei dubbi sul fatto che la benedizione potesse mutarsi in maledizione, e l’incertezza era tanta che si era molto addolorata nell’ascoltare quelle parole.
Per questo confidò alla compagna che non voleva riferirmele, perché temeva che ci potesse essere qualche inganno. «Tuttavia, mi è stato detto di dirtele, perché qualcuna riguarda te, in bene – capii benissimo –, non in male».


5. Nota

La fedele mi raccontò che una volta Dio le propose un altro lungo insegnamento, come quello appena riportato.


6. Due esperienze

a) Prima

Un’altra volta Dio le disse e le mostrò molto efficacemente e dettagliatamente che lei era niente ed era stata creata da materia spregevole, che in lei non trovava alcuna bontà e che lui, il quale le vuol bene e può essere amato è una realtà grandissima e perfetta; quando lei ci ripensa, non può in nessun modo insuperbire né obiettare.
Infatti, dopo che scoprì la potenza divina e la propria meschinità, le fu detto: «Vedi che cosa sei tu! Io sono venuto per te!».
Quando vidi e capii cosa ero e cosa, offendendolo, ero diventata, compresi che non c’era nessuna creatura spregevole come me.

b) Seconda

La fedele mi disse pure che una volta, mentre nella preghiera chiedeva a Dio di istruirla, prima le fece comprendere che l’aveva offeso con ogni cosa, e specificò i capelli.
Io, data l’ora, non potei fissare per iscritto quel bellissimo, utilissimo e lungo insegnamento, perché dovevamo uscire dalla chiesa e dopo non l’ho più fatto, essendomi preoccupato di annotare altre cose.


7. Risposte a quattro domande

a) Prima

Io volli anche sapere e apprendere da lei come può essere conosciuto Dio nelle creature. Cominciai, perciò, a parlarle di un frate spirituale, di cui si diceva che conosceva bene Dio nelle creature. Io tuttavia ero turbato, a causa di un fatto, che mi aveva scandalizzato.
La fedele iniziò a dire e spiegare così: – Una volta venne da me una persona che affermava che c’era uno che conosceva Dio nelle creature.
Così cominciai a pensare se è più importante conoscerlo nelle creature o in se stessi, cioè nell’anima, e dopo mattutino iniziai a pregare Dio di rivelarmi quello che volevo sapere.
Allora mi fu proposto un esempio, che non ricordo completamente, ma mi sembra che si trattasse di un uomo grande e nobilissimo, che possedeva innumerevoli beni e aveva a suo servizio degli uomini che, partecipando a quei beni, capivano, attraverso la loro grande bontà, quanto fosse buono il padrone, dal quale ricevevano e partecipavano nient’altro che bene.
C’erano però altri uomini a servizio dello stesso padrone, i quali, sebbene lo conoscessero attraverso i suoi beni, lo conoscevano meglio attraverso la bontà della sua persona, che sperimentavano in se stessi.
Quando cercai di sapere le cose precedenti, lei disse che non solo di quelle non poteva parlare, ma neanche delle altre, su cui, mi sembra, avevo fatto delle domande, e allora smisi di scrivere.


b) Seconda

Un’altra volta le chiesi come poteva il Corpo di Cristo essere simultaneamente su ogni altare e lei mi rispose che in proposito aveva avuto da Dio questa spiegazione: – Ciò avviene per la potenza divina, che non può essere compresa in questa vita. Di essa parla la Scrittura; quelli che la leggono comprendono poco, mentre quelli che fanno esperienza di me capiscono di più, ma né gli uni né gli altri intendono bene in questa vita. Verrà comunque il tempo in cui capirete.

c) Terza

Una volta le chiesi di supplicare Dio per frate Domenico della Marca, perché non si ingannasse.
Mentre pregava intensamente, all’improvviso le fu data questa risposta: «Uno deve con grande sollecitudine restituire tutto quello che appartiene agli altri e sempre, finché vive, deve tenersi ciò che è suo e non deve mischiare nulla di suo con ciò che è degli altri».
Le fece l’esempio della beata Vergine e le disse: «Guarda mia Madre; lei tenne sempre ciò che era suo, e ciò che non lo era lo attribuì a Dio».
Portò anche l’esempio di come lui stesso tenne ciò che era suo. Comunque, egli non se ne privava, perché era sempre nel Padre e il Padre era in lui.


d) Quarta

La fedele mi disse: – Una volta ero stata pregata di parlare a Dio di alcune cose che voleva sapere frate E. della Marca. Egli mi chiese di dargli spiegazioni, ma io non osavo supplicare Dio riguardo a quelle cose, né potevo farlo, perché, sebbene allora volessi davvero conoscerle, mi sembrava un atto di superbia e di stoltezza pregarlo per quel motivo.
Mentre stavo pensando, improvvisamente la mia anima fu rapita e nella prima estasi fu posta a una mensa senza inizio e senza fine. Io, però, non fui condotta a vedere la mensa, ma quello che c’era sopra, e contemplai una pienezza inenarrabile di cui non posso dire nient’altro se non che era Ogni Bene.
Vidi la pienezza della divina sapienza, in cui compresi che non è lecito cercare e voler sapere ciò che lei vuol fare, perché questo vorrebbe dire precederla.
Da allora, quando incontro persone che cercano ciò che vuol. fare la divina sapienza, capisco che sbagliano e, grazie a quello che contemplai sopra quella mensa, cioè la divina sapienza, ho la capacità di giudicare con intelligenza tutte le persone e le cose spirituali, quando ne sento parlare o le sento raccontare.
Non giudico nel modo in cui ero solita farlo, peccando, ma con un giudizio vero, che capisco. Per questo, riguardo al nuovo tipo di giudizio non ho né posso avere il rimorso di peccare.
Io non so raccontare altro su quello che vidi, ma ricordo la parola «mensa» e mi torna in mente anche il fatto che nel primo rapimento fui posta a una mensa; delle cose che ammirai sopra di essa non posso però raccontare nient’altro oltre a quello che ho detto.



Capitolo VI
Il ventitreesimo passo


1. La potenza divina

Una volta Dio le rivolse queste parole: – «Io che ti parlo sono la potenza divina e ti concedo una grazia tale che, per mia volontà, non solo tu farai del bene a tutte le persone che ti vedranno, ma sarai anche di aiuto e giovamento a quelle che penseranno a te o sentiranno nominarti; tu farai più bene a quelli che mi possederanno di più».
Allora l’anima, sebbene provasse grandissima letizia, disse: «Non voglio questa grazia, perché ho paura che mi danneggi e che io possa vantarmene». Improvvisamente egli mi rispose: «Tu non hai da farci nulla, perché non è una cosa tua, ma ne sei soltanto custode. Conservala bene e restituiscila a chi appartiene».
A quel punto l’anima comprese che in questo modo non poteva arrecarmi danno, e mi sembra che Dio osservasse: «Mi fa piacere che tu ne abbia timore»; e aggiunse: «Fa’ quelle tre cose che ti sono state dette. Provaci, perché, quando le avrai messe in atto, ti sarà accordato ciò che hai domandato a mia Madre e non hai ancora ricevuto».

Io avevo chiesto alla beata Vergine di impetrarmi da suo Figlio, in occasione della festa ormai vicina, la grazia di capire che non mi ingannavo nelle parole che mi venivano rivolte. Allora rimasi con la gioia di tale rivelazione e nella grande speranza che la beata Vergine mi avrebbe ottenuto le cose richieste, come mi fu promesso nella rivelazione.
Dopo cominciai a fare quelle tre cose, di cui in una rivelazione avevo sentito parlare così: «Dio ti si mostra, ti ha parlato e ti ha fatto fare esperienza di sé, affinché tu eviti di vedere, dire e ascoltare ogni cosa che non è secondo lui». Io mi accorsi che queste parole mi venivano dette con molta discrezione.
Subito dopo aver iniziato a farle, il mio cuore fu liberato da tutte le cose terrene e fu posto in Dio, cosicché non potevo pensare e vedere nient’altro che lui.
Se parlavo, mangiavo o facevo qualche altra cosa, non ero impedita di avere sempre il mio cuore rivolto a Dio.

Quand’ero in preghiera e volevo andare a mangiare, gli chiedevo il permesso. Infatti, prima mi aveva detto che mi sarebbe stata concessa la grazia di fare così qualsiasi cosa.
Per questo egli stesso mi diceva: «Va’, mangia con la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» , e talvolta mi dava il permesso presto, altre volte tardi. Questo durò tre giorni e tre notti.


2. Tentazioni e visioni

Durante questa esperienza, un giorno, mentre pigramente sedevo in casa, mi furono rivolte queste parole: «Chi ti parla è san Bartolomeo, che fu scuoiato», e lodava molto se stesso e me e diceva che quel giorno era la sua festa.
Egli mi riempì l’anima di tristezza e divagazione, e uscii dalla preghiera e non potei più raccogliermi. Poi mi accorsi che aveva mentito, perché quel giorno non era la festa sua, ma di santa Chiara. La tristezza e la divagazione durarono dieci giorni, fino all’ottava di santa Maria di agosto, quando andai ad Assisi.
Allora mi confessai, come meglio potei, per riordinare la mia anima e prepararmi alla comunione.
Mentre si cantava la Messa, mi misi vicino alla croce che sta fra le grate di ferro e Dio mi rivolse alcune dolcissime parole, che subito risollevarono tutta l’anima.
Disse: «Figlia mia cara», o meglio: «Figlia mia cara, nessuna creatura ti può dare consolazione all’infuori di me». Poi disse: «Ti voglio mostrare qualcosa della mia potenza».

Subito mi furono aperti gli occhi dell’anima e vidi la pienezza di Dio, in cui compresi tutto il mondo, quello che è al di là del mare e quello che è al di qua, 1’abisso, il mare e tutte le cose. In tutto questo non distinsi altro che la potenza divina, in maniera assolutamente inenarrabile.
Allora l’anima, molto meravigliata, gridò: «Questo mondo è pregno di Dio!», e capii che tutto il mondo, quello al di là del mare e quello al di qua, l’abisso, il mare e tutte le cose, son quasi poca cosa, mentre la potenza di Dio supera e riempie tutto.
Egli disse: «Ora ti ho rivelato qualcosa della mia potenza», e io compresi che dopo avrei potuto meglio capire le altre cose. Aggiunse: «Ora vedi l’umiltà», e io contemplai l’umiltà di Dio di fronte agli uomini, tanto profonda che l’anima, comprendendo la potenza inenarrabile e vedendo tanto profonda umiltà, si meravigliò, credette di essere assolutamente nulla e non riconobbe in sé quasi nient’altro che superbia.
Allora cominciai a dire che non mi volevo comunicare, perché mi sembrava d’essere del tutto indegna e lo ero davvero in modo assoluto.

Dopo avermi mostrato la potenza e l’umiltà, egli disse: «Figlia mia, una creatura può arrivare a questa visione solo per grazia divina, e tu ci sei pervenuta». Essendo vicina l’elevazione del Corpo di Cristo, egli disse: «Ecco, la potenza divina ora è sull’altare e io sono dentro te e, sebbene tu mi riceva, mi hai già ricevuto. Comunicati con la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Io, che sono degno, ti rendo degna».
Allora rimasero in me un’inenarrabile dolcezza e una grande gioia, che credo non mi mancheranno più in vita.
Su questo non ebbi alcun dubbio, anzi credo che mi fu concesso quanto avevo chiesto alla Madre di Dio di impetrarmi da suo Figlio; io fui esaudita e si realizzò la promessa fattami in quella rivelazione.


3. Dubbi e chiarimenti

Una volta, mentre giaceva a letto malata, Dio le disse: – «Tale frate è diventato guardiano ed è sicuramente confermato»; poi aggiunse: «Di’ alla tua compagna che senza dubbio è stato confermato». Allora capii subito che, se non era stato confermato guardiano dei frati, si doveva intendere spiritualmente, cioè guardiano delle cose di Dio.
Dopo mi resi conto che per me erano parole oscure, ed egli aggiunse: «Di’ a quel frate con sicurezza che è stato confermato guardiano». Lo fece, perché avevo esitato a riferirglielo.
Mentre giacevo a letto malata, mi disse: «Alzati e sta’ in ginocchio e a mani giunte».
Io, a causa della malattia, non mi fidavo di farlo e tuttavia mi alzai vicino al letto e non feci come lui mi aveva detto, ma mi sedetti. Allora, dopo essermi alzata, mentre stavo seduta vicino al letto, molte volte sentii dire e ripetere quanto sopra.
Dopo, egli aggiunse: «Alzati e battiti il petto e confessa il peccato di fronte alla compagna, perché non hai obbedito».
Io mi alzai con grande letizia, molto agilmente e gioiosamente, come se prima non avessi sofferto dolori e malattia, e non provai pena o debolezza.
Allora confessai a Dio la mia colpa, alla presenza della mia compagna, ed egli disse: «Di’ queste parole: Lodata e benedetta sia la santa Trinità e la santa Vergine Madre Maria», e io le recitai molte volte con grande letizia e godimento.

In quel periodo soffrivo e mi sembrava di non gustare Dio, ma di essere quasi abbandonata da lui. Non potevo confessare le mie colpe; da una parte pensavo che forse questo mi capitava a causa della mia superbia e dall’altra vedevo in me così profondamente i miei molti peccati, che mi sembrava di non poterli confessare con la dovuta contrizione, ma di poterli solamente dire con la bocca.
Mi sembrava di non essere in grado di manifestarli. Non potevo neppure lodare Dio né stare in preghiera.
Delle cose di Dio sembrava che mi fosse rimasto solamente il fatto che non ero afflitta tanto quanto meritavo, e ugualmente che non volevo allontanarmi da lui con il peccato per tutti i beni o i mali e i martiri del mondo e acconsentire ad alcun male. In questo modo forte e orribile fui afflitta per quattro settimane e più.

