da CARTESENSIBILI
Se Natale è nascere anche Fernando Bandini è solo dietro la curva dove continua la strada
carlo fontana
Ci ha lasciato oggi, giorno di Natale, Fernando Bandini e lo vogliamo ricordare attraverso le parole di alcune poesie con cui ci ha reso un poco più ricchi, in cui la vita tocca il mondo in ogni sguardo, in cui la vigilia è l’attenta vigilanza.
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“Lui non credeva che
fossero morti tutti gli uccelli e i fiori
malgrado le notizie dei giornali
e il colore del cielo ormai caduto
in mille pezzi.”
fossero morti tutti gli uccelli e i fiori
malgrado le notizie dei giornali
e il colore del cielo ormai caduto
in mille pezzi.”
Fernando Bandini- da Lapidi per gli uccelli
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Zampette d’uccello
E tremo sempre perché sei piccola
e la neve qui intorno così vasta,
tu fuscello di brina
che a toccarlo si spezza.
e la neve qui intorno così vasta,
tu fuscello di brina
che a toccarlo si spezza.
E la neve non sembra nemmeno
sentire il tuo peso.
sentire il tuo peso.
Ma a me
ti aggrappi forte, inventi sconosciute
tenerezze carnali
con una voce d’orca che vorrebbe
spaventare anche i grandi,
ardore smisurato con zampette d’uccello.
ti aggrappi forte, inventi sconosciute
tenerezze carnali
con una voce d’orca che vorrebbe
spaventare anche i grandi,
ardore smisurato con zampette d’uccello.
da Appena uscito
*
Nessuna parola
Così abbagliante ormai
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.
da Lapidi per gli uccelli
*
Amnesia
Giorno per giorno qualche nome si eclissa
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.
dalla mia lingua e dalla mia memoria,
usuali parole come sedia bottiglia
Oh, trafelate corse per riprenderne
possesso! Annaspo naufrago
in un mondo che sempre più smarrisce
i suoi eoni, balbetto
come Mosè presso il roveto ardente.
E con nervoso tremito pronuncio
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.
casa farfalla mela
per esorcizzare la buia notte
che si avanza a grandi passi;
ma poi casa precipita, farfalla
si polverizza in porpora,
mela mi è tolta divorata dal verme
che abita il mio cervello.
Come mi muoverò, poeta senza
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?
gli amati nomi succo delle cose,
tra i buchi d’un saccheggiato universo?
da La mantide e la città
*
Fossero i miei versi
Fossero i miei versi quello che la neve
è per i bambini quando si svegliano
e guardano dal vetro sbalorditi la lieve
polvere caduta da lontani mondi.
Fossero i miei versi quello che l’acqua
di maggio è per i meli dalla foglia lustra
quello che il vento è per i pini (una frusta
verde che schiocca sulla selva e sul pascolo).
è per i bambini quando si svegliano
e guardano dal vetro sbalorditi la lieve
polvere caduta da lontani mondi.
Fossero i miei versi quello che l’acqua
di maggio è per i meli dalla foglia lustra
quello che il vento è per i pini (una frusta
verde che schiocca sulla selva e sul pascolo).
Quello che per i pesci guizzanti è la ghiotta
esca, per il tordo bottaccio
la trappola insidiosa fatto col setaccio
di casa ancora sporco di farina.
esca, per il tordo bottaccio
la trappola insidiosa fatto col setaccio
di casa ancora sporco di farina.
Capaci di catturare, capaci di ferire,
capaci di serbare un segno segreto,
un mistero d’origine nel lieto
turbinio delle cose che lievita la massa.
Fossero i miei versi quello che le stelle
sono per la notte quando esplodono in cielo
come larghi rododendri sullo stelo
d’un sospiro che veglia alle finestre.
capaci di serbare un segno segreto,
un mistero d’origine nel lieto
turbinio delle cose che lievita la massa.
Fossero i miei versi quello che le stelle
sono per la notte quando esplodono in cielo
come larghi rododendri sullo stelo
d’un sospiro che veglia alle finestre.
Fossero i miei versi di bella fattura
ma nutriti di umana realtà.
aria della lotta e pane del riposo.
ma nutriti di umana realtà.
aria della lotta e pane del riposo.
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Fernando Bandini -Vicenza 1931- Vicenza 25 dicembre 2013
poeta e critico letterario, ha insegnato stilistica e metrica italiana all’istituto di filologia neolatina dell’Univesità di Padova e letteratura italiana moderna all’Università di Ginevra. Esordì con la raccolta In modo lampante (Neri Pozza, Venezia 1962), seguita da Per partito preso (ibid. 1965). Entrò nella collana mondadoriana “Lo Specchio” nel ’69 con Memoria del futuro; nella stessa collana pubblicò La mantide e la città (1979). E’ autore anche di poesia latina, apprezzata in sede internazionale. Ha dedicato studi critici alla lirica italiana del novecento; curato edizioni di G. Leopardi, Canti, (Garzanti, Milano, 1975); G. Giudici, Poesie scelte, (Mondadori, Milano 1975). Tra le sue raccolte poetiche Il ritorno della cometa. Santi di Dicembre (Ed. A.I., Padova, 1985); (Garzanti, Milano, 1994); Meridiano di Greenwich (ibid.,1998)
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Dal Manifesto
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Bandini e l’arte – Silvio Lacasellaby fernirosso |
fernando bandini
Quando l’assenza proietta immediatamente nel ricordo immagini limpide, luminose, essenziali, restituendo persino i suoni e le voci di ciò che si è perduto, quel senso di vuoto si riempie di valori insostituibili. Si può forse dire che il nostro animo, fatto di conquiste ed entusiasmi, è delineato da una struttura interna formata da quanto abbiamo dolorosamente perso. L’assenza diviene, dunque, presenza, e nel cammino ci accompagna.
