Nella vita succede di incontrare persone e di vivere esperienze che ci segnano nel profondo. Talvolta questo può accadere anche leggendo un libro: a ogni pagina si trova qualcosa di bello e di utile per la propria vita e, quando si arriva in fondo al volume, ci si riscopre… intimamente edificati e grati nei confronti di chi l’ha scritto. Questo è il sentimento mi ha riempito dopo aver letto il libro Fino alla cima (San Paolo, Milano 2014, 14 euro), il testamento spirituale di Pablo Dominguez Prieto, sacerdote spagnolo morto scalando il monte Moncayo nel 2009, a soli quarantatré anni.
Il libro è la trascrizione degli Esercizi Spirituali che il sacerdote tenne alle monache del monastero cistercense Nostra Signora della Carità di Tulebras nei giorni subito antecedenti alla sua salita al cielo.
Grazie al film biografico L’ultima cima in parte conoscevo già l’affascinante figura di don Pablo: un sacerdote sereno, dotato di un’intelligenza acuta, attento nei confronti di tutti e capace di pronunciare parole paterne. Leggendo Fino alla cima, tuttavia, ho potuto vivere in prima persona la profondità delle sue catechesi, allo stesso tempo semplici ma mai banali.
Nei quattro giorni trascorsi con le monache don Pablo ha parlato di Dio, delle tentazioni, della vita, della morte, dell’amore, della gioia, dell’Eucarestia, della comunione con la Chiesa e con i fratelli e della contemplazione dell’amore di Dio.
Il punto da cui partire – ha affermato don Pablo il primo giorno degli Esercizi – è ritrovare la freschezza interiore, (ri)scoprendo Dio Creatore e la Sua grandezza; il secondo passaggio è riconoscere Dio come Padre, che ci ama immensamente e sta sempre con noi; la terza scoperta è guardare a Dio come a un amico, che vuole il nostro bene senza pretendere nulla in cambio.
Se si comincia ad ascoltare Dio, la vita si trasforma: “Sono convinto – diceva don Pablo alle monache – che possiamo fare opere più grandi del Messiah: la nostra vita è un’autentica miniatura, impreziosita da Dio, ma dobbiamo lasciare che la parola di Dio entri e ci fecondi dall’interno. Dobbiamo incontrarci con Lui e lasciarci stupire da Lui. Dobbiamo osservare le cose non come se fossero la solita routine” (Op. cit., p. 30). Solo così facendo anche le cose più insperate possono realizzarsi. Dio ama ogni uomo di un amore estremo e gratuito, tanto da essere morto in Croce per dare a tutti la possibilità di conseguire la vita eterna. Vita eterna che dovrebbe essere l’unica cosa per cui vivere e impegnarsi, nella consapevolezza che le cose di questo mondo sono finite: da cristiani la più grande preoccupazione dovrebbe essere quella di preservare la nostra anima pura e attaccata a Dio e di esercitare la carità – l’amore –, che è la virtù più grande.
Quando si vive in questo modo, amando Dio e sapendosi amati da Lui, la gioia è piena. “La gioia – diceva ancora Pablo – è una delle caratteristiche più importanti della vita cristiana. Ma che cos’è la gioia? San Tommaso d’Aquino la definiva come la conseguenza dell’amore, vale a dire come se la gioia fosse la luminosità che c’è quando c’è amore. Spiegava anche che la gioia è tanto maggiore quanto più grande è l’amoree quanto più nobile è ciò che si ama” (Op. cit., pp. 94-95).
Nel momento in cui si è pieni dell’amore di Dio, gioiosi, in comunione con la Chiesa, con i propri fratelli e con i santi nasce in ognuno il desiderio di farsi evangelizzatori, di rispondere alla missione di diffondere nel mondo la Buona Novella. “Il pericolo che tutti corriamo, sempre, è quello di vivere chiusi in noi stessi, non vedere oltre il nostro orizzonte. E, alla fine, di amare solo noi stessi. Dobbiamo uscire, dobbiamo vivere in estasi. Dobbiamo andare per il mondo intero con la nostra preghiera e il nostro impegno a predicare il Vangelo. Questa unione di Cirillo e Metodio è molto significativa. Perché Metodio era vescovo e Cirillo era monaco. Entrambi rappresentano un’icona della vita della Chiesa. Quelli che sono in prima linea nella battaglia, nell’azione, hanno bisogno di quelli che sono in prima linea nella battaglia della preghiera. E quelli che stanno in una possono anche stare nell’altra e viceversa. Ma ognuno ha una missione” (Op. cit., pp. 128-129). E guardare a figure luminose, gioiose e piene di Cristo come quella di Pablo Dominguez Prieto è un incentivo a spendere la propria vita implicandosi sul serio con il Signore e farsi Suoi missionari.
G. Tanel
Nessun commento:
Posta un commento