Successivamente mi furono rivolte queste parole divine: «Figlia mia, amata da Dio onnipotente e da tutti i santi del paradiso, Dio ha riposto in te il suo amore e ne ha più per te che per qualsiasi altra donna della valle di Spoleto».
L’anima rispose gridando: «Come posso crederlo, dal momento che sono piena di tribolazioni e mi sembra d’essere stata abbandonata da Dio?». Egli rispose: «Più ti sembra d’essere abbandonata, maggiormente sei amata da Dio e più lui ti è vicino».
Poiché ancora chiedevo maggiore certezza e sicurezza sulle cose precedenti, egli mi disse: «Ti do un segno per dimostrarti che sei amata in quel modo; se quel frate sarà guardiano, saprai che è vero quello che ti ho detto».

Quando venne l’ora di mangiare, pregai Dio di togliermi ogni peccato, di darmi lui stesso l’assoluzione, per i meriti della sua santissima passione, e di dare la sua benedizione a me, alla mia compagna e a te.
Allora mi disse: «I peccati ti sono stati tolti; vi do la benedizione con quella mano, che fu confitta alla croce». A quel punto mi sembrò veramente di vedere quella mano benedicente e capii che la benedizione veniva data sul capo di noi tre e mi compiacqui nella visione di quella mano.
Egli aggiunse: «Abbiate in eterno la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» , e io compresi che si riferiva a noi tre.
Egli prima aveva detto: «Di’ a quel frate che si impegni a farsi piccolo. Digli che è molto amato da Dio onnipotente. Si impegni ad amare».


4. Tentazione diabolica ed esperienze mistiche

Dopo questo discorso, lo stesso giorno, volendo mettermi a lavare la lattuga, si introdussero in me queste parole ingannatrici: «Come, ti abbassi a lavare la lattuga?». Allora, comprendendo in modo chiaro l’inganno, risposi con sdegno e tristezza, poiché quelle parole avevano generato in me un dubbio riguardo alle altre rivelazioni, e dissi: «Sono degna d’essere mandata da Dio subito all’inferno e di raccogliere lo sterco!».
Un po’ dopo quella tristezza e quel turbamento, mi parlò con grande letizia e disse: «È bene che il vino sia temperato con l’acqua», e subito la tristezza fu alleggerita e allontanata.

Tutto quello che ho riferito riguardo alla rivelazione avvenne di venerdì e cominciò prima dell’ora nona e continuò sin dopo il pasto. Fino a quel giorno avevo provato tristezza per quattro settimane e più, ma quel venerdì gustai la gioia di cui ti ho parlato; essa non fu tanta da togliermi la tristezza, ma la attenuò.
Prima non avevo la piena volontà di confessarmi; a quel punto, invece, cominciarono a venirmi la voglia e il desiderio di fare la confessione e la comunione, ed egli mi disse: «Mi fa piacere che ti comunichi, perché, sebbene mi riceva, già mi hai ricevuto, e anche se non mi ricevi, già mi hai ricevuto.
Se vuoi, comunicati domani con la benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo e fallo in onore di Dio onnipotente, di santa Maria vergine e di questo santo».
Egli si riferiva a sant’Antonio, la cui festa ricorreva il giorno dopo, cioè il sabato, e aggiunse: «Ti sarà concessa una grazia nuova, che finora non hai ricevuto».

La mattina seguente aspettai che quel frate venisse ad ascoltare la mia confessione, per potermi comunicare, come mi era stato detto nella rivelazione. Quando vidi che l’ora terza passava e il frate, che attendevo, non veniva, io e la mia compagna cominciammo ad affliggerci e lei iniziò a piangere.
Allora, all’improvviso ci fu questa rivelazione: «Non ti rattristare, perché questa e l’altra tribolazione sono il tuo bene e si verificano solo per il tuo bene. Tu non perderai la grazia che ti è stata promessa, e non ne avrai di meno, ma di più».
Io però non ci credevo e pensavo che fosse una cosa di cui dubitare, ed egli mi disse: «Credilo, perché ciò che ti sto dicendo, che cioè non perderai la grazia promessa, tanto varrà quanto valse quello che ti dissi quando ti promisi la grazia nella comunione».
In seguito a queste parole rimasi in una grande pace e confortai la mia compagna, perché non piangesse e non si affliggesse, dal momento che mi era stato assicurato che non avrei perso quella grazia.

Il giovedì seguente andai in chiesa e un frate pronunciò una parola che mi spinse a confessarmi e comunicarmi. Allora mi confessai da lui e mi fu restituita la grazia di fare la confessione, e mentre si diceva la Messa mi fu donata un’illuminazione, grazie alla quale mi vidi tanto piena di peccati e difetti che persi la parola e non potei parlare e pensai che la comunione, che ero in procinto di fare, sarebbe stata per me motivo di condanna.

Successivamente mi fu concessa una stupenda disposizione, per la quale mi potei mettere tutta dentro Cristo; lo feci con grande fiducia e certezza, più del solito e più di quanto, per come ricordo, abbia mai sperimentato.
Mi misi in lui come morta, con la stupenda certezza che mi avrebbe ridato la vita. Quando mi comunicai, feci un’inenarrabile esperienza di Dio ed egli lasciò in me una pace con cui sono in grado di comprendere e meglio sperimentare che ogni tribolazione presente, passata e futura è per il mio bene e sono contenta che mi sia tolto qualcosa di Dio.
Mi fu concessa una grazia nuova, che non avevo ricevuto prima, e quella comunione fece pervenire la mia anima alla visione e al desiderio di donarsi tutta completamente a Cristo, poiché capì che lui si è dato tutto a noi.
Ora mi compiaccio in modo nuovo del desiderio del martirio, lo aspetto, lo desidero, mi rallegro più del solito in tutte le pene che ci possono essere e ne sento il desiderio.

Dopo questo la pregai di supplicare Dio perché ci illuminasse riguardo al dubbio precedente. Le fu detto: – «Di’ a quel frate”: “Com’è che in tutta quella tribolazione, quando le sembrava d’essere abbandonata, lei non amò di meno, ma di più?”. Digli: “Sono io a sostenerla, perché, se non lo facessi, annegherebbe”; e aggiungi: “Quanto detto sopra ti era nascosto”».
Disse: «Ti porto l’esempio terreno del padre, che ha un figlio molto caro, a cui dà dei cibi misurati. Glieli dosa lui stesso, affinché gli giovino di più; non gli permette di bere vino puro e di mangiare eccessivamente, perché non ne subisca danno, ma gli regola tutto, affinché cresca di più».

La fedele disse: – Da allora molte volte Dio fa nell’anima cose meravigliose e capisco che non potrebbe compierle nessuna creatura, ma solo lui: l’anima viene improvvisamente rapita in Dio con tanta letizia che, se durasse, credo che il corpo perderebbe subito tutti i sensi e tutte le membra. Dio però fa spesso un gioco nell’anima e con l’anima, perché, quando lei brama trattenerlo, si ritira subito.
Tuttavia resta in lei una grandissima letizia e insieme ha tanta sicurezza che si tratta di Dio che non ne dubita in nessun modo né in minima parte. Di tale visione ed esperienza non so dire a cosa somigli e neppure so nominarla, ma, sebbene sia una cosa totalmente inenarrabile, posso dire che si verifica in modo diverso dal solito, provoca un’altra e differente letizia ed è più frequente.
L’anima non vi si può fissare; ne esce subito e in lei rimane una grande gioia.
La fedele, quando scrivevo, mi disse così: – Io aspetto che mi venga concessa una letizia ancora maggiore.


5. Visioni del Crocifisso

Poco tempo dopo aver scritto queste cose, feci con cura delle domande alla fedele e lei mi riferì quanto segue: – Una volta ero ai vespri e contemplavo la croce. Guardando il Crocifisso con gli occhi del corpo, subito, all’improvviso, l’anima fu accesa d’amore e tutte le membra gustarono una gioia grandissima.
Vidi e sentii che Cristo abbracciava in me l’anima con quel braccio che era stato fissato alla croce; questo avvenne allora o poco dopo.
Io godetti con lui più del solito, con grande letizia e sicurezza, e da allora l’anima è rimasta in quella gioia, grazie alla quale comprese in che modo quell’Uomo, vale a dire Cristo, è in cielo, come cioè la nostra carne è diventata un’unica società con Dio.
Questo è un piacere spirituale assai migliore di quanto si possa scrivere o raccontare; la gioia è continua e in me c’è tanta sicurezza che, se tutte le cose che abbiamo scritto non fossero vere, in nessun modo dubiterei di Dio e del fatto che questa mia condizione viene da lui.

Sono tanto sicura di Dio che, se tutti gli uomini dicessero che ho motivo di dubitare, non ci crederei; anzi, ricordandomi di quando avevo incertezze e chiedevo di essere rassicurata, mi meraviglio, perché ora non posso in nessun modo dubitare di Dio.
Mi compiacqui tanto nel vedere quella mano che con i segni dei chiodi farà vedere quando dirà: «Ecco quello che ho sofferto per voi».
La gioia, che l’anima vi prova, non può essere in alcun modo narrata; in nessun modo ora posso rattristarmi della passione, ma mi diletto nel vedere quell’Uomo e nell’andare da lui, e tutta la mia gioia è ora nel Dio-uomo straziato.

Talvolta all’anima sembra di entrare con tanta gioia e piacere nel costato di Cristo e ci va con così grande letizia, che in nessun modo si può dire o raccontare. Per questo, quando fu rappresentata la passione di Cristo nella piazza di Santa Maria, mi pareva di dover piangere; al contrario fui miracolosamente rapita e allietata con tanta gioia che persi la parola e caddi a terra, dopo aver cominciato a provare quell’inenarrabile gusto di Dio.
Prima avevo cercato anche di allontanarmi un po’ dalle persone, e avevo considerato un miracolo l’averlo potuto fare; ma poi caddi a terra, persi la parola e il controllo di me stessa, e mi sembrò che l’anima entrasse nel costato di Cristo. In questo non provai tristezza, ma, al contrario, una letizia tanto grande che non può essere raccontata.

Prima però di quello che ho appena riferito, molte volte io e la mia compagna abbiamo pianto e desiderato. Il mio desiderio era di non essere ingannata e di averne la sicurezza. Pensai: «Se posso avere questa certezza, su di essa si fonderà tutta la mia vita». Ora sono così sicura, che non ho né posso in nessun modo avere dei dubbi.


6. Una questione teologica e nuove visioni

Una volta, dopo le cose riferite sopra, tornato dalla Lombardia, feci alla fedele una domanda su un problema che io e il mio compagno avevamo trattato durante il viaggio. Come gli avevo promesso, interrogai su quella questione la fedele, che mi rispose così: – Una volta, mentre pregavo, chiesi a Dio, non perché avessi qualche dubbio, ma perché volevo saperne di più: «Signore, perché ci hai creati e dopo hai permesso il peccato? Perché hai lasciato che i nostri peccati ti causassero una grandissima passione, avendo potuto benissimo farci esistere senza queste cose, e permetterci di piacerti e raggiungere la medesima misura di virtù che ora, dopo tali cose, abbiamo?».
L’anima capiva senza dubbio alcuno quanto dicevo, cioè che Dio, a prescindere da quelle cose, avrebbe potuto renderci partecipi della virtù e della salvezza, ma mi sembrava d’essere costretta e spinta a interrogare e pensare in quel modo.
Infatti, allora ero in preghiera e volevo rimanervi e non intendevo smettere, ma – così mi sembrava – Dio mi spingeva a trattare quel problema.
Io feci tale richiesta per più giorni, senza aver dubbio alcuno, come ho già detto, e mi fu concesso di capire che Dio l’aveva fatto e permesso perché in tal modo ci veniva manifestata meglio la sua bontà e perché si addiceva meglio a noi. Questo, però, non mi convinse tanto da farmi capire pienamente la questione.

Poiché comprendevo in modo certissimo che Dio avrebbe potuto salvarci diversamente, se lo avesse voluto, una volta l’anima fu rapita e vide che quanto chiedevo non aveva né inizio né fine.
Essendo in quella tenebra, l’anima voleva ritornare in sé, ma non poteva; non era in grado di andare avanti né di tornare indietro. Successivamente, all’improvviso, fu rapita e illuminata e vide la potenza inenarrabile di Dio e la sua volontà, nelle quali capì in modo pienissimo e certissimo tutte le cose su cui avevo fatto delle domande.
Subito fu tirata fuori dalla tenebra precedente. Per questo, mentre nella tenebra giacevo a terra, nella grandissima illuminazione stetti dritta, poggiata sulle punte delle dita grosse dei piedi.
Ero in una grande letizia, agilità, salute e rigenerazione fisica, come mai c’ero stata, ed ero in tanta pienezza di splendore divino, che in quella potenza e volontà di Dio non solo con massima gioia capii le cose che avevo chiesto, ma compresi ed ebbi piena spiegazione riguardo a tutte le creature, a tutti i salvati, a quelli che si dovevano salvare, a quelli che si sarebbero dannati, ai demoni e a tutti i santi.

Io però ora non posso assolutamente spiegare queste cose con nessuna parola, perché sono completamente al di sopra della nostra natura. Sebbene allora capissi a fondo che Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto fare in modo diverso, tuttavia non potevo ammettere che avrebbe potuto farci conoscere meglio e insegnarci meglio la sua potenza e la sua bontà.
Da allora sono così contenta e rassicurata che, se sapessi in modo certissimo che devo dannarmi, per nessuna ragione me ne potrei addolorare e non mi adopererei né cercherei meno di pregare Dio e di onorarlo.
Egli lasciò nella mia anima pace, quiete e solidità, io non ricordo d’averle mai avute così pienamente, e sono di continuo in tale condizione. Mi sembra che tutte le cose avute in passato non siano state di così grande consistenza; mi lasciò anche la mortificazione dei vizi e la sicurezza delle virtù, o meglio le virtù, grazie alle quali amo tutte le cose fatte bene e anche quelle fatte male, nel senso che non ne provo dispiacere.

La fedele mi disse che potevo e dovevo capire che nella potenza e nella volontà di Dio, che lei contemplò, le era stata data una risposta esaustiva su ogni questione: su coloro che si dovevano salvare, su coloro che si sarebbero dannati, sui demoni e sui santi.
Aggiunse che, sebbene dovesse preoccuparsi più di sé che di qualsiasi altra creatura, se avesse saputo che si sarebbe dannata non se ne sarebbe rattristata, talmente bene aveva compreso la giustizia di Dio.

