Antipasti per il Capodanno Russo - Beliashi - da "Mirador. Irene Nemirovsky, mia madre." E.G."Festeggiammo dunque il Capodanno russo a Odessa.Mia nonna, la dolce Bella, aveva organizzato per bene le cose.Ci fu un grande banchetto preceduto da zakuski innaffiati di vodka - salmone, caviale, storione affumicato, cetrioli salati, pasticci di ogni tipo - e costituito da una sfilza di piatti che mescolavano la cucina tradizionale ebraica a quella francese e a quella russa - capra farcita alla kulebiaka passando per la pollastra alla Enrico IV - con una serie di vini coronata da parecchie bottiglie di champagne, che bevemmo, come voleva l'uso, fredde a tal punto che, quando le stappavamo, aghi di ghiaccio tintinnavano sul cristallo dei bicchieri."
[Foto: TheMaritimeGallery]Gli "zakuski innaffiati di vodka" di cui si parla nel libro sono degli Antipasti misti.>>> continua>>> Il racconto
Solo chi ha molto navigato e ha attraversato i mari in pace e in tempesta conosce la gioia che il mare infonde nell'animo dei naviganti. Itaca per sempre - Luigi Malerba ♡ ♡ ♡ ♡ ♡ La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede. Leonardo da Vinci
martedì 31 dicembre 2013
"Festeggiammo dunque il Capodanno russo a Odessa. da Parole in pentola ...
«Se mi ami, non dirmi sempre sì» ...
«Se mi ami, non dirmi sempre sì»
Diritti (ignorati) dei bambini, doveri (disattesi) degli adulti
Padre Amedeo Cencini è noto per i suoi testi di psicologia della vita religiosa. In questo volume, per la prima volta, affronta il mondo dell’educazione dei bambini.
In un linguaggio chiaro, diretto e ironico, elenca i diritti spesso negati oggi ai bambini: il diritto di non essere programmati, il diritto all’imperfezione, il diritto all’imperfezione dell’ambiente in cui si vive, il diritto a essere trattati da bambini, il diritto a non essere giudicati con categorie “adulte”, il diritto ad essere apprezzati per quello che si è.
Tra tutti questi diritti vi è, fondamentale, il diritto a dire e a ricevere dei “no”, come condizione per crescere liberi e responsabili.
«Se mi ami non dirmi sempre di sì»:
il diritto dei bambini a sentirsi dire di "no"
per crescere liberi e felici.
Amedeo Cencini, sacerdote canossiano, ha conseguito la licenza in scienze dell'educazione all'Università Salesiana e il dottorato in psicologia all'Università Gregoriana; si è poi specializzato in psicoterapia all'Istituto Superiore di Psicoterapia analitica. Attualmente è docente dei corsi di Formazione permanente, e di Problematiche psicologiche della vita sacerdotale e religiosa all'Università Salesiana e di Accompagnamento personale: aspetti teorici e pratici al corso dei Formatori Vocazionali presso la stessa università . Insegna Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato alla scuola di teologia e diritto, organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Dal maggio 1995 è consultore della medesima Congregazione vaticana. Nel suo istituto è da vari anni maestro dei chierici professi. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo la trilogia sul celibato sacerdotale e religioso (Per amore, Con amore, Nell'amore, Dehoniane, 1994-1996-20013) e l'altra trilogia sulla vita comune (Com'è bello stare insieme, Come rugiada dell'Ermon, Come olio profumato, Paoline Editoriale Libri, 1996-19993). Con le Edizioni San Paolo ha pubblicato Vita consacrata. Itinerario formativo lungo la via di Emmaus (1994, 20033);Come fuoco che divampa. Il consacrato aperto al dono dello Spirito (1998); Il respiro della vita. La grazia della formazione permanente (2002, 20032).
Il Respiro della vita
La grazia della formazione permanente
approfondimento ...
nella liturgia l'uomo vive in pienezza il suo senso, la sua vocazione e la salvezza.
