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mercoledì 3 giugno 2015

LE CHIAVI DI CASA.

LE CHIAVI DI CASA.

 

Mi piace quello che è scritto nella copertina…



“La speranza è che nessuno si trovi fuori dalla porta senza chiavi di casa 
 Senza riuscire a trovare il campanello per entrare.”
Oggi, la Chiesa cattolica ha vissuto la tentazione di rinserrarsi in una nicchia, magari riservando un giudizio severo a un mondo che sembra non capirla più. Papa Francesco, dopo la sua elezione, ha cominciato a sollecitare la Chiesa a invertire il cammino, uscendo fuori dai confini, perché ciò che ha da donare è prezioso. Indicando il percorso sinodale, papa Francesco non ha voluto dettare soluzioni dall’alto, ma coinvolgere tutta la Chiesa in un cammino di maturazione, attraverso consultazioni aperte a tutti i battezzati.
La domanda cruciale è: come comunicare la famiglia nel contesto del nostro mondo e del nostro tempo?
Ecco allora l’indicazione fondamentale di queste pagine. Serve con una teologia incardinata sulla categoria della relazione, che preceda e fondi sia la dottrina che la pastorale. Ci sono semi evangelici in ogni rapporto d’amore, perché la verità cui fa riferimento il Signore Gesù non è una verità astratta ma è una verità di relazione che si nutre di contatto intimo e di memoria ardente.
Viviamo una stagione in cui alla Chiesa occorre darsi tempo per costruire il proprio stare con le famiglie. Questo libro è uno strumento adatto.
LE CHIAVI DI CASA

Per un incontro tra il desiderio e la fede

MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino della Koinonia de la Visitation (Aosta), autore di diversi libri di argomento biblico e spirituale, ha appena pubblicato "Le chiavi di casa. Appunti tra un sinodo e l'altro" (la Meridiana). Ho scritto l'introduzione di questo libro, di cui riporto qui uno stralcio.