Dopo aver visto così la potenza e la volontà di Dio, subito – mi sembra – l’anima fu ancor maggiormente rapita ed elevata, e allora non vidi la potenza o la volontà nel modo precedente, ma contemplai una cosa stabile, ferma, così indicibile che non posso dir nulla se non che era Ogni Bene.
L’anima fu in una letizia assolutamente inenarrabile, e non vide l’amore, ma quella realtà indicibile. Io ero stata tirata fuori dalla condizione precedente e posta in questo massimo e ineffabile stato e non so se, quando mi ci trovai, ero nel corpo o fuori del corpo.
Il problema, di cui Dio parlò in modo così miracoloso alla fedele, è più o meno il medesimo che io e il mio compagno avevamo sollevato e trattato tornando dalla Lombardia.



Capitolo VII
Il ventiquattresimo passo


1. Introduzione

La rivelazione sulla passione del Signore, descritta all’inizio di questo quinto passo dell’unione divina e dell’amore, per mia iniziativa fu prima scritta in volgare da un ragazzo, nel periodo in cui, per la proibizione dei frati, non potevo parlare con la fedele né scrivere quello che diceva.
Perciò fu stesa in modo molto abbreviato e malamente, come lei stessa osservò; per questo, quando gliela lessi, mi invitò a correggerla prima di tradurla, ma poiché non ho avuto il tempo di farlo insieme a lei, l’ho volta in latino come l’ho trovata, senza aggiungere nulla, anzi ho fatto come il pittore mentre dipinge, perché non la capivo. Quello che segue, perciò, l’ho trovato scritto in volgare.


2. Tre visioni di Cristo

a) Prima

La fedele riferì così: – Una volta stavo meditando sulla povertà del Figlio di Dio, che si è fatto uomo. Ne contemplai tanta quanta lui me ne mostrò nel cuore e volle che ne vedessi.
Conobbi coloro per i quali si è fatto povero e allora provai e soffrii tanto dolore e rimorso, che il mio corpo quasi svenne.
Fu ancora volontà di Dio mostrarmi qualcosa di più della povertà e vidi il Figlio di Dio povero di amici, di parenti e di se stesso e tanto povero che sembrava non potersi difendere.
Sebbene si affermi che la divina potenza allora era nascosta dall’umiltà, io dico che non lo era, e da Dio ne ricevetti una dimostrazione e provai e soffrii maggior dolore di prima, perché conobbi tanto la mia superbia, che da allora non posso più provar gioia.


b) Seconda

Io stavo ancora meditando sulla passione del Figlio di Dio incarnato, e lo facevo con dolore, quando, per volontà di Dio, della sua passione mi fu mostrato ed egli stesso mi fece vedere più di quello che avevo sentito dire fin allora.
Egli stesso si accorse che della passione venivo a conoscere più di quanto avessi sentito dire. Capivo che Cristo vedeva tutti i cuori empiamente ostinati contro di lui, tutte le membra che distruggevano con grande cura il suo nome e si ricordavano bene di lui per annientarlo, tutte le astuzie che mettevano in atto contro di lui, Figlio di Dio, tutti i loro consigli – la gran quantità di consigli – e le loro grandissime ire, tutti i preparativi e i progetti che facevano per poterlo affliggere più crudelmente, e tutte le sofferenze, le ingiurie e le vergogne.
Fu grande la crudele sofferenza della sua passione! La mia anima comprese della passione di Cristo più di quanto voglio dire; anzi, voglio tacere.
Allora l’anima gridò forte: «O santa Maria, Madre dell’Afflitto, dimmi qualcosa della pena di tuo Figlio, di cui non sento parlare, perché tu hai visto della passione più di qualsiasi santo; infatti, so che la contemplavi con gli occhi e con l’immaginazione e avevi continuamente premura per il tuo Amore!».
Allora l’anima gridò con grandissimo dolore: «C’è qualche santo che mi sappia dire qualcosa della passione, di cui non sento parlare o pronunciare parola, e che la mia anima vede ed è così grande che non riesco a descriverla?». Tanta passione vede l’anima mia!

La fedele, raccontando queste cose, mi disse che la sua anima contemplò tanta passione che, sebbene santa Maria abbia visto, in molti modi – e li specificava – più di qualsiasi santo, capi che in nessuna maniera, né lei né un santo, poteva parlarne.
Precisò di comprenderla tanto che, se qualcuno gliene avesse parlato, gli avrebbe detto: «Sei tu che l’hai sofferta».
La fedele aggiunse: – Allora provai un dolore tanto più grande di quello sperimentato in passato, che, se il mio corpo veniva meno, non c’era da meravigliarsi. Infatti, non fui in grado ancora di gustare la gioia e persi il vigore, che di solito mi rendeva lieta, e in quel periodo non potei esserlo.

c) Terza

Un’altra volta ebbi una rivelazione riguardo all’acuto dolore che fu nell’anima di Cristo e non mi meravigliai del fatto che fosse grande, perché quell’anima era nobilissima e non meritava di ricevere alcuna punizione, ma accettò quella che gli fu inflitta, per l’amore grandissimo che nutrì per noi.
Poiché l’uomo offende Dio non con il corpo ma con l’anima, mi resi conto che quella del Figlio di Dio ebbe motivo di essere addolorata, e poiché il peccato fu grande e furono molte le persone che lo commisero, il suo dolore dovette essere grande. «Tu hai provato afflizione a causa della grande compassione che hai avuto per i tuoi eletti, e poiché si preoccupavano di annientarti e non ti conoscevano, capisco che fosti completamente abbandonato».
Questa è una grande lode della bontà divina e la maggiore pena dell’umanità; se però lo dicessi, credo che sarebbe ritenuto un errore.
Chi non capisce, creda, perché io non voglio dire di più.
L’anima di Cristo provò anche dolore per le afflizioni e le sofferenze del suo corpo, che si radunarono tutte in lei; questo acuto dolore, che fu tanto grande che la lingua non basta a descriverlo né il cuore a pensarlo, si verificò secondo il piano salvifico di Dio. Io, infatti, vedo tanta afflizione nell’anima del Figlio di santa Maria vergine, che sono afflittissima e trasformata in un grande dolore come mai lo sono stata, e perciò non posso trovare gioia alcuna.


3. Unione delle volontà

Successivamente la divina bontà di due volontà ne fece una sola, di modo che non posso volere se non come vuole Dio.
È un gesto di grande misericordia, quello che ha prodotto tale unione! La divina bontà produsse nella mia anima una condizione di stabilità; ora subisce poche variazioni e posseggo Dio in grande pienezza. Non mi trovo più nella solita condizione, ma sono stata condotta a una pace, in cui sto con lui e sono contenta di ogni cosa.


4. Nota

Finisce qui quanto trovai scritto in volgare


5. Con Cristo nel sepolcro

Il sabato santo, dopo i fatti precedenti, la fedele mi riferì le stupende gioie, che aveva sperimentato riguardo a Dio.
Fra le altre cose mi disse che quello stesso giorno, durante un rapimento, era stata con Cristo nel sepolcro e aggiunse d’aver prima baciato il petto di Cristo e poi la sua bocca – lo vide disteso con gli occhi chiusi, come quando giaceva morto – e di aver percepito un odore meraviglioso e inenarrabilmente piacevole che usciva dalla bocca.
Precisò che a quel punto ci fu una breve sosta e che dopo mise la sua guancia sopra quella di Cristo ed egli pose la sua mano sopra l’altra guancia di lei e la strinse a sé e le rivolse queste parole: «Prima di stare nel sepolcro, ti tenni stretta così»
Sebbene capisse che era Cristo a dire tali parole, tuttavia notò che stava disteso, con gli occhi chiusi, senza muovere le labbra, come quando giacque morto nel sepolcro. Lei gustò una gioia grandissima in modo inenarrabile.


6. Tre visioni dell’amore

a) Prima

La fedele raccontò che una volta, in Quaresima, le sembrava d’essere molto arida e pregò Dio di darle qualcosa di sé, dal momento che era priva di ogni bene.
Allora le furono aperti gli occhi dell’anima e contemplò l’Amore che veniva pian piano verso di lei. Vide l’inizio, non la fine; era una realtà continua, e lei non sapeva indicarne il colore.
Subito, quando le arrivò vicino, le sembrò di vedere chiaramente con gli occhi dell’anima, più di quanto si possa con quelli del corpo, che produceva nella sua direzione la forma di una falce.
Non si trattò di una forma misurabile, ma fu come quella di una falce, perché l’Amore si ritrasse, senza comunicarsi nella stessa misura in cui si era dato a conoscere e in cui lei lo comprese.
Per questo la fece languire di più. Non fu una forma misurabile o sensibile, perché ebbe luogo nell’intelletto, secondo l’ineffabilità della grazia divina.
Dopo queste cose, fu subito riempita d’amore e d’inestimabile sazietà, che, sebbene appagasse, generava una grandissima fame, tanto inestimabile che allora tutte le membra si scompaginarono.
L’anima languì e desiderò raggiungere Dio e non volle sentire né vedere alcuna creatura. Non parlò all’esterno – del resto non sapeva cosa dire – ma dentro di sé, gridando a Dio di non farla languire con una morte così grande, perché considerava come morte la vita.
Per questo prima invocò la beata Vergine e poi implorò e supplicò tutti gli apostoli di andare con lei, genuflettersi e chiedere all’Altissimo di non farle patire la morte, cioè questa vita, ma di farle raggiungere Colui che sperimentava.
Ugualmente supplicò il beato Francesco e gli evangelisti e gridò. La fedele in quell’occasione disse parecchie altre cose.

b) Seconda

Raccontò: – Ci fu una rivelazione divina. Mentre mi credevo tutta amore, per l’amore che provavo, egli disse: «Molti credono di stare nell’amore e sono nell’odio e molti, al contrario, credono di stare nell’odio e sono nell’amore».
L’anima chiese: «Forse che io, che sono tutta amore, sono nell’odio?». Allora egli non dette una risposta con le parole, ma mi concesse di vedere in modo chiaro e di sentire in modo certissimo che ero nell’amore; io rimasi tutta contenta, e non credo di poter restare in futuro priva di quella certezza.
Non potrei credere a nessuna creatura che mi dicesse diversamente; anche se lo facesse un angelo, non gli crederei, ma gli risponderei: «Tu sei colui che cadde dal cielo».
Allora notai in me due parti, come se fosse stata tracciata una strada. Da un lato vidi ogni amore e bene, che proveniva da Dio e non da me, e dall’altro mi vidi arida e capii che da me non veniva nessun bene.
Per questo compresi che, sebbene fossi tutta nell’amore, non ero io ad amare, ma dipendeva solamente da Dio. Successivamente l’unità si ricompose e questo mi procurò un amore più grande e ardente – molto più di prima – e desiderai raggiungere l’Amore.

Tra il primo amore – che è così grande che a stento posso credere che ce ne possa essere uno maggiore – e 1’amore mortale e il massimo ardore c’è una cosa di mezzo, di cui non posso raccontare nulla, perché è di tanta profondità, gioia e gaudio, che non può essere narrata.
Quando mi trovo in quella situazione, non vorrei ascoltare assolutamente niente sulla passione e vorrei che Dio non venisse nominato, perché lo sento con tanto godimento che ogni altra cosa, in quanto minore, sarebbe un impedimento, e mi sembra che nulla venga detto dal vangelo o da qualche rivelazione, perché vedo cose ancora più grandi.
Quando resto priva di quell’amore, rimango tanto contenta e angelica, che voglio bene ai rospi, ai serpenti e anche ai demoni, e qualsiasi cosa vedessi fare, anche il peccato mortale, non mi dispiacerebbe, cioè non ne proverei rammarico, credendo che Dio giustamente lo permette.
Se un cane mi sbranasse, non me ne curerei e credo che neppure proverei afflizione o dolore. Questo è un grado più alto che stare ai piedi della croce, come ci stette il beato Francesco, sebbene l’anima frequenti l’uno e l’altro livello e contempli e desideri vedere e raggiungere quel Corpo sacrificato per noi.
Allora l’anima sta in una grandissima gioia d’amore, senza il dolore della passione.
Io le chiesi se ci sono lacrime e lei rispose che non ce ne sono assolutamente.
Una volta però si mise insieme a questo amore il ricordo dell’inestimabile prezzo, cioè del sangue prezioso, attraverso il quale è e fu concesso il perdono. Io mi meravigliai che tale ricordo potesse stare insieme all’amore.
La fedele aggiunse: – Ora raramente c’è il dolore della passione, ma la sua meditazione è per me la via per la quale apprendo il modo in cui devo comportarmi.


7. Visione della beata Vergine e di Cristo

La fedele disse: – Una volta improvvisamente l’anima fu rapita – non ero in preghiera, ma mi ero messa a riposare dopo il pasto e perciò pensavo ad altro – e contemplai la beata Vergine nella gloria. Comprendendo che una donna come la beata Vergine in preghiera per il genere umano era stata posta in così grande nobiltà, gloria e dignità, mi compiacqui molto.
La vidi in un atteggiamento così grande di umanità e di virtù, in modo ineffabile, che anche io mi dilettai inenarrabilmente.
Mentre guardavo queste cose, improvvisamente apparve Cristo, seduto accanto a lei nella sua umanità glorificata, e capii che quella carne era stata crocifissa, afflitta e ingiuriata.
Comprendendo mirabilmente tutte le pene, le ingiurie e le umiliazioni, non me ne addolorai in alcun modo, anzi provai un godimento così grande che è indicibile. Persi la parola, pensai di morire e patii la grandissima pena di non cessare di vivere e raggiungere subito quel Bene assolutamente ineffabile che vedevo.
Questa visione durò continuamente, senza interruzione, tre giorni e non mi impedì di prendere cibo o di fare altre cose, sebbene mangiassi molto poco e stessi continuamente coricata.
Io stavo a letto, non parlavo, e quando veniva nominato Dio non potevo sopportarlo per l’immenso godimento che provavo.