Confesso che avrei voluto iniziare il discorso sulla formazione tempo fa, ma i tempi liturgici erano un'occasione di formazione troppo importante e fondamentale per il nostro discorso. Se avessi fatto altrimenti, avrei contraddetto ciò che è stato ribadito dall'autore nel primo libro che prenderemo come guida : Amedeo Cencini Il respiro della vita La grazia della formazione permanente (2002). Pertanto, per chiarire il mio pensiero, prendo a prestito le parole di P. MARKO RUPNIK SJ che incontro nella prefazione del libro sopraccitato.
da ...
Gli antichi padri spirituali vedevano
il tempo come un dono di Dio
affinché l'uomo possa realizzare la volontà di Dio
che è l'amore di Dio.
Dunque
il tempo
come processo di santificazione
tramite la propria vocazione.
Il tempo
veniva considerato e trovava il suo vero significato nella liturgia,
perché la liturgia è esattamente la perpetua santificazione del tempo,
cioè nella liturgia l'uomo vive in pienezza
il suo senso, la sua vocazione e la salvezza...
è proprio la liturgia,
dove si celebra la salvezza e si è coinvolti in essa,
il luogo privilegiato della realizzazione della propria vocazione.
( salmo 46 ) Dio è per noi rifugio
e forza, aiuto sempre vicino
nelle angosce.
PICCOLI GRANDI LIBRI
Il respiro della vita
La grazia della formazione permanente
La Vita al ritmo della ParolaCome lasciarsi plasmare dalla Scrittura |
lunedì 30 dicembre 2013
VOCI PER RECITATO ARBOREO E FLOREALE
ISTANTANEE- Ascoltando le “VOCI PER RECITATO ARBOREO E FLOREALE” – F. Ferraresso
silvia molinari
Assumo su di me l’Inverno
con la sua nudità regale
In ultima di copertina Carla Combatti, autrice del testo che propongo, ha concluso il suo percorso, dando a quell’inverno la carica di una allegoria e di una metafora quale oggi poco si usa ma ha potenza di dichiarazione, per questo, quelle parole personalmente le ho posto in esergo, trovandoci, non solo per stagione climatica in inverno ma vivendolo fisicamente, come età anagrafica, geografia e oro-logia del corpo. Quelle parole, inoltre mi hanno ricordato un’altra nudità regale, di un’autrice di cui riconoscerei la scrittura anche senza la sua firma, Anna Maria Farabbi, e anche questo, oltre la bella copertina, un’acquerello dai toni morbidi e liquidi, mi ha mosso a leggere il libro, a percorrerlo di luogo in luogo, spesso riconoscendo qualche impronta comune.
E’ una raccolta, questa, in cui la natura viene assunta in sé e viceversa la natura è nostro corpo. Mi piace ricordare a questo prosposito la poesia di apertura
RIPARAZIONE
La sera circonda di ombre
il verde anello e lo bagna
del sopraggiunto crepuscolo
che spira dai boschi vicini
Osserviam, figli della colpa; ciò che non lasciammo all’incolto caso
ma che crebbe con fatica e ingegno
Dal pruno all’edere all’alto faggio
e, protetti dal muro, i gigli per l’amore
e per i banchetti l’indivia e il rosmarino
Domani nel sole sfolgorante
saremo qui a dar forma dignitosa
alla rosa indomita, al ranuncolo infestante
Perché il verde cerchio sia di esempio
allo sfrenato dilagare della selva
e faccia maturare il grano che sostiene
l’insidioso labirinto, cui aneliamo, laggiù…
E già qui mi pare di riprendere il filo di un lungo horto mai concluso ma aperto nella voragine del tempo che, di assenza in assenza, tali sono i luoghi che abitiamo, assenze d’alberi, essenziali per vivere, mostrano quanto la colonia della vita con lungimirante acutezza ha regolato in millenni armonizzando i legami che tutti comprendono in un processo senza soste. Minerali, metalli, essenze, atomi in forma di fibre, corpi che altri ne generano in una continuità di spazio, alloggiando in esso il tempo ma come cosmo, κόσμος (kósmos), continuum spaziotemporale, senza interruzione senza vuoto che non abbia anch’esso corpo e legame con ogni altro.
