Anteprima dal
nuovo libro di Enzo Bianchi. Il cibo è cultura, consumarlo insieme è
un’occasione di piacere che significa anche stipulare un’alleanza, delineare un
abbozzo di communitas.
Il cibo è costituito da un insieme di alimenti
e di creature volute e donateci da Dio ma, come abbiamo detto, il cibo è frutto
non solo della terra, ma anche del lavoro dell’uomo. Per noi umani non c’è
natura senza cultura: siamo consapevoli che dal III millennio a.C., prima ancora
dell’invenzione della scrittura, gli umani hanno iniziato a praticare l’arte
della cucina, cioè del preparare, del trasformare gli alimenti in cibo per la
tavola.
Attorno al fuoco, in una grotta, sotto un
albero, su una pietra si è cominciato a mangiare insieme, a consumare cibo
preparato da qualcuno: a poco a poco nasceva la cucina, l’arte del cucinare e,
contemporaneamente, la festa, il banchetto, il simposio... Consumare lo stesso
cibo e la stessa bevanda significa diventare insieme uno, stipulare un
contratto, un’alleanza, riconoscere una prossimità, un’accoglienza reciproca,
dare origine a una relazione o approfondirla, delineare un abbozzo di
communitas.
Cucinare è azione umana, solo umana, non
conosciuta dagli altri viventi sulla terra. È, di fatto, umanesimo, perché
chiama e richiama uomini e donne, convoca piante, animali e anche minerali (il
sale) e canta il sapore del mondo. E tutto questo in un ritmo umano: non sempre
si cucina allo stesso modo! C’è la cucina feriale, in cui ci si nutre con gioia
ma nella sobrietà e nella frugalità; c’è il pasto, il banchetto che interrompe
la ferialità dei giorni per dire l’insperabile, per celebrare ciò che accade
poche volte e per grazia; c’è il pasto del bambino che abbisogna di cibi a lui
adeguati; c’è il pasto per l’anziano, che richiede una misura e una leggerezza…
Chi cucina ha anche l’arte di differenziare i pasti, perché c’è un pasto per
ogni momento sotto il sole.
FARE CUCINA
Cosa va messo in evidenza in quest’arte?
Innanzitutto l’acqua: non solo essenziale come bevanda, ma indispensabile per la
cucina, per lavare gli alimenti, per cuocerli. L’acqua ha assunto subito un
ruolo purificatore e quindi si è imposta come indispensabile. Accanto all’acqua,
il fuoco che fa passare l’alimento da crudo a cotto: tutti noi sappiamo come
questo processo sia assolutamente determinante. Quello dal crudo al cotto è un
passaggio che conferisce un nuovo assetto al cucinare: fare cucina cessa di
essere solo preparare e condire un alimento, ma implica il trasformarlo
profondamente, con esiti molto diversi a seconda della modalità di cottura e
degli ingredienti utilizzati.
Proprio la preparazione culinaria ha creato il
pasto come pratica sociale che media il rapporto con il nutrimento. Senza la
preparazione, ognuno potrebbe soddisfare da solo e a suo piacimento il bisogno
di cibo. La preparazione del pasto, invece, richiede un investimento di tempo,
di attenzione e di cura, che costituisce la misura empirica dell’amore di chi
prepara il cibo nei confronti di quanti devono mangiarlo abitualmente o sono
invitati per una circostanza particolare. Anche presentare un piatto richiede
tempo e arte, quindi attenzione verso gli altri e volontà di procurare piacere.
Presentare il cibo è la firma del cuoco o della cuoca, è un sorriso che esprime
la gioia di offrire ciò che si è preparato per qualcuno. [...]
Condivisione e scambio entrano dunque nella
cultura della cucina, del pasto, degli alimenti, e la condivisione del cibo
appare sempre segno della condivisione della vita, e così lo scambio. Per questo
nella cultura del cibo la relazione ha il suo primato e il cibo è a servizio di
questa relazione che può essere tra conoscenti, amici, coniugi, famiglia,
vicini, entità territoriali... «L’uomo è ciò che mangia», diceva Ludwig
Feuerbach, ma questa affermazione è riduttiva perché noi dipendiamo più dai
criteri orientativi della nostra alimentazione e della nostra capacità di
viverne lo spirito che non da quello che mangiamo: potremmo dire «siamo ciò che
mangiamo e come lo mangiamo». Occorre infatti fare del pasto un’occasione di
piacere, un rito creatore di senso e di esperienze, anche di esperienze
spirituali in cui mangiare in comunione e conoscere Dio diventano la stessa
cosa.
CONDIVIDERE PER CONVIVERE
Plutarco fa dire a un personaggio delle sue
Dispute conviviali (II,10): «Noi uomini non ci nutriamo l’un l’altro
semplicemente per mangiare e bere, ma per mangiare e bere insieme». Tale aspetto
è decisivo: per questo il cibo per noi umani è evento culturale che sa
soprattutto produrre convivio che, come dice la parola, è cum vivere, vivere
insieme e quindi com-munitas, cioè mettere insieme i doni, il munus che ciascuno
ha, oppure il debito (anch’esso munus) che ciascuno ha verso l’altro.
Condividere per convivere!
È proprio a causa di questa valenza del cibo
che nella Bibbia la pienezza di vita è stata espressa dall’immagine del
banchetto. Dal banchetto messianico promesso già dai profeti come banchetto del
regno di Dio: «Il Signore dell’universo preparerà per tutti i popoli un
banchetto di cibi abbondanti, un banchetto di vini raffinati, di cibi
succulenti, di vini eccellenti» [Is
25,6] al banchetto promesso da Gesù: «Molti verranno dall’Oriente e
dall’Occidente e siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei
cieli» [Mt
8,11; cfr. Lc
13,29], fino ai banchetti raccontati da Gesù nelle parabole come immagini,
profezie del regno dei cieli. Dove c’è banchetto, infatti, non c’è solo
nutrizione, ma c’è vita piena, condivisione, comunione fra tutti gli esseri
umani e fra Dio e l’umanità. La tavola del regno dei cieli ha proprio il Signore
Dio come ospite che invita, chiama, offre il banchetto a noi umani, ospiti,
invitati, accolti per fare comunione con lui.