8. Cinque esperienze

a) Prima

Una volta la fedele si confessò, come al solito, da me, con tanta perfetta conoscenza dei peccati, tanta contrizione,tante lacrime, dall’inizio alla fine, e tanta virtù, che piansi anch’io e nel cuore feci con assoluta certezza la considerazione che, se tutto il mondo si fosse ingannato, Dio non avrebbe permesso che la fedele, tanto retta e sincera, si potesse ingannare.
Pensai così perché a causa delle cose troppo grandi che avevo sentito da lei, prima mi ero meravigliato e avevo un po’ dubitato.


b) Seconda

La notte seguente la fedele stette male quasi da morire; con grande pena, la mattina dopo, venne nella chiesa dei frati ; allora io dissi la Messa e la comunicai. Successivamente, prima che tornasse a casa, prontamente le chiesi se Dio le aveva fatto qualche grazia e lei rispose: – Prima di fare la comunione e quando mi avvicinai all’altare, mi fu detto: «Amata, Ogni Bene è in te e vai a ricevere Ogni Bene». In quel momento mi sembrò di vedere Dio onnipotente.
Io le chiesi se contemplò qualcosa che avesse qualche forma e lei rispose di no.
Alle altre domande, che prontamente le rivolsi, dette questa risposta: – Contemplai una pienezza, una bellezza, in cui si vide Ogni Bene. Venne all’improvviso, perché non ci pensavo affatto, ma meditavo, pregavo, confessavo a Dio i miei peccati e chiedevo che quella comunione, che attendevo di fare, non fosse per me motivo di condanna ma di misericordia.
Subito, improvvisamente, ci fu una rivelazione e sentii le parole che ho riferito sopra.
Allora cominciai a pensare e domandare a me stessa: «Se Ogni Bene è in te, perché vai a riceverlo?». Subito mi fu data questa risposta: «Una cosa non esclude l’altra».
Prima di entrare in coro per comunicarmi, mi fu detto: «Ora sull’altare c’è il Figlio di Dio, nella sua umanità e divinità, ed è accompagnato dalla moltitudine degli angeli».
Poiché, in base a queste parole, avevo un grande desiderio di vederlo insieme agli angeli, mi fu mostrata quella bellezza e pienezza. Poi, quando mi avvicinai all’altare, vidi ugualmente Dio e sentii dire: «Così starai al suo cospetto nella vita eterna».


c) Terza

La fedele precisò che l’aveva chiamata con il nome di «Amata» e che spesso aveva usato questa parola. Fece pure notare che da un po’ di tempo, quando si comunica, l’Ostia si stende in bocca e non ha il sapore del pane né quello della carne che conosciamo, e aggiunse: – Ha però in modo certissimo il sapore della carne, un sapore gustosissimo, che non so paragonare ad altra cosa del mondo, e va giù con soavità, intera, non, come al solito, frantumata.
Disse che l’Ostia si ammorbidisce presto e non è dura come prima. – Anzi, aggiunse, va giù intera, con tanta soavità che, se non avessi sentito dire che si deve inghiottirla in fretta, volentieri la terrei in bocca molto a lungo.
All’improvviso, però, mi ricordo che devo mandarla giù alla svelta e il Corpo di Cristo scende subito con quel sapore sconosciuto di carne e tutto intero, cosicché dopo non c’è bisogno che beva nulla. Di solito, però, questo non mi capitava, anzi mi affannavo, perché nessun frammento dell’Ostia mi restasse tra i denti.
Ora, invece, l’Ostia va giù subito e scendendo nel corpo mi procura un grandissimo sentimento piacevole, che si avverte esteriormente, perché mi fa tremare in modo veementissimo, tanto che posso prendere il calice con grande fatica.


d) Quarta

Quando stavo scrivendo le cose precedenti, come potevo capirle dalla sua bocca, improvvisamente disse: – Ascolta cosa or ora, all’improvviso, mi è stato comunicato: «Gli hai riferito molte cose, ma se io non avessi voluto, non avresti potuto dirgliele».
Io ho cercato di non riferirtele, ma in nessun modo ho potuto trattenermi dal confidarti ciò che mi è stato rivelato.


e) Quinta

La fedele chiese a me, che allora parlavo con lei e scrivevo: – Quando ti fai il segno della croce, non ti succede niente? – Poi aggiunse: – Ora c’è questa novità: quando mi faccio il segno della croce in fretta e non metto la mano sul cuore, non provo nulla; ma quando la metto prima sulla fronte, dicendo: «Nel nome del Padre» e poi sul cuore, dicendo: «e del Figlio», subito vi sento l’amore e la consolazione e mi sembra di trovarci colui che nomino. – Osservò: – Io non te lo avrei mai detto, se non fossi stata ammonita di farlo.


9. Sei modi in cui si conosce che Dio è venuto nell’anima

a) Primo

La fedele rispose a una domanda relativa al Pellegrino. A me, che le chiedevo se l’anima in questa vita può essere rassicurata riguardo a Dio, disse di sapere che il Pellegrino era andato nella sua anima, ma di non sapere se l’aveva ospitato.
Io le chiesi come era certa che il Pellegrino era andato nella sua anima e lei, a sua volta, mi fece questa domanda: – Dio va nell’anima se non viene chiamato? – Io risposi: – Credo di sì. – La fedele disse: – Qualche volta Dio va nell’anima, senza essere chiamato e mette in lei il fuoco, l’amore e talvolta la soavità; l’anima capisce che ciò viene da Dio e vi si compiace, ma ancora non sa che Dio è in lei, cioè non s’accorge che è in lei, ma vede la sua grazia, in cui si compiace.

b) Secondo

Dio va di nuovo nell’anima e le dice parole dolcissime, di cui lei si compiace molto, lo sente e in questo sentimento si diletta molto.
In lei però resta ancora un certo qual dubbio, molto piccolo, a causa del quale non è sicura se Dio è in lei.
Questo mi sembra che succeda o a causa della grande malizia e del difetto della creatura o per volontà di Dio, che non vuol rendere l’anima maggiormente certa e sicura.
A questo punto però l’anima viene assicurata che Dio è in lei, perché lo sente in modo diverso dal solito, con sentimento tanto accresciuto, con tanto amore e fuoco divino, che viene eliminato ogni timore dell’anima e del corpo.
Le dice cose che non ha mai udito da un mortale e che capisce con grandissima luce, e le è penoso tacere. Se sta zitta, lo fa per paura di dispiacere all’Amore e perché crede in modo certissimo che quelle cose altissime non sarebbero comprese.
Quando, infatti, ne dice qualcuna, si rende conto e prova che non viene capita. Oppure tace, perché per lo scrupolo di dispiacere all’Amore non vuol dire: «Io provo cose altissime».
Quando talvolta, per l’ardente desiderio della salvezza del prossimo, riferii qualcosa, fui rimproverata e mi fu detto: «Sorella, ritorna alla Scrittura divina, perché essa non dice quello che tu affermi, e noi non ti capiamo».
Una volta stavo coricata e languivo per questo eccessivo amore e cominciai a interrogarti se l’anima può essere rassicurata da Dio in questa vita e ti parlai di quello che provavo e tu cominciasti a rimproverarmi e a rimandarmi alla Scrittura.


c) Terzo

In questo sentimento, con cui l’anima viene rassicurata che Dio è in lei, le viene concesso di volere Dio così perfettamente che in ciò concorda tutta in modo vero, non falsamente
È d’accordo in modo falso, invece, quando dice che vuole Dio, ma quel «voglio Dio» non è detto sinceramente, perché non è vero in tutto e completamente; in qualcosa è falso.
In questo caso, però, con l’anima concordano tutte le membra e così lei diventa una cosa sola con il cuore e con tutto il corpo, ed è una cosa sola con loro e una cosa risponde per tutte.
A quel punto ha il volere, che le viene concesso per grazia. Per questo all’anima viene chiesto: «Cosa vuoi?», e lei risponde: «Voglio Dio». E allora Dio le dice: «Io do compimento a questo tuo volere». Fino a quel momento, infatti, l’anima non voleva Dio veramente e completamente.
Ella riceve in dono questo volere e comprende che Dio è in lei e fa società con lei. Così ha quest’unico volere, in cui capisce di amare Dio con quel vero amore che somiglia a quello con cui lui ha amato noi, e sente che Dio si è unito a lei e ha fatto società con lei.


d) Quarto

Ancora le viene concesso di vedere Dio in modo simile, perché le dice: «Guardami» , e allora l’anima lo scopre in sé con la sua forma e lo contempla più chiaramente di quanto uno possa vedere un altro, perché gli occhi dell’anima ammirano una pienezza spirituale, non fisica, di cui non posso parlare. L’anima si diletta in tale visione, e questo è un segno sicuro e chiaro che Dio è in lei.
Allora non può guardare nient’altro e quello che vede la riempie inestimabilmente ed è una cosa tanto profonda che mi addoloro per il fatto che non so dirne nulla. Non si tratta di una cosa tangibile o immaginabile, ma ineffabile.


e) Quinto

Ancora in molti altri modi, di cui non si può dubitare, l’anima comprende che Dio è in lei; di essi ne esporrò due.
Il primo è l’unzione, che improvvisamente rinnova tanto l’anima e rende tutte le membra del corpo tanto mansuete e in armonia con lei, che non può essere toccata e colpita da nulla che la possa turbare, né in poco né in qualcosa, ed esperimenta e sente che le parla Dio.
In questa così grande e assolutamente indicibile unzione capisce in modo certissimo e chiarissimo che Dio è in lei e che essa non potrebbe essere causata da nessun santo del paradiso e neppure da un angelo. È una cosa così inenarrabile che mi addoloro di non poterne dire nulla. Dio mi perdoni, perché, se a lui piacesse, desidererei tanto parlarne, per manifestare la sua bontà.


f) Sesto

L’altro modo, in cui l’anima capisce che Dio è in lei, è il suo abbraccio. Non si può pensare che una madre stringa a sé il figlio o che una persona del mondo ne abbracci un’altra con lo stesso amore con cui Dio abbraccia indicibilmente l’anima. Egli la stringe a sé con tanta dolcezza e amore, che non penso che qualcuno possa crederlo, se non l’ha sperimentato.
Poiché le feci a questo punto un’obiezione sulla credibilità di quello che diceva, la fedele rispose: – Potrebbe forse immaginare qualcosa, ma non come è realmente. – E proseguì: – L’abbraccio di Dio porta con sé un fuoco, grazie al quale l’anima arde tutta in Cristo e porta con sé una luce tanto viva, per la quale comprende la grande pienezza della bontà di Dio, che gusta in sé e che è molto maggiore di quanto lei la sperimenti.
Allora viene rassicurata e resa certa che Cristo è in lei. Noi di tutte queste cose non diciamo nulla, rispetto a quello che sono.

Io le chiesi se allora l’anima versa qualche lacrima e la fedele precisò che non ne versa nessuna, né di gioia né di altro genere, perché, quando piange di gioia, la sua condizione è un’altra, molto inferiore, e proseguì: – Inoltre Dio porta con sé nell’anima tanta pienezza di letizia, che lei non sa chiedere di più; anzi, se durasse, sarebbe il paradiso.
Questa letizia si manifesta e si nota in tutte le membra del corpo, e ogni cosa amara – ingiuria o altro – che le viene procurata diventa dolce. Questo non lo potei nascondere alla mia compagna.
Su ciò chiesi notizie alla compagna e mi disse che una volta, mentre andavano per strada, la fedele diventò bianca, luminosa, lieta e rosseggiante e i suoi occhi divennero grandi e tanto splendenti che non sembrava più lei; e aggiunse: – Io ero triste e temevo che qualche persona, uomo o donna, ci venisse incontro e la vedesse. Io le dicevo: «A che giova coprirti il volto? I tuoi occhi sembrano risplendere come candele».

La compagna, poiché era timorosa e molto semplice e non era ancora al corrente dei doni di grazia della fedele, si lamentava, si dava dei pugni e si percuoteva il petto. Chiese poi alla fedele: – Dimmi perché ti capita questo. Cerca di andare sotto terra, perché così non possiamo camminarvi sopra! – Con semplicità e ignoranza aggiunse: – Povera me! Come faremo?
La fedele le rispose, la rincuorò perché non avesse timore e disse: – Non temere, perché, anche se incontreremo degli uomini, Dio ci aiuterà.
Questo accadde non una sola volta, ma così tante che la compagna disse di non conoscerne il numero; la fedele precisò che tale letizia durava molti giorni e aggiunse: – Alcune gioie penso di non perderle in eterno; anzi, credo che mi saranno accresciute e ora non vivo senza di esse. Per questo, quando capita qualcosa che mi rattrista, subito, ricordandomi di esse, non resto in alcun modo turbata.


10. Nota

La fedele fece notare che i modi in cui l’anima capisce che senza dubbio Dio è in lei, sono così numerosi, che in nessuna maniera potremmo indicarli tutti.


11. L’anima ospita il Pellegrino

La fedele mi disse che in tutte le esperienze descritte l’anima comprende che Dio è andato in lei, ma che niente ancora è stato precisato sul modo in cui lei lo ha ospitato. Quanto abbiamo riferito è molto inferiore a quello che avviene, allorché l’anima è cosciente d’aver ospitato il Pellegrino.
La fedele aggiunse: – Quando la mia anima si rende conto di aver ospitato il Pellegrino, perviene a tanta conoscenza della infinita bontà divina, che, quando torno in me, capisco in modo certissimo che coloro che più fanno esperienza di Dio, meno ne possono parlare; per il fatto stesso che fanno esperienza dell’Infinito e dell’Indicibile, ne possono parlare di meno.
Poiché su questo punto feci un’obiezione, la fedele rispose: – Quando vieni a predicare, magari capissi, come me, d’aver ospitato il Pellegrino!
In tal caso non sapresti dire assolutamente nulla di Dio, e chiunque ammutolirebbe dopo tale esperienza. Dopo vorrei venire da te e chiederti: «Fratello, dimmi ora qualcosa di Dio», e tu non sapresti pronunciare neppure una parola su di lui, tanto la bontà infinita supera te e tutte le cose che puoi dire o in qualche modo pensare. Non è che l’anima perda se stessa o il corpo in qualche facoltà; essa resta ben integra. A quel punto diresti al popolo con parole ferme: «Andate con Dio, perché non vi posso dire niente di Dio».