Il proverbio indiano che segue fa parte di una pagina che titola ALBERI, come per voler partire dalla prima lettera di un alfabeto vitale. A, come alberi, appunto. E sempre nella stessa pagina trova ospizio un altro testo, COSMICO, che offro in lettura, per aprire agli altri nostri lettori il desiderio di percorrere questa via d’ascolto, nel verde consiglio delle voci, radicate tra terra e cielo.
fernanda ferraresso
.
silvia molinari
Da VOCI PER RECITATO ARBOREO E FLOREALE, di Carla Combatti
ALBERI
Gli alberi sono le colonne del cielo,
quando gli ultimi alberi saranno stati tagliatio,
il cielo cadrà sopra di noi
quando gli ultimi alberi saranno stati tagliatio,
il cielo cadrà sopra di noi
Proverbio indiano
.
COSMICO
Dal cielo alla terra agli inferi
la mia potenza si distende
la mia potenza si distende
Tengo con gli arti possenti
legati il fango e la roccia
fin là dove sviliscono nel corpo opaco
legati il fango e la roccia
fin là dove sviliscono nel corpo opaco
Tengo con generose braccia, e altère
legato il suolo all’azzurra volta
fin là dove dissolvono i candidi cirri nel mistero
legato il suolo all’azzurra volta
fin là dove dissolvono i candidi cirri nel mistero
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Carla Combatti, VOCI PER RECITATO ARBOREO E FLOREALE- LietoColle Editore
venerdì 27 dicembre 2013
scriviamo un haiku
Proposte di scrittura creativa: scriviamo un haiku
Se avete letto il post precedente del 12 Dicembre e volete qualche suggerimento per provare a scrivere degli haiku, ecco qui qualche semplice indicazione:
- La forma metrica tradizionale, come abbiamo visto, è di diciassette sillabe (5-7-5) ma gli haiku moderni non seguono strettamente questa struttura. A volte possono esserci più o meno sillabe.- L’haiku ci parla di un momento, così come si è manifestato ai nostri occhi, non fornisce spiegazioni sul significato. Si limita a formare un’immagine con le parole: come se vedeste un fotogramma di un film.- Negli haiku si usano poche parole, semplici. Il significato deve emergere non solo da ciò che scrivete, ma anche dalle possibili omissioni o pause.- Nell’haiku tradizionale si fa riferimento spesso alle stagioni e alla natura. Questi riferimenti sono chiamati Kigo: parole che vengono usate per evocare una stagione particolare (es. i fiori di ciliegio per la primavera, la lucciola per l’estate, la raccolta del riso per l’autunno, la neve per l’inverno). L’haiku moderno è più libero e manifesta un’esperienza personale, in qualsiasi campo.Come sempre, ognuno di noi scrive e trova ispirazione in modi diversi. Potreste volervi isolare alla vostra scrivania per lasciar correre i pensieri, riflettere, e acchiappare un haiku al volo, ma io trovo che gli haiku non si possano che “trovare” all’”esterno”, mentre siamo intenti a vivere la nostra vita quotidiana: durante una passeggiata, all’uscita di scuola, al lavoro, mentre cucinate. Il mondo è pieno di queste piccole grandi immagini. L’unica cosa che occorre è avere occhi attenti e, possibilmente, una penna e un foglietto dove appuntare la vostra “visione”.I giapponesi, per facilitare chi scrive haiku, hanno pensato di creare dei cataloghi chiamati "saijiki" per raccogliere i riferimenti (kigo) divisi per stagione. Su internet ho trovato il saijiki italiano dell’Associazione italiana haiku; potete consultarlo qui: www.aih-haiku.it/il-saijiki.html e naturalmente fare “un giro” del sito dove c’è anche un interessante “Premio Basho” per il quale potrete prepararvi in attesa dell’edizione del 2014! Non si sa mai!
Tutte le creature!
Guizzano ovunque tra
I fiori sbocciati.
(Issa)
Con la stessa innocenza delle nuvole
L’uomo coltiva il campo
Ai piedi delle montagne del sud.