L’arte, che a differenza della musica o della scrittura, ha una sua immediatezza insuperabile, legata allo sguardo, contiene e trasmette anch’essa l’incapacità di tradurre in presa diretta l’emozione che l’ha generata. Persino l’ “impressionista” Monet ha detto: “Seguo la natura senza poterla afferrare: questo fiume scende, risale, un giorno verde, poi giallo, oggi pomeriggio asciutto e domani sarà torrente”. La parola scritta è fatta di segni, e nel momento in cui viene letta, questi si cancellano in modo da trasformarsi in immagini. Un passo ulteriore. Nei suoi scritti dedicati all’arte, Paul Valery ne fa motivo di riflessione: “La parola nel suo progredire provoca una quantità di reazioni mentali successive il cui effetto comune è di distruggere in ogni istante la percezione visiva dei segni, per sostituirla con ricordi e combinazioni di ricordi”.
La poesia è fatta però anche di suoni, come sappiamo, e non solo di parole. Suoni che, grazie alla loro forza evocativa, all’interno del verso, si trasformano subito in immagini. L’arte e la poesia, quindi, mantengono tra loro, da sempre, un rapporto inscindibile: lo sanno bene i poeti tanto quanto lo sanno i pittori.
Nell’ovvia parzialità della scelta, corrispondente ad un combaciante sentire interiore, quando un poeta scrive di un artista, la pagina contiene una ricchezza di penetrazione che la critica d’arte militante in rarissimi casi riesce a raggiungere e, quando ci riesce, è proprio perché in quel momento non vi è solo la volontà di stabilire chirurgicamente un percorso preciso, ma la necessità di creare un suono. Il poeta percepisce nell’emozione entusiasmi o delusioni, gioie e ansie, stupori improvvisi e molto altro ancora. Il poeta percepisce, quando è presente, la poesia.
Ed è giustappunto nell’affascinante intreccio di strade che portano da un quadro all’altro, da una poesia all’altra, da un colore ad un suono, che troviamo Fernando Bandini impegnato a scrivere d’arte, guidato da una libertà assoluta di giudizio. La sua pagina non ha mai mancato di essere uno spazio vivo, aperto, pulito, dialogante. Leggendola, molte cose difficilmente capiteranno: di sicuro non capiterà al lettore di trovarsi all’interno di precise classificazioni e insopportabili graduatorie di merito, né di cogliere tra le righe giudizi sprezzanti e devoti ad un’unica idea di modernità. Non capiterà neppure - pregio tra i pregi – di trovarsi imbucati e senza vie di uscita in pensieri contorti o in quelle oscure forzature linguistiche impossibili da decifrare.
Tra le sue parole si verificano tutta una serie di fatti, di accadimenti paralleli, ma non casuali, di passaggi rapidi, di più lente riflessioni, quasi fossero orme lasciate nel pensiero. Tracce da seguire, per giungere all’origine dell’opera e alle motivazioni più profonde che l’hanno ispirata.
Non ho mai avuto modo di chiederglielo, ma mi sono fatto l’idea che in cuor suo abbia sempre preferito scrivere per gli artisti che ha potuto personalmente frequentare. Anche se non mancano eccellenti prove contrarie: vado con la memoria, ad esempio, alla metà degli anni Ottanta, quando a Palazzo Bonin Longare incantò tutti con una stimolante e assai bella lettura dell’opera di Domenico Gnoli.
Conoscere l’artista, dunque. Scriverne dopo averlo “indagato” nella figura come individuo, esplorandone l’indole, la natura dei suoi entusiasmi, le qualità morali. Riflettendo sugli episodi della sua vita come fossero passaggi necessari per arrivare a comprenderne appieno la ricerca espressiva.
Ma al poeta e all’uomo Bandini non è necessario trovarsi seduto alla stessa tavola dei “grandi”, accanto a Velàzquez o a Tiziano, assistere da vicino alle malefatte di Caravaggio, poiché egli intreccia i fili quasi volesse formare una sorta di appartato e solitario nido, dentro al quale proteggere la sua poesia.
Non manca di scriverlo: “Possiamo scommettere con buon margine di sicurezza che nella provincia occidentale gli ascolti di certi artisti abbiano un di più di intensità, ignota all’ambiziosa area metropolitana”. Cerca in loro alleanze dirette, reciproche influenze, osmosi spirituali. Poiché “gli artisti sono parte della mia vita, nel senso che sono in grado di fornire metafore e fantasmi che mi aiutano a guardare nel presente e soprattutto a fare i conti col loro linguaggio”.
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Ha ragione Musil quando dice: “E’ solo nel momento in cui noi ci sentiamo incapaci di esprimere, di pensare ciò che proviamo che l’arte comincia”. Però, come abbiamo visto, ha anche torto. Dodici anni fa, per i suoi settant’anni, vennero a festeggiare Fernando Bandini in molti, da Zanzotto a Raboni, a me fu chiesta una testimonianza proprio per sottolineare il suo stretto rapporto con l’arte. Del mio intervento ricordo solo la parte finale, nella quale raccontavo il momento in cui, diciassettenne, incrociandolo a ponte San Paolo, trovai il coraggio di fermarlo chiedendogli: “Scusi, lei è Bandini? Sa, io dipingo”. Lui mi guardò e, dopo aver lasciato ai suoi occhi il compito di pronunciare la frase che non mi disse: “Eccone un altro”, subito rispose: “Portami a vedere quello che fai”. Sapendolo ancora presente, chiudo adesso con le stesse parole di allora: grazie Fernando
Silvio Lacasella
Dal Manifesto
Parole come pietre
Era stato a lungo un maestro elementare, Fernando Bandini ...
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