In questa esperienza non c’è nulla di fisico; mi capitò una sola volta e mi sembrò di comprendere che, attraverso la Scrittura e tutti gli uomini vissuti dall’inizio del mondo, riguardo all’essenza di Dio si sia potuto affermare quasi nulla, neppure quanto è la metà di un chicco di grano rispetto al mondo intero.


12. Il corpo partecipa ai beni dell’anima

Dopo queste cose la fedele mi confidò che, quando l’anima viene rassicurata da Dio, insieme a lei anche il corpo, sebbene molto di meno, acquista sicurezza e nobiltà e viene rinvigorito. Allora partecipa ai beni che prova l’anima, e questa parla con lui, gli fa un dono e gli mostra in modo dolcissimo la grazia che riceve attraverso lei, dicendo soavissimamente: – «Tu ora vedi quali beni, grazie a me, esperimenti e come sono infinitamente più grandi di quelli che puoi procurarti da solo, e senti quanto maggiori beni ancora ti sono promessi se vivi in armonia con me.
Ora capisci quali beni abbiamo perduto, quando tu non eri d’accordo con me, ma mi contraddicevi».
A questo punto il corpo si sottomette all’anima con vergogna e dice che in futuro le obbedirà in tutto e riconosce di esserle debitore dei suoi grandissimi beni che sono al di sopra di quanto poteva conoscere, desiderare o anche pensare di procurarsi da solo. Perciò con vergogna fa atto di sottomissione all’anima e afferma di esserle debitore e che in futuro le sarà obbediente.
Il corpo risponde all’anima con queste parole: «I miei piaceri erano fisici e bassi, ma tu, così nobile, che provavi tanto piacere divino, non dovevi essere d’accordo con me e farmi perdere i tuoi immensi beni».
Il corpo si lagna con l’anima con un lungo e dolcissimo lamento, mentre sperimenta la dolcezza dell’anima, al di sopra di quanto poteva sospettare


13. Tre modi in cui le persone spirituali si ingannano

a) Primo

La fedele disse che ci sono dei modi in cui le persone spirituali si possono ingannare. – Il primo è quando l’amore non è puro, in quanto uno vi mischia del suo, cioè la sua volontà. Quando uno mette nell’amore qualcosa di suo, vi unisce qualcosa del mondo e questo lo invita e lo lusinga, ma ogni suo richiamo è falso e lui non può invitare se non con falsità.
Nel momento in cui il mondo lo lusinga e lo guarda, crescono di più le lacrime, le dolcezze, il tremore e lo stridore, che si verificano nell’amore spirituale non puro. Sebbene in tale amore l’anima versi lacrime e gusti dolcezze, tuttavia queste cose non avvengono in lei, ma nel suo corpo e l’amore non entra in lei.
Presto quella dolcezza svanisce e uno la dimentica; anzi, talvolta, quando comprende ciò che è stato detto, prova amarezza.
Io ho provato in me tutte queste cose e le so distinguere bene, solo perché la mia anima è arrivata a una verità sicura: quando l’amore è puro, uno assolutamente si ritiene morto e un nulla, e si offre senza vita e putrido a Dio.
Non ricorda per niente una lode o una cosa buona, anzi si vede così meschino e spregevole, da credere di non poter essere liberato da nessun santo, ma solamente da Dio, anche se talvolta prega più prontamente i santi, perché intercedano presso di lui, a suo favore.
Ciò avviene perché, per la sua indegnità, non osa supplicare Dio e si mette insieme a santa Maria e ai santi, affinché l’aiutino. Quando poi viene lusingato da qualcuno, considera la cosa proprio come una burla.
Questo amore vero e puro, che viene da Dio, sta nell’anima e fa sì che riconosca i propri difetti e la bontà divina.
Le lacrime e le dolcezze che vi si danno, non provocano più amarezza, ma certezza. Tale amore porta l’anima in Cristo e lei comprende con sicurezza che non si può verificare o esserci alcun inganno. Insieme a questo amore non si può mischiare qualcosa di quello del mondo.


b) Secondo

Mentre le raccontavo la storia di Mosè, che percosse la roccia, la fedele, prima che finissi, disse: – C’è un secondo modo in cui Dio permette che la persona spirituale si inganni, ed è quando si sente amata da Dio, gusta in sé i beni spirituali, li mette in atto e ne parla. Tuttavia, poiché si sente troppo sicura e oltrepassa la misura, giustamente Dio permette che si verifichi in lei qualche inganno, affinché riconosca la sua trasgressione.
Quando completai il racconto della storia di Mosè, disse d’aver capito che Dio aveva operato in lui proprio in questo modo.


c) Terzo

Poi aggiunse che c’è un terzo modo in cui una persona spirituale si può ingannare. Quando lei fa molte esperienze di Dio e sta nell’amore buono e agisce con cuore puro e ottimo e ha già deciso di non voler più piacere al mondo e s’impegna a piacere con tutta la volontà a Cristo, è tutta in Cristo, con grandissima e inenarrabile gioia e si sente abbracciare tutta da lui.
Tuttavia, affinché sappia conservare ciò che è suo e dare a Dio ciò che è di Dio, egli, per salvarla, talvolta permette che si verifichi in lei qualche inganno, perché si preoccupa che non vada oltre la misura.


14. Fuori di ogni possibile inganno

Quello che è stato detto non basta; l’anima, infatti, viene condotta alla piena conoscenza di se stessa e della bontà di Dio.
In tale situazione non può esserci assolutamente alcun inganno, anzi l’anima viene condotta alla piena conoscenza della verità. «Piena» è da intendere nel senso che le sembra innanzi tutto di non poter essere riempita di più della conoscenza di sé.
A quel punto le sembra anche di non poter vedere nient’altro e non si ricorda di nessun’altra cosa e improvvisamente perviene alla conoscenza della bontà divina. Lei vede l’una e l’altra cosa insieme, in modo inenarrabile.
Questo non sembra ancora bastare; Dio, infatti, ha cura di lei, permettendole delle tribolazioni


15. La povertà

La fedele raccontò pure che in una rivelazione di Dio la povertà fu lodata come insegnamento e bene così grande che assolutamente supera la nostra intelligenza. Dio le disse: «Se non fosse un bene tanto grande, non l’avrei amata, e se non fosse così nobile, non l’avrei accettata».
La fedele inoltre riferì: – La superbia può essere solamente in quelli che credono di avere qualcosa. L’angelo ribelle e il primo uomo insuperbirono e caddero, perché pensarono e credettero di possedere qualcosa, ma né l’uno né l’altro hanno l’essere; uno solo ce l’ha: Dio.
L’umiltà, invece, è solamente in coloro che sono così poveri, che si rendono conto di non avere nulla. Poiché Dio fa in modo che tutti i mali che permette giovino ai buoni, stabili che suo Figlio, il quale ha più di quanto possiamo dire, fosse più povero di qualsiasi santo o semplice uomo.
Lo fece essere tanto povero, che sembrò non avere l’essere; parve così ai peccatori, privi della vera luce, non a quelli che capiscono.
La verità di questa virtù, cioè della povertà, che è la radice e la madre dell’umiltà e di ogni bene, è così profonda che non può essere descritta. Chi la possiede non può mai precipitare o cadere per inganno, e chi conosce la vera povertà e capisce quanto Dio l’abbia amata, non può mai tenere per sé qualcosa.

Questo è un insegnamento della divina sapienza, che fa in modo che uno innanzi tutto riconosca i suoi difetti, la sua povertà e la sua povera condizione e, illuminato dal dono della grazia divina, in seguito scopra la bontà di Dio.
A quel punto, subito gli viene tolto ogni dubbio riguardo a Dio e lo ama con tutto se stesso e, amando, agisce secondo l’amore e perde ogni fiducia in sé.
Se uno possiede questa virtù, tutti i demoni e tutte le cose possibili non sono in grado di ingannarlo, perché l’anima grazie ad essa riceve un insegnamento chiarissimo e luminosissimo sul comportamento da tenere in questa vita, di modo che, quando la possiede, non può essere ingannata.
Perciò io so che la povertà è la madre di tutte le virtù e l’insegnamento della divina sapienza.
Così insegnò alla beata Vergine nell’incarnazione di Cristo; innanzi tutto fece sì che conoscesse se stessa e, dopo essersi conosciuta, perdesse ogni dubbio riguardo a Dio e confidasse immediatamente nella sua bontà. Conoscendo se stessa e la bontà di Dio, lei disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto»

Ugualmente nell’umanità di Cristo la divina sapienza ci insegna che, sebbene fosse Dio, volle tuttavia che la sua umanità obbedisse a ogni volere del Padre. Perciò ogni sapienza del mondo, se non penetra in questa verità, è nulla e si trasforma in dannazione, e tutti i sapienti della terra, se non entrano in questa verità, sono assolutamente niente e finiscono dannati. Quando l’anima comprende questa verità, opera senza l’intenzione e la prospettiva di qualche merito da acquisire.



Capitolo VIII
Il venticinquesimo passo


1. Introduzione

Per quanto riguarda il sesto passo, quello della molteplice passione della fedele, dovuta sia alle infermità del corpo che agli innumerevoli tormenti spirituali e fisici, orribilmente eccitati da molti demoni, non curai molto – né potei, come capivo che era giusto e utile fare – di mettere per iscritto molti fatti.
Procurai però di scrivere, come riuscii a comprenderle dalla sua bocca, un po’ delle parole della fedele, che soffriva e lo faceva capire, come dipingendo alla svelta, perché non ero in grado di coglierne il significato.
Lei mi disse di credere che, oltre alle infermità e alle sofferenze dell’anima che diceva essere senza confronto molto più numerose, nemmeno le malattie del corpo si potessero descrivere. In breve, riguardo a queste ultime, la sentii affermare che nel corpo non le era rimasta una parte che non patisse orribilmente.

Sui tormenti che l’anima subiva da parte dei demoni non seppe portare nessun altro esempio che quello di un uomo sospeso alla forca con una fune alla gola, le mani legate dietro la schiena, gli occhi bendati e ancora vivo, al quale non fosse restato nessun aiuto e mancasse assolutamente qualsiasi sostegno o rimedio.
Aggiunse che ancora più disperatamente e crudelmente era tormentata dai demoni. Come sentii dire e seppi, un frate Minore, che credo fosse degno di fede, mostrò grande meraviglia e provò per lei molta compassione, sentendola affermare che era tormentata in modo orribilissimo; in una rivelazione divina capì che tutto ciò che la fedele diceva riguardo al martirio di quegli orribili tormenti era vero e che era ancora di più rispetto a quello che raccontava. Per questo da allora nutrì per lei sempre grande compassione piena di meraviglia e devozione.
Le parole, che in fretta e in breve tempo potei fissare, sono le seguenti.


2. Tentazioni nell’anima

La fedele disse: – Io vidi che i demoni tenevano la mia anima sospesa in modo tale che, come a chi è impiccato manca ogni appoggio, così a lei non restava nessun sostegno; tutte le sue virtù erano distrutte di fronte a lei, che vedeva, guardava e sapeva. Allora, quando la mia anima si rese conto che tutte le virtù erano state distrutte e se ne erano andate e che non poteva fare opposizione, il dolore disperato e l’ira furono così grandi, che a fatica potei piangere in alcune occasioni.
Qualche volta piansi senza rimedio, qualche altra sopraggiunse un’ira tanto grande, che a stento potei trattenermi dallo straziarmi tutta. Talvolta non potei frenarmi e mi percossi orribilmente; così mi produssi delle tumefazioni sul capo e in altre membra.
Quando l’anima cominciò a vedere che tutte le virtù venivano meno e se ne andavano, ci furono dolore e pianto e urlai dicendo a Dio molte volte con la bocca, quasi senza interruzione: «Figlio mio, Figlio mio, non mi lasciare, Figlio mio!».
La fedele mi confidò che nel corpo non c’era parte che non fosse percossa e afflitta dai demoni; per cui disse di credere che non solo le infermità dell’anima, ma neppure quelle del corpo si potevano descrivere. Aggiunse che in lei ripresero vita tutti i vizi, anche se non durevolmente, e le procurarono e causarono una grande afflizione; disse pure che nel corpo comparvero vizi mai esistiti e le procurarono una grande sofferenza, sebbene non continua.

Quando di nuovo morirono, provai consolazione, perché mi accorsi d’essere stata consegnata a molti demoni, che avevano ridato vigore e vita ai vizi morti e aggiunto alcuni mai esistiti. Allora, ricordando che il Figlio di Dio in questo mondo fu afflitto, disprezzato e povero, avrei voluto che tutti i miei mali e le afflizioni si fossero raddoppiati.


3. Tentazioni nel corpo

La fedele disse: – Mentre ero in quella orribilissima tenebra dei demoni, in cui sembrava mancare assolutamente ogni speranza di bene, avrei scelto più prontamente d’essere bruciata, piuttosto che soffrire le cose predette. Infatti, quella tenebra era terribile e quei vizi, che sapevo morti nell’anima, vennero risuscitati dai demoni fuori di essa e furono suscitati anche dei vizi mai prima esistiti.
Nel corpo, in cui soffrivo di meno, precisamente in tre parti vereconde, ci fu tanto fuoco che, per estinguerlo, di solito ci misi del fuoco materiale, fino a che tu non me lo proibisti.
In quella situazione gridai e urlai a Dio di far venire la morte in qualsiasi modo; gli dissi che, se doveva mandarmi all’inferno, non aspettasse, ma lo facesse immediatamente, e aggiunsi: «Dal momento che mi hai abbandonato, completa l’opera e sommergimi».
Allora capii che era tutta opera dei demoni e che quei vizi non vivevano nell’anima, la quale non acconsentiva mai ad essi, e che erano imposti con violenza al corpo.
Questo provò dolore e noia, tanto che avrebbe dato se stesso per non avere quella sofferenza. Anche l’anima, però, capì che le era stata tolta ogni potenza e, sebbene non si arrendesse, non aveva la forza di resistere in qualche cosa ai vizi – e vedeva che questo era contro Dio – e cadde in essi.