(Shiki)
giovedì 26 dicembre 2013
Addio Bandini, Vicenza perde il suo poeta ...
da CARTESENSIBILI
Se Natale è nascere anche Fernando Bandini è solo dietro la curva dove continua la strada
carlo fontana
Ci ha lasciato oggi, giorno di Natale, Fernando Bandini e lo vogliamo ricordare attraverso le parole di alcune poesie con cui ci ha reso un poco più ricchi, in cui la vita tocca il mondo in ogni sguardo, in cui la vigilia è l’attenta vigilanza.
.
“Lui non credeva che
fossero morti tutti gli uccelli e i fiori
malgrado le notizie dei giornali
e il colore del cielo ormai caduto
in mille pezzi.”
fossero morti tutti gli uccelli e i fiori
malgrado le notizie dei giornali
e il colore del cielo ormai caduto
in mille pezzi.”
Fernando Bandini- da Lapidi per gli uccelli
.
Zampette d’uccello
E tremo sempre perché sei piccola
e la neve qui intorno così vasta,
tu fuscello di brina
che a toccarlo si spezza.
e la neve qui intorno così vasta,
tu fuscello di brina
che a toccarlo si spezza.
E la neve non sembra nemmeno
sentire il tuo peso.
sentire il tuo peso.
Ma a me
ti aggrappi forte, inventi sconosciute
tenerezze carnali
con una voce d’orca che vorrebbe
spaventare anche i grandi,
ardore smisurato con zampette d’uccello.
ti aggrappi forte, inventi sconosciute
tenerezze carnali
con una voce d’orca che vorrebbe
spaventare anche i grandi,
ardore smisurato con zampette d’uccello.
da Appena uscito
*
Nessuna parola
Così abbagliante ormai
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.
da Lapidi per gli uccelli
*
Amnesia
Giorno per giorno qualche nome si eclissa
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.
E con nervoso tremito pronuncio
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.
Come mi muoverò, poeta senza
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?
da La mantide e la città
*
Fossero i miei versi
Fossero i miei versi quello che la neve
è per i bambini quando si svegliano
e guardano dal vetro sbalorditi la lieve
polvere caduta da lontani mondi.
Fossero i miei versi quello che l’acqua
di maggio è per i meli dalla foglia lustra
quello che il vento è per i pini (una frusta
verde che schiocca sulla selva e sul pascolo).
è per i bambini quando si svegliano
e guardano dal vetro sbalorditi la lieve
polvere caduta da lontani mondi.
Fossero i miei versi quello che l’acqua
di maggio è per i meli dalla foglia lustra
quello che il vento è per i pini (una frusta
verde che schiocca sulla selva e sul pascolo).
Quello che per i pesci guizzanti è la ghiotta
esca, per il tordo bottaccio
la trappola insidiosa fatto col setaccio
di casa ancora sporco di farina.
esca, per il tordo bottaccio
la trappola insidiosa fatto col setaccio
di casa ancora sporco di farina.
Capaci di catturare, capaci di ferire,
capaci di serbare un segno segreto,
un mistero d’origine nel lieto
turbinio delle cose che lievita la massa.
Fossero i miei versi quello che le stelle
sono per la notte quando esplodono in cielo
come larghi rododendri sullo stelo
d’un sospiro che veglia alle finestre.
capaci di serbare un segno segreto,
un mistero d’origine nel lieto
turbinio delle cose che lievita la massa.
Fossero i miei versi quello che le stelle
sono per la notte quando esplodono in cielo
come larghi rododendri sullo stelo
d’un sospiro che veglia alle finestre.
Fossero i miei versi di bella fattura
ma nutriti di umana realtà.
aria della lotta e pane del riposo.
ma nutriti di umana realtà.
aria della lotta e pane del riposo.
