Il ‘tycoon’ e la ‘secchiona’, istrionico e narcisistico Trump e la gelida e professionale Clinton...
«Una poltrona per due» era il titolo di un film di qualche decennio fa in cui, per uno scherzo del destino, un cinico, preparato Dan Aykroyd e uno scaltro, furfantesco Eddy Murphy si trovavano a contendersi la poltrona di amministratore delegato di una importante società, salvo poi doversi alleare per riuscire a conquistarla. Con quelle immagini in mente, c’è poco da stare allegri guardando alle due convention, repubblicana e democratica, andate in scena nei giorni scorsi a Cleveland e Filadelfia. La lotta tra il ‘tycoon’ e la ‘secchiona’, tra l’istrionico e narcisistico Trump e la gelida e professionale Clinton non ha certo prodotto una sensazione rassicurante per gli Stati Uniti e, conseguentemente, per il mondo. Il timore è chi potrebbe avere il carisma per essere eletto difetti delle competenze per governare, e viceversa: un problema insormontabile in un sistema democratico.
Il populismo grossolano e scorretto di Trump ha confermato, semmai ce ne fosse stato bisogno, che l’arte di fare soldi (e tanti) e di governare un impero economico-finanziario non necessariamente comporta l’acquisizione delle competenze che servono a guidare un Paese, tanto più se questo è ‘il’ Grande Paese, il leader dell’Occidente del mondo libero e una delle due superpotenze nucleari. Il tycoon ha d’altra parte troppo bisogno di farsi ‘perdonare’ la sua ricchezza e il suo mondo dorato – fatto di residenze sfarzose, mogli da copertina e macchine di lusso – per poter scegliere un posizionamento diverso da quello del ribelle anti-sistema. Il partito repubblicano, del resto, è dall’ascesa del tea party movement, oltre un decennio fa, che ha preso una deriva sempre più rabbiosamente anti-establishment, coniugando posizioni molto conservatrici con pulsioni anarchico-individualiste.
Clinton ha scelto, come otto anni fa, il posizionamento opposto, quello da prima della classe, noiosa ma rassicurante, da persona tanto competente e preparata quanto fredda, distante, afflitta da bulimia del potere. I Clinton ricordano davvero gli Underwood di House of Cards, la fortunata serie americana dedicata proprio al cinismo dei governanti. Dalla sua Hillary ha il fatto di essere la prima donna candidata alla presidenza e perciò di essere una persona che, già solo per questo, ha fatto la storia oltre ad avere un’esperienza politica non comparabile a quella del rivale. È però significativo che abbia dovuto contare sul traino del marito Bill e dell’attuale coppia presidenziale per provare a sciogliere quell’aura di ghiaccio che circonda il suo sorriso irto di denti. Hillary Clinton è molto più ‘presidenziale’ di Donald Trump: anche troppo, forse. Non è un caso che non soltanto le star di Hollywood e della canzone, ma anche le grandi compagnie finanziarie corresponsabili della spaventosa crisi del 2008 siano al suo fianco, insieme ai loro supermanager pagati milioni di dollari l’anno. Contro di lei gioca l’effetto dinastia. Vedendo il passaggio di testimone dagli Obama ai Clinton, in molti avranno provato la sgradevole sensazione che tra 8 anni i Clinton potrebbero restituire il favore agli Obama. E che la democrazia americana abbia preso negli ultimi decenni una piega sempre più dinastica non è certo un progresso. Dobbiamo poi chiederci quanto peserà, nel segreto dell’urna, la vera macchinazione condotta dal partito Democratico nei confronti di Bernie Sanders, il solo candidato che aveva provato a esprimere, con un notevole successo, la voglia di cambiamento, pulizia ed equità condivisa da una quota crescente dei cittadini americani.
Non c’è dubbio che le ‘idee’ di Trump sulla politica estera degli Stati Uniti, cioè su quello che ci riguarda più da vicino, sono a dir poco naif, se non proprio bizzarre: per alcuni aspetti talmente oltre il limite da far pensare che difficilmente potranno trovare realizzazione. Viceversa le posizioni di Clinton appaiono decisamente più tradizionali, assai più conservatrici di quelle dell’ultimo presidente, specialmente sul Medio Oriente. In questo incandescente teatro, così cruciale per l’Europa, Hillary è un falco: solidale con il governo conservatore di Netanyahu, ferocemente anti-iraniana e pervicacemente pro-saudita. Credenziali che fanno degli Stati Uniti clintoniani una superpotenza non tanto più rassicurante di quelli di Trump, sia pure per motivi diversi. Gli americani, peraltro, voteranno guardando soprattutto alla politica interna e a quella economica in particolare: ed è precisamente qui che il conservatorismo di Hillary, unito al suo carisma decisamente resistibile, potrebbero aprire qualche chance all’outsider Trump. Staremo a vedere ma sembra proprio che non ne vedremo delle belle.
Vittorio E. Parsi
Avvenire 30 luglio 2016
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