4. Una tentazione mai sperimentata

La fedele aggiunse: – A parte mi fu dato e permesso un vizio mai avuto e capii chiaramente che Dio permetteva che venisse in me. Era tanto grande che superava tutti gli altri.
C’era anche una virtù, che mi fu data a parte da Dio contro quel vizio; essa lo vinceva subito tanto efficacemente che, se non avessi avuto fede certa in Dio per qualche altra cosa, ne sarebbe derivata una fede certa e sicura in lui, della quale non avrei potuto dubitare. La virtù restò stabilmente e allora il vizio svanì.
Essa mi trattenne e mi permise di non cadervi; era tanto forte che non solo mi difese, ma mi dette tanto vigore, che veramente vi riconobbi Dio, perché non c’era cosa che avrebbe potuto allontanarmene con qualche movimento peccaminoso.
Se contro di me si fossero messi in tutti i modi gli uomini del mondo intero e ugualmente tutti i demoni dell’inferno, non avrebbero potuto spingermi a una minima azione di peccato.
Per questo mi rimase una fede sicura in Dio. Il vizio, infatti, era così grande, che mi vergogno di manifestarlo, e quando la virtù, di cui ho parlato, era nascosta e sembrava avermi abbandonato, non c’era niente, né la vergogna né una qualche pena, che potesse trattenermi dal cadere nel peccato.
Tuttavia a quel punto sopraggiungeva la virtù, che mi liberava tanto efficacemente che mi sembrava di non poter peccare né per tutti i beni né per tutti i mali del mondo.


5. Nota di frate A.

Io mi accorsi che la fedele nel sesto passo si trovò in una situazione molto più orribile di quanto si possa descrivere.
Esso, però, durò poco tempo, cioè quasi due anni, e si sviluppò insieme al settimo, più stupendo di tutti gli altri; quest’ultimo iniziò un po’ prima del sesto e continua tuttora.
Vidi pure che il sesto passo diminuì e cessò in breve tempo, ma non in modo assoluto e totalmente, soprattutto quanto alle numerose infermità del corpo, di cui la fedele fu sempre piena.
Notai, poi, che lei restò nel settimo passo, crescendo sempre in Dio, più di quanto si possa dire.
Sebbene fosse sempre molto malata e potesse mangiare pochissimo, la fedele era molto grassa e rubiconda, a causa delle tumefazioni, e piena di dolori in tutte le membra e gli arti, cosicché poteva con molta pena muoversi, per camminare e sedersi. Lei tuttavia considerava tutte le sofferenze del corpo come una cosa molto limitata.


6. Scontro fra umiltà deprimente e superbia

a) Umiltà deprimente

Dopo tutte queste cose, scritte quando la fedele era al settimo passo e aveva già superato del tutto il sesto, riguardo a quest’ultimo mi disse: – Nella mia anima si scontrarono una particolare umiltà e una superbia fastidiosissima.
Si trattava di umiltà, perché mi accorsi d’essermi allontanata da ogni bene e mi vidi fuori da ogni virtù e grazia e riconobbi in me tanta pienezza di peccati e di difetti, che non potei pensare che Dio volesse usarmi ancora misericordia.
Mi scoprii casa del diavolo, collaboratrice, amica e figlia dei demoni, priva di ogni rettitudine e virtù e degna dell’infimo abisso dell’inferno.
Tale umiltà non è quella che talvolta sperimento e che rende l’anima contenta e le fa conoscere la bontà di Dio.
Infatti, non causò altro che male incalcolabile, per cui nell’anima mi sembrò d’essere tutta circondata da demoni e scoprii difetti nell’anima e nel corpo.
Dio allora fu per me impenetrabile e nascosto in ogni parte, tanto che in nessun modo potei ricordarmene né pensare che fosse lui a permettere tutto quello che mi succedeva.

Vedendomi dannata, non mi curai affatto della mia perdizione; piuttosto mi preoccupai e mi addolorai del fatto che avevo offeso il mio Creatore, che non avrei voluto offendere né aver offeso per tutti i mali o i beni che si possono nominare.
Per questo, vedendo i miei innumerevoli peccati, combattei con tutte le forze contro i demoni per poter vincere e prevalere contro i vizi e i peccati, ma non ci riuscii in nessun modo. Non trovai neppure un guado o una finestrella attraverso cui evadere, né alcun rimedio che mi potesse giovare, e mi accorsi d’essere caduta molto in basso.


b) Superbia

A questo punto intervenne la superbia e diventai tutta ira e tristezza, amarissima e gonfia. Dai beni, che Dio mi aveva fatto, ricevetti grandissima amarezza, perché me ne ricordai non per ricavarne un rimedio, ma per provare vergogna e meravigliarmi con dolore d’aver potuto avere qualche virtù.
Dubitai pure che ce ne fosse stata in me veramente qualcuna e non capii neanche per quale ragione Dio avesse permesso tutto quello che mi era successo. Allora qualsiasi bene fu per me così inaccessibile e nascosto, che diventai tutta ira e tristezza, amarissima, gonfia e afflitta più di quanto si possa dire.
Se tutti i consolatori, i sapienti del mondo e i santi del paradiso mi avessero parlato per consolarmi e mi avessero promesso tutti i beni e tutte le consolazioni che si possono nominare – e anche se Dio stesso avesse parlato, salvo che avesse cambiato la mia situazione e operato diversamente nella mia anima – non mi avrebbero dato alcuna consolazione o rimedio, e io non avrei prestato fede alle loro parole.
Anzi, tutto questo avrebbe provocato in me un aumento dei mali e mi avrebbe causato maggiore ira, meraviglia, tristezza e dolore, più di quanto possa dire.
Per questo, pur di farmi togliere da Dio tali tormenti, al loro posto avrei scelto volentieri e voluto avere tutti i mali, le malattie e i dolori che esistono in tutti i corpi umani e li avrei considerati mali minori e più leggeri dei miei tormenti.
Per questo più volte dissi che al posto loro, o in cambio, avrei scelto come consolazione ogni genere di martirio.


c) Nota

Questa situazione cominciò qualche tempo prima del pontificato di papa Celestino e durò ben più di due anni, durante i quali mi tormentò spesso. Io ancora non ne sono stata completamente liberata e attualmente qualche volta ne soffro un po’, non interiormente ma esteriormente.
Ora che sono in un’altra condizione, capisco che tra umiltà e superbia si verifica la più grande liberazione e purificazione dell’anima, perché senza umiltà nessuno si salva; quanto più essa è grande, tanto maggiore è la perfezione.
Per questo comprendo che tra umiltà e superbia l’anima viene bruciata e martirizzata e la superbia e i demoni puniscono, martirizzano e purificano la verità della conoscenza prodotta dall’umiltà, ossia i peccati e i difetti conosciuti attraverso l’umiltà.
Perciò, quanto più l’anima viene abbassata, resa povera o umiliata all’estremo; tanto più viene preparata, liberata e purificata, per essere maggiormente innalzata.
Nessun’anima, infatti, può essere elevata più di quanto è stata umiliata e abbassata: questa è la sua bella misura!



Capitolo IX
Il ventiseiesimo passo


1. Due visioni di Dio

a) Prima

La fedele disse: – Una volta la mia anima andò in estasi e vidi Dio in tanta chiarezza, bellezza e pienezza come mai mi era capitato.
Non vi scorsi l’amore, e allora persi l’amore che avevo e divenni non-amore. Dopo contemplai Dio in una tenebra, perché è un Bene più grande di quanto si possa pensare e comprendere, e ogni cosa che si può concepire e capire non lo raggiunge.
Allora all’anima fu concessa una fede certissima, una speranza sicura e fermissima e una sicurezza continua riguardo a Dio, che eliminò ogni timore.
Nel Bene, che si vedeva nella tenebra, mi raccolsi tutta e diventai così certa di Dio, che ora non posso più dubitare di lui e sono sicurissima di possederlo. Nel Bene così intenso, che si vede nella tenebra, ora è stabile e sicura la mia fermissima speranza.


b) Seconda

Una volta la interrogai su un problema trattato dal beato Agostino. Come avevo letto in un libro, i discepoli gli chiesero in che modo stanno e staranno i santi in cielo, riferendo quello che vide il beato Stefano, cioè che Gesù stava alla destra di Dio. Essi posero il problema e sembrava che volessero provare che non si trattava di stare in piedi o seduti. Nel libro c’erano sottili argomentazioni. Mentre facevo la domanda, la fedele all’improvviso, in quello stesso momento, ebbe un rapimento e sembrò che non comprendesse le mie parole.
Allora le fu concessa una stupenda grazia e dopo una pausa, mentre la pressavo su quella questione che sembrava non aver potuto capire, non rispose alla mia domanda, ma iniziò a raccontare, dicendo: – L’anima fu rapita e stetti in tanto grande letizia che era assolutamente inenarrabile; nulla se ne può riferire. In essa qualsiasi cosa volessi sapere, la conobbi, qualsiasi cosa volessi avere, l’ottenni, e vidi Ogni Bene.
Aggiunse: – Allora l’anima non poteva pensare mai alla partenza di quel Bene, al suo allontanamento o che dovesse partire, ma si dilettava di lui. Non vedeva assolutamente nulla che potesse poi narrare con la bocca o custodire nel cuore. Non percepiva niente e vedeva assolutamente tutto.

Parlando così, aggiunse: – Ora non pongo la mia speranza in nessun bene che possa essere narrato all’esterno oppure pensato, ma in un Bene segreto, certissimo e nascosto, che conosco con tanta tenebra.

Poiché non capivo, le feci un’obiezione riguardo alla tenebra di cui parlava, e la fedele, per spiegare, disse: Era un Bene certissimo e quanto più si vedeva nella tenebra, tanto più superava tutte le altre cose, ed era segretissimo. Io lo percepii con la tenebra, perché superava ogni altro bene e tutte le cose e ogni altra realtà erano tenebra e dovunque l’anima o il cuore si poteva estendere, c’era meno di quel Bene.
Quanto ho fin qui riferito – cioè che l’anima della fedele, come lei mi aveva raccontato, guardando tutte le cose create, vide mirabilmente e inenarrabilmente che Dio riempie tutto e contemplò la divina potenza, la divina sapienza e la divina volontà’ – è meno di quel Bene segretissimo, perché il Bene che vidi con la tenebra è tutto, mentre le cose sono una parte.
A questo punto aggiunse: – Sebbene fossero tutte cose inenarrabili, tuttavia causarono gioia; comunque, la visione di Dio nella tenebra non provocò sorriso sulla bocca né devozione, fervore o amore fervente.
Il corpo non tremò né l’anima fu turbata, come al solito. L’anima non vide niente e vide tutto, il corpo dormì e la lingua fu mozzata.
Tutte le numerose e indicibili prove di amicizia che mi aveva dato, tutte le parole che mi aveva rivolto e tutte le cose che tu hai scritto, capisco che sono tanto di meno di quel Bene che vidi con tanta tenebra, che non ripongo in esse la mia speranza.
Anzi, se fossero tutte cose non vere, in nessun modo farebbero diminuire la mia speranza e la mia sicurezza fondata su Ogni Bene, che vidi con tanta tenebra.
La fedele mi disse che in tale modo altissimo e del tutto ineffabile di vedere Dio con tanta tenebra, con quella massima e meravigliosissima grazia di visione, la sua mente fu elevata solo tre volte, sebbene lei avesse visto molte e anche innumerevoli volte Ogni Bene, sempre con la tenebra,. non però nel modo appena detto, così altissimo e con tanta tenebra.


2. Dio attira l’anima

Una volta, quando era malata, mi disse: – Da una parte c’è il mondo che mi respinge con le sue spine; io, infatti, considero – e a ragione – ogni cosa di questo mondo spine e amarezza.
Anche i demoni mi respingono con fastidio grande e persecuzione quasi continua, avendo potere su di me, dal momento che Dio ha messo la mia anima e il corpo nelle loro mani; infatti, essi sono forse in grado di affliggere il corpo, ma, se Dio non lo permettesse, non potrebbero far tribolare tanto e tormentare con pene 1’anima, che per loro è più inaccessibile del corpo. Mi sembra quasi di vederli fisicamente cornuti contro di me.
Dall’altra parte c’è Dio che mi attira a sé, e se dico che lo fa con dolcezza, amore o qualcosa che può essere nominato, pensato o immaginato, è falso, perché non mi attira con qualcosa che si può nominare o pensare anche dal più sapiente del mondo. Se dico che è Ogni Bene, lo distruggo. A me sembra di stare e giacere in mezzo a quella Trinità che vedo con tanta tenebra.

Mi attira più di qualsiasi altra cosa avuta fin qui o di qualsiasi bene di cui finora ho parlato, e tanto di più che non c’è nessun confronto. Qualunque cosa dico, mi sembra di dire nulla o di dire male. – La fedele aggiunse: – Mi sembra di bestemmiare.
Quando mi chiedesti se attira di più, quello che risposi mi sembra una bestemmia. Per questo allora mi sentii tutta male.


3. Visione del Crocifisso

Quando mi trovo in quella tenebra, non mi ricordo di qualche aspetto della natura umana o del Dio-uomo o di qualcosa che abbia una forma. Allora vedo tutto e tuttavia non vedo nulla. Allontanandomi da quello che ho detto, vedo il Dio-uomo, che attira l’anima con tanta mansuetudine che talvolta dice: «Tu sei me e io sono te».
Nei suoi occhi e sulla sua faccia tanto piacevole scopro una grande benevolenza che mi abbraccia. Quello che risulta dagli occhi e dal viso è ciò che ho detto di vedere nella tenebra e che viene dall’interno, ed è ciò che mi diletta tanto e non può essere narrato. Stando nel Dio-uomo, l’anima è viva e io resto in lui molto di più che in ciò che vedo con la tenebra.
Nella visione del Dio-uomo l’anima è viva, ma ciò che contemplo nella tenebra l’attira molto più ancora, senza confronto, del Dio-uomo.
Nella visione del Dio-uomo io ci sto quasi di continuo, e iniziai a esserci quando mi fu data la sicurezza che non c’era nessun ostacolo tra me e Dio. Da allora non c’è stato giorno o notte in cui non abbia avuto continuamente la gioia che deriva dall’umanità di Cristo. Ora sento il desiderio di cantare, lodare e dire così:

Lodo te, Dio diletto,
sulla tua croce ho fatto il mio letto,
per capezzale ho trovato la povertà,
come resto del letto,
per riposare,
ho trovato il dolore insieme al disprezzo.