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Fernando Bandini -Vicenza 1931- Vicenza 25 dicembre 2013
poeta e critico letterario, ha insegnato stilistica e metrica italiana all’istituto di filologia neolatina dell’Univesità di Padova e letteratura italiana moderna all’Università di Ginevra. Esordì con la raccolta In modo lampante (Neri Pozza, Venezia 1962), seguita da Per partito preso (ibid. 1965). Entrò nella collana mondadoriana “Lo Specchio” nel ’69 con Memoria del futuro; nella stessa collana pubblicò La mantide e la città (1979). E’ autore anche di poesia latina, apprezzata in sede internazionale. Ha dedicato studi critici alla lirica italiana del novecento; curato edizioni di G. Leopardi, Canti, (Garzanti, Milano, 1975); G. Giudici, Poesie scelte, (Mondadori, Milano 1975). Tra le sue raccolte poetiche Il ritorno della cometa. Santi di Dicembre (Ed. A.I., Padova, 1985); (Garzanti, Milano, 1994); Meridiano di Greenwich (ibid.,1998)
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Dal Manifesto
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Bandini e l’arte – Silvio Lacasellaby fernirosso |
fernando bandini
Quando l’assenza proietta immediatamente nel ricordo immagini limpide, luminose, essenziali, restituendo persino i suoni e le voci di ciò che si è perduto, quel senso di vuoto si riempie di valori insostituibili. Si può forse dire che il nostro animo, fatto di conquiste ed entusiasmi, è delineato da una struttura interna formata da quanto abbiamo dolorosamente perso. L’assenza diviene, dunque, presenza, e nel cammino ci accompagna.
L’arte, che a differenza della musica o della scrittura, ha una sua immediatezza insuperabile, legata allo sguardo, contiene e trasmette anch’essa l’incapacità di tradurre in presa diretta l’emozione che l’ha generata. Persino l’ “impressionista” Monet ha detto: “Seguo la natura senza poterla afferrare: questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà torrente”. La parola scritta è fatta di segni, e nel momento in cui viene letta, questi si cancellano in modo da trasformarsi in immagini. Un passo ulteriore. Nei suoi scritti dedicati all’arte, Paul Valery ne fa motivo di riflessione: “La parola nel suo progredire provoca una quantità di reazioni mentali successive il cui effetto comune è di distruggere in ogni istante la percezione visiva dei segni, per sostituirla con ricordi e combinazioni di ricordi”.
La poesia è fatta però anche di suoni, come sappiamo, e non solo di parole. Suoni che, grazie alla loro forza evocativa, all’interno del verso, si trasformano subito in immagini. L’arte e la poesia, quindi, mantengono tra loro, da sempre, un rapporto inscindibile: lo sanno bene i poeti tanto quanto lo sanno i pittori.
Nell’ovvia parzialità della scelta, corrispondente ad un combaciante sentire interiore, quando un poeta scrive di un artista, la pagina contiene una ricchezza di penetrazione che la critica d’arte militante in rarissimi casi riesce a raggiungere e, quando ci riesce, è proprio perché in quel momento non vi è solo la volontà di stabilire chirurgicamente un percorso preciso, ma la necessità di creare un suono. Il poeta percepisce nell’emozione entusiasmi o delusioni, gioie e ansie, stupori improvvisi e molto altro ancora. Il poeta percepisce, quando è presente, la poesia.
Ed è giustappunto nell’affascinante intreccio di strade che portano da un quadro all’altro, da una poesia all’altra, da un colore ad un suono, che troviamo Fernando Bandini impegnato a scrivere d’arte, guidato da una libertà assoluta di giudizio. La sua pagina non ha mai mancato di essere uno spazio vivo, aperto, pulito, dialogante. Leggendola, molte cose difficilmente capiteranno: di sicuro non capiterà al lettore di trovarsi all’interno di precise classificazioni e insopportabili graduatorie di merito, né di cogliere tra le righe giudizi sprezzanti e devoti ad un’unica idea di modernità. Non capiterà neppure - pregio tra i pregi – di trovarsi imbucati e senza vie di uscita in pensieri contorti o in quelle oscure forzature linguistiche impossibili da decifrare.
