Storia biblica di un sentimento frainteso.
(Elisabetta Galeffi) «La Chiesa non è un’organizzazione assistenziale, un’impresa, una ong, ma è una comunità di persone che hanno vissuto e vivono lo stupore dell’incontro con Gesù Cristo»; Papa Francesco non si stanca di ripetere questa frase e questo concetto: la Chiesa è adesione alla volontà di Dio, non mero sentimentalismo. Perché il cristiano e la sua Chiesa non possono che vivere e credere secondo l’insegnamento dei Vangeli e della Bibbia. Una puntualizzazione necessaria di questi tempi e in questa società globale, dove, spesso, una facile e superficiale conoscenza di altre culture confonde i punti di riferimento dei credenti e rischia di ridurre la fede in Dio a un volersi bene generico.
Dante Carolla, nel suo La tenerezza di Gesù. Il verbo si è fatto carne (Assisi, Cittadella, 2013) va alla ricerca delle fondamenta teologiche del sentimento della tenerezza nelle Scritture. Tutto il libro è una profonda analisi di questa domanda: la tenerezza, che a volte quasi consideriamo una debolezza del nostro cuore, un sentire di second’ordine, una sottospecie dell’amore, come viene testimoniata nella Bibbia e nei Vangeli? Sacerdote della diocesi fiorentina e, fino a poco tempo fa, anche direttore dell’Ufficio di pastorale scolastica, Carolla, sfidando se stesso e le sue convinzioni consolidate, scrive nel suo libro: «Noi preti siamo soliti dire che l’amore è la conseguenza di una decisione motivata, solida della persona, mentre il sentimentalismo emotivo è provvisorio e volubile». La sua ricerca ha inizio dall’omelia per l’inaugurazione del ministero petrino, il 19 marzo 2013, di Papa Francesco: non dobbiamo aver paura della bontà, anzi neanche della tenerezza. Mettendo alla prova le sue vecchie certezze, l’autore cerca poi nella Bibbia e nei Vangeli e trova una lunga traccia di questo sentimento nelle Scritture.
Lo stesso Dio della Bibbia, «comunemente descritto come terribile e minaccioso, conosce quale sia la profondità del sentimento della tenerezza»; e ancora «la cosa più sorprendente è che il Dio dell’Antico Testamento fa appello alla sua tenerezza proprio in forza della sua divinità. Si legge infatti in Osea: “Come potrei abbandonarti Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non un uomo”».
Anche i Vangeli documentano, ampiamente, come il sentimento della tenerezza sia testimonianza della Verità. La tenerezza di Gesù — Carolla analizza anche il significato letterale dei testi — è misericordia, è comprensione, commozione per l’uomo, sentire insieme a lui; un sentimento di grande forza per nulla provvisorio o volubile. Gli esempi sono moltissimi, Gesù come maestro, come pastore, come taumaturgo, come sposo e come agnello dimostra tutta la sua tenerezza verso gli uomini e le loro sofferenze.
Nel Nuovo Testamento la tenerezza di Gesù si ritrova nelle manifestazioni di pianto ma si ritrova anche in momenti di profonda indignazione. Perché questi sentimenti non sono mai segno di debolezza, ma testimonianza di compassione per il mondo e per gli uomini. leggiamo: «Nel suo “sentire-insieme” Gesù rovescia le categorie mondane e ristabilisce il primato della verità e dell’amore, della giustizia e della misericordia».
Alla fine della sua trattazione, l’autore non può che non riconoscere nell’incipit del Vangelo di Giovanni, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» la testimonianza più importante che stava cercando. «È incredibile che questa pagina — si sorprende Carolla — che sembra la più difficile, la più teologica e filosofica, la più complicata, a ben vedere sia proprio la pagina che rivela la tenerezza del Padre e del Figlio e quindi della Trinità». La tenerezza finisce per riassumere tutta la missione della Salvezza e rivelare la Misericordia di Dio. «Il Verbo si fece carne e si accampò — secondo la traduzione letterale dal greco — in mezzo a gli uomini» è il segno che Gesù e il Padre hanno deciso di rimanere con gli uomini e sentire con loro.
L'Osservatore Romano
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