Poiché le chiesi di spiegarmi meglio quello che diceva, la fedele disse: – Ho parlato di letto, perché egli nacque, visse e morì sulla croce; poiché Dio Padre lo amò prima che l’uomo peccasse, è anche il mio letto.
Dio Padre amò molto quella compagnia, cioè la povertà, il dolore e il disprezzo, e la dette a suo Figlio, che volle giacere su quel letto e incessantemente amò il Padre e andò d’accordo con lui.
Poiché io mi son messa su questo letto, cioè sulla croce, che Cristo ebbe nel corpo e molto più nell’anima, questa è il mio letto e su di essa credo di morire e attraverso essa penso di essere salvata.
La gioia che mi aspetto da quelle mani, da quei piedi e da quei segni dei chiodi che le mani e i piedi riportarono su quel letto, non può essere narrata. Io però quasi canto e al Figlio di santa Maria dico così:

Quello che provo non lo posso dire
da quello che vedo non mi vorrei più allontanare,
per me vivere è morire
e allora attirami a te.

Dicendo però queste cose, appena mi ricordo di colui del quale e al quale ho parlato, non posso più esprimermi e mi si mozza la lingua. Quando mi allontano da questa situazione, il mondo e le altre cose che ritrovo mi spingono a desiderarla di più e perciò la brama di morire è per me una pena mortale.
Io vidi e sentii dire dalla fedele che la pena derivante dal desiderio di morire, da cui era molto tormentata, le fu tolta. Non che non l’avesse, ma non ne era straziata come prima.


4. Rapimenti

La sua anima spessissimo fu rapita in Dio, per cui talvolta affermò che i rapimenti si congiungevano e che quasi sempre erano nuovi, cosicché ciò che sperimentava in uno non lo provava in un altro, se non quasi sempre in modo diverso, in quanto sperimentava sempre cose nuove.
Il mangiare, il parlare e qualsiasi altra attività non impedivano che spesso la sua anima andasse in estasi. Per questo la sua compagna era pronta ad aiutarla quando mangiava, perché talvolta se ne dimenticava e molte volte poteva mangiare assai poco.
Io poi notai che ciò che mi diceva un giorno lo ricordava a fatica in un altro, e anche nella stessa ora, appena pronunciata una parola, se ne scordava, di modo che non era in grado di ripeterla. Ma ciò, mi sembra, le capitò solo in questo settimo passo.
Dopo le cose precedenti la fedele disse che la sua anima si dilettò e nuotò nel piacere derivante dal fatto che l’amore è misurato e che lo Spirito viene dato con misura. Precisò: – L’anima si diletta e nuota in questo.
Io le feci un’obiezione, riferendomi alla Scrittura divina, e lei rispose che quanto dice la Scrittura divina è vero e non è contrario alla sua affermazione. Per questo aggiunse: – È vero ciò che lui dice, cioè che Dio dà lo Spirito senza misura, ma la mia anima nuota e si diletta nel fatto che dà con misura anche a suo Figlio e a tutti i santi.


5. I giudizi divini

La fedele mi disse pure: – Non c’è niente in cui tanto completamente conosca Dio quanto nei suoi continui giudizi. Per questo, quando di sera o di mattina nella preghiera dico a Dio:

Signore, per il tuo avvento liberami
e per la tua nascita e per la tua passione liberami
quasi in niente mi diletto tanto quanto nel dire con confidenza:
Signore, per i tuoi santi giudizi, liberami.

La fedele aggiunse: – Io dico a Dio: per i tuoi santi giudizi, liberami, perché non riconosco di più la sua bontà in un uomo buono e santo e in molti uomini buoni e santi, che in un dannato e in una moltitudine di dannati. Questa profonda realtà mi fu rivelata una sola volta, ma non ne perdo mai il ricordo e non ne dimentico mai la gioia.
Anche se venissero meno tutte le cose proprie della fede, solamente qui, cioè nei suoi giudizi e nella giustizia che si esprime in essi, avrei la certezza riguardo a Dio.
Oh!, quanta profondità c’è in questo! Tutto torna a utilità dei buoni, perché ogni anima, che ha o avrà la conoscenza dei giudizi di Dio e della profondità di cui ho detto, ricaverà frutto da tutto per la conoscenza del nome di Dio.


6. Nota di frate A.

Io capii che diceva le cose più stupende del mondo e ne compresi un po’ quando parlava, ma né lei poteva spiegarle, sebbene mi facesse capire qualcosa attraverso ciò che diceva, né io ero in grado di comprenderle per metterle per iscritto.
Qui è da notare e da ricordare bene una parola che fu rivelata alla fedele quasi all’inizio, dopo che avevo cominciato a scrivere, e che ho riportato al punto giusto, cioè nel secondo passo, quello della divina unzione. La fedele allora mi disse: – Ho avuto questa divina rivelazione: «Dopo le cose che avete scritto, fa’ scrivere che chiunque vuole conservare la grazia non deve togliere gli occhi dell’anima dalla croce, sia nella gioia sia nella tristezza che gli concedo o permetto».


7. Ancora sui giudizi divini

La fedele disse pure: – Non si possono portare degli esempi per dire fin dove l’intelligenza dell’anima può estendersi; essa viene elevata al di sopra di sé ed è posta nel seno di Dio, e allora capisce, si diletta e riposa nei beni divini, che non può riferire, perché sono assolutamente al di sopra della comprensione e della parola; lei però vi nuota.
Da qui si rende conto perché Cristo pronunciò certe parole, che talvolta sembrano dure o difficili, e ugualmente comprende perché nell’anima di Cristo ci fu dolore senza mitigazione. Infatti, la mia anima, quando fu trasformata nella passione di Cristo, vi trovò tanto dolore e nessuna mitigazione.
Quando lo rammenta, non può gustare nessuna gioia; questo però non le capita al ricordo della passione del corpo, perché in quel caso, dopo la tristezza, trova la gioia. Ne capisce, come ho detto, il perché grazie a questa elevazione, e così comprende, senza averne fatta esperienza, l’acuto dolore che fu nell’anima di Cristo finché dimorò nel corpo della Madre e anche dopo. Grazie a questa elevazione, la mia anima comprende i giudizi di Dio


8. Cinque esperienze nel contesto eucaristico

a) Prima

Una volta, mentre si diceva la Messa conventuale, la fedele ascoltò alcune parole di Dio che qui non vengono riportate. Quando però il sacerdote che celebrava era prossimo alla comunione, la fedele si sentì dire da Dio queste parole: «Sono molti coloro che mi spezzano e mi fanno pure uscire sangue dal dorso».
Lei si accorse e capì che a dir questo era quell’Ostia che il sacerdote aveva spezzato in quel momento. Allora pensò e pregò così: «Fa’ che lui non sia uno di loro». Ed egli rispose: «Non lo sarà in eterno».
La fedele aggiunse: – La mia anima, a quel punto, stando con grande gioia nella Trinità, in quel tabernacolo in cui si ripone il Corpo di Cristo, comprendendo che lui è in ogni luogo e riempie l’universo e meravigliandosi di dilettarsi tanto nel tabernacolo – si compiaceva, infatti, molto e gioiva immensamente in esso –, chiese: «Perché godo tanto nel tabernacolo? Dal momento che tu, Signore, sei dovunque, perché non mi diletto dappertutto?».
Egli pronunciò parole così oscure che non le ricordo completamente, ma precisò: «Io sono chiuso nel tabernacolo grazie a quello che faccio dire, e questo avviene per singolare miracolo».


b) Seconda

Una volta io l’avevo comunicata e poiché la fedele in tale occasione era solita ricevere una grazia nuova, le domandai, come avevo fatto più volte, se era soddisfatta di quella comunione.
Lei mi rispose che, se fosse stato possibile, si sarebbe comunicata ogni giorno e mi confidò che in quella comunione le era stata concessa una consolazione divina, per la quale capi e sperimentò in modo certissimo che la comunione purifica, santifica, conforta e conserva l’anima.
Lei sperimentò e capì questi quattro effetti nella sua anima più del solito. Disse pure che le era stato rivelato che la comunione porta giovamento solamente in quei modi.


c) Terza

Una volta, mentre dicevo Messa, all’elevazione del Corpo di Cristo provò nell’anima una grande gioia e le fu detto: «Questo è l’Uomo che è stato crocifisso». L’anima lo vide e, udite tali parole, andò subito in estasi, ma non vi si fissò. Allora, subito, fu fatta in lei un’operazione meravigliosa, quella del silenzio, in quanto non può essere narrata.
L’anima andò in estasi, si avvolse nella divinità di Cristo e si sentì dire: «Qui c’è tutta la letizia degli angeli, tutta la gioia dei santi e tutta la tua gioia». Queste parole, però, furono dette più piacevolmente di come tu hai scritto e a fatica riconosco quanto ascoltai in quello che tu riferisci.


d) Quarta

Un altro giorno, alla Messa, le fu comunicato qualcosa che non ricordava pienamente; raccontò, comunque, di aver sentito che non sono lodati i grandi studiosi della Scrittura, bensì quelli che la mettono in pratica. Osservò poi che tutta la Scrittura divina trova il suo compimento nell’esempio della vita di Cristo; così lei aveva capito.


e) Quinta

Una volta, ad Assisi, nella chiesa di San Francesco, dopo la Messa detta da frate Apico, le parlai e la fedele mi narrò cose grandissime, nuove e mirabilissime che aveva ottenuto per rivelazione in quella circostanza. Poiché erano veramente degne d’essere annotate, un frate, a cui io e la fedele avevamo comunicato i precedenti segreti e che era con noi quando lei me le riferì, mi invitò a metterle per iscritto.
Poiché, però, ero lì di passaggio, non potei farlo e dopo molti giorni, volendo annotarle, chiesi alla fedele di ripetermele, ma dal momento che non le ricordava tutte – come non le ricordavo io – me ne riferì solo alcune, dicendo: – La mia anima allora gustò una grande e nuova gioia, mai avuta così grande in quel contesto.
Ebbi una rivelazione di Dio e anche una rivelazione dolcissima e nuova del beato Francesco, nel modo che segue.
Mentre si diceva la Messa, la mia anima gustò il piacere che, a mio parere, quella del beato Francesco provò quando uscì dal corpo. Allora in lei ci fu una così grande e ineffabile letizia che, se non sapessi che Dio compie tutte le cose con misura, direi che fu smisurata.
In quella circostanza mi furono rivolte queste parole: «Io sono Francesco, mandato da Dio. La pace dell’Altissimo sia con voi». Chiamandomi, disse: «Luce, figlia della Luce, che è luce di tutte le luci» – e aggiunse altre cose, che qui non vengono riportate, e poi disse: «Raccomanda loro il podere, cioè la proprietà, che ho lasciato»; io capii che si riferiva alla povertà che aveva ordinato di osservare. «Raccomanda a quelli che mi seguono di amare quello che ho amato io». Comprendendo che era il beato Francesco, la mia gioia aumentò.

Alla lunga rivelazione del beato Francesco seguì l’operazione di Dio, che di solito si verifica nella mia anima, e confermò quanto detto dal beato Francesco. Finché restai ad Assisi, quotidianamente, per più di nove giorni, ascoltai le parole del beato Francesco. Quella volta ebbi un alto rapimento e compresi chiaramente, come non era e non sarebbe mai successo, il modo in cui Cristo viene nel Sacramento dell’altare.
Mi fu rivelato che viene insieme alla compagnia, e io potei dilettarmi in Cristo e nella sua compagnia, mentre non era consueto che mi potessi compiacere in altro che in lui. Per questo mi meravigliai di potermi dilettare in quel modo.
Cristo lo capii in maniera diversa rispetto alla compagnia e mi compiacqui in lui e nella compagnia. Mi fu detto che con lui c’erano i Troni e io non capii cosa volesse dire «Troni».
Era una schiera tanto numerosa che, se non avessi saputo che Dio compie tutte le cose con misura, avrei pensato che era senza misura, cioè incommensurabile.
Allora ci fu una rivelazione divina che disse: «Vi sono anime in cui vengo e passo», e fece notare che in un gran numero di città non c’era anima in cui riposasse come nella mia; precisò il numero, ma non ricordo. – Io le chiesi se quella schiera – si trattava, infatti, di una schiera – era estesa in lunghezza o larghezza e lei rispose di no e che era ineffabilmente smisurata.


9. Le più alte esperienze mistiche

Un po’ dopo tutte le cose scritte sopra le feci delle domande e la fedele rispose: – Nella Quaresima passata mi trovai impercettibilmente tutta in Dio, più del solito, e mi sembrò d’essere più del consueto in mezzo alla Trinità, per il fatto che ricevetti ed ebbi continuamente dei beni maggiori.
In questo modo di essere in Dio fui piena di gioia e di delizia, e mentre ero in quei beni e piaceri grandissimi e inenarrabili, assolutamente al di sopra di tutte le cose mai sperimentate, nell’anima si verificarono operazioni divine tanto ineffabili, che nessun santo o angelo avrebbe potuto narrarle o spiegarle.
Vidi e compresi che nessun angelo e nessuna creatura è così intelligente e capace da poter intendere quelle divine operazioni e quel profondissimo abisso.