Tra le sue parole si verificano tutta una serie di fatti, di accadimenti paralleli, ma non casuali, di passaggi rapidi, di più lente riflessioni, quasi fossero orme lasciate nel pensiero. Tracce da seguire, per giungere all’origine dell’opera e alle motivazioni più profonde che l’hanno ispirata.
Non ho mai avuto modo di chiederglielo, ma mi sono fatto l’idea che in cuor suo abbia sempre preferito scrivere per gli artisti che ha potuto personalmente frequentare. Anche se non mancano eccellenti prove contrarie: vado con la memoria, ad esempio, alla metà degli anni Ottanta, quando a Palazzo Bonin Longare incantò tutti con una stimolante e assai bella lettura dell’opera di Domenico Gnoli.
Conoscere l’artista, dunque. Scriverne dopo averlo “indagato” nella figura come individuo, esplorandone l’indole, la natura dei suoi entusiasmi, le qualità morali. Riflettendo sugli episodi della sua vita come fossero passaggi necessari per arrivare a comprenderne appieno la ricerca espressiva.
Ma al poeta e all’uomo Bandini non è necessario trovarsi seduto alla stessa tavola dei “grandi”, accanto a Velàzquez o a Tiziano, assistere da vicino alle malefatte di Caravaggio, poiché egli intreccia i fili quasi volesse formare una sorta di appartato e solitario nido, dentro al quale proteggere la sua poesia.
Non manca di scriverlo: “Possiamo scommettere con buon margine di sicurezza che nella provincia occidentale gli ascolti di certi artisti abbiano un di più di intensità, ignota all’ambiziosa area metropolitana”. Cerca in loro alleanze dirette, reciproche influenze, osmosi spirituali. Poiché “gli artisti sono parte della mia vita, nel senso che sono in grado di fornire metafore e fantasmi che mi aiutano a guardare nel presente e soprattutto a fare i conti col loro linguaggio”.
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Ha ragione Musil quando dice: “E’ solo nel momento in cui noi ci sentiamo incapaci di esprimere, di pensare ciò che proviamo che l’arte comincia”. Però, come abbiamo visto, ha anche torto. Dodici anni fa, per i suoi settant’anni, vennero a festeggiare Fernando Bandini in molti, da Zanzotto a Raboni, a me fu chiesta una testimonianza proprio per sottolineare il suo stretto rapporto con l’arte. Del mio intervento ricordo solo la parte finale, nella quale raccontavo il momento in cui, diciassettenne, incrociandolo a ponte San Paolo, trovai il coraggio di fermarlo chiedendogli: “Scusi, lei è Bandini? Sa, io dipingo”. Lui mi guardò e, dopo aver lasciato ai suoi occhi il compito di pronunciare la frase che non mi disse: “Eccone un altro”, subito rispose: “Portami a vedere quello che fai”. Sapendolo ancora presente, chiudo adesso con le stesse parole di allora: grazie Fernando
Silvio Lacasella
Dal Manifesto
Parole come pietre
Era stato a lungo un maestro elementare, Fernando Bandini ...
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Sibelius, Symphonie Nr 2 D Dur op 43 Leonard Bernstein, Wiener Philharmoniker
mercoledì 25 dicembre 2013
Racconti & Consigli librari per Natale.
Consigli librari per Natale
Pubblicato 13 dicembre 2013 | Da Libertà e Persona
di Fabrizio CannoneE’ cosa buona e giusta fare regali per Natale. Gesù infatti ci ha fatto il regalo più grande venendo tra noi e certamente ha piacere che cerchiamo di dare qualche momento di gioia al nostro prossimo. L’unica controindicazione mi pare trovarsi in una concezione odierna del regalo che a volte rasenta il materialismo consumista. Cioè far coincidere il regalo con un oggetto materiale e basta.