All’origine della scelta del matrimonio ci sono un desiderio e una ricerca di amore e l’intuizione fiduciosa che questo amore trova in Dio Padre la fonte e l’alleato e in Gesù Cristo colui che ci educa all’amore, attraverso la Parola e i Sacramenti, nel dono dello Spirito. Lo stesso desiderio e la stessa ricerca sono presenti, più o meno consapevolmente, anche in chi sceglie il matrimonio cristiano per convenzione o non fa questa scelta. Una pastorale famigliare, oggi, dovrebbe aiutare l’incontro tra questo desiderio e l’esperienza di fede come via per il suo pieno compimento. È in gioco il senso dell’amore umano. L’esperienza ordinaria della famiglia, d’altra parte, è un’esperienza dove la bellezza deve fare i conti con la fatica: per le difficoltà economiche, per tempi di vita a cui è difficile tenere dietro e frammentano lo stare insieme, perché nei passaggi dell’esistenza (crescita dei figli, lavoro, malattia) le relazioni richiedono maturità affettiva e spirituale per essere portante avanti. Spesso sembra mancare il fiato; si avverte la povertà di tempo, energie, risorse interiori; ci sente soli nei momenti critici; si patisce una cultura che promuove la gratificazione individuale e immediata. Pastoralmente, questo richiede una Chiesa che accompagna il cammino della famiglia nelle fatiche e aiuta a imparare ad amare.
Coloro che vivono comportamenti moralmente discutibili o situazioni canonicamente irregolari, nella grande maggioranza dei casi, non lo fanno per un rifiuto esplicito dell’insegnamento cristiano (che magari gli è già indifferente). Ci sono certamente il peccato e le responsabilità personali, ma ci sono anche immaturità e superficialità, storie segnate da sofferenze e traumi, povertà esistenziali e  spirituali. In casi del genere, l’atteggiamento pastoralmente più efficace non è il giudizio che accrescerebbe la lontananza che c’è, ma il riconoscere le positività che le persone comunque hanno, annunciare la misericordia di Dio e incoraggiare le possibilità di crescita nell’amore alla loro portata.
In tale contesto, la nostra attesa è che il Sinodo individui questi obiettivi per una pastorale della famiglia: dire il senso dell’amore umano, accompagnare nelle fatiche, un annuncio di misericordia che incoraggi a crescere nell’amore.
Quali vie potrebbero essere indicate dal Sinodo? Nella consapevolezza che le sfide sono complesse e non esistono soluzioni facili, provo a suggerire delle direzioni, a mo’ di segnale indicatore, e dei primi passi che non sono risposte a tutti i problemi, ma un avvio.
La famiglia ha bisogno di sentirsi parte della Chiesa, del popolo di Dio, di sentirla come casa, comunità, fontana. Troppo spesso i pastori, a cominciare dai parroci, sono percepiti come distaccati e lontani. Troppo spesso la comunità cristiana è visibile solo nel momento della celebrazione della Messa e poi è assente dalla vita delle persone. Il punto di partenza è che i preti vivano di più insieme alle famiglie, abbiano relazioni più vicine, dirette, e soprattutto sappiano ascoltare, ascoltare a lungo, prima di dire una parola propria. Altrimenti, le loro parole saranno percepite solo come insegnamenti astratti e calati dall’alto, non come parole buone. L’ascolto vero dice  empatia, comunica: “vi voglio bene”, “mi importa di voi”, “vi voglio conoscere”. Promuovere le relazioni tra le famiglie e i sacerdoti farebbe bene anche a questi ultimi, che in tanti casi vivono isolamento e disagio. Abbiamo presenti i volti e le storie di preti che si sono lasciati “provare” nel lavoro su di sé e nell’autenticità con gli altri, diventando pastori amati e credibili. Altri, si chiudono in un ruolo e un’immagine di potere, finendo con l’essere irrilevanti oppure esercitando ingerenze malsane. Nelle relazioni dei preti con le famiglie e delle famiglie tra di loro c’è la verifica di una comunità che  ha “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32).
L’annuncio ha bisogno di partire dalle domande di senso dell’uomo e della donna sull’amore. In una società post-cristiana sono le domande dell’uomo la chiave che apre la porta di una ricerca, anche per chi non è immediatamente interessato a un discorso religioso. Domande sul significato dell’amore e sulle sue vicende (fedeltà, tradimento, perdono, generazione dei figli, vecchiaia, conciliazione tra famiglia e lavoro, sessualità…). È ponendo le domande, prendendole sul serio, senza aver fretta di dare subito tutte le risposte, che si incontra la vita delle persone, le quali a partire dalla voce del proprio desiderio, dentro di sé si chiedono se oggi è possibile credere all’amore (cfr. 1 Gv 4,16). È a partire da qui che la fede nell’indissolubilità del matrimonio può essere compresa.
La diffusione di massa delle situazioni pastorali cosiddette difficili e “irregolari” ha bisogno di un gesto forte di misericordia per “sbloccare” tante diffidenze verso la Chiesa. Questo grande gesto può trovare il suo momento propizio nel Giubileo della misericordia annunciato da papa Francesco. Come l’abbraccio benedicente del padre della parabola al figlio, come le parole e i gesti con cui Gesù ha manifestato accoglienza e perdono ai peccatori incontrati, oggi sarebbe decisivo da parte della Chiesa un gesto alto, eloquente, che dimostri che le sue porte sono aperte e le sue braccia spalancate. I più oggi colgono un’istanza di giudizio e non il sostegno alla ricerca della pienezza e della verità dell’amore. Penso, allora, alla possibilità di un cammino di penitenza-riconciliazione che consenta la riammissione all’Eucaristia per i divorziati che vivono una nuova unione, differenziando le situazioni ed esercitando un discernimento attento.
Tutto ciò è pensabile e possibile nell’ambito di una teologia imperniata sulla categoria della relazione che precede e fonda la dottrina e la pastorale. Sono ancora diffuse teologie che concepiscono la verità come un ordine metafisico a cui conformarsi o meno, in una sorta di sistema binario: o dentro, o fuori. La verità è piuttosto una relazione, perché Dio stesso è relazione, nel suo essere trinitario e nel suo essere costantemente in uscita verso di noi, alla nostra ricerca. E la relazione con Lui è un fatto dinamico, può aprirsi per tutti, in tutte le situazioni di vita, a partire dalla capacità di amore che ciascuno sa esprimere a propria misura. Il sacramento del matrimonio, dal canto suo, è segno di un amore benedetto e sostenuto da Dio, vissuto dentro la relazione con Lui, ma apre un cammino in questo senso, non ne costituisce la realizzazione e il compimento, come se fosse un fatto giuridico e formale. Così come i fallimenti, gli errori e i peccati in amore non chiudono ogni possibilità di relazione affettiva e con Dio.
MichaelDavide Semeraro dischiude spiragli su questo orizzonte. Quando, per esempio, presenta Betania come modello di relazione segnato dalla novità del Vangelo, in cui conta quello che siamo per il Signore, il suo amarci incondizionatamente così come siamo, più che quello che pensiamo di fare per lui: la fede non è una “prestazione”. Quando ammette semi evangelici in ogni rapporto d’amore. O quando scrive: «La verità cui fa riferimento il Signore Gesù non è una verità astratta anche se dogmatica, ma è una verità di relazione che si nutre di contatto intimo e di memoria ardente».
Ci vuole molto tempo per costruire e un attimo per distruggere. Viviamo una stagione in cui alla Chiesa occorre darsi tempo per costruire il proprio stare con le famiglie. Questo libro è uno strumento adatto.
MichaelDavide Semeraro sarà a Crema, mercoledì 3 giugno 2015, per un'iniziativa a cura dell'Ufficio Famiglia della diocesi e dell'Unità Pastorale di San Giacomo - San Bartolomeo.
ACCOGLIERE LE GIOIE E LE FERITE DELL’AMORE
In dialogo verso il sinodo sulla famiglia
Con: ANDREA GRILLO, docente presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo (Roma) e l’Istituto di Liturgia S. Giustina (Padova) – fr. MICHAELDAVIDE SEMERARO, monaco benedettino presso la fraternità Koinonía de la Visitation (Aosta), biblista.
Chiesa San Giacomo Maggiore, p.zza Caduti sul Lavoro, Crema
Mercoledì 3 giugno 2015, h 21

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