Dirle, come ora le riferisco io, è dir male, dire di meno e bestemmiare. Io fui allontanata – e lo sono ancora da tutte le cose di prima, in cui solitamente mi dilettavo, cioè dalla vita e umanità di Cristo e dalla considerazione di quella altissima compagnia che Dio Padre amò tanto dall’eternità da darla a suo Figlio, e nella quale solevo dilettarmi profondissimamente: il disprezzo, il dolore, la povertà e la croce, che fu di solito il mio riposo e il mio letto.
Fui allontanata dal modo di vedere Dio nella tenebra, che tanto mi dilettava, e da ogni condizione precedente, con tanta unzione e calma, che in nessun modo me ne resi conto. Solo ora mi accorgo di non avere più quelle cose, perché nella croce, in cui tanto mi compiacevo e che era il mio riposo e il mio letto, non trovo più nulla; così pure nella povertà del Figlio di Dio e in tutte le cose che si possono nominare.


a) Dio si presenta in due modi

Nelle operazioni assolutamente ineffabili, che si verificarono nell’anima, Dio prima si presentò a lei e successivamente le si manifestò, aprendosi a lei e facendole doni più grandi, con chiarezza ancora maggiore e certezza indicibile.
Si presentò, dunque, all’anima in due modi; nel primo lo fece intimamente e allora capii che era presente nella mia anima, in ogni creatura e in ogni cosa che ha l’essere: demonio, angelo buono, inferno, paradiso, adulterio, omicidio, opera buona e qualunque cosa che esiste e ha in qualche modo l’essere, tanto bella quanto turpe. – Aggiunse: – Non lo vidi presente in un demonio meno che in un angelo buono.
Per questo, quando sono in tale verità, non mi diletto meno di Dio nel comprendere un demonio o un adulterio, che nel vedere o capire un angelo buono o un’opera buona.
In questo modo Dio si presenta alla mia anima continuamente ed esso consiste in una illuminazione accompagnata da una grande verità e dalla grazia divina, che impedisce all’anima di offendere Dio in qualcosa e porta in lei molti doni divini.
Allora l’anima, comprendendo che Dio è presente, si umilia molto, prova confusione per i suoi peccati e ottiene grande maturità di sapienza, grande consolazione e letizia.

Dio si presentò in un secondo modo, più speciale e molto diverso dal primo, e procurò all’anima una gioia differente dalla precedente, perché mi raccolse tutta in se stesso. Compì nell’anima molte operazioni con una grazia molto maggiore e un abisso profondo e inenarrabile. Questo solo modo di presentarsi di Dio, senza altri doni, è il bene che i santi hanno nella vita eterna – di doni divini, però, alcuni santi del paradiso ne hanno di più, altri di meno – e penso, anche se non sono in grado di spiegarlo, per il fatto che il mio parlare è più un devastare e bestemmiare che spiegare, che consistano in dilatazioni, grazie alle quali l’anima diventa maggiormente capace di ricevere e possedere Dio.


b) Dio si manifesta

Subito dopo essersi presentato all’anima, Dio si manifestò aprendosi a lei, la dilatò e le concesse doni e dolcezze mai sperimentate, con profondità molto maggiore di quella precedente. A quel punto l’anima fu liberata da ogni tenebra e conobbe maggiormente Dio più di quanto capiva che potesse avvenire, con tanta chiarezza, certezza e profondissimo abisso, che non c’è cuore che sia in grado di capirlo o pensarlo.
Per questo il mio cuore non può mai più tornare a comprendere o anche pensare di lui qualcosa, se non soltanto quando Dio eleva l’anima, perché da solo non può mai raggiungerlo. Di conseguenza non ne può assolutamente dire qualcosa, perché non si trova parola che lo manifesti e l’esprima, e quelle realtà sono tanto superiori a tutte le altre, da essere impensabili e incomprensibili, come è inspiegabile Dio. Egli, infatti, non si può assolutamente spiegare, attraverso nulla.
La fedele disse con grandissima certezza e dette a capire che Dio assolutamente non si può spiegare attraverso nulla e aggiunse: – La Scrittura divina è profondissima, tanto che al mondo non c’è uomo così sapiente che, pur avendo scienza e intelligenza, possa capirla così pienamente da non esserne superato; e tuttavia se ne balbetta qualcosa. Invece, di quelle ineffabili operazioni divine compiute nell’anima da Dio quando si manifesta, non se ne può dire o balbettare assolutamente nulla.

Poiché la mia anima fu spesso innalzata ai segreti di Dio e li contemplò, compresi perché la Scrittura divina è stata fatta difficile e facile, perché sembra dire e contraddire, perché alcuni non ne ricavano nessuna utilità, perché coloro che non la mettono in pratica si dannano, secondo le sue stesse parole, perché gli altri che l’attuano ottengono la salvezza. Io stetti al di sopra.
Perciò, quando mi allontanai dai segreti di Dio, sicuramente dissi piccole parole che erano al di fuori di quelle ineffabili operazioni divine che avvengono nell’anima e in nessun modo si avvicinavano ad esse. Il mio dire era un devastare; per questo riconosco di aver bestemmiato.
Aggiunse: – Se mi fossero date tutte le gioie spirituali, tutte le consolazioni divine, tutti i piaceri divini che i santi esistiti dall’inizio del mondo fino ad ora dissero di avere ricevuto da Dio e anche tutte le cose – che furono molte – che avrebbero potuto rivelare e non rivelarono; se anche tutti gli altri piaceri del mondo, buoni e cattivi, mi fossero dati in aggiunta e quelli cattivi fossero tutti cambiati in buoni e spirituali, durassero fino al loro compimento e mi conducessero a quella inenarrabile manifestazione di Dio, tuttavia di quel Bene assolutamente inenarrabile non sarei disposta a dare in cambio neppure una minima parte, quant’è aprire e chiudere gli occhi una sola volta.
Ti dico così per farti capire in qualche modo che l’indicibile Bene, che sperimento spesso e a lungo in quel modo efficacissimo, supera all’infinito le cose precedenti; nell’altro modo meno efficace, invece, lo sperimento continuamente.

Sebbene esteriormente, in qualche maniera e limitatamente, possa provare tristezze e gioie, tuttavia nella mia anima c’è una camera in cui non entra alcuna gioia, tristezza o piacere di qualche virtù o cosa che possa essere nominata, ma c’è Ogni Bene, che è tale che non esiste altro bene come lui.
In questa manifestazione di Dio – lo affermo, anche se bestemmio dicendolo e dicendolo male, perché non sono in grado di parlarne – c’è tutta la verità che è in cielo, all’inferno, in tutto il mondo, in ogni luogo e in ogni cosa, e c’è tutto il piacere che è in cielo e in ogni creatura, con tanta verità e certezza che in nessun modo potrei credere, per tutto ciò che esiste al mondo, che le cose stanno diversamente.

Se tutti dicessero il contrario, me ne befferei. Io vedo Colui che è l’essere e capisco che è l’essere di tutte le cose create e comprendo come mi ha resa capace di intendere le cose appena dette, meglio di prima, quando lo vedevo nella tenebra, che mi dilettava tanto. Mi vedo sola con Dio, tutta pura, santificata, vera, retta, rassicurata e celeste in lui, e quando mi trovo in questo stato non mi ricordo di altro.
Mentre ero in questa condizione, Dio talvolta mi disse: Figlia della divina sapienza, tempio dell’Amato, piacere dell’Amato»; poi aggiunse: «Figlia della pace, in te riposa tutta la Trinità, tutta la verità, di modo che tu mi possiedi e io ti posseggo».

Una delle operazioni di Dio nell’anima fu che mi fece comprendere con grande profondità e piacere come il Figlio di Dio viene nel Sacramento dell’altare insieme alla sua compagnia.
Quando sono in questa altissima condizione, in cui non mi ricordo di nient’altro, mi vedo nei beni che ho indicato e insieme mi riconosco tutta peccato e obbediente al peccato, ostile e immonda, tutta falsa e in errore; resto però tranquilla e in me rimane una continua unzione divina, che è la più alta ed è al di sopra di tutte quelle ricevute in tutta la vita.
A tale stato fui condotta e innalzata da Dio; non ci arrivai da sola, perché non era in mio potere volerlo, desiderarlo o chiederlo, ed ora ci sono di continuo.
Spessissimo l’anima viene rapita da Dio, senza che sia richiesto il mio consenso, perché, mentre non spero e non penso nulla, all’improvviso Dio rapisce la mia anima e mi conquista. Io comprendo tutto il mondo e mi sembra di stare non sulla terra, ma in cielo, in Dio.
Questa condizione, in cui sono ora, è più eccellente di tutte le altre che fin qui ho sperimentato, perché è di tanto maggiore pienezza e di così grande splendore, certezza, nobiltà e dilatazione, che sono convinta che nessun’altra si avvicina ad essa.
La fedele mi disse che aveva sperimentato tale inenarrabile manifestazione di Dio più di cento o mille volte, sempre in maniera nuova, di modo che ogni volta l’ebbe diversamente.


10. Esperienza mistica nella festa di Maria “candelora”

Ella mi raccontò: – Una volta, successivamente alla precedente inenarrabile manifestazione di Dio, nella festa di santa Maria candelora, in occasione della quale si danno le candele benedette per ricordare la presentazione del Figlio di Dio al tempio, mentre era in atto quell’inenarrabile manifestazione di Dio, di cui ho parlato, alla mia anima fu concessa la presentazione di se stessa.
Si vide tanto nobile e alta che mai, prima, sarei stata in grado di pensare o capire che essa o anche le anime del paradiso potessero essere tanto nobili.
La mia anima non riuscì a comprendersi, per cui se lei, che è creata, finita e limitata, non può capire se stessa, quanto meno sarà in grado di comprendere Dio creatore, che è immenso e infinito! Allora subito l’anima si presentò a Dio con grandissima sicurezza, senza alcun timore, con piacere maggiore di quello provato in passato, con differente ed eccellentissima gioia e gustando un miracolo nuovo, mai sperimentato in modo così diverso e splendente come in quell’incontro.

Incontrai Dio e insieme compresi e ottenni l’inenarrabile manifestazione di Dio all’anima e la nuova manifestazione e la presentazione della mia anima a lui. Per questo provai un piacere nuovo rispetto a tutti quelli precedenti e mi furono rivolte parole profondissime, che non voglio che siano riportate.


11. Soffrire per Dio

Dopo queste cose, quando tornò in sé, l’anima si accorse che le piaceva soffrire per Dio ogni ingiuria e pena e che ormai non poteva essere separata da lui a causa di nulla che si possa dire o fare. Per questo gridò: «Signore, cos’è che ormai potrebbe separarmi da te?». Io mi sentii rispondere che non c’era niente che avrebbe potuto allontanarmi da Dio; ora mi diletto molto a proposito del giorno della morte e non si può valutare il piacere che provo quando vi penso.


12. Il Bene dei beati

La fedele, dopo tutte le cose scritte sopra, mi riferì d’aver sentito dire da Dio, con parole più stupende di quelle usate da lei, che il Bene inenarrabile di cui aveva parlato era quello che hanno i santi nella vita eterna e che, sebbene ne sia diversa l’esperienza, non è differente; inoltre sentì dire che nella vita eterna si fa un’esperienza tanto diversa rispetto a ciò che è stato detto sopra, che il santo più piccolo che ha di meno lassù, ha più di quanto possa ricevere un’anima quaggiù prima della morte del corpo. Poi aggiunse che la sua anima lo capiva.

Siano sempre rese grazie a Dio. Amen.


13. Dove è Cristo sono i suoi fedeli

La fedele mi disse pure: – Una volta chiesi a Dio: «Ecco, tu sei ora nel Sacramento dell’altare; dove sono i tuoi fedeli?».
Aprendo l’intelligenza dell’anima egli rispose: «Dovunque sono io, li sono con me i miei fedeli».
Io capii che era così e mi vidi in modo chiarissimo dove era lui.
Per quanto riguarda Dio, però, essere dappertutto significa essere dentro, non fuori; egli è il solo che sta dovunque, comprendendo tutte le cose.
Ella aggiunse: – Io capii che le sue parole non si riferivano a tutti i fedeli, ma soltanto a quelli santi.

Siano sempre rese grazie a Dio. Amen.



EPILOGO

Dopo aver scritto tutto quanto si legge in questo libretto, chiesi alla fedele e la supplicai di pregare Dio e domandargli che, se avevo messo qualcosa di falso o superfluo, per la sua misericordia, glielo rivelasse e indicasse, di modo che su quelle cose conoscessimo da lui la verità.
La fedele mi rispose così: – Prima che me lo dicessi tu, più volte ho pregato Dio di farmi sapere se nelle cose che io ho detto e tu hai scritto c’era qualche parola falsa o superflua, perché almeno potessi confessarmene. Egli rispose che tutto ciò che io ho detto e tu hai riportato è vero e non contiene nulla di falso e superfluo.
Aggiunse che avevo parlato sobriamente, perché molte cose, che mi aveva rivelato e che avrei potuto riferire per farle scrivere, non le avevo dette.
Dio mi disse pure: «Tutto quello che è stato messo per iscritto è stato riportato secondo la mia volontà ed è venuto, cioè proceduto, da me»; dopo aggiunse: «Io lo sigillerò».
Poiché non capivo cosa significasse: «Io lo sigillerò», egli allora disse: «Io lo confermerò».

Io ho scritto con grande timore e riverenza e con molta fretta, come potevo ascoltare direttamente dalla bocca della fedele, senza aggiungere dall’inizio alla fine qualcosa di mio, anzi tralasciando molte di quelle buone cose che mi comunicava, perché con la mia intelligenza non ero in grado di comprenderle e quindi neppure di scriverle.
Lei parlava di sé in prima persona, ma a me talvolta è capitato di usare la terza, a causa della fretta, e non ho corretto. Dall’inizio alla fine ho scritto tutto alla sua presenza, quando parlava, e ho riportato in gran fretta le parole come le diceva, perché mi costringevano a fare rapidamente i tanti impedimenti creati dai frati e le proibizioni. Mi sforzai, comunque, di mettere – e l’ho fatto – le sue precise parole che potei capire, non volendo scriverle – e non sapendolo fare – dopo essermi allontanato da lei, per il timore e la preoccupazione che per caso mi capitasse di riportare qualcosa, anche una sola parola, non proprio detta da lei.
Per questo le ho sempre riletto e ripetuto più volte le cose che avevo scritto, per mettere solamente le sue precise parole.

Per intervento del Signore, anche altri due frati Minori, amici della fedele e veramente degni di fede, hanno visto e ascoltato dalla sua bocca tutte le cose qui scritte, le hanno esaminate tutte, più volte le hanno trattate con lei e, cosa più importante, hanno anche avuto la certezza, per grazia, riguardo ad esse da parte del Signore, come essi hanno attestato fedelmente con la parola e i fatti.

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