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STRENNE DI *** Natale
slcontent
Racconti di Natale Rai Radio3
Anche Memoradio appende all’albero una piccola strenna, un’antologia di racconti compilata vagando liberamente e senza un disegno particolare, se non quello di intrattenere e di cogliere tutte le tonalità di colore ispirate dalle luci di Natale. Dal programma Le fiabe d’autore è possibile riascoltare quattro racconti. Fu a Natale nel 1947, un testo scherzoso, di Giovanni Guareschi, sui bambini costretti a recitare la poesia di Natale, e La natura umana di Roberto Salvadori (lettura di Leo Gullotta). L’attrice Milena Vukotic legge due novelle di Guido Gozzano, Il dono di Natale e Le due madri (rubrica Pagine, a cura di Vissia Bachieca, 1997). “Esattamente cinque anni fa, alla vigilia di Capodanno, fui invitato ad un ballo di bambini …”, L’albero di Natale e lo sposalizio è un racconto scritto da Fedor Dostoevskij nel 1848, prima di iniziare il ciclo dei grandi romanzi, protagonisti i bambini messi di fronte alle ingiustizie della vita (dal ciclo Il racconto del lunedì, con Milena Vukotic, 1980). E’ del 1963 la lettura dell’attore Antonio Guidi di Primo Natale a Milano, di Nino Palumbo, scrittore di origine siciliana, autore di alcuni tra i primi romanzi sull’alienazione. I poeti e il Natale è un’antologia di poesie curata da Giorgio Caproni nel 1972, “compilata zigzagando al solo scopo di afferrare le vibrazioni suscitate dal Natale”. Nella prima parte poesie di Attilio Bertolucci, Cummings, Angelo Maria Ripellino.
Il nome della rosa ...1980
LeggiAmo un libro...
...per chi ha visto il FILM ma non ha letto il libro...
« Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en francais d'après l'édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842) » |
(Umberto Eco, Incipit de Il nome della rosa, 1980) |
Nonostante gli apprezzamenti e il suo successo editoriale, Eco lo considera un libro sopravvalutato e si dispiace che i lettori vi siano così affezionati, quando gli altri suoi romanzi sono, a suo dire, migliori:
« Io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti sei, gli ultimi cinque sono naturalmente i migliori, ma per la legge di Gresham, quello che rimane più famoso è sempre il primo[4]. » |
AmbientazioneIl romanzo, proposto come il manoscritto di un vecciho monaco che descrive un'avventura vissutaquando era un novizio insieme al suo maestro Guglielmo da Baskerville, è ambientato in unmonastero del Nord italia, durante il basso medioevo, nel 1327. Questo è il periodo c'è un clima digrande tensione nei rapporti fra l'Impero e il papato, continuamente impegnato nella lotta contro leeresie.PersonaggiAdso da Melk è il protagonista del romanzo, oltre ad esserne il narratore. Novizio benedettino delXIV secolo e figlio del barone di Melk, durante un viaggio in Toscana con la nobile famiglia diorigini tedesche, riceve il permesso dal padre di diventare monaco, nonché notaio di Guglielmo daBaskerville.Quando vive la straordinaria esperienza narrata del romanzo è ancora molto giovane e per questoancora ingenuo e inesperto, ma allo stesso tempo è desideroso di apprendere tutto ciò che sa il suomaestro, che ammira profondamente e di cui si fida a tal punto da parlargli di tutti i suoi pensieri, isuoi peccati e i suoi dubbi, facendo di frate Guglielmo il suo confessore. Durante i giorni passati nelmonastero benedettino dove si svolge la vicenda, egli raggiunge una sagacia, un intelletto e un'arguziaquasi pari a quella del suo maestro, venendo anche a conoscere a fondo il mondo del tribunaledell'inquisizione . Ma la sua ingenuità, la quale ocntinua a caratterizze la sua giocinezza, lo porta a unmomento di debolezza in cui cade nel peccato carnale con una ragazza, che era solita concedersi alcellario in cambio di frattaglie: il pensiero dell'infrangimento del suo voto di castità lo perseguiterà per tutta la vita. Adso, essendo solo un novizio, rappresenta l'inesperienza e la semplicità: infatti il suoruolo è fondamentale non solo perché è il narratore, ma anche perché attraverso le sue domande, atte achiarire i complicati discorsi dei monaci più anziani, aiuta I lettori meno colti a comprendere piùfacilmente ogni cosa. www.scribd.com